Oristano 24 agosto 2019
Cari amici,
Sicuramente l’innata
diffidenza che l'uomo si porta dentro, in riferimento alle persone che incontra e
non conosce, risale alla notte dei tempi, quando i gruppi umani vivevano in
foresta ed il nemico era sempre dietro l'angolo; per questo motivo era imperante il modus vivendi ben evidenziato negli scritti di Hobbes, che definiva l'uomo: “Homo homini lupus”. Diffidenza che non è tramontata col passare dei secoli, e nemmeno noi, appartenenti al Terzo Millennio, siamo riusciti a cancellare questa paura, continuando a mantenere nel DNA l’atavica
diffidenza dei nostri progenitori. Cosa si può fare, allora, per far cadere quelle
barriere che, come uno spesso frame, ci impediscono di entrare senza timore nella sfera
degli altri?
Per accelerare la possibile
accettazione o il rifiuto dell'altro, la nostra intelligenza ha ideato dei particolari
meccanismi, capaci in pochissimo tempo di aprirci o chiuderci alla persona estranea che
ci troviamo di fronte. Si, spesso basta uno sguardo, un colpo d’occhio, per
farci un’idea (positiva o negativa) di una persona. Gli esperti hanno calcolato
che basta un decimo di secondo a calcolare la positività o la negatività della
persona che abbiamo di fronte. Al contrario, invece, sarà necessario molto più tempo
per modificare questo nostro primo giudizio, nel caso ci fossimo inizialmente
sbagliati.
La “prima impressione”,
dunque, è quella che si forma (e conta veramente) nella prima fase della conoscenza. Stante questo risulta importante, specie in certe situazioni in cui desideriamo farci accettare da chi non ci conosce, presentarci al nostro interlocutore
sotto la miglior luce possibile, per far sì che sin dal primo sguardo, quando
ancora non abbiamo aperto bocca, il nostro interlocutore abbia una sensazione
positiva di noi. Per darci una mano, per poterci presentare al meglio, sono stati scritti dei manuali che cercano
di insegnarci a relazionarci agli altri nel modo migliore, consigliando i comportamenti
più giusti e adeguati, tali da creare nell’altro la migliore impressione e la successiva accettazione.
Partendo dal presupposto
che la prima impressione è della massima importanza e si forma in un decimo di
secondo, il nostro primo biglietto da visita dovrebbe essere quello di avere uno
sguardo diretto e sincero verso l’interlocutore; anche un nostro portamento
elastico e rilassato, aiuta a mostrarci come persone sicure e disposte al
dialogo, estroverse e non introverse. Uno studio, realizzato qualche anno fa
nel Regno Unito dalla Durham University, ha evidenziato che muoversi con un
portamento elastico e rilassato fa supporre che la persona sia curiosa, estroversa
e affidabile. Chi invece ha un'andatura più nervosa viene percepito come persona
insicura e nevrotica, quindi meno affidabile.
Altra considerazione da
fare è che non parliamo solo con la bocca ma con tutto il corpo; la capacità e competenza del nostro
linguaggio è solo una parte del dialogo, in quanto ci esprimiamo molto anche con la postura del nostro corpo, che ha un
linguaggio proprio altrettanto importante. E non dimentichiamoci che il nostro “corpo
parlante” va opportunamente “vestito” nel modo più consono, quello più adatto all’occasione, perché anche se il detto che “l’abito non fa il monaco” ha la sua validità, non è sempre Vangelo, come gli
studi sull’argomento hanno dimostrato.
Un vestiario curato da
immediatamente l’idea che chi lo indossa è una persona per bene. Lo ha
dimostrato uno studio condotto dagli psicologi del Laboratorio delle Tecniche
di influenza di Vannes. Nell'esperimento, un ricercatore, vestito a volte in
jeans e sneakers, altre in giacca e cravatta, sottraeva un disco dagli scaffali
di un negozio di musica sotto gli occhi di altri clienti. Il furto veniva
denunciato dai presenti nel 35% dei casi quando il ricercatore era vestito
casual e nel 10% quando era elegante. Ecco, anche questa è una dimostrazione che è di fondamentale importanza vestirsi in modo adeguato; scegliere il vestiario e la pettinatura più appropriata quando ci si presenta,
ad esempio a un colloquio di lavoro, o quando vogliamo fare colpo su una
persona a cui siamo interessati, risulta spesso la carta vincente.
Si, amici, una persona che
indossa un look elegante e di pregio, è considerata più affidabile e degna di
fiducia di chi ha un look casual o addirittura un aspetto trasandato. Se poi
passiamo al ‘primo contatto fisico’, la stretta di mano, accompagnata da un leggero
sorriso e da uno sguardo accattivante, predispone il nostro interlocutore in modo positivo; la mano deve essere ferma (mai molle e
sudaticcia, in quanto sinonimo di soggetto senza energia e senza volontà),
seppure data senza usare troppa veemenza, insomma senza "stritolare" la mano del nostro interlocutore.
Tenere anche presente che,
secondo il galateo, si deve porgere la mano destra a palmo aperto con il
pollice rivolto perso l’alto e aspettare che l’altro la prenda e la stringa. Se
ci troviamo davanti a una persona superiore a noi per rango e posizione, si
deve attendere che sia l’altro a porgerci la mano. E, se fa freddo e si
indossano i guanti, occorre toglierli senza esitazione prima di salutare.
Si, amici, gli esseri
umani continuano a temere il diverso, per questo tendono a semplificare il più
possibile le valutazioni, ricorrendo per necessità a stereotipi e persino a
pregiudizi, accogliendo in un istante quelli che ci assomigliano e scartando
quelli che ci appaiono diversi. Il fatto di trovare rassicuranti le persone
simili a noi, deriva da meccanismi atavici; agli albori della storia umana, il
fatto di distinguere al volo un individuo del proprio clan da un intruso e
potenziale nemico, poteva fare la differenza tra vivere o morire. Ecco perché
ci sentiamo più a nostro agio con chi è simile a noi!
Cari amici lettori
giovani, questa mia riflessione oggi vale in particole per Voi: imparate a presentarvi
nel modo migliore, sia in un colloquio di lavoro che nelle relazioni sociali o
di cuore! Avrete tutto da guadagnare…
A domani.
Mario
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