giovedì, ottobre 31, 2019

NEL RICCO PROGRAMMA “ORISTANOTTOBREVENTI” ANCHE LA PRIMA FESTA DELL’IMMAGINARIO. ““PITTICCU”, UNA TRE GIORNI DAL 25 AL 27 OTTOBRE.


Oristano 31ottobre 2019

Cari amici,

Che l’Amministrazione comunale di Oristano stia davvero cercando di portare avanti un nuovo discorso culturale, di cui da tempo si sentiva il bisogno, è una realtà che si concretizza di giorno in giorno. Dopo gli incontri e gli spettacoli messi in calendario sia prima che dopo l’estate oristanese, anche ottobre è stato dotato di un programma ricco e variegato. Si, “Oristanottobreventi” è partito davvero col piede giusto! E' iniziato il 4 ottobre con “Passaggi di tempo” e si concluderà oggi, giovedì 31 ottobre, con il reading letterario in omaggio a Pepetto Pau, dal titolo “Autunno, fredda è la tua voce”.
Nel ricco programma di ottobre è stato dedicato spazio, per la prima volta, anche alla festa dell’immaginario, denominata “Pitticcu”, in calendario presso il punto d’incontro (lettura e ristorazione) “LIBRID” sito in Piazza Eleonora ad Oristano, venerdì 25, sabato 26 e domenica 27 ottobre. Una tre giorni no-stop, per otto ore al giorno: dalle 15 fino e oltre le 23 di tutti e tre i giorni. Seppure apparentemente defatigante, la frequentazione del pubblico è stata di rilievo, e molti, in particolare giovani, hanno trascorso ore liete tra attività di proiezione filmati, mostre, incontri, presentazioni, letture, concerti, giochi e workshop, oltre alla fiera letteraria.
La gradita e partecipata 3 giorni era davvero ricca di eventi. Giovedì 24 ottobre, giornata d’apertura, anteprima del festival: nella sala Bim alle 19, inaugurazione della mostra fotografica “E-Migrants” della fotografa oristanese Paola Lai, in collaborazione con l’ Associazione Culturale Fotografica Dyaphrama; venerdì 25 ottobre nel Giardino del Librid, alle ore 15, apertura del festival “Pitticcu” e della “Fiera della Piccola Editoria”, con la partecipazione de La Zattera edizioni, Iskra Edizioni, Cenacolo di Ares, Catartica Edizioni, Kirby Edizioni, oltre a una selezione di editori italiani. Presenti anche, ognuno con un proprio desk, i negozi della Fumetteria Onepiece e dell’Allegro Koboldo di Oristano.
Hanno dato interesse all’evento, creando maggior diletto nei partecipanti, anche i giochi da tavolo, messi a disposizione con la collaborazione di Montiferru Play; non sono mancati gli incontri culturali, sia sulla letteratura che sull’editoria, con gli autori di Verde Rivista e gli spettacoli (da PTQ Meme Show, con le pagine satiriche più note del web, a Quando C’era Lei, da SardegnAesthetics a Partidu Indipendentista 100% amigu de totus). Il pubblico è stato allietato anche dal concerto in acustico del cantautore Maudits e dai monologhi satirici di Albert Canepa e Massimiliano Puddu in collaborazione con la Stand-up Comedy Sardegna, nonché dallo spettacolo dello scrittore comico Lo Sgargabonzi, per la prima volta in Sardegna e in esclusiva per il festival “Pitticcu”.
Giorni intensi, nei quali, nel Giardino si sono potute seguire letture di poesie elettroniche di Frankie Fancello, interventi musicali di vari artisti e cantautori (Johnny Revelator, il gruppo Jackie Treehorn, il gruppo Pink Tank) e la presentazione in anteprima del libro “Storia del Cane che Non Voleva Più Amare” (compreso l’incontro con Monica Pais), il concerto del cantautore Herbert Stencil ed infine quello di Andrea Secci.
Nel terzo e ultimo giorno del festival, domenica 27 ottobre, si è svolto un workshop sulla creazione di giochi da tavolo a cura di Simone Riggio, l’incontro con gli editori sardi della Fiera della Piccola Editoria, e, nel Giardino, l’incontro con i giovani imprenditori, partner di “Pitticcu”. Nel pomeriggio, sempre nel Giardino, è stato proiettato il documentario” Apocalisse Resort”, con l’incontro con il regista di “Sardegna Abbandonata” insieme ad altri ospiti. È stato dato spazio anche ad un’altra proiezione: il documentario “Fuori Programma”, con l’incontro con la regista oristanese Carla Oppo.
Nella Sala Bim, poi, si è tenuto il concerto in acustico del gruppo Duo Babboisi a cui ha fatto seguito la proiezione della puntata pilota del progetto “Ischidados”, con la partecipazione del regista insieme ad altri ospiti in collaborazione con l’associazione Band Apart. Il festival si è concluso in tarda serata (alle ore 23) nel Giardino, godendo così del fresco residuale dell’estate oristanese.
Cari amici, il primo festival dell’immaginario, meglio definito “Ciao, mi chiamo Pitticcu, sono nato piccolo e voglio rimanere grande!”, è stato sicuramente un successo. Come le cose gradite e portate avanti dai giovani, Pitticcu ha esordito alla grande anche sui social. Nato dall’idea di due ragazzi oristanesi, Stefano Defendente, organizzatore di eventi e social media manager, e Francesco Putzu, giovane scrittore in arte “Franco Sardo”, Pitticcu, con un occhio di riguardo all’editoria indipendente e al mondo della comunicazione, potrà recitare in futuro un ruolo sicuramente di più alto spessore, in questo particolare mondo dei nostri giovani, dove c’è ancora molto da scoprire.
A domani, amici.
Mario





mercoledì, ottobre 30, 2019

IL CENTRO MARINO INTERNAZIONALE DI TORREGRANDE HA INIZIATO IL RIPOPOLAMENTO DELLA LAGUNA DI CABRAS, COL PROGETTO “TECNOMUGILAG”.


Oristano 30 ottobre 2019

Cari amici,

L’IMC (International Marine Center), che da anni opera a TorreGrande e che si occupa di ricerca e divulgazione nell’ambito degli ecosistemi marino-costieri e di acquacoltura a livello regionale, nazionale ed internazionale, ha avviato di recente un interessante progetto, messo in atto per ripopolare le lagune sarde, che nel tempo avevano perso buona parte della loro pescosità. 
Il progetto, che porta il nome di “TECNOMUGILAG”, è portato avanti unitamente ad AGRIS Sardegna, all’Università di Cagliari - Dipartimento di Scienze della Vita e dell'Ambiente, e all’Università degli Studi di Sassari - Dipartimento di Architettura, Design ed Urbanistica.
Obiettivo primario del progetto quello di “trasferire” alle aziende operanti nelle nostre lagune le tecniche di riproduzione e di allevamento in ambiente controllato del Mugil cephalus, il nostro pregiato muggine che ci regala la nota e apprezzata bottarga, vera e inimitabile delizia. La costante diminuzione di Mugil cephalus nelle lagune della Sardegna è cosa ormai nota, e di conseguenza è avvenuto anche il drastico calo della produzione di bottarga locale, parzialmente sostituita dalle uova del muggine d'importazione, proveniente dalla prima fascia africana.
L’IMC, che ha personale altamente specializzato (sia negli studi che nelle sperimentazioni scientifiche) sulla riproduzione in ambiente controllato di questa specie, con questo progetto intende ripopolare le lagune sarde, riportandole ai livelli produttivi del periodo precedente. Con gli interventi messi in atto le aziende ittiche operanti in queste lagune potrebbero incrementare la produzione di muggine, riportandole ad un livello economico positivo, derivante da una produzione soddisfacente. Diversi sono i compendi ittici sardi interessati dal progetto: vanno da quello di Cabras a quelli di Santa Giusta, Terralba, Riola, Marrubiu, Muravera, Villaputzu, Tortolì e Cagliari.
Personalmente, su questo blog, voglio focalizzare la mia attenzione sulla nostra laguna di Cabras, quella più importante anche per estensione, oltre che per il suo primario ruolo rivestito nel passato. L’IMC, che fa parte del Parco Scientifico e Tecnologico della Sardegna, è da tempo impegnato nello sviluppo di progetti di ricerca volti a promuovere l'introduzione di tecniche innovative e sostenibili per la gestione delle risorse marine e costiere.  L'interessante e innovativo progetto Tecnomugilac intende portare avanti la possibilità di ripopolare la laguna di Cabras partendo addirittura da zero, ovvero dalle uova del muggine femmina che, dopo il rilascio in vasca e la successiva fecondazione da parte dei muggini maschi, diventano piccolissimi esemplari che, in vasca, vengono amorevolmente accuditi fino alla re-immissione nello stagno.
La cattura delle femmine da riproduzione necessarie per il progetto tuttavia non è una cosa semplice, in quanto è necessario prenderle con tantissima cautela, per non danneggiare la sacca ovarica; debbono essere prese a mano da pescatori esperti, con tanta delicatezza (per evitare al pesce lo stress e, usando un maneggiamento leggero, capace di non danneggiare le uova) per essere, poi, portate velocemente nelle vasche ossigenate. Qui, dopo un certo ambientamento, potranno deporre le uova.
Vero genio incubatore dell’operazione Tecnomugilac è il Dottor Dario Vallainc, biologo marino, da tempo in servizio all’IMC di TorreGrande. Si, questo esperto biologo è il vero “padre putativo” dei tanti nascituri che si svilupperanno dalle uova: tantissime piccole larve di muggine che vengono poi seguite con tanto amore nelle vasche di riproduzione dove sono nate. Le cure sono costanti e molteplici: vanno dal controllo della temperatura dell’acqua alla salinità, dalla pulizia della vasca al monitoraggio al microscopio. Lo sviluppo di nuovi muggini dalle uova fecondate è di circa un 6 per cento, considerato che un muggine femmina nel periodo fertile ne rilascia, all’atto della deposizione, circa 3 milioni.
In questa specie di nursery le piccole creaturine, poco più che larvette, restano circa 4 mesi, accudite in continuazione dai tecnici, dai ricercatori e dagli studenti, arrivando in quei pochi mesi ad avere una dimensione di circa 8-10 cm.; a quel punto gli avannotti sono pronti per lasciare il baby parking e iniziare la loro vita ordinaria andando a nuotare liberamente nello stagno dove vengono trasferiti.
Cari amici, Il Dottor Vallainc, intervistato, ha detto che il progetto dovrebbe funzionare, anche se ancora non se ne conosce la reale efficacia; difficile stabilire quantitativamente la sopravvivenza che questi avannotti, nati e seguiti scientificamente, avranno una volta immessi in laguna. La via seguita appare comunque quella giusta. Sarà il futuro a dire se il progetto sarà stato capace di riportare i nostri stagni alla pescosità del passato. Tutti ce lo auguriamo di cuore!
A domani.
Mario  

martedì, ottobre 29, 2019

È TEMPO DI TORNARE AL “RIUSO”: PIÙ CHE PER NECESSITÀ PER SALVAGUARDARE IL PIANETA.


Oristano 29 ottobre 2019

Cari amici,

Se è vero, che la storia è fatta di corsi e di ricorsi, che ad epoche di abbondanza sono seguite epoche di carestia, in un altalenante vivere tra vacche grasse e vacche magre, nel nostro sempre più vilipeso e martoriato mondo, anche la civiltà dello spreco, quella dell’usa e getta, sta per essere soppiantata da quella del riuso, del recupero, che al giorno d’oggi viene meglio definita con il simbolo delle “TRE ERRE”: Riusa, Riduci, Ricicla. 
Chi ha la mia età, essendo nato nella prima metà del secolo scorso, non ha certo vissuto gli anni dell’adolescenza immerso nella civiltà dello spreco, ma in quella opposta, quando tutti i beni erano preziosi, e “l’usa e getta” non solo non era ancora nato, ma avrebbe fatto gridare allo scandalo, solo se qualcuno avesse solo pensato di gettare via un indumento, un utensile, o una qualsiasi altra cosa ritenuta ancora utile, e sarebbe stato additato come un grande sprecone.
Era l’epoca in cui la natalità era ancora ben presente in Sardegna, e l’abbigliamento dei bambini, per esempio, ritenuto merce talmente preziosa che passava dal primo figlio al secondo e così via; le scarpe venivano sempre riparate, gli utensili di cucina utilizzati fino alla fine (dopo aver subito laboriose riparazioni), e anche gli scarti alimentari erano cibo per alimentare gli animali da cortile oppure concime per l’orto di casa. Poi è sopraggiunta l’epoca del benessere e la nuova politica dell’usa e getta ha soppiantato la precedente, in modo anche vergognoso. La mancata, corretta gestione delle risorse, da allora ha creato, di conseguenza, montagne di rifiuti difficili da smaltire, creando i danni all’ambiente che ben conosciamo, a partire dallo smaltimento della plastica.
Tutto questo oggi è una tristissima realtà, e, col senno di poi, ci siamo resi conto che con lo spreco abbiamo messo in pericolo il mondo, tanto che, se continuiamo di questo passo, la nostra beneamata terra potrebbe collassare, mettendoci tutti in pericolo. Certo, rinunciare ad un certo tipo di benessere, che ci fa gettare via costantemente il vecchio per il nuovo, non è così semplice e facile da mettere in atto, ma saremo giocoforza costretti a farlo. È tempo di tornare all’antico “Riuso”, se vogliamo salvare il pianeta e di rimbalzo anche noi!
La campagna dedicata al riciclo, detta delle “TRE ERRE” è partita da tempo, ma finché non avrà una massiccia adesione in tutto il mondo, i concreti effetti positivi non potranno manifestarsi che in minima parte. È il nostro sistema di vita che deve cambiare radicalmente! Cominciando dalle cose più semplici, come il riciclo dell’abbigliamento per esempio, che consentirebbe sia di risparmiare che di evitare, con le nuove produzioni, l’immissione di altri pericolosi veleni nell’atmosfera.
Se ci rendessimo conto che il sempre più diffuso atteggiamento “dell’usa e getta” nei confronti dell’abbigliamento è estremamente pericoloso per il nostro già malandato pianeta, forse saremo meno spreconi; a tutt’oggi l’industria tessile è quella annoverata fra i maggiori produttori di gas serra sulla Terra e, allo stato attuale, l’ambiente non appare più in grado di sostenere l’enorme quantità di vestiti e altri tessuti che il mercato globale sta consumando.
È un problema di grande attualità, amici, ed è perciò necessario trovare (anzi direi ri-trovare) modi, magari anche innovativi, per riutilizzare l’enorme quantità di indumenti che finiscono in discarica. A differenza di altre categorie di rifiuti, tra l’altro, l’abbigliamento è un rifiuto particolarmente difficile da riscattare dalle discariche. Secondo un rapporto dell’Australian Bureau Statistics (ABS), il motivo sta nel fatto che i tessuti sono spesso considerati “troppo costosi o difficili da recuperare”, per cui bisogna creare strutture apposite per evitare che finiscano al macero.
È tempo, dunque, di ritrovare la cultura del recupero, perché riutilizzare efficacemente i vecchi vestiti è un passo avanti verso uno stile di vita a zero emissioni e a basse emissioni di carbonio. Si, amici, gli indumenti usati possono essere riutilizzati o riciclati fino al 95 per cento, compreso l’intimo elasticizzato, come i reggiseni e la biancheria intima, accessori questi ultimi che, per le famiglie meno abbienti, hanno raggiunto cifre da capogiro. Si è già iniziato a creare strutture di riutilizzo come i “Mercatini dell’usato”, ma bisognerebbe incrementarne fortemente il numero.
Sono questi dei piccoli “Negozi” che stanno prendendo sempre più piede in molte città, comprese quelle di tipo medio, dove queste rivendite di abiti e accessori usati sono sempre più visitate e dove possono essere rinvenuti ottimi capi ricondizionati di biancheria intima ancora in ottimo stato. Si, perché oggi molti “cambi”, in particolare nel settore dell’intimo, avvengono solo perché quel capo ci ha semplicemente “annoiato”, pur essendo in ottimo stato. 
Anche una grande casa di intimo come la Triumph ha deciso di operare per la salvaguardia dell’ambiente. Sapete in che modo? Mettendo a disposizione le proprie strutture dove può essere donato, a chi è più bisognoso, il proprio intimo in ottimo stato. Moltissime donne al mondo, infatti, sono costrette a rinunciare a comprare banchiera intima nuova, il cui costo è a volte decisamente troppo alto per loro. Ecco perché il progetto di riuso messo in atto, può contribuire a risolvere il problema, salvaguardando anche il pianeta.
A tale proposito, grazie alla sua campagna “TOGETHER We Recycle”, realizzata con Texaid, una delle principali organizzazioni leader in Europa nella raccolta, smistamento e riciclo dei tessuti usati, Triumph raccoglie i vestiti dismessi nei punti monomarca diretti, franchising e outlet e in più di 1.000 rivenditori multimarca, oltre a 4.000 punti vendita in tutta Europa. L’iniziativa in Italia è proprio in corso (è stata attiva dal 1° settembre al 31 ottobre) e chi vuole può portare indumenti puliti e asciutti, compresa anche la biancheria intima – reggiseni, slip, body e maglieria – oltre a costumi da bagno, abbigliamento da casa, abbigliamento sportivo, tutto di qualsiasi marca. Una volta raccolti gli indumenti, Texaid li smisterà come capi di seconda mano.
Come ringraziamento per il contributo a preservare le risorse naturali e ridurre i danni all’ambiente, i clienti riceveranno uno sconto di 10€ spendibili nell’acquisto di nuovi prodotti Triumph, a fronte di una spesa minima in prodotti Triumph di 60€.
Amici, siamo tutti impegnati a salvare il mondo per lasciarlo vivibile alle nuove generazioni….
A domani.
Mario

lunedì, ottobre 28, 2019

SARÀ UN PARTICOLARE ABBIGLIAMENTO ROBOTICO AD AIUTARE CHI HA BISOGNO DI MUOVERSI PIÙ AGEVOLMENTE.


Oristano 28 ottobre 2019

Cari amici,

Che la robotica stia facendo sempre più passi da gigante è un dato di fatto incontestabile. I sistemi computerizzati hanno iniziato la loro opera sollevando l’uomo dai lavori più pesanti e faticosi, per arrivare poi anche a sostituirlo in mansioni fino a poco tempo fa impensabili: utilizzati, addirittura, come selezionatori del personale, solo per citare una delle ultime mansioni. 
Il loro utilizzo ora spazia a 360 gradi, e le più recenti applicazioni risultano riferite anche al campo medico e in particolare a quello della disabilità, in aiuto di quelle persone che, per le ragioni più svariate, non possono muoversi in autonomia. Molti studiosi sono all’opera su questo particolare e importantissimo settore, e oggi la mia riflessione vuole mettere in luce due delle più recenti ricerche legate alla disabilità, che hanno messo in campo dei congegni straordinari, davvero incredibili, studiati per sostenere i soggetti meno fortunati. 
Uno degli studi è quello portato avanti dall’equipe del professor Jonathan Rossiter dell’Università di Bristol, che ha consentito di creare un paio di “pantaloni robotici” in grado di aiutare i disabili a camminare senza assistenza di altre persone o presìdi, quali stampelle o bastoni. Questa particolare ricerca, che ha ipotizzato l’utilizzo di “un particolare abbigliamento tecnologico”, è stata riportata dal giornale The Conversation. Ecco in che modo dovrebbe funzionare.
Utilizzando dei muscoli artificiali morbidi, questi pantaloni imbrogliano i muscoli reali della persona che li indossa. I muscoli robotici funzionano come muscoli umani, usando lo stesso tipo di flessione. Questi speciali pantaloncini, attraverso una complicata disposizione di "muscoli artificiali", sono in grado di aiutare l’utente a compiere vari movimenti: dal camminare all’alzarsi dalla sedia. Rispetto agli esoscheletri tradizionali per i disabili, questi risultano essere meno rigidi, più flessibili ed elastici e soprattutto più comodi.
La loro realizzazione è frutto dell’utilizzo di diverse tecnologie, che, seppure in modo complesso, portano avanti la giusta stimolazione elettrica funzionale (FES); ciò è reso possibile grazie a degli elettrodi intrecciati nei pantaloni, posizionati strategicamente; i muscoli artificiali possono inviare degli impulsi elettrici direttamente ai muscoli naturali, che in questo modo si contraggono al momento giusto. Una tecnologia davvero d’avanguardia, che bypassa letteralmente il cervello per andare a comandare direttamente quei muscoli che il paziente non riesce ad usare da solo.
Inoltre, grazie a particolari ginocchiere di plastica che si irrigidiscono tramite un controllo della temperatura, i pazienti possono stare in piedi anche per diversi minuti senza difficoltà e senza un particolare sforzo dei propri muscoli. Per ora questi “pantaloni robotici” sono ancora in fase sperimentale, in quanto gli stessi costruttori stanno cercando di risolvere alcune problematiche legate all’uso quotidiano dello strumento da parte di chi ha problemi di mobilità, come la durata delle batterie, la miniaturizzazione di alcuni componenti, la funzionalità del controller, e altri utili accorgimenti.
Probabilmente saranno necessari ancora degli anni per arrivare ad avere una funzionalità ottimale di questo ausilio elettronico, ma la strada è sicuramente quella giusta, e i disturbi della vecchiaia d'ora in poi faranno meno paura. “Siamo tutti destinati a invecchiare e a dover fare i conti con una mobilità ridotta”, ha dichiarato il professor Rossiter; “Quel che desideriamo è dare alle persone un piccolo aiuto che consenta loro di mantenere la propria indipendenza il più a lungo possibile”.
Il secondo studio importante relativo al miglioramento della mobilità nelle persone con ridotta capacità motoria, è quello portato avanti dal Wyss Insistute di Harvard (a cui si sono aggiunti poi i ricercatori dell’Università del Nebraska). È stato ideato un esoscheletro (denominato Robotsuit), capace di fornire assistenza a chi ha bisogno di un sostegno per muoversi. Anche in questo caso si tratto di particolari “pantaloni robot,” che consentono a chi ha problemi di spostamento di muoversi più velocemente, tanto che consentono perfino di correre. 
La Robotsuit, che pesa circa 5 chilogrammi, è composta da un sistema particolare (controllato da un algoritmo) che si attacca alla parte bassa della schiena di chi lo indossa, ed è in grado di rilevare quando chi lo indossa “cambia passo”, ovvero fa il passaggio dalla camminata alla corsa e viceversa; con un sistema di azionamento a cavo, mette in atto una forza di trazione tra le fasce della coscia e la cintura, generando una coppia di estensione esterna sull’articolazione dell’anca, lavorando in tandem con i muscoli glutei.
Philippe Malcolm, Ph.D., assistente professore all’Università del Nebraska, Omaha ha dichiarato: “Una volta rilevata una transizione dell’andatura, la tuta regola automaticamente i tempi del suo profilo di attuazione per aiutare l’altra andatura”. Le prove effettuate sui tapis roulant hanno consentito di stabilire col calcolo dell’ossigeno consumato dai tester un calo legato allo stato del metabolismo del 9,3 per cento durante la camminata e del 4 per cento durante la corsa. Per ora il prototipo è solo maschile, ma si sta già lavorando per produrre quello femminile.
Cari amici, come ho detto all’inizio di questa riflessione, il futuro vedrà la robotica sempre più vicina all’uomo, sostenendolo in una maniera mai vista prima! Se l’intelligenza artificiale sarà in futuro solo di particolare supporto all’uomo e non anche qualcosa che domani potrà sottrargli “spazi vitali”, rendendolo robot-dipende, è tutto ancora da scoprire! Lo spingersi troppo in avanti non è mai scevro di pericoli… e proprio per questo i timori della prevalenza della macchina sull’uomo esistono eccome…
A domani.

Mario


domenica, ottobre 27, 2019

FARE DEL BENE FA BENE. L’ALTRUISMO ALLUNGA LA VITA. LA GRANDE SFIDA DEL “SERVIZIO VOLONTARIO” NEL MONDO: IL BENEFICO PIACERE DATO DALLA GRATUITÀ.


Oristano 27 ottobre 2019

Cari amici,

La mia riflessione di oggi tocca un argomento difficile, che bene o male riguarda un po’ tutti: L’ALTRUISMO. È questo un sentimento particolare, che prevede “UN ATTO VOLONTARIO DI DONAZIONE”, ovvero un nostro agire gratuito per dare agli altri un po’ di noi (il nostro tempo, la nostra professionalità, il nostro denaro); significa sostenere gli altri senza pensare a ricavarne un compenso o aspettarsi qualcosa in cambio. L’altruismo è un sentimento nobile, antitetico al suo opposto L’EGOISMO, sentimento gretto quest’ultimo, orientato costantemente verso se stessi, operando sempre per il proprio tornaconto. 
La domanda che in tanti si pongono, relativamente agli altruisti, è questa: “Cosa induce una persona a tendere la mano verso un altro dando aiuto? Che cosa spinge tanti volontari a donare il proprio tempo, energia e denaro per aiutare a migliorare le condizioni degli altri, quelli che stanno peggio, ben sapendo di non poter ricevere nulla di tangibile in cambio?”. Si potrebbe rispondere, senza paura di sbagliare: “Semplicemente per il nobile desiderio di aiutare chi è in difficoltà, seppure senza alcun vincolo, obbligo o dovere, se non quello morale”.
C’è da dire, amici, che l’uomo non nasce buono! Come sostiene il prof. Alberto Maria Comazzi, psicanalista al Policlinico di Milano, «La parte primitiva dell’Io è legata all’istinto di conservazione e dunque all’egoismo, ma è l’altruismo il pilastro su cui si sono costruiti i rapporti umani, il tassello fondamentale per l’evoluzione della civiltà». Anche la tesi sostenuta dal prof. Steven Pinker, docente di psicologia all’Università di Harvard a Cambridge (Stati Uniti), va nella stessa direzione: «I principi morali che ciascuno sente di rispettare sono pre-programmati nel nostro cervello fin dalla nascita e hanno basi neurobiologiche».


Essere altruisti, inoltre, non è solo un dovere. Essere altruisti fa anche bene, alla salute del corpo e dell’anima. Studiando attentamente la nostra struttura umana, dal cervello al nostro DNA, gli studiosi hanno scoperto che quando le persone mettono in atto comportamenti altruistici, nel loro cervello aumenta il flusso sanguigno proprio nelle aree che vengono attivate dalla vista di cose piacevoli, siano queste una bella donna o un dolce. Come dire che un gesto generoso, il semplice fare la carità, è già sufficiente a farci sentire bene. Uno di questi studiosi è il professore di psichiatria alla Emory University di Atlanta (USA), Gregory Berns, che, utilizzando tecniche di imaging cerebrale, sostiene che chi fa volontariato prova un reale e tangibile piacere fisico.


Secondo altri studi, quando si fa del bene si attivano le parti del cervello associate alla fiducia e al piacere. Il comportamento altruistico, infatti, rilascia endorfine, le quali producono una piacevole sensazione positiva. Aiutare gli altri, poi, riduce lo stress e le emozioni negative. Bastano piccoli gesti quotidiani: aiutare una persona anziana ad attraversare la strada, oppure offrire un gelato ad un bambino che lo guarda con desiderio, senza la speranza di poterlo comprare. E non è tutto.
Quando facciamo qualcosa per gli altri, in realtà aiutiamo anche noi stessi. Secondo alcuni studi, infatti, l'altruismo riduce il rischio di ammalarsi rispetto a chi vive in un sistema egocentrico. Le persone che sono orientate verso gli altri, che tendono una mano spontaneamente, grazie all'attivazione di programmi neuroendocrini specifici del nostro organismo (che sono antagonisti di quelli tipici dello stress e dello stato di allerta), beneficiano di uno stato interiore positivo, non solo dal punto di vista psicologico ma anche fisico.
Secondo uno altro studio, condotto dai ricercatori dell'Università of British Columbia e pubblicato sul Journal of Health Psychology, intervenire finanziariamente per aiutare chi ha bisogno, sostenere un progetto che migliora le condizioni di vita di una Comunità, o di una famiglia in difficoltà, oppure fare della beneficenza, crea nel soggetto uno stato di benessere, tale da ridurgli anche i valori della pressione sanguigna, effetto del tutto simile a quello che si registra in persone che hanno iniziato un nuovo ciclo di attività fisica oppure una nuova terapia farmacologica.

Cari amici, personalmente faccio parte di alcune associazioni, tutte con finalità altruistiche. L’appartenenza che reputo più soddisfacente per me è quella di essere socio di un club del Rotary International, quello di Oristano, la cui militanza dura da oltre 28 anni. Il Rotary è una “Associazione di servizio” che ha per motto “Servire al di sopra dell’interesse personale”. Diffuso in tutto il mondo, il Rotary conta oltre 1.200mila soci distribuiti in oltre 33.000 club sparsi nei 5 Continenti. Il suo braccio operativo, la Rotary Foundation, nelle 6 aree di intervento (sviluppo economico e comunitario, alfabetizzazione ed educazione di base, salute materna e infantile, acqua e strutture igienico sanitarie, ricerca della pace e prevenzione dei conflitti, prevenzione e cura delle malattie) spende ogni anno molti milioni di dollari. Il suo impegno più grande è stato quello di aver praticamente debellato la POLIO nel mondo.



Amici, voglio chiudere questa riflessione con una frase di Raymond Bard: “Solo quando insegneremo ai nostri figli il valore del rispetto, dell'amore, dell'altruismo e della cooperazione... invece del valore del denaro e della competizione.... Allora sì che vivremo in un mondo migliore...”.


A domani.
Mario


sabato, ottobre 26, 2019

AUTUNNO È TEMPO DI CASTAGNE, GRANDI AMICHE DELLA NOSTRA SALUTE.


Oristano 26 ottobre 2019

Cari amici,

Ieri al supermercato mi sono lasciato tentare dalle castagne. La vista di un grosso recipiente, pieno di questi deliziosi frutti marron scuro, lucidi e con una leggera peluria in punta, mi ha riportato alla mente i ricordi giovanili, quando in autunno scendevano in pianura, a cavallo, gli uomini che venivano dalle montagne della Barbagia, portando con sé grossi sacchi di castagne e nocciole da barattare con i cereali del Campidano. Il loro arrivo, annunciato con i campanacci, era per noi una specie di grande festa: la piazza del paese si trasformava in un emporio all’aperto, dove allora gli scambi avvenivano con “il baratto”: le nostre provviste di pianura scambiate con il dolce frutto della montagna: le castagne. 
Ebbene, amici, anche oggi questo frutto continua ad affascinarmi in modo irresistibile! Ed ecco che, alla prima occasione, lo porto a casa per assaporarlo e gustarlo. Le castagne sono un frutto eccellente, grandi amiche della nostra salute ed è per questo che oggi ne ho fatto l’oggetto della mia riflessione quotidiana. Ma partiamo dall’albero, dal castagno, pianta di grandi dimensioni, che le produce. Negli anni scorsi avevo già trattato questo argomento; per chi fosse davvero curioso e volesse andare a leggere quanto scrissi, ecco il link necessario: http://amicomario.blogspot.com/2012/10/le-castagne-ieri-grande-ricchezza-della.html
Il castagno, (Castanea (Mill., 1754) è una pianta della famiglia delle Fagaceae. È un albero di origine antichissima, essendo parte delle latifoglie, le piante che fecero la loro comparsa sulla Terra nel Cenozoico (all'incirca 65,5 milioni di anni fa, dopo il Mesozoico), popolando poi di foreste vastissime regioni. Il castagno preferisce terreni sciolti e profondi, ricchi di fosforo e potassio come le rocce vulcaniche ma si adatta anche ai terreni granitici. Predilige versanti freschi, esposti a Nord, dove innalza la sua chioma fino a 15-20 m. d'altezza, lasciando ai boschi di roverella che spesso l’accompagnano i siti più spogli, aridi ed assolati. In Sardegna, ancora oggi nella Barbagia di Aritzo, Seulo, Seui, Desulo e Belvì, così come sui monti di Gavoi, Sorgono e Ollolai, il castagno regna sovrano, regalando i suoi dolci e saporiti frutti.
Le castagne, il frutto di questi meravigliosi alberi, sono presenti nella dieta dell'uomo fin dalla preistoria e, in epoca storica, le virtù di questi frutti divennero ben note e celebrate anche dagli autori più antichi. Il greco Senofonte definì il castagno “l'albero del pane” e con il nome di “pane dei poveri” la castagna è stata per secoli l'alimento più presente sulla mensa delle famiglie contadine. Prima della scoperta dell'America, quando in Europa non esistevano ancora le patate e il mais (materia prima della polenta), la castagna era infatti l'alimento che più di ogni altro preservava dalla fame e permetteva di superare i periodi di carestia. Questo non soltanto grazie alla sua abbondanza (in Italia vi sono tuttora 800.000 ettari coperti da castagneti, pari al 15% dell'intera superficie boschiva) e alla sua facilità di conservazione allo stato essiccato, ma anche alle sue virtù nutrienti e al benefico senso di sazietà che dà il suo consumo.
In Sardegna, come accennato prima, il castagno trovò fertile accoglienza e diffusione nei territori di Aritzo, Belvì, Tonara e Desulo; ma è anche presente in altre zone collinari, a quote fra i 300 e i 1.000 metri. Nei monti della Barbagia vi sono esemplari maestosi di Castagno che costituiscono dei veri e propri monumenti vegetali, naturali e paesaggistici. Storicamente anche in Sardegna il castagno ha avuto un’importanza elevatissima come fonte primaria di cibo sia per l’uomo che per il bestiame e gli animali selvatici, ma anche per l’ottimo legname, impiegato in falegnameria e nell’artigianato locale. 
Cari amici, anche nel Terzo Millennio le castagne continuano ad essere le protagoniste dell’autunno, e, con i loro molteplici benefici, sono considerate delle grandi alleate della nostra salute. A differenza della maggior parte della frutta, la castagna contiene meno acqua e molto più amido, ricca dunque di numerosi e potenti nutrienti per il nostro corpo, a cominciare dal fosforo, calcio, ferro, potassio, rame o manganese. Inoltre è molto ricca di vitamina E, C, K e vitamine del gruppo B e fibre: per questo motivo mangiare castagne significa non solo fare il pieno di energia, ma anche aiutare lo sviluppo della flora batterica intestinale. 
A tutto questo c’è da aggiungere l’elevato livello di acido folico contenuto nelle castagne, sostanza utilissima e consigliata in particolare alle donne in gravidanza o durante la fase di allattamento per combattere l’anemia e dare i giusti nutrienti alla mamma incinta e al suo bambino. Le castagne, inoltre, essendo un’ottima fonte di carboidrati, contrastano lo stress psico-fisico e contribuiscono a potenziare la memoria che acquista più elasticità ed efficacia. 
Che dire, poi, dei benefici che le castagne apportano al nostro cuore? Davvero tanti, in quanto tengono a bada il colesterolo e, non avendo glutine, possono essere consumate anche dai celiaci. Una montagna di vantaggi, dunque, per la nostra salute, anche se, fra i tanti benefici, non si può dimenticare che, dando un grande apporto calorico, è meglio non abusarne. Allora, seppure senza esagerare, una bella mangiata di castagne, per esempio dorate al fuoco (adoro le caldarroste), e magari accompagnate da un buon bicchiere di vino rosso, credo che possa crearci un attimo di felicità e di piacere.
Evviva le castagne, dunque, prezioso e delizioso frutto d’autunno!
A domani.
Mario