martedì, gennaio 31, 2012

IL CARCIOFO: UN POTENTE ANTIDOTO CONTRO IL “LOGORIO DELLA VITA MODERNA”. QUELLO SARDO E’ UNO DEI PIU’ RICERCATI SUL MERCATO.



Oristano 31 Gennaio 2012

Cari amici,

quando si dice Sardegna! Oggi Vi voglio parlare di uno dei vegetali più straordinari che la natura ci ha regalato: il carciofo. Conosciuto da tempi antichissimi non si è mai saputo con esattezza dove abbia avuto inizialmente origine. Nelle varie selezioni che nel tempo ha avuto il carciofo, la varietà “Spinoso di Sardegna”, per una serie di condizioni favorevoli (terreno posizione, clima, etc.), oggi è certamente ritenuto uno dei migliori sul mercato. Ecco la sua interessantissima storia partendo dalle più antiche notizie che lo riguardano.

Sull'origine del carciofo continuano a mancare solide certezze. In compenso, abbondano congetture ed ipotesi: c'è chi afferma che ad iniziarne la coltivazione furono gli Egizi, e chi invece nega che Egizi ed Ebrei lo conoscessero; alcuni lo ritengono originario dell'Asia, altri sostengono che è nato in Occidente. Chissà...!

In ogni caso, chiari accenni al carciofo si rintracciano già nella tradizione sia greca che romana. Nella mitologia greca esso è l’incarnazione di Cynara, una ninfa cara a Zeus. Cynara era bellissima e Zeus se ne invaghì. Era bella, ma anche volubile e capricciosa e perciò il dio geloso la trasformò in ortaggio, verde e spinoso. Il colore ricorderebbe infatti gli occhi di Cynara e le sue spine le tante pene che il dio patì per la gelosia. Quest’ortaggio ha però un cuore dolce come quello della fanciulla che inizialmente lo aveva incantato. Passando alla storia romana troviamo che Teofrasto (300 a.C.) nella sua "Storia delle piante" descrive le caratteristiche e le virtù dei "cardi pineae", mentre Plinio il Vecchio (I° sec d. C.) nella "Naturalis Historia" ne documenta l'uso nella cucina romana; Decio Bruno Columella nel "De Re Rustica" asserisce che in quel tempo già era in auge la coltivazione del carciofo a scopo sia alimentare che medicinale. Teofrasto e Galeno lo raccomandavano ai pazienti come diuretico e rilassante; Columella, invece, lo considerava caro a Bacco e Plinio il Vecchio ne decantava le sue virtù nella cucina romana. Nel mondo egizio pare che al tempo di Tolomeo Everegete, re dell’Egitto dal 246 al 221 a.C. , ai soldati fosse ordinato di mangiare carciofi, per ricavarne una dose maggiore di forza e coraggio.

Vegetale perfettamente integrato e gradito sia nelle tavole greche che romane, del carciofo si perdono le tracce nelle epoche successive. In seguito all’arrivo dei barbari in Italia sparì la sua coltivazione, reintrodotta successivamente dagli spagnoli in Sicilia. L’oblio di questo vegetale durò a lungo, praticamente fino alla fine del Medio Evo. Di questo periodo mancano notizie certe, mancano ricette e fonti letterarie, dal momento che la stampa non esisteva ed i manoscritti circolavano poco. E’ nel rinascimento che si assiste alla riscoperta del carciofo: la sua coltivazione si estende in diverse regioni italiane. Pietro Mattioli, noto medico senese del '500, scrive cosi su un suo trattato sulle piante medicinali: «veggonsi ai giorni nostri in Italia carcioffi di diverse sorti: spinosi, sia serrati che aperti, non spinosi, rotondi, lunghi, aperti e chiusi, e di quelli che rassemblano alle pine dei pini».

Nel secolo XV il carciofo era dunque ben diffuso in Italia. Venuto dalla Sicilia, approda in Toscana verso il 1466. In Francia si dice che fu introdotto da Caterina de' Medici, la quale gustava volentieri i cuori di carciofo. Madrina d'eccezione, Caterina de' Medici (1519-1589), che dalla sua Toscana lo portò in Francia nel 1547, quando andò sposa ad Enrico II facendone il cibo più à la page della capitale francese. Le male lingue dell’epoca ne dissero ’di cotte e di crude’ a proposito di Caterina de’ Medici.

Educanda quattordicenne, tracagnotta e bruttina, con gli occhi a palla caratteristici della famiglia Medici, venne dai “cugini francesi” sdegnosamente definita la "grassa bottegaia fiorentina", quando arrivò a Marsiglia per sposare il bel coetaneo, delfino della corona, Henri de Valois, il futuro Enrico II d'Orléans. Figurarsi cosa pensavano di lei quelle malelingue, circa il fatto che impiegò 10 anni per … fare un figlio! Anche per questo, si narra che la "bottegaia" ricorresse a molti alimenti che riteneva afrodisiaci. Entravano nell'elenco: cardo, scalogno, zucchine, sedano, funghi, fave, cipolle, e carciofi. (Afrodisiaci o meno, sappiamo che Caterina mise alla luce ben nove eredi!) Le cronache del tempo riportano un pranzo di gala, con il carciofo protagonista, dato in suo onore dalla città di Parigi nel 1549.

L’avanzata del carciofo si estendeva nel nord Europa. Dall’Olanda i carciofi raggiunsero anche l’ Inghilterra: abbiamo notizie che nel 1530 venivano coltivati nel Newhall nell'orto di Enrico VIII. Poi la coltivazione di questo straordinario ortaggio varcò l’oceano e raggiunse l’America. Nel continente americano, il carciofo cominciò ad essere coltivato circa due secoli dopo (1700) da parte dei colonizzatori, in particolare dagli immigrati francesi, in Louisiana, verso gli inizi del 1800. Ancora oggi, a New Orleans, in molti dei ristoranti del quartiere francese il carciofo viene servito come contorno per ostriche e altri frutti di mare. Gli Spagnoli, invece, provvidero a trapiantarlo in California nell'area di Monterey, dove, favorito dalle ottime condizioni climatiche, attecchì al punto da divenire una vera "pianta invasiva", quasi una minaccia per l’habitat della zona. Ciò, però, non impedì alla cittadina costiera di Castroville (5000 abitanti) di auto-proclamarsi "Centro Mondiale dei Carciofi'' e di festeggiare, nel mese di maggio, questo titolo con un frequentatissimo "Festival del Carciofo", (Artichoke Festival) con tanto di elezione della "reginetta": la prima Artichoke Queen ad essere eletta, nel 1949, fu una certa Marylin Monroe!

Oggi la coltivazione del carciofo è diffusa in gran parte del mondo, con tecniche moderne. Se ne producono annualmente circa 13 milioni di quintali, dei quali il 46% in Italia. Il carciofo riveste, quindi, una notevole importanza nell'economia agricola italiana: è tra le specie ortive più coltivate, collocandosi al 3° posto.

Vediamo ora, insieme, le principali caratteristiche di questo straordinario vegetale.

Il carciofo (Cynara cardunculus L. ssp. scolymus (L.) Hegi) è una pianta della famiglia delle Asteraceae. Le Asteracee (Asteraceae Martynov, 1820), note anche come Compositae Giseke, (1792, nomen conservandum), sono una vasta famiglia di piante dicotiledoni dell'ordine Asterales. Il carciofo, perciò, è parente stretto sia del cardo sia (chi l'avrebbe sospettato?) dell'assai più romantica margherita!

E’ una pianta erbacea perenne alta fino a 1,5 metri, provvista di un rizoma sotterraneo dalle cui gemme si sviluppano più fusti, che all'epoca della fioritura si estendono in altezza con una ramificazione dicotomica. Il fusto è robusto, cilindrico e carnoso, striato longitudinalmente. Le foglie presentano uno spiccato polimorfismo anche nell'ambito della stessa pianta. Sono grandi, oblungo-lanceolate; le estremità delle foglie sono più o meno spinose, a seconda delle varietà. I fiori sono riuniti in un capolino (detto anche calatide) di forma sferoidale, conica o cilindrica e di 5–15 cm di diametro, con un ricettacolo carnoso e concavo nella parte superiore. Sul ricettacolo sono inseriti i fiori, tutti con corolla tubulosa e azzurro-violacea e calice trasformato in un pappo setoloso. Nel capolino immaturo l'infiorescenza vera e propria è protetta da una serie di brattee spinose all'apice. Fiori e setole sono ridotti ad una corta peluria che si sviluppa con il procedere della fioritura. In piena fioritura le brattee divergono e lasciano emergere i fiori. La parte edule del carciofo è rappresentata dalla base delle brattee e dal ricettacolo, quest'ultimo comunemente chiamato cuore.

L’attuale carciofo coltivato (Cynara scolymus), nelle sue ampie varietà, deriva con buona certezza dal suo progenitore selvatico (Cynara cardunculus); la sua “domesticazione” pare sia avvenuta in Sicilia, a partire dal I secolo circa.

Le varietà di carciofo sono classificate secondo diversi criteri. I principali sono i seguenti:

  • In base alla presenza e allo sviluppo delle spine si distingue fra varietà spinose e inermi. Le prime hanno capolini con brattee terminati con una spina più o meno robusta, le inermi hanno invece brattee mutiche o mucronate.
  • In base al colore del capolino si distingue fra varietà violette e verdi.
  • In base al comportamento nel ciclo fenologico si distingue fra varietà autunnali o rifiorenti e varietà primaverili. Le prime si prestano alla forzatura in quanto possono produrre capolini nel periodo autunnale e una coda di produzione nel periodo primaverile. Le seconde sono adatte alla coltura non forzata in quanto producono capolini solo dopo la fine dell'inverno.

Fra le varietà più famose si annoverano il "Paestum" (carciofo IGP proveniente dall'omonima città della magna grecia di Capaccio-Paestum) Spinoso sardo (coltivato anche in Liguria con il nome di Carciofo spinoso d'Albenga), il Catanese, il Verde di Palermo, la Mammola verde, il Romanesco, il Violetto di Toscana, il Precoce di Chioggia, il Violetto di Provenza, il violetto di Niscemi. Le varietà di maggiore diffusione in passato erano il Catanese, lo Spinoso sardo e il Violetto di Provenza, fra i tipi autunnali forzati, e il Romanesco e il Violetto di Toscana fra quelli primaverili non forzati. Lo Spinoso sardo, una delle varietà più apprezzate nel mercato locale e in alcuni mercati dell'Italia settentrionale ha subito un drastico ridimensionamento dagli anni '90 a causa della ridotta pezzatura media dei capolini e della minore precocità di produzione rispetto ad altre cultivar più precoci (Tema, Terom, Macau, ecc.).

Lo Spinoso sardo, dunque una delle varietà più apprezzate. Quali le sue particolari qualità ? Eccole.

Il carciofo, abbastanza ricco di ferro, risulta di buon valore nutritivo e di basso apporto calorico. Per la cultura popolare possiede virtù terapeutiche e salutari grazie alla ricchezza della sua composizione: sodio, potassio, calcio, fosforo, ferro, vitamine (A, B1, B2, C, PP), acido malico, acido citrico, tannini e zuccheri consentiti anche ai diabetici; È quindi per la tradizione: tonico, stimolatore del fegato, sedativo della tosse, contribuisce a purificare il sangue, fortifica il cuore, dissolve i calcoli e disintossica.

La medicina popolare ha attribuito al carciofo particolari virtù terapeutiche, forse a causa dell’aroma caratteristico. Oggi il carciofo viene apprezzato come fonte di cellulosa e di fibra alimentare. Ha uno scarso contenuto vitaminico ma è piuttosto ricco, invece, di sali di potassio e di ferro (scarsamente utilizzabili); Il suo apporto calorico è trascurabile. Contiene, inoltre, la cinarina, sostanza particolarmente amara contenuta nelle foglie, nello stelo e nell'infiorescenza, che svolge nell’organismo un'azione benefica sulla secrezione biliare, favorisce la diuresi renale e regolarizza le funzioni intestinali. Altro principio attivo è la cinaropicrina. I suoi contenuti vitaminici, infine, son utili per ridurre la permeabilità e la fragilità dei vasi capillari. Il carciofo è utilizzato anche in cosmesi. Il suo succo svolge un'azione bioattivante, vivificante e tonificante per la pelle devitalizzata e foruncolosa.

Le attività farmacologiche più note ed importanti sono:

- Coleretica: la Cinarina contenuta nel carciofo provoca un aumento del flusso biliare e della diuresi.

- Epato-protettrice: è l’azione più conosciuta e utilizzata. Anche il Cardo Mariano precursore del carciofo è utilizzato allo stesso scopo.

- Ipocolesterolemizzante: allo stato attuale è l’azione più importante e studiata. La Cinarina contenuta nel carciofo in una buona quantità è risultata avere un importante ruolo nell’abbassare il livello del colesterolo. Tale effetto farmacologico è stato dimostrato da numerosi studi scientifici. Le dosi terapeutiche di Cinarina variano da 60 mg a 1,5 g.

Effettivamente, esistono diversi studi scientifici che dimostrano una serie di effetti positivi legati all'assunzione della cinarina. Il primo è quello antidispeptico, in particolare coleretico, un altro è la capacità di ridurre la lipemia, in particolare la quantità totale e la frazione LDL (Low Density Lipoproteins) del colesterolo e i trigliceridi. Non è ancora chiaro il meccanismo d'azione ma sembrerebbe che gli ingredienti attivi siano alcuni acidi capaci di stimolare a livello epatico la promozione della circolazione sanguigna, la mobilizzazione di energie di riserva, l'aumento degli epatociti con un doppio nucleo, l'aumento del RNA (Acido Ribo-Nucleico) contenuto nelle cellule epatiche, e l'attivazione della mitosi cellulare.

Oggi la qualità è importante. Un buon carciofo deve avere le seguenti caratteristiche: punta chiusa, foglie esterne di colore verde scuro, interne tenere, assenza di peluria, gambo tenero e senza ammaccature. Nella prima raccolta si ottengono una decina di carciofi per pianta, che in seguito rigenera producendo un certo numero di carciofi più piccoli e teneri. Le sostanze contenute nel carciofo sono assolutamente prive di tossicità.

Per trarre beneficio di queste straordinarie qualità curative, bisognerebbe assumere una quantità di carciofo fresco pari a 100-300 g al dì, per un periodo abbastanza prolungato. Il carciofo alla luce dei più recenti studi deve essere considerato un autentico toccasana. Il suo uso dovrebbe entrare nella quotidianità alimentare d’ogni individuo, e in particolar modo in quei soggetti che hanno o potrebbero avere, per ragioni ereditarie, un livello di colesterolo superiore alla media. Alle sue straordinarie proprietà benefiche si associa inoltre una grande e sapida gradevolezza. Il suo uso in cucina è uno dei più vari, capace di accompagnare una straordinaria varietà di pietanze. E’ molto duttile il carciofo: qualunque tipo di carne o di pesce, grasso o magro, con il carciofo acquista un sapore ed una preziosità uniche. Fritto, in minestra, imbottito, crudo, gratinato, bollito, associato a carne, pesce, uova, selvaggina e frutti di mare, il carciofo è sempre un impareggiabile compagno di viaggio. Può essere abbinato ad antipasti, primi piatti o secondi, nulla gli è vietato. Ai carciofi si sposano bene vini frizzanti, bianchi o rosati, freschi e ben strutturati, morbidi. Oltre che fresco il carciofo può essere consumato conservato: sott’olio, sott’aceto, in crema da spalmare e in tante altre maniere, antiche o moderne. In Sardegna è considerato un re senza rivali!

Il Carciofo Spinoso di Sardegna è prodotto in alcuni comuni delle province di Cagliari, Carbonia-Iglesias, Medio Campidano, Oristano, Nuoro, Ogliastra, Sassari, Olbia-Tempio. Si caratterizza per la limitata astringenza, il sapore gradevole, conferito dall’equilibrata sintesi di amarognolo e dolciastro, per la tenerezza della polpa che ne favorisce il consumo allo stato crudo. La produzione, la cultura del carciofo ed il suo legame con il territorio trovano le radici sin dal periodo dei Fenici ed arriva fino ai nostri giorni, dove rappresenta una delle economie cardine dell’agricoltura isolana. Testimonianze scritte della presenza del carciofo in Sardegna sono riscontrabili già nella seconda metà del XVIII secolo nel trattato del nobile sassarese Andrea Manca dell’Arca.

Sin dai primi decenni del ‘900 si assiste ad un importante rinnovamento dell’agricoltura isolana e si passa, anche per il carciofo, da una produzione destinata all’autoconsumo ad una produzione specializzata, orientata verso i mercati di consumo nazionali ed internazionali. Ed è in questo periodo che si diffonde la notorietà del Carciofo Spinoso di Sardegna e il suo forte legame con l’isola. Nella nostra tradizione culinaria prevale la cottura in umido, in olio extra vergine d' oliva, aglio, prezzemolo e una leggera spuntata di timo; si combina con tanti piatti di carni, ovine e caprine, in particolare con minestre asciutte e di riso, o in zuppa con tutte le leguminose, ma su tutte emerge l'accostamento alle patate gialle di montagna. Lega con grande dolcezza con i formaggi freschi, in umido o al forno.

La sua alta qualità ha ottenuto la Denominazione d’Origine Protetta (D.O.P.) “Carciofo Spinoso di Sardegna”, riservata ai carciofi che rispondono alle condizioni ed ai requisiti stabiliti nel Disciplinare di Produzione.

Il Carciofo, l’incarnazione di Cynara, la bellissima ninfa cara a Zeus, continua a far innamorare un numero sempre maggiore di estimatori. E’ una straordinaria verdura, duttile e moderna da almeno cinque secoli, capace di coniugare piacere e salute, sfizio e leggerezza, fantasia e sapore. Facile da preparare, veloce da cuocere. Massimo risultato con il minimo sforzo. Il carciofo è un esempio perfetto di ottimizzazione. Il miglior antidoto contro le tante peripezie dell’attuale modus vivendi: rapidità e qualità.

Chi ha la mia età ricorderà certamente che negli anni ‘60 un famoso amaro a base di carciofo (Cynar), era pubblicizzato con questo slogan: "Contro il logorio della vita moderna". Sarebbe il caso di riportare in auge questa definizione, magari cercando di vivere, facendo ricorso o meno al carciofo, un po’ più serenamente.

Certo questo non sarà facile! Però il carciofo, ne sono certo, con le sue molteplici e salutari virtù ci aiuterà almeno a sopportare meglio il defatigante quotidiano logorio impostoci dalla globalizzazione!

Grazie dell’attenzione.

Mario

mercoledì, gennaio 25, 2012

DAVIDE CONTRO GOLIA: L’IMPARI LOTTA TRA IL PICCOLO SARDO PUDDU, CHE VOLEVA CHIAMARSI MC PUDDU'S, E LA MULTINAZIONALE MC DONALD'S.

Oristano25 Gennaio 2012

Cari amici,

ho letto questi giorni scorsi che la vertenza tra la multinazionale Mc Donald’s ed il modesto imprenditore sardo d’Ogliastra “Puddu”, ribattezzatosi Mc Puddu’s, non solo non è finita con la prevista sconfitta ma che, invece, il piccolo Davide sardo ha goduto della pubblicità creata dalla disputa con il gigante Golia e raddoppiato l’attività, aprendo una filiale cagliaritana, e portando in città il genuino fast food in salsa ogliastrina.

Se è pur vero che la vertenza non è finita e che i titolari al posto di Mc Puddu’s, sono stati – al momento- costretti a modificare l’insegna in De Puddu’s, quello che, senza dubbio, è da apprezzare è la forza e la caparbietà con cui il "Puddu", piccolo imprenditore ogliastrino, si è difeso ed ha lottato. Caparbietà sarda, ma soprattutto ogliastrina. Non è certo un caso se dalle ultime scoperte si è rilevato che il genuino DNA degli antichi abitatori della Sardegna nuragica si è perpetuato negli odierni abitanti dell’Ogliastra!

Per i curiosi che non hanno seguito, tempo per tempo, i fatti che sto per ricordare, vorrei riepilogarli qui, nel mio blog che potrei definire un “caminetto” per amici, per mettere in luce, come certo merita, questa vicenda che sotto certi aspetti ha del curioso se non addirittura del grottesco. Ecco i fatti.

Nel 2008 a S. MARIA NAVARRESE, frazione di Baunei, Ivan Puddu mette su un localino carino proprio sul Lungomare. La frazione di Baunei, denominata S. Maria Navarrese, considerata la sua splendida spiaggia, è ormai diventata una conosciuta e frequentata meta turistica della costa del nord della Sardegna. Le bellezze ed i buoni e caratteristici prodotti ogliastrini messi in mostra e commercializzati cominciano a diffondersi, richiamando turisti ed estimatori sempre più numerosi. La gente frequenta volentieri il nuovo locale sul lungomare ed il titolare Ivan Puddu (34 anni, consigliere provinciale d’Ogliastra nella prima legislatura e segretario provinciale del Partito socialista) che lo gestisce insieme alla ragazza Martina Loi, 25 anni, è soddisfatto del successo della sua iniziativa. Per reclamizzare il “pasto veloce e gustoso” che fornisce, chiama il locale Mc Puddu’s, per dare l’idea di un pasto (culurgiones, in gran parte, preparati in snack veloce, da passeggio) che può essere consumato in modo rapido, insomma un “fast food sardo” , alla maniera dei moderni piatti “globalizzati”. L’iniziativa ha successo da subito. L’ottimo andamento del locale lo invoglia ad aggiungere, alla linea del McPuddu’s iniziale, un secondo segmento denominato McFruttu’s, una frapperia (n.d.r. “FRUTTU” è IL cognome della madre di Ivan Puddu), che consente alla coppia Puddu-Loi di allargare l’attività verso gli altri prodotti tipici ogliastrini, sempre più richiesti e graditi.

La coppia, però, non ha molto tempo per crogiolarsi nella gloria del successo. Nell’estate del 2010 alcune lettere raccomandate ricevute dai legali della McDonald’s mettono in discussione l’iniziativa ed il forte orgoglio di sardo e di imprenditore di Ivan Puddu. Il tono della diffida è perentorio: Nessuno può usare abusivamente il suffisso Mc della McDonald’s, trattandosi di marchio brevettato. I legali dello Studio romano Siblegal, come riferisce il quotidiano L'Unione Sarda, contestano l'uso del suffisso Mc nelle insegne perché' rischia di creare ''confusione''. Ivan Puddu leggendo l’intimazione non credeva ai suoi occhi. Pensava ad uno scherzo. Poi leggendo e rileggendo, pur in presenza di qualcosa di strano, si rese conto che, purtroppo, era tutto vero. L’insolito mittente, il colosso del “take away”, Il re del panino globalizzato, era pronto a fare la guerra ad un piccolo imprenditore sardo per un ‘Mc’ di troppo! Incredibile!

All’Unione Sarda che lo intervista per primo Ivan Puddu risponde: ''Sono rimasto allibito dalla diffida ricevuta da McDonald's anche perché' la mia intenzione non era certo quella di sfruttare il marchio americano a fini pubblicitari. Piuttosto quello di valorizzare il modo di mangiare veloce 'alla sarda' a base di prodotti della nostra terra come i 'culurgiones' (ravioli) in versione da passeggio''.

La notizia in un batter d’occhio fa il giro del mondo. Anche la Regione Sardegna interviene, garantendo all’imprenditore l’assistenza legale per difendersi in modo appropriato. La forte presa di posizione della Mc Donald’s ha, come prima conseguenza, una forte pubblicità al locale oggetto della disputa. Sul lungomare di S. Maria il locale è diventato meta ininterrotta di curiosi e nuovi clienti, attirati dalla pubblicità creata dalla questio. Le foto dell’insegna e del lungomare di S. Maria appaiono sui giornali di tutto il mondo: uno per tutti il mitico quotidiano inglese the“Guardian”. In una delle tante interviste Ivan Puddu ha commentato: “Ho saputo che l’assessore regionale all’Agricoltura, Andrea Prato, ha dichiarato che se la multinazionale McDonald’s vorrà andare a uno scontro legale, la Regione intende appoggiarci. Lo ringrazio, ma spero che tutto finisca così. E che le diffide ricevute dagli avvocati della multinazionale dei pasti veloci per aver chiamato McPuddu’s e McFruttu’s le due nostre attività, restino lettera morta. D’altronde, ho già provveduto a sostituire il suffisso Mc con un sardo De. Ringrazio quanti ci stanno esprimendo la loro solidarietà”.

Al momento l’attività, nonostante la “sardizzazione” di Mc in De, continua alla grande. In un altro passaggio dell’intervista il caparbio “Ivan il terribile”(come è definito scherzosamente) cosi commenta: “Non sarà sicuramente una multinazionale a scoraggiarci, Mc o De sull’insegna non cambiano la sostanza, i prodotti ogliastrini e sardi sono buonissimi, da scoprire e valorizzare, anche in chiave ‘fast food’”.

Ivan e Martina sono due giovani sardi capaci e decisi. Nel loro spazio su Facebook (dove per correttezza anche li hanno sostituito il Mc con De) cosi ringraziano i tanti che si sono schierati dalla loro parte e li hanno sostenuti: «Grazie a tutti di cuore! Il messaggio che vi vogliamo lasciare è quello che anche noi giovani possiamo far vincere le nostre idee, basta crederci e lavorare sodo, quello che serve è un attaccamento forte alla propria terra e alle proprie origini. Per noi l’America è il nostro piccolo paese, il nostro sogno di vivere e lavorare nella nostra Sardegna si sta avverando». Parole calde…gioiose che non hanno bisogno di ulteriori commenti!

I giovani devono essere pronti a lottare, a non subire passivamente, come tanti antichi sardi hanno fatto nei secoli precedenti assoggettandosi agli stranieri che ci hanno dominato. E’ ora che sfoderino la loro capacità imprenditoriale e reagiscano con orgoglio, capacità e caparbietà. Io sono certo che ce la possono fare!

Oggi assistiamo alla vittoria, per quanto parziale, di due ragazzi forti e coraggiosi. Sono certo che anche il loro locale di Cagliari sarà un successo. Dal 10 febbraio, infatti, Puddu's aprirà la sua prima filiale cagliaritana, dove cercherà di soddisfare, con i genuini prodotti ogliastrini, i golosi del Campidano. «L'idea è quella di sviluppare il concetto di fast food sardo per portarlo anche fuori dall'isola - sostiene l'imprenditore - In questa prospettiva era fondamentale attivare un'impresa in una grande città. Di questi tempi è un investimento, un rischio, ma pensiamo che l'idea dello “smurzo” dei pastori possa esser applicata anche alla pausa pranzo. Pensiamo agli uffici, alla tristezza di un panino confezionato». Dopo Cagliari la prossima tappa sarà la penisola. La piccola società Puddu-Loi ha ricevuto alcune proposte per alcuni punti vendita in franchising. Credo che la ruota giri già al meglio.

Sembra cosi lontano quel 26 agosto 2010 quando anche il quotidiano inglese “The Guardian” raccontava ai lettori d'oltremanica la terribile e triste storia del piccolo “sardinian fast food” perseguitato dal colosso americano dell'hamburger. E’ trascorso solo un anno e mezzo ma Ivan il terribile ha già fatto un altro gran bel pezzo di strada!

Se tutti i giovani sardi assomigliassero ad Ivan credo proprio che la Sardegna oggi sarebbe molto diversa!

Grazie dell’attenzione.

Mario

lunedì, gennaio 23, 2012

LA FAINE’ A SASSARI: UN GUSTOSO E TIPICO STUZZICHINO DELLE SERATE AUTUNNALI ED INVERNALI, DI ORIGINE GENOVESE.


Oristano 23 Gennaio 2012

Cari amici,

oggi mi sento un po' sassarese. Sarà che negli ultimi 10 anni ho frequentato Sassari in modo quasi esclusivo, ma non solo. Credo che la ragione vera sia un'altra. Credo che questo sentirmi "a casa" a Sassari derivi dal fatto che li ho molti amici che stimo e che ho imparato ad apprezzare. Proprio per questo, pensando di fare loro un piccolo "regalo", ho voluto riepilogare su questo blog la storia di un gustoso prodotto che Sassari ha sempre amato molto: la Fainè. Ecco la sua storia.

La “Fainè alla Sassarese” è considerato, dai sassaresi DOC, un piatto tipico ‘speciale’, sapientemente preparato usando farina di ceci, acqua, olio, sale e pepe; l’impasto viene poi cotto in forno in grandi teglie circolari. E’ un piatto calorico, adatto alle fredde e umide serate invernali, retaggio dell’antica amicizia tra Sassari e Genova.

Sassari e Genova vantano antichi ed importanti rapporti che risalgono al lontano Medioevo. Le leggende che albergano nei ricordi della “sassareseria” fanno risalire le prime tracce di fainè a Sassari fin dai tempi della battaglia della Meloria (1284), quando i liguri sconfissero i pisani. Si narra, tra storia e leggenda, che al ritorno dalla battaglia, le navi genovesi si trovarono coinvolte in una tempesta ed alcuni barili d'olio e farina di ceci si rovesciarono bagnandosi d'acqua salata. A causa della scarsità di provviste, fu recuperato tutto il possibile ed ai marinai fu servito, per sfamarsi, quel miscuglio di ceci ed olio che, nel tentativo di renderlo meno sgradevole, fu messo ad asciugare al sole ottenendo così una specie di frittella. Tutto sommato il risultato fu abbastanza gradito e giunti a terra, i Genovesi, decisero di migliorare la ricetta di questa frittella improvvisata, cuocendo la purea che si otteneva in forno. Il risultato fu così buono che per scherno agli sconfitti, venne chiamato l'oro di Pisa! La ricetta era ormai entrata nella storia. Nel quindicesimo secolo un decreto, emesso a Genova, ne disciplinava la produzione, allora chiamata "scripilita". Dal consumo casalingo a quello dei pubblici esercizi il passo fu breve. I locali, abbastanza particolari, in cui si poteva gustare questa specialità, insieme ad un buon bicchiere di vino, erano chiamati "Sciamadde". Clienti abituali delle “Sciamadde” erano in particolar modo gli artisti ed i letterati, tra cui ricordiamo Fabrizio de Andrè, il quale amava frequentare queste locande.

Tornando a Sassari è interessante ricordare che nel trattato del 1294 tra Genova e Sassari, nell’intento di favorire la diffusione dei prodotti liguri nel sassarese, si stabilì di contenere le produzioni cerealicole nelle campagne del nord Sardegna, favorendo di conseguenza le importazioni da Genova. Iniziarono ad arrivare da Genova navi cariche di cereali liguri, in particolare sacchi della sostanziosa farina di ceci (o polenta di ceci, come era meglio nota), diffondendone il consumo. A Genova ed in tutta la Liguria l’utilizzo della farina di ceci, era molto diffuso. Le ampie coltivazioni consentivano abbondanza di prodotto che, opportunamente macinato, veniva utilizzato in svariate ricette, tra le quali una era proprio quella della preparazione della “fainà”, come veniva chiamata, in terra ligure, questa “pizza” sostanziosa e gustosa, capace di saziare con poca spesa.

La ‘fainè sassarese è molto simile nella preparazione alla ricetta ligure, costituita da un impasto di farina di ceci, diluito in acqua e lasciato riposare per diverse ore. Per ottenere un prodotto soffice e squisito ci vuole una buona capacità tecnica e grande bontà degli ingredienti. Mentre il composto riposa viene preparata una grande teglia rotonda, sapientemente unta di buon olio d’oliva, dove viene, appena pronto, depositato l’impasto. Lavorato da mani sapienti, amalgamato e lavorato con l’olio, si aggiunge all’impasto in giusta dose sale e pepe e, a lavoro concluso, accertato che non vi siano parti raggrumate, l’impasto viene ben pressato nella teglia e messo in cottura in forno.

A cottura ultimata, lasciata raffreddare, la fainè viene tagliata a rombi e gustata con un bel bicchiere di vino.

Le origini di questa semplice ricetta sono, però, molto più antiche. Anche la Liguria, in effetti, non ha inventato di sana pianta questo gustoso prodotto culinario. Attingendo alla storia troviamo che questo prodotto nacque come “surrogato del pane”, già al tempo dei Greci e dei Romani, quando, i soldati usavano preparare un "intruglio" di farina di ceci ed acqua che facevano poi cuocere al sole o sul proprio scudo, per sfamarsi velocemente e con poca spesa. Il risultato era talmente semplice e nutriente, che la ricetta sopravvisse alla caduta dell'impero Romano arrivando senza problemi nel Medioevo, epoca nella quale la ricetta originale si arricchì di altri ingredienti: per dare maggiore gusto e sapore al prodotto, questi veniva mangiato accompagnato con un trito di cipolle bagnate nell'aceto, o con del formaggio fresco.

Cari amici, siamo d’inverno e a Sassari il pomeriggio, dopo la passeggiata e prima del rientro a casa con gli amici è bello gustare un pezzo di fainè, accompagnato da un buon bicchiere di vino novello. Un consiglio: io non sono sassarese ma ho dei cari amici che “sanno” dove poter consumare quella “buona”, quella fatta a regola d’arte. In una parola la fainè D.O.C.! Mangiare la fainè è un piacere, gustare quella particolare, “speciale” è tutta un’altra cosa.

Sono disponibile, a chi me lo chiede, di fornire nome, cognome e indirizzo di un sassarese DOC (che ora abita ad Oristano) che conosce i pochissimi locali dove si può consumare quella giusta. Qui anticipo solo le iniziali L.G.

Per finire ecco una bella poesia dedicata alla fainè.

LA FAINÈ, una poesia in dialetto Sassarese di Tino Grindi, tratta dal Blog http://sassareserie.blogspot.com/





L’abbrusgienti caldha o fainè
da li tempi di Pemperempè
piazia a tutti li sassaresi,
porthuturresi, sussinchi e sinnaresi.

Baciccia lu genobesu ha ischuminzaddu
e Mario ancora megliu cand’ha imparaddu.

Sempri in via Usai è giuntu Valentinu,
ischuminzaba a infurrà a Santu Marthinu
candu s’ippuntaba lu primu vinu,
era bona primamenti bibendi vermentinu.

Cu la ziodda era una duzzura,
cun sasthizza fazia megliu figura,
la punta secca era licchitta
e faziani tutti a furadura.

Si vindia puru i la carrera
cun un triciclu da manzanu a sera:
sobra una teglia cuvaccadda
e sottu un brasgeri sempr’azzesu.

Lu più famosu amburanti
era Sacconi lu baibanti,
fazia li fetti umbè minoreddi
e li pizzinni sempr’offesi, corareddi.

Un’althru bonu era Zizzu Pira
da eddu tutti faziani la fira,
sempri fabiddendi che matracca
e punendi li dinà in busciacca.

Ancora reggi un forru in via Usai,
la fainè è sempri bona e no mori mai
li padroni si ciammani Sassu,
ma candu t’arreggani lu contu
ti fara un collassu…!

………………………………………………….

Grazie a tutti Voi della sempre gradita attenzione!

Mario

domenica, gennaio 22, 2012

LIBERALIZZAZIONI. PER RICREARE L’ECONOMIA DI MERCATO OCCORRE RIMUOVERE IL TABU’ DELLE CORPORAZIONI.

Oristano 22 Gennaio 2012

Cari amici,

Ormai non si parla d'altro che di "LIBERALIZZAZIONI" !

Secondo l’Ocse siamo agli ultimi posti nel mondo nella classifica della libertà di mercato. Siamo un Paese ammalato dove ognuno lotta strenuamente per difendere i propri interessi materiali, anche a costo di far fallire tutti.

Oramai si lotta senza quartiere per difendere i privilegi: gli ordini professionali dei farmacisti, dei benzinai e dei taxi sono sulle barricate e non sentono ragioni, costi quello che costi. Già, perché nessun economista serio, oggi, di nessuna facoltà economica del mondo, si sentirebbe di affermare che vendere le medicine soltanto nelle farmacie, costringere gli automobilisti a comprare il carburante soltanto nelle stazioni di servizio, dover andare da un notaio per acquistare casa pagando la tariffa stabilita inderogabilmente dal professionista sia un vantaggio per il sistema economico. Insomma, chi studia il funzionamento dei mercati senza interessi personali da difendere non può che essere a favore dell’abolizione degli ordini professionali – un residuato medievale che, nelle forme in cui li conosciamo, esistono solamente in Italia.

Eppure, nonostante questa lampante evidenza, i difensori dei privilegi delle corporazioni non trovano di meglio che fondare le loro astruse difese su argomentazioni ricattatorie che nulla hanno a che fare con l’economia di mercato. Secondo l’Ocse, l’Organizzazione per la cooperazione economica fra i Paesi industrializzati, l’Italia è nelle posizioni di coda nella classifica dei sistemi economici più protetti e chiusi alla libera concorrenza. Sui trenta Paesi presi in considerazione, il nostro occupa la 27° e 28° posizione nel settore dei servizi professionali e postali, 23° nei trasporti terrestri, 22° in quelli aerei e 18° nel commercio al minuto. Per capire meglio: è stato calcolato che le mancate liberalizzazioni e l’abolizione degli ordini professionali ci costano circa mezzo punto di P.I.L. ogni anno (cento miliardi), ma la stima è sicuramente per difetto.

Il sistema economico del mondo in cui viviamo, quello che oggi si muove in un contesto globalizzato, ha radici lontane. Questo sistema, che ha preso vita nel momento approssimativo in cui l'uomo è diventato allevatore-agricoltore, dopo aver abbandonato la fase del cacciatore-raccoglitore, ha consentito di mettere in piedi le primitive forme di baratto. Su questa forma iniziale di commercio, che consentiva un netto miglioramento delle condizioni di benessere fisico e materiale, si sono sviluppate forme sempre più complesse, non sempre eque, forse per la scarsa propensione all’equità e per il forte egoismo insito in ogni essere umano. Il mercato, nato per essere libero, è stato, invece, sempre condizionato, legato al carro del più forte.

Il “Mercato veramente libero”, forse, è pura utopia. Esso, secondo la teoria della “mano invisibile” creata da Adam Smith, si regola da solo, attraverso quell’automatico meccanismo che è la libera contrattazione. Solo cosi il prezzo che si forma è quello reale, il più equo, il più equilibrato, senza condizionamenti ed intromissioni più o meno forti. Questa fondamentale teoria, successivamente, ripresa da Léon Walras e Vilfredo Pareto, costituisce una pietra miliare che codifica come i meccanismi che regolano l'economia di mercato sono influenzati dal comportamento dei singoli, improntati alla ricerca della massima soddisfazione individuale, e che hanno come risultante finale il benessere della società.

Vero ‘mercato libero’ solo in teoria, stante la grande furbizia della specie umana, il cui egoismo personale portava e porta alla turbativa, all’intervento, teso a modificare gli automatici equilibri di regolamentazione. Riunendosi in gruppi, gli appartenenti alla stessa professione, già nel Medioevo avevano costituito le “Corporazioni”, la cui forza impediva la libertà di esercizio della professione, creando un mercato distorto, chiuso alla libertà ed all’innovazione.

Queste Corporazioni successivamente scomparvero, solo di nome però, non certo di fatto. Cosa sono oggi gli Ordini Professionali se non delle vere e proprie Corporazioni?

La nostra economia, inoltre, pur essendo di tipo liberista, come quella della gran parte dei paesi occidentali, è strettamente vincolata e regolamentata da parte dello Stato che, attraverso una sua forte “mano regolatrice”, interviene sul mercato fornendo controllo e sostegno, incentivando o disincentivando le iniziative di tipo privato. Stato che se da un lato predispone e realizza le infrastrutture che agevolano l’insediamento di nuove iniziative, dall’altro, però, supporta (e monopolizza, a seconda dei casi) quei settori di “interesse nazionale” (energia, trasporti, sanità, difesa, etc.)che non possono essere lasciati alla libertà del mercato. In questo modo, a ragione o a torto, sono stati costituiti presidi e strutture, monopoli ed oligopoli, percorsi obbligati e divieti che, nel tempo, hanno cristallizzato lo “status quo”, impedendo – di fatto – la libera concorrenza e l’iniziativa privata. Quale il risultato di tutto ciò?

Queste barriere, statali o corporative, costruite teoricamente per dare maggiori garanzie ed equità, sono successivamente diventate un forte ostacolo alla crescita, un imbuto, una forte barriera all’ingresso di nuovi concorrenti, capaci di creare maggiore occupazione e sviluppo. Unica ed ineludibile soluzione, quindi, quella di togliere o abbassare le “barriere” esistenti, in una parola “LIBERALIZZARE”. Come?

Preso atto che è necessario “liberalizzare” per rilanciare la crescita, come e cosa dovremo fare per sciogliere quei vincoli che impediscono la crescita?

Come sostiene l’Istituto Bruno Leoni, che segue con grande attenzione questa fase economica sia in Italia che nel mondo, “un mercato è libero quando vi è piena libertà di entrata: dunque, liberalizzare significa “rimuovere le barriere all'ingresso”. L’Indice delle liberalizzazioni , che questo Istituto sotto forma di “rapporto annuale” pubblica fin dal 2007, si propone appunto di identificare, attraverso il confronto tra l’Italia e i paesi europei più economicamente liberi, quali siano e quanto incidano, nei diversi settori dell’economia, le barriere all'ingresso. Ciascuna di queste barriere priva potenziali concorrenti dell’opportunità di offrire i loro prodotti, e impedisce ai consumatori di accedere a un’offerta più plurale e prezzi più convenienti. In questo rapporto l’Istituto B. Leoni, attraverso una “griglia” di indicatori , confronta sedici settori dell’economia italiana con gli stessi settori nei paesi più liberalizzati d’Europa.

I settori sono: mercato elettrico, mercato del gas naturale, servizi idrici, telecomunicazioni, trasporto ferroviario, trasporto aereo, trasporto pubblico locale, infrastrutture autostradali, servizi postali, televisione, servizi finanziari, ordini professionali, mercato del lavoro, fisco, pubblica amministrazione e mercato dell’arte.

Il metodo seguito per l’elaborazione dell’Indice è quello del benchmarking, ossia del confronto con le eccellenze internazionali attraverso indicatori qualitativi e quantitativi: il risulto, espresso in “percentuale di liberalizzazione” rispetto ai modelli più virtuosi, aiuta a capire intuitivamente qual è lo di avanzamento del processo di liberalizzazioni nel singolo settore rispetto al paese Benchmark.

Nonostante la retorica sulla crescita, la risultante è che l’Italia resta un Paese a bassa libertà economica. Complessivamente nel 2011, sostiene l’Istituto, l’economia italiana appare liberalizzata al 49%: un valore ancora molto basso, che pure nasconde settori molto avanzati e altri drammaticamente arretrati. E’ indispensabile rimuovere tutta una serie di vincoli frenanti, sei si vuole restituire una prospettiva al Paese e contribuire, attraverso una più decisa crescita economica, a far uscire dalla crisi questa Italia “immobile”, ingessata, che sembra essere pietrificata, non solo a causa della congiuntura internazionale, ma anche per colpa delle sue patologie strutturali.

Tutti i giorni sui giornali e sui numerosi mezzi di informazione è evidenziata l’altalena delle notizie che annunciano, modificano, smentiscono, correggono le varie ipotesi di liberalizzazione. Il “Governo Tecnico”, forse l’unico capace di portare avanti certe proposte senza restare imbrigliato nelle secche dei “poteri forti”, prova a rimuovere, recidere lacci e lacciuoli, ma al momento con scarsi risultati.

Far ripartire al più presto la crescita economica, questo è lo scopo principale, come sostiene il Presidente del Consiglio, che aggiunge che questo è il solo modo anche per trovare uno sbocco ai tanti e valenti giovani privi di lavoro. Liberalizzare, certo, ma con grande attenzione all’equità sociale. Andare avanti sulla strada delle liberalizzazioni è necessario, direi assolutamente prioritario, cercando però di realizzare "un circolo virtuoso" superando "egoismi di parte" e "resistenze degli interessi consolidati", nell'interesse del Paese.

Anche l'Antitrust, entrato a pieno titolo nella disputa, ribadisce in una segnalazione a Governo e Parlamento, quali e quanti i settori da aprire per "fare ripartire al più presto la crescita", ma avverte che questo processo deve essere accompagnato da "interventi che garantiscano l'equità sociale e che favoriscano, anche attraverso le opportune riforme del diritto del lavoro, nuove opportunità di inserimento per i soggetti che ne uscissero particolarmente penalizzati".

Il Governo ha varato i primi provvedimenti. A mio avviso sono viziati, come abbiamo visto aprendo questa riflessione, proprio dalla forza e dal potere proprio di quelle “incrostazioni corporative” dure a morire. Non possiamo calarci le braghe. Per raggiungere il risultato ci vuole forza, coerenza e decisione, anche quando non è facile. Il Governo Monti non deve lasciarsi intimorire da nessuno: non essendo un governo eletto, può e deve avere la forza di fare quello che ritiene necessario, anche perché è stato insediato proprio per questo: rimuovere gli ostacoli allo sviluppo ed alla crescita del Paese.

Una sola cosa mi sento di dire a Monti: “ Vai per la strada che hai tracciato, senza timore! Non hai elettori che possono condizionarti. Anzi hai la ‘libertà di fare’ con un grande vantaggio rispetto ai tuoi predecessori: in qualsiasi momento puoi dire in Parlamento che se la Tua ricetta non è gradita, si cerchino un altro cuoco!”.

Spero, con tutto il cuore, che una giusta soluzione venga al più presto trovata. Come si dice scherzando ironicamente: “ Io speriamo che me la cavo!”.

Grazie dell’attenzione.

Mario

giovedì, gennaio 19, 2012

ROTARY INTERNATIONAL: ALL'ASSEMBLEA INTERNAZ. IL PRESIDENTE 2012.13, SAKUJI TANAKA, ANNUNCIA IL TEMA DELL’ANNO: “LA PACE ATTRAVERSO IL SERVIZIO".












Oristano 19 Gennaio 2012

Cari amici,

ho ricevuto ieri dal caro amico ing. Carlo Michelotti – Governatore del Distretto1980 nell’anno2006-07, ora con l’incarico di “R.I. Training Leader”, la comunicazione che domenica scorsa 15 Gennaio, durante la sessione plenaria di apertura dell'Assemblea Internazionale 2012, evento di formazione per i Governatori Distrettuali Entranti del Rotary International, il Presidente Eletto del R.I. SAKUJI TANAKA, giapponese, ha rivelato il tema del Rotary International per l’anno 2012-13:

“ LA PACE ATTRAVERSO IL SERVIZIO “.


L’ing. Michelotti, che ringrazio di cuore per la tempestività con cui ci informa, ha fedelmente riportato nelle Sue news gli indirizzi già tracciati dal nuovo Presidente Internazionale, rivolti in primo luogo ad incrementare in ogni modo gli sforzi per il raggiungimento della pace nel mondo. Secondo il Presidente eletto:
“…La pace, in tutti i modi in cui si riesce a concepirla, è un ottimo obiettivo ed è un obiettivo realistico per il Rotary. La pace non si ottiene solo attraverso i trattati, o grazie ai governi, oppure tramite sforzi enormi. A volte, è qualcosa che possiamo trovare e realizzare, ogni giorno, in tanti semplici modi…”.

“La pace ha significati diversi per ogni persona”, ha dichiarato Tanaka. “Nessuna definizione è completamente giusta o sbagliata. Ogniqualvolta usiamo questo vocabolo, la pace ha il significato che le assegniamo noi. E, a prescindere da come usiamo questa parola, e come intendiamo la pace, il Rotary ci può aiutare ad ottenerla”, ha aggiunto con convinzione.

Il nuovo Presidente del Rotary Tanaka è un uomo d'affari di Tokyo, entrato nel Rotary nel 1975. Presentandosi alla sua squadra, gli oltre 300 Governatori che nel mondo amministreranno il Rotary nell’anno 2012.13, ha raccontato come il fatto di diventare Rotariano lo abbia aiutato ad aprire gli occhi sul mondo intero. L’ingresso nel Rotary Club di Yashio nel 1975, aveva da subito modificato la sua vita, ha spiegato agli attenti ascoltatori. La sua visione del mondo si era modificata ed aveva iniziato capire che lo scopo della sua vita non era solo quello di far soldi, ma di rendersi utile al prossimo. “Ho capito che aiutando gli altri, anche nel modo più semplice possibile, ero in grado di edificare la pace”, ha affermato con convinzione, il Presidente Tanaka.

Nel corso della sua interessante relazione il nuovo Presidente, che a Luglio entrerà ufficialmente in carica con i suoi nuovi Governatori, ha rivelato che in Giappone è una tradizione rendere prioritari i bisogni dei cittadini prima dei bisogni individuali. Questo ha sempre fatto parte della cultura giapponese ed ha aiutato il suo Paese nella ricostruzione dopo lo tsunami e il terremoto dello scorso marzo.

“Tutto il mondo può imparare positivamente dalla nostra esperienza. Quando vediamo che i bisogni degli altri sono più importanti dei nostri, quando incentriamo le energie su un obiettivo condiviso, per il bene di tutti, ecco, questo cambia tutto. Cambia le nostre percezioni, il modo in cui ci correliamo al mondo. E cambia la nostra idea di pace”, ha ribadito.

Tanaka chiede ai Rotariani di incentrare le loro energie nel sostenere le tre priorità del Piano Strategico del RI. Ha poi aggiunto che chiederà ai nuovi dirigenti entranti di promuovere i tre “forum sulla pace” del Rotary, che si terranno ad Hiroshima, in Giappone; Berlino, in Germania ed Honolulu, Hawaii, negli USA.

“Nel Rotary, il nostro business non è il profitto. Il nostro business è la pace”, ha dichiarato. “La nostra ricompensa non è di natura economica, ma consiste nella gioia e nella soddisfazione di vedere un mondo migliore e con più pace, un mondo che abbiamo realizzato attraverso i nostri sforzi a tal fine”, ha concluso.

Cari amici, credo che il nostro nuovo Presidente Tanaka non potesse presentarsi in modo migliore! Il mondo, questo triste mondo angustiato dall’odio e dai fondamentalismi, spero che col concorso di tutti possa presto avviarsi verso una nuova strada di rispetto, di tolleranza, di accettazione, di amore e di amicizia. In sintesi che accolga e applichi quei sani principi da sempre alla base del nostro essere rotariani.

Anche noi ad Oristano cercheremo di fare orgogliosamente la nostra parte: sostenendo il nostro Presidente entrante Andrea Riccio, il nostro Governatore incoming Silvio Piccioni e tutta la squadra che il prossimo anno cercherà di applicare nel modo migliore il nuovo motto:

“LA PACE ATTRAVERSO IL SERVIZIO”.

Grazie dell’attenzione!

Mario

mercoledì, gennaio 18, 2012

LA TRAGEDIA ITALIANA DELLA COSTA-CONCORDIA. DA SARDO DICO: “MIRA CANT'EST ISFIDIADA A BORTAS SA SORTE 'E S'ÓMINE! ONZI ATZUMBADA A SU PÓDDIGHE MALU!".

Oristano 18 Gennaio 2012

Cari amici,

E’ ancora in corso la grande tragedia che ha visto ‘naufragare’ non solo una delle più belle navi da crociera del mondo ma anche molte sicurezze, certezze, speranze, soprattutto quelle legate ad uno dei pochi settori che ancora sono considerati ‘trainanti’ per la nostra economia, flaccida e priva di forze, adagiata su una pericolosa china (come la naufragata nave in parola), con conseguenze non facilmente quantificabili: il Turismo.

Questa mia riflessione non è relativa ad un’analisi dei fatti, delle cause di quanto è successo in mare la notte maledetta del naufragio, ne sui dubbi, sui presunti colpevoli, di una tragedia che, a ben analizzarla, potrebbe apparire annunciata. Sulla tragedia solo un mesto pensiero alle vittime ed alle loro famiglie.

Perché dico tutto questo? Perché parlo di tragedia annunciata? Cerco di spiegare il perché, partendo da lontano.

L’avvento della Globalizzazione, che ormai ha sostituito senza possibilità di ritorno i vecchi concetti e le antiche strutture industriali, finanziarie e commerciali, ha rivoluzionato in modo irreversibile la vita dell’intero pianeta. Questo processo economico e sociale ‘globalizzante’, se da un lato ha avuto l'effetto di unificare le economie, i modi di vita e la cultura, prendendo come modello di riferimento quello occidentale, dall’altro ha causato l’aumento dell'instabilità delle economie e dei mercati, con ricorrenti crisi finanziarie molto difficili da porre sotto controllo; ha in particolare comportato l’aumento degli squilibri sociali tra paesi ricchi e paesi poveri, a vantaggio dei primi, limitando o addirittura annullando il potere ed il controllo da parte degli Stati, spostandolo a favore delle possenti multinazionali, la cui potenza finanziaria condiziona economia, ambiente e modelli di vita in tutto il pianeta.

Tutti gli Stati hanno toccato con mano le conseguenze della Globalizzazione, in particolare quegli stati, come il nostro, carenti delle importanti materie prime di base, petrolio e minerali; Stati, però, importanti sotto il profilo della trasformazione e quindi della lavorazione dei prodotti importati. In Italia la grande capacità lavorativa dei suoi abitanti ha fatto epoca per un lungo periodo, per capacità, qualità ed innovazione, fino all’arrivo, appunto, della Globalizzazione.

Cadute le barriere tra Stati la concorrenza sul costo del lavoro si è fatta ogni giorno più forte. L’arrivo di prodotti a basso costo, ha fatto cadere la richiesta dei nostri prodotti similari, certo di qualità più elevata, ma con un rapporto qualità prezzo assolutamente in netto favore di quelli della concorrenza. Quale la conseguenza immediata? La decisione, da parte delle aziende, di andare a produrre negli Stati con il costo del lavoro inferiore. Questo il primo degli effetti tragici della globalizzazione! Abbiamo assistito ad una drastica diminuzione degli occupati, prima nell’industria, e successivamente in tanti altri settori, a cascata. I settori che hanno cercato di resistere hanno dovuto drasticamente ridurre il personale qualificato, diminuire i controlli, le manutenzioni e trovare un modo di sopravvivenza che, però, comportava un ampio aumento dei rischi sia per la produzione che per l’utente finale: il consumatore. Pensiamo alle tragedie ferroviarie, ai morti nelle fabbriche per la carenza di sicurezza, a quelli nelle strade per la mancata efficienza e sicurezza della rete (tanti i costi per adeguarla).

Credo che anche il recente terribile fatto del naufragio della Costa Concordia possa rientrare, per certi aspetti, in queste considerazioni; è possibile che dietro le carenze rilevate si possano trovare degli indubbi legami.

Alla apparente ed encomiabile bellezza e modernità della nave, sicuramente un vero gioiello di moderna tecnologia, forse, non si accompagnava un altrettanto robusto e necessario supporto umano, quantitativamente e qualitativamente adeguato e preparato.

Se sono vere le notizie apparse sui vari organi di stampa, i passeggeri in un clima caotico da bolgia infernale sono stati assistiti e seguito da “camerieri”, “baristi” ed “inservienti”, che non avevano la minima dimestichezza con le procedure di salvataggio e privi della conoscenza degli standard necessari per poter garantire una rapida evacuazione di una massa cosi imponente di persone di tutte le età, tra cui donne, bambini e disabili.

Una “Città galleggiante” come la Costa Concordia, che ospitava tra passeggeri ed equipaggio oltre 4mila persone, doveva ottemperare a regole di comportamento in mare severissime, tempestivamente controllate, e, soprattutto, essere governata da uomini di provata esperienza, testati severamente e costantemente, in condizioni psicofisiche di alto livello, capaci di prendere decisioni rapide e razionali, scevre da personalismi ed edonismi. A quanto risulta tutto questo era assente o carente, a partire dal Comandante.

Tutto questo, però, ha un costo non indifferente per un’azienda seria. L’applicazione di questi standard comporta costi più alti, spesso non concorrenziali con gli altri competitors, capaci, se applicati, di far affondare l’azienda che li pratica. Ecco, allora, che per soddisfare il bisogno di competizione, per “restare a galla” sul mercato si trovano soluzioni ad alto rischio: personale scarso, inadeguato e poco preparato, che in caso di difficoltà non è in grado di trovare lucidamente e rapidamente la giusta soluzione ad un problema.

Restare a galla in modo cosi pericoloso sul mercato, però, comporta un aumento stratosferico dei rischi, facendo affondare, al minimo inconveniente “sacco e sale”.

E’ con grande amarezza che faccio queste riflessioni su questa tragedia. Io, che di anni ne ho non pochi sulle spalle, ho vissuto in precedenza l’economia non globalizzata. La Globalizzazione era un cambiamento che, fin dall’inizio, mi faceva paura, perché paventavo proprio conseguenze terribili come queste. Anche volendo, però, non sarà facile tornare indietro, perché certi processi, superato “il punto di non ritorno” possono solo andare avanti, sperando solo in probabili correttivi.

L’Italia vive già, come tutti noi ben sappiamo, un momento delicatissimo che con grande ansia si cerca di tamponare, per evitare che l’egoismo di pochi danneggi ulteriormente i più deboli. Anche questa tragedia, se influirà pesantemente sullo sviluppo del nostro turismo, sarà un’altra pesantissima tegola che rischia di schiantarci. Speriamo di no.

Ecco perché, da sardo orgoglioso e convinto, ho voluto aprire e chiudere questa mia riflessione con uno dei nostri saggi proverbi: “MIRA CANT'EST ISFIDIADA A BORTAS SA SORTE 'E S'ÓMINE! ONZI ATZUMBADA A SU PÓDDIGHE MALU!(1)”.

Grazie dell’attenzione!

Mario

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(1) Liberamente tradotto significa: “ Guarda quanto è, a volte, perfida la sorte dell’uomo! Ogni colpo cade proprio sul dito già sofferente!”.