sabato, dicembre 20, 2008

ACCENDI IL CAMINO DELLA SPERANZA ! !

MARIO AUGURA A TUTTI GLI AMICI UNO SPLENDIDO 2 0 0 9 ! ! A U G U R I !











and

giovedì, dicembre 11, 2008

ROTARY CLUB DI ORISTANO: ELETTO IL PROSSIMO CONSIGLIO DIRETTIVO 2009/2010!

Venerdi 5 Dicembre l'Assemblea dei Soci ha provveduto ad eleggere le cariche sociali per il prossimo anno rotariano ed a designare il Presidente che guiderà il Club nell'anno 2010/2011.

Il nuovo Presidente designato è il Dr. Antonio Sulis, attuale Presidente dell'Ordine dei medici, al quale rinnoviamo gli auguri più affettuosi per l'importante incarico.

Ecco la composizione della nuova squadra che affiancherà il Presidente Incoming Col. Luciano Gavelli nel prossimo anno:

- Sulis Dott. Antonio Luigi, Presidente Incoming 2010/2011
- Gavelli Col. Luciano, Presidente eletto 2009/2010
- Manai Avv. Giovanni, Past President 2008/2009
- Falchi Arch. Maura, Vice Presidente 2009/2010
- Loddo Cav. Rag. Ferdinando, Segretario 2009/2010
- Fadda Rag. Raimondo, Tesoriere 2009/2010
- Virdis Dott. Mario, Prefetto 2009/2010
- Barberio Dott. Antonio, Consigliere 2009/2010
- Riccio Dott. Andrea, Consigliere 2009/2010
- Spinardi Rag. Egle, Consigliere 2009/2010


Agli eletti il nostro migliore augurio di Buon lavoro!



La redazione coglie l'occasione per porgere a tutti i soci e le gentili famiglie i migliori auguri di



BUON NATALE E FELICE NUOVO ANNO 2009!


mercoledì, dicembre 03, 2008

LA GRANDE GIOIA DELLA LAUREA MAGISTRALE!










E’ finita! Finalmente anche il biennio di Laurea Specialistica in “ Editoria, Comunicazione Multimediale e Giornalismo” è terminato nel migliore dei modi. Giovedì 27 Novembre ho discusso la tesi ed ho conseguito la laurea magistrale con 110/110. Una figata! A volte mi sembra tutto un sogno, mentre invece è proprio vero. Sono passati cinque anni dall’ormai lontano anno accademico 2003/04 che mi vedeva, dopo 40 anni dalla mia prima iscrizione all’Università, tornare matricola sui banchi per iniziare una nuova vita da studente, dopo averne già consumato una da manager bancario. Il conseguimento della laurea triennale in “ Scienze della Comunicazione e Giornalismo” è stato un po’ più sofferto di quella della specialistica: non ero più abituato a fare lo studente ed il mio cervello aveva necessità di una messa a punto, prima di ricominciare. Ho conseguito la laurea di primo livello con la votazione di 100/110, inferiore a quella di oggi ma non meno importante: la prima mi è servita per ridarmi la forza di ricominciare. In entrambe le tesi di laurea ho voluto analizzare strutture sociali importanti di cui faccio parte: il Rotary International e l’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme.
Lo studio sociologico sul Rotary International , l’associazione no-profit di professionisti nata negli Stati Uniti ai primi del ‘900 ed oggi diffusa in tutto il mondo, è stato molto apprezzato anche all’interno della struttura associativa e presto potrebbe diventare, con le dovute integrazioni, un libro. L’analisi, invece dell’Ordine Equestre è avvenuto all’interno di uno studio a più ampio raggio, che metteva a confronto due fenomeni oggi terribilmente seri ed importanti: la Globalizzazione ed i Nuovi Fondamentalismi, soprattutto quelli di origine religiosa. In questo contesto di “scontro tra civiltà”, come definisce questi fenomeni Samuel Huntington, è certamente importante avviare tutti i processi possibili per mitigare gli scontri e raggiungere livelli di tolleranza e di rispetto reciproci. Tutti sono tenuti a fare la propria parte. In questo studio ho non solo analizzato le tre religioni monoteiste più importanti del pianeta l’Ebraismo, il Cristianesimo e l’ Islam, evidenziando cosa li unisce che cosa li divide, ma riportato anche i più recenti tentativi fatti per avviare un costruttivo dialogo di tolleranza e di reciproco rispetto. All’interno di questa analisi ho messo in luce il costante lavoro che, proprio in Terra Santa, porta avanti l’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme. Questa istituzione cristiana, erede di quei cavalieri crociati che combatterono ormai mille anni or sono per la Terra Santa, svolge oggi, in Palestina ed in modo particolare a Gerusalemme, un incessante lavoro culturale della massima importanza: costruisce e gestisce scuole di ogni ordine e grado, aperte a tutti i bambini di qualsiasi razza e fede, dove si impara non solo cultura ma anche accettazione, rispetto e tolleranza reciproca. La futura conquista della Pace, passa certamente attraverso la cultura del confronto e del rispetto e non del rifiuto e dello scontro.
Spero che anche questo lavoro possa risultare utile alla Comunità, non resti una semplice esercitazione universitaria.
Ora, terminato l’impegno universitario, posso dedicarmi un po’ di più alle due associazioni prima menzionale di cui mi onoro di fare parte. Spero di non annoiarmi…..altrimenti busserò ancora alle porte dell’Università: una terza laurea non è certamente vietata!
Mario.






sabato, novembre 22, 2008

LA RUOTA DEL ROTARY: OVVERO COME IL ROTARY HA MESSO IN MOTO LA SUA RUOTA !

Il Rotary in....movimento !


Riporto unb interessante articolo dell'Ing. Carlo Michelotti, Past Governor del Rotary International.

" Una nota di curiosità rotariana: Come il Rotary ha messo in moto la sua ruota".





Il nostro emblema, la ruota del Rotary, esiste, più o meno, da quando esiste il Rotary, ma ha visto la sua più importante evoluzione nel corso dei primi quindici anni dell’associazione.
Il progetto iniziale fu creato dall’incisore e socio del Rotary Club di Chicago, Montagne "Monty" Bear, nel 1905, poco dopo la nascita del primo Rotary Club. Sollecitato a creare un’insegna che simboleggiasse il suo Club, Bear ideò una ruota di calesse con tredici raggi. Questa idea incontrò l'approvazione di Paul P. Harris e degli altri soci fondatori.


Il primo stemma Rotary: ideato nel 1905.


Siccome una ruota gira, prendere come insegna una ruota di carrozza sembrava una scelta naturale per un Club che si autodefiniva Rotary Club. L’automobile, nel 1905, era pur sempre ancora ai suoi primi anni di vita per cui una ruota di calesse era ancora un segno dei tempi.

Tuttavia, dopo poco, i soci cominciarono a criticare questo simbolo che trovavano troppo statico e senza vita, per cui Baer fu invitato a lavorarci sopra di nuovo.

Questa volta Baer cercò l’ispirazione nel cielo. Aggiunse un elemento grafico che mirava a dare alla ruota l’effetto di movimento sopra un letto di nuvole. Ma non tutti i soci interpretarono il simbolo allo stesso modo.
Per alcuni quelle nuvole sembravano piuttosto polvere e, oltretutto, non erano rispettate le regole della fisica: non ci potevano essere nubi di polvere prima e dopo la ruota. “Nemmeno il Rotary è in grado di far sollevare la polvere prima e dopo una ruota!” sbottò il Rotariano
“Long” Tom Phillips commentando questa infelice idea. “Ma dove stiamo andando?”






Il secondo stemma: la variazione è del 1906.


Quindi, il grafico Baer si rimise all’opera una terza volta e, pur mantenendo le nuvole di polvere, aggiunse sotto la ruota un nastro decorativo con la scritta “Rotary Club”. Anche se con qualche leggera modifica, volta a alleggerire l’inchiostro troppo scuro dove c’erano le nuvole di polvere, questo emblema, nato attorno al 1910, sopravvisse per vari anni.
Dal 1910 in poi il Rotary si espanse oltre la città di Chicago: negli Stati Uniti si contavano sedici
Club che costituirono l’Associazione Nazionale dei Club Rotary.
E con l’atto costitutivo ogni Club cominciò ad ideare anche un proprio emblema, sulla base del motivo della ruota di calesse creato dal Baer.



La terza variazione: nata nel 1910.

Il progetto di Baer provocò molte divergenze durante la creazione dei primi emblemi di Club. Club, infatti, volevano spesso inserire nel proprio emblema dei riferimenti alla storia o alle particolarità locali. Ad esempio, il RC di Lincoln, in Nebraska, sovrappose la ruota al 1910 ritratto di Abramo Lincoln, il RC di Oakland, in California, inserì la ruota sulle fronde di una quercia. E così, ben presto la ruota del Rotary iniziò a cambiare. Parecchi Club trasformarono le loro ruote in un'altra forma sferica o circolare: timoni di nave, volanti, stelle, globi e altri oggetti rotondi.
Verso un nuovo emblema .

La nascente Associazione Internazionale dei Club si rese conto che occorreva darsi un emblema standardizzato e ufficiale che potesse essere adottato da tutti i Club. Nel 1911 il redattore della Rivista rotariana nazionale e Segretario Generale dell’Associazione, Chesley R.Perry, invitò i Club a sottoporre dei bozzetti e delle proposte ad una speciale “Commissione per l’emblema”, alla Convention 1912 di Duluth, nel Minnesota.
Osservando i primi bozzetti dei due Club della Pennsylvania è facile intravvedere come la nuova ruota del Rotary stia ormai prendendo forma.
Il RC di Pittsburgh sembra sia stato il primo Club a rifarsi, verso la fine del 1910, all’iconografia dell’ingranaggio meccanico, evidenziando la forte crescita industriale della sua città.

Ma il vero precursore di quello che divenne poi l’emblema ufficiale del Rotary International fu il RC di Philadelphia, attorno al 1911, con il suo primo emblema, la carta intestata e la spilla per il bavero. Il Club fu anche un lungimirante precursore quando abbreviò il nome dell’Associazione
Internazionale dei Club Rotary in “ROTARY INTERNATIONAL” e ciò un anno prima che questa espressione fosse adottata e introdotta ufficialmente. 1


Questa è del 1912: già molto simile a quella definitiva.


Ora che la "Commissione per l’emblema” aveva individuato il disegno del simbolo, da Duluth venne anche la descrizione della ruota.
“L’emblema consiste in una ruota con denti d’ingranaggio sul bordo esterno e con raggi sufficientemente separati da lasciare spazio allo smalto e da lasciare vedere bene i raggi”. Nel progetto originale i raggi simboleggiavano “la forza”, mentre i denti, o l’ingranaggio, simboleggiano “la potenza”.

Nonostante questa descrizione ufficiale, negli anni che seguirono, i singoli Rotary Club continuarono a sbizzarrirsi con versioni proprie, diverse da quella standard decisa a Duluth, con grave disappunto del quartier generale.

Per risolvere il problema, nel dicembre del 1918, il Consiglio d’Amministrazione deliberò l’adozione della ruota dentata come marchio sociale ufficiale.

Malgrado ciò la confusione continuò a regnare e la ruota del Rotary continuò a essere rappresentata nelle più svariate forme. Alcune fonti parlano di ben 57 diverse versioni di ruote del Rotary registrate fino al 1920. Anche la Rivista ufficiale The Rotarian non contribuì a fare chiarezza: per tre mesi consecutivi, nella primavera del 1919, la rivista pubblicò tre diverse immagini di ruota del Rotary, ogni volta con un numero diverso di denti e di raggi.

Verifica del realismo grafico.

Per Charles Mackintosh e Oscar Bjorge, del RC di Chicago e di Duluth, la ruota del Rotary così come era stata disegnata non poteva funzionare. In un articolo scritto in comune nel gennaio del 1920 sulla Rivista The Rotarian, intitolato “ Riprogettare la ruota del Rotary”, essi lamentavano il continuo cambiamento del numero dei denti e dei raggi e invitavano i Club ad adottare il bozzetto ufficiale, anche se questo disegno poneva un grosso problema: la ruota non era meccanicamente funzionante.
Mackintosh e Bjorge sostennero che questa ruota, con le sue strane proporzioni, con i suoi denti troppo piccoli e gli spazi troppo larghi tra i denti “non avrebbe funzionato a lungo prima che tutti i denti ne fossero strappati”. Per loro l’emblema era “la più impossibile ruota dentata che solo il cervello di un artista aveva potuto concepire”.
La rielaborazione ingegneristica della ruota che essi suggerivano, prevedeva 6 raggi e 24 denti, e un aspetto più robusto.
(Il numero dei denti e dei raggi non ha nessuna relazione simbolica e nessun particolare riferimento alla storia del Rotary; avevano unicamente lo scopo di imprimere una valenza realistica al progetto).
Il Rotary sembrava avere finalmente trovato il suo emblema ufficiale.
Dopo l’apparizione di quest’articolo il quartier generale del Rotary avviò i passi per fare adottare la ruota così riveduta alla prossima Convention.
Ma non era ancora finita.
Non appena la soluzione fu presentata, ai primi del 1920, sulla Rivista The Rotarian, un altro Rotariano, Will R. Forker del RC Los Angeles, in California, evidenziò un altro grave difetto nell’emblema ridisegnato.
“Il mozzo della nuova ruota è il mozzo di una ruota o di un ingranaggio inattivo … non c’è alcun elemento in grado di trasmettere l’energia verso o dall’albero motore. La mia concezione del Rotary non è quella di un’organizzazione inattiva … ma di una reale forza vitale”.
Forker suggerì, quindi, d’inserire la “sede della chiavetta” nel mozzo per fare della nuova ruota un “elemento attivo”.
Le specifiche ufficiali della nuova ruota del Rotary, meccanicamente corretta, furono definitivamente approvate dal Board del RI nel mese di gennaio del 1924 e la nuova ruota, i cui colori ufficiali sono il blu reale e l’oro , da allora, é rimasta immutata e continua a girare correttamente.


Lo stemma adottato a partire dal 1924 e valido anche oggi.

Il Rotary è una grande macchina.

Per i Rotariani del passato e del presente la ruota del Rotary ha evocato ed evoca l’immagine di una macchina ben oliata, efficiente che lavora al servizio dell’umanità. "L’ingranaggio è davvero rappresentativo del Rotary” scriveva sul The Rotarian, nel marzo del 1920, William E. Fulton del RC di Waterbury, nel Connecticut. “La ruota deve essere dal 1924 a oggi simmetrica, ben proporzionata in tutte le sue componenti e ben equilibrata così che possa girare in modo scorrevole e centrato. Proprio come un buon rotariano. Di un ingranaggio noi non pensiamo come a una cosa a sé stante: ha sempre un ingranaggio compagno … che sta per fratellanza”.

L’uso dell’emblema del Rotary.

Oggi il nostro emblema non contraddistingue solo il Rotary nella comunità, ma contribuisce anche a individuare gli altri Rotariani e a trovare gli altri Club quando si è in viaggio.

L’emblema del Rotary, così come il nome Rotary, è un marchio registrato e é protetto dal Rotary International in tutto il mondo. Questo marchio insieme con molti altri dei vari programmi e settori del Rotary sono collettivamente definiti “Marchi Rotary”. Il RI invita i Rotary Club, i Distretti Rotary e le altre entità rotariane a far uso dell’emblema del Rotary in unione con il nome del loro Club e Distretto e ogni volta che essi ospitano eventi rotariani o organizzano progetti.

“La ruota del Rotary è ormai riconosciuta ovunque nel mondo come il simbolo del Rotary” afferma Jomarie Fredericks, manager del servizio giuridico del RI per la tutela della proprietà intellettuale. “Attenendoci alle direttive sull’uso dei marchi Rotary emanate dal Board del RI, noi assicuriamo che anche i Rotariani delle generazioni future potranno continuarle ad usare“.

Il distintivo al bavero del Rotariano.

I Rotariani devono avvertire il dovere di portare sempre il distintivo del Rotary.

Secondo il Past Presidente del RI, lo svizzero Robert Bart “Il distintivo del Rotary manda un messaggio a chi lo vede, significa che chi lo porta può dire ‘puoi contare su di me, sono persona affidabile, sono degno di fiducia, sono solito dare più che ricevere, sono un uomo disponibile”.

La consegna del distintivo al nuovo socio è un atto importante e solenne e viene solitamente eseguita dal rotariano con la più alta carica presente alla cerimonia di investitura. Non esiste una formula standard per l’investitura del nuovo socio. Tuttavia, la consegna del distintivo dovrebbe sempre essere accompagnata da alcune parole adatte alla circostanza, ad esempio:
“ Questo distintivo è il simbolo del Rotary; il simbolo di una grande Associazione che, nei suoi oltre cento anni di servizio all’umanità, ha vissuto e testimoniato l’ideale del servire realizzando progetti che l’hanno resa grande e rispettata. Con la consegna di questo distintivo tu diventi rotariano e assumi tutti gli obblighi e i privilegi di Socio attivo. Porta questo distintivo con orgoglio,impegno e onore e ne riceverai molto più di quanto tu non avrai dato”.


IL DISTINTIVO DEL ROTARY: UNA FORTE CERTIFICAZIONE DI QUALITÀ!
ing. Carlo Michelotti
Gov. Distr. 1980 (1996-97) - Istruttore R.I.

martedì, settembre 30, 2008

L'ESPANSIONE NEL ROTARY: COME CONCILIARE QUANTITA' E QUALITA'
































IL ROTARY E L’ORGANIZZAZIONE DI NUOVI CLUB:
UN’OPPORTUNITA’ DI CRESCITA.

Lo scopo primario di ogni Associazione che si rispetti è quello di allargare il proprio organico per raggiungere al meglio gli obiettivi e gli scopi sociali.
Il termine più comunemente usato è ESPANSIONE, che però, soprattutto nel Rotary, non significa ampliare indiscriminatamente gli organici ma aprire le porte solo a chi è in possesso di quei requisiti indispensabili per diventare rotariani. In poche parole il difficile compito consiste nel saper coniugare QUALITA’ E QUANTITA’.
Il Rotary, fin dalle sue origini, ha applicato questo sistema ed in poco tempo il primo club fu talmente numeroso da richiedere l’apertura di altri club, prima negli Stati Uniti e poi, come ben sappiamo, nel resto del mondo.
Oltre un secolo è trascorso dalle nostre origini e tante cose sono cambiate: il mondo cambia e noi dobbiamo cambiare con esso.
Tuttavia le regole fondamentali, l’amicizia, l’etica, la tolleranza e la disponibilità al Servizio, scritte da Paul Harris, sono e dovranno restare i pilastri fondamentali del Rotary, dai quali la nostra Associazione non potrà mai discostarsi; questi pilastri, questi principi, sono la struttura portante del nostro essere rotariani da cui non potremo mai prescindere; sono questi quei principi irrinunciabili ai quali noi rotariani non potremo mai abdicare.
Pur accettando e condividendo il principio della crescita, necessaria per poter preservare e tramandare alle generazioni future i nostri ideali ed i nostri valori, questa crescita dovrà essere, sempre e necessariamente, supportata dall’alta qualità ( non solo professionale e finanziaria ma, soprattutto, etica, morale e di disponibilità al servizio ) dei candidati a nuovi Soci dei Club.
E in quest’ottica che, quale Presidente della Commissione distrettuale “ ESPANSIONE – NUOVI CLUB “, mi accingo ad espletare, unitamente ai componenti la Commissione, l’incarico che il Governatore Alberto e la Coordinatrice Daniela hanno voluto affidarmi. Li ringrazio entrambi per la fiducia che hanno voluto accordarmi.
Il nostro lavoro si articolerà nel modo seguente:


- Mappatura del territorio del Distretto, esaminato nelle tre direttrici guida: Roma, Lazio e Sardegna;

- Esame delle zone apparentemente carenti di strutture rotariane con analisi delle professionalità presenti e del possibile metterle insieme con un numero sufficiente di soggetti idonei e capaci di dare vita ad un nuovo club;

- Disponibilità di uno o più club viciniori a farsi carico dell’istruzione e dell’avvio della nuova struttura di club.

Il lavoro di mappatura è già iniziato e tutti i componenti la Commissione sono al lavoro per completare, nei tempi possibili, le fasi di individuazione delle possibilità di nascita di nuovi club.
Sono convinto che, con la collaborazione di tutti, la nostra famiglia rotariana potrà raggiungere l’obiettivo: crescere, coniugando indissolubilmente qualità e quantità. Sarebbe il modo migliore per dare concreta operatività al motto del nostro anno:
“ Concretizza i sogni !” .
Mario Virdis, Presidente Commissione " Espansione - Nuovi Club".

lunedì, luglio 07, 2008

L'AMICIZIA E' IL SALE DELLA VITA !









L’amicizia è il sale della vita.

La vita è un lungo sentiero irto di spine. Anche movendoti con attenzione non poche spine ti feriranno. I tuoi compagni di strada non ti aiuteranno; anzi, spesso, non pochi ti spingeranno verso le spine. In tanti ti criticheranno sempre, parleranno male di te e ti sarà difficile incontrare qualcuno al quale tu possa andare bene cosi come sei. Se incontri questo qualcuno hai trovato un amico! L’amicizia non rispetta le regole del mercato, non è un bene economico con un prezzo commerciale: averla è come possedere una perla di valore inestimabile! Chi ha il privilegio di avere molti amici fa parte della schiera degli eletti che possono dire di avere conosciuto il paradiso su questa terra.
Apprezza sempre il valore dell’amicizia, segui queste poche regole e la vita ti sorriderà:
- Vivi come ti dice il cuore!
- Apprezza ogni tua giornata come se fosse l’ultima!
- Ricordati che c’è più gioia nel donare che nel ricevere!
- Fai tutto ciò che senti di buono: una vita è un'opera di teatro che non ha prove iniziali!
- Canta, ridi, balla, ama...e vivi intensamente ogni momento della tua vita...prima che cali il sipario e l'opera finisca senza applausi!

Charlie Chaplin disse:

“…Ci vuole un minuto per notare una persona speciale, un'ora per apprezzarla, un giorno per volerle bene, ma poi tutta una vita per dimenticarla”.

UN AMICO E’ UN SOLE SENZA TRAMONTO !

Mario (anzi…GattoMario)






lunedì, giugno 23, 2008

SENTIERI DI SPERANZA........








LA STORIA DELLE 4 CANDELE


In una stanza buia ardevano quattro candele e…..

La prima candela disse che era la PACE……
Ma si spense lentamente perché l’umanità
non la desiderava.

La seconda candela disse che era la FEDE……
Ma si spense lentamente perché l’umanità
dimostrò che non serviva a nulla.

La terza candela disse che era l’ AMORE……
Ma anche lei si spense lentamente
Perché l’umanità preferì l’odio.

Fu proprio allora che un bimbo entrò in quella stanza ormai semibuia.
Vide le candele già spente ed ebbe paura del buio ormai imminente.

Ma la quarta candela disse al bimbo NON TEMERE,
portami sempre con te ed io non mi spegnerò mai,
sono la SPERANZA e con me potrai riaccendere tutte le altre.

( da un racconto ascoltato dal proprio padre, nell’infanzia di Mariano Marotta)


- Tratto da “Voce del Rotary” n. 60 – Giugno 2008
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Senza la speranza, senza i sogni, si muore prima dentro e poi......
Mario.

ECONOMIA DEI MEDIA: IL NUOVO MERCATO DELLA TV














UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI SASSARI
FACOLTA’ DI SCIENZE POLITICHE
CORSO DI LAUREA SPECIALISTICA IN EDITORIA, COMUNICAZIONE MULTIMEDIALE E GIORNALISMO





MERCATO A DUE VERSANTI: DALLA TEORIA DEL BENE PUBBLICO AL “ MERCATO MULTIPIATTAFORMA


RELAZIONE DI: MARIO VIRDIS
Esame di: ECONOMIA DEI MEDIA
DOCENTE: PROF. AUGUSTO PRETA



PREMESSA



ORIGINI ED EVOLUZIONE DEL SISTEMA TELEVISIVO



La prima regolamentazione delle trasmissioni televisive avviene attraverso il codice postale, datato anni '30, che adattato, non senza eccessive semplificazioni, ai nuovi mezzi di comunicazione, riservava allo Stato "i servizi di televisione circolare a mezzo di onde radioelettriche", con esclusione di ogni altro soggetto. Lo Stato poi aveva concesso in esclusiva alla Rai- Radiotelevisione italiana, fin dal 1952, l'esercizio dei "servizi di radiodiffusione e di televisione".
Come sostenuto dal Prof. Vincenzo Zeno Zencovich “…Il governo del sistema radiotelevisivo poggia da quasi mezzo secolo su due dogmi: la scarsità delle radiofrequenze e la speciale capacità del mezzo di influenzare l’opinione pubblica…”.
Questi presupposti, soprattutto il primo, quello di bene “scarso”, hanno fatto sì che da sempre la gran parte degli Stati europei (governi, parlamenti, giudici), abbia ritenuti di assoggettare il sistema di radio-diffusione alla normativa del “ Bene Pubblico “.
L’argomento della scarsità delle radiofrequenze è stato utilizzato ieri (in parte anche oggi) per giustificare il monopolio statale dei servizi radiotelevisivi, oggi invece, soprattutto, per disciplinare la materia ed evitare pericolose concentrazioni, capaci di ledere la libertà dei mezzi di diffusione.
Il secondo dogma, invece, quello della forza persuasiva del mezzo, è utilizzato, oggi come in passato, per una minuziosa regolamentazione dei contenuti trasmessi (dai notiziari alla pubblicità, dalla tutela dei minori alle trasmissioni politiche, dalle quote riservate a produzioni europee alla tutela delle minoranze linguistiche). Questa disciplina non è una peculiarità del modello radiotelevisivo europeo, ma si avvale, anzi è mutuata dalla precedente esperienza statunitense, che in gran parte ha da sempre anticipato molti dei fenomeni relativi al broadcasting.
Ai due precedenti postulati, in tempi più recenti, se ne è aggiunto un terzo, quello del pluralismo. Il termine, recepito dalla filosofia politica, ha scopo ed utilizzo ben precisi: il sistema radiotelevisivo deve assicurare il pluralismo (politico, culturale, religioso, linguistico ecc.) e, a tal fine, risulta giustificato un penetrante controllo su di esso.
La risultante di tutto ciò è che la materia risulta talmente scottante, di cosi perenne attualità, che la lotta per il potere, per il controllo del mezzo, non ha un attimo di tregua. Partiamo dalle origini.
C'era, dunque una volta la Rai. Una “Istituzione”: bella, monolitica, democristiana, mamma Rai, insomma.
Rai padrona assoluta dell'etere, divinamente scelta per governare e proteggere un bene prezioso, rarefatto, unico e pericoloso. Inoltre i costi di gestione di quella tecnologia novecentesca chiamata tele-visione risultavano ingentissimi: naturale pensare ad un monopolio pubblico (sempre esistito, tra l’altro, prima con l’Eiar, la propaganda di regime, la notizia addomesticata). Certo, trattandosi di un “ bene pubblico” mica poteva essere assoggettato al mercato: era meglio la “mano pubblica” della “mano invisibile” ! Troppi rischi.


Mi piace ricordarla la “teoria del bene pubblico”, per togliere ogni dubbio.
Nel mondo, oggi più di ieri, tutto è oggetto di commercio La teoria economica moderna, è tutta basata su un concetto cardine: quello di bene, per distinguerlo dal suo opposto, quello di male. Un concetto importante dalle numerose conseguenze, anche pratiche. Il bene è una qualsiasi cosa oggetto di interesse da parte di qualcuno. Un centro di interesse, dunque. Vieppiù, se questo “qualche cosa” presenta la caratteristica della scarsità, allora rientra a pieno titolo nella sfera economica. L’economia, infatti, osserva e giudica i differenti metodi di allocazione delle risorse all’interno di una comunità.
Un bene che scarseggia è dunque un bene da proteggere, da sottrarre e da escludere alle comuni leggi di mercato: non può rientrare nelle ordinarie regole della domanda e dell’offerta. Questo, però, non è un concetto così pacifico come apparentemente sembra.
Il mondo e tutti i suoi beni non sono statici, non sono immutabili, ma in continua e progressiva evoluzione: basti pensare alle grandi rivoluzioni industriali ed umane degli ultimi secoli. Il concetto di bene, dunque, e quello della sua disponibilità sono indiscutibilmente variabili. La sua unità di misura è quindi una misura dinamica, variabile, tempo per tempo, in relazione alla disponibilità ed alla necessità di questi beni per gli individui. Pare ovvio, e credo proprio che lo sia, pensare che il valore di un qualsiasi bene è in stretto rapporto con la sua utilità, con il gradimento che, in un determinato momento, esso ha per un individuo o per un gruppo. Vorrei rimarcare che il gradimento, l’utilità di oggi, potrebbe diventare il rifiuto o l’inutilità di domani. Questa utilità/inutilità dimostra quanto il bene sia volatile: quanto le preferenze dell’uomo. La quantità di bene-risorsa presente in un determinato istante all’interno di una comunità è ben lungi, dunque, dall’essere statica e predeterminata. Al contrario, la dinamicità delle preferenze individuali la trasforma e la muta in un processo continuo. E’ solo nell’uomo la capacità della scoperta, dell’invenzione, dell’innovazione.
Definito il concetto di bene cerchiamo ora di focalizzare quale di questi beni rientri nel concetto di bene pubblico. Sicuramente sono pubblici quei beni sui quali non sarebbe pensabile costruire tutele all’interesse di un singolo. Sono le res communes omnium: L’aria, il calore e la luce del sole, ecc. Non può esistere una tutela privata su questi beni; non per qualche strana ragione equitativa, ma per il semplice fatto che nessuno avrebbe interesse a delimitare i suoi diritti su un qualcosa che non presenta alcun problema di scarsità. Sarebbe anche difficile osservare questo tipo di beni dal punto di vista economico, visto che non presentano alcun conflitto di allocazione. Il bene è definito bene non rivale. Non sorge rivalità nell’utilizzo e nello sfruttamento del bene. In questi termini, si può ben accettare il concetto di bene pubblico come un concetto sacrosanto, anche se praticamente inutile ai fini economici. Ma i c.d. beni pubblici non si limitano a questi. La difesa nazionale, l’ordine pubblico, le reti viarie e non pochi altri sono beni dei quali non si ci può appropriare, dai quali non si ci può escludere. Anche molti altri “beni” sono rientrati tra quelli pubblici. Uno di questi è il mercato radiotelevisivo.
Fin dalla scoperta delle onde radio-elettriche ( la radio inizialmente era uno strumento di importanza militare), si cercò di “riservare” e proteggere questo strumento. Strumento che, consentendo di allargare immensamente la comunicazione, costituiva un potente mezzo capace di mettere in pericolo l’autorità costituita. Il broadcasting, il potente strumento di grande capacità comunicativa, nasce, dunque, con le caratteristiche di “servizio pubblico”. La logica corrente era, allora, che il nuovo strumento non poteva essere concepito con semplici finalità di intrattenimento ma, invece, era necessario utilizzarlo per scopi ben più alti: formativi, pedagogici, culturali. Informare, educare divertire: questo sarà per oltre mezzo secolo il compito del nuovo strumento comunicativo televisivo.
Col passare del tempo, siamo nella seconda metà del Novecento, l’unica rete cede al passo alle altre e si moltiplica; tuttavia in gran parte si resta convinti che “ la mano pubblica” sulle reti radiotelevisive sia “cosa buona e giusta”, poiché essendo limitato il numero delle frequenze le poche disponibili era meglio che fossero gestite dalla mano pubblica. In quel modo si sarebbe evitata la nascita di un mercato probabilmente oligopolista, con corruzione e accordi di cartello. Oggi, invece, tutto questo fa parte solo del passato, ancorché di un passato recente. Ora i servizi radiotelevisivi, con le nuove tecnologie, sono facilmente moltiplicabili, cosa che fa cadere uno dei presupposti ( la scarsità delle frequenza) su cui si basava il concetto di bene da “proteggere”.
Per poter meglio comprendere il passaggio da monopolio ad oligopolio e in ultimo al mercato multipiattaforma, si riepilogano le tappe più importanti, dalle origini ai giorni nostri.


CAPITOLO PRIMO


DALLA TV DI STATO ALLA TV COMMERCIALE


L'esercizio dei "servizi di radiodiffusione e di televisione", che lo Stato aveva concesso in esclusiva alla Rai - Radiotelevisione italiana, fin dal 1952, non aveva destato, nei primi tempi, contestazioni o richieste al Ministero delle Poste di deroghe per iniziative di natura privatistica.

Già nel 1956, però, qualcosa iniziò a muoversi: un gruppo vicino al giornale il Tempo lanciò un'iniziativa editoriale per la realizzazione di un servizio di radiodiffusione televisiva, basato economicamente sui proventi della pubblicità, da attuare nel Lazio, in Campania ed in Toscana, con eventuale successiva estensione ad altre regioni. La richiesta di concessione di frequenze al Ministero delle Poste venne respinta. In Lombardia furono più intraprendenti: Tvl Televisione Libera, finanziata da una cordata imprenditoriale, decise di tentare la forzatura, ma il 24 ottobre del 1958 la magistratura sequestrò tutte le apparecchiature prima dell'inizio delle trasmissioni. I tentativi di forzare il monopolio furono respinti brutalmente. Ma nessuno si arrese. Prima le battaglie al Consiglio di Stato, poi successivamente alla Corte Costituzionale. Si arriva, nel frattempo, al 1960.

Con la sentenza del 13 luglio 1960 la Consulta, per bocca del giudice relatore Sandulli, afferma che data la limitatezza di fatto dei canali utilizzabili, la televisione a mezzo di onde radioelettriche (radiotelevisione) si caratterizzava indubbiamente come una attività predestinata, in regime di libera iniziativa, quanto meno all'oligopolio: oligopolio totale od oligopolio locale, a seconda che i servizi venissero realizzati su scala nazionale o su scala locale. E siccome poi i servizi radiotelevisivi, se non fossero stati riservati allo Stato o a un ente statale ad hoc, sarebbero caduti naturalmente nella disponibilità di uno o di pochi soggetti, prevedibilmente mossi da interessi particolari, non poteva considerarsi arbitrario neanche il riconoscimento della esistenza di ragioni "di utilità generale" idonee a giustificare, ai sensi dell'art. 43 Cost., l'avocazione, in esclusiva, dei servizi allo Stato, dato che questo, istituzionalmente, é in grado di esercitarli in più favorevoli condizioni di obbiettività, di imparzialità, di completezza e di continuità in tutto il territorio nazionale.
Sostanzialmente nel 1960 la Corte Costituzionale conferma il monopolio Rai, pur esortando lo Stato a garantire un ampio accesso all'utilizzazione del servizio, basandosi sulle caratteristiche tecniche della radiotelevisione. Per un decennio nulla cambia. E’ con gli anni '70 che esplode il fenomeno delle radio e delle tv libere. Tra il '71 e il '72 nasce TeleBiella, inzialmente via cavo, ritenuta la prima tv privata italiana. E' da questo momento che il tema della tv privata comincia ad assumere i toni di un vero e proprio scontro: nel marzo del 1973 viene emanato il nuovo codice postale, il quale, riconducendo tutti i mezzi di comunicazione a distanza ad una categoria unica, sostanzialmente estendeva il monopolio pubblico a tutte le forme di trasmissione. Anche la tv via cavo privata diviene illegale. Il 1° giugno del '73 il provvedimento di chiusura: l'autorità taglia il cavo di trasmissione di TeleBiella mentre la tv tiene un'apposita diretta. Nel frattempo si pone anche il problema delle tv estere confinanti: Telemontecarlo, Telecapodistria, la tv svizzera, ed i loro programmi a colori, arrivano in territorio italiano grazie a ripetitori nostrani; nel giugno del 1974 il ministro delle poste decreta lo smantellamento anche di tali ripetitori. Non è finita.


Nuovi procedimenti penali contro i responsabili delle innumerevoli tv locali, nate sulla scia di TeleBiella, promossi dai pretori un po' in tutt'Italia, approdano nuovamente alla Corte Costituzionale. E' il 10 luglio 1974. I giudici costituzionali confermano il loro orientamento: la televisione opera in un campo dalle frequenze limitate e dai costi enormi, pertanto a fronte del rischio di monopolio o oligopoli privati meglio conservare la riserva statale. Tuttavia ciò non è certo applicabile ai sistemi televisivi via cavo a dimensione locale, che di conseguenza devono ritenersi pienamente leciti. Similmente si risolve la questione di ripetitori delle tv estere. La legge 103/1975, di riforma della Rai, sancì tali acquisizioni, ma il fronte del monopolio si andava incrinando con altri interventi giurisprudenziali via via sempre più derogatori. Sdoganato il cavo rimaneva ancora il tabù dell'etere. La Corte Costituzionale il 28 luglio 1976 ribadì con le consuete motivazioni la riserva statale ma ritenne perfettamente legittimi "l'installazione e l'esercizio di impianti di diffusione radiofonica e televisiva via etere di portata non eccedente l'ambito locale". A questa sentenza non seguì alcuna legge per disciplinare la comunicazione via etere sino al 1990 (la nota legge Mammì). Il nostro sistema era notoriamente definito Far west dell'etere.

Dal novembre 1977 inizia la diffusione su larga scala: ad Antenna3 Lombardia, alla cui attività parteciperà significativamente anche il presentatore Rai Enzo Tortora, che inaugurò una delle prime vere competizioni tra emittenza pubblica e privata, ne seguirono altre. L'affare diventava interessante. Entrano in gioco i gruppi editoriali: Mondadori, Rusconi, e nel 1978 il costruttore Silvio Berlusconi che vara Tele Milano 58 (ma già a Milano2 trasmetteva via cavo).
Nel 1979 nasce l'idea per superare il limite della trasmissione locale: il network delle reti Elefante trasmette su varie emittenti i programmi inviati da un'emittente centrale; il sistema viene perfezionato l'anno successivo quando Telemilano 58, TeleEmiliaRomagna, TeleTorino, VideoVeneto e A&G Television iniziano a trasmettere in contemporenea (con leggero sfasamento) lo stesso programma recando in sovraimpressione la scritta Canale5.

Nel 1980 Rizzoli, lancia Contatto, il primo telegiornale "privato", diretto da Maurizio Costanzo. La Rai questa volta agisce in prima persona e chiede al Pretore di Roma un provvedimento d'urgenza per impedire l'inizio delle trasmissioni: il Pretore concede l'inibitoria ma successivamente, su istanza della difesa Rizzoli, invia gli atti alla Corte Costituzionale. La Corte conferma il precedente pensiero. Nel gennaio del 1982 altri due network iniziano similmente a trasmettere: si tratta di Italia1 (Rusconi), e di Rete4 (Mondadori). Nello stesso anno Italia1 passa a Berlusconi, due anni dopo la stessa cosa avviene con Rete4.
La svolta avviene il 16 ottobre 1984: i pretori di Roma, Torino e Pescara, su denuncia di gestori di emittenti di ambito locale, dispongono l'oscuramento delle reti del gruppo Berlusconi, sequestrando nel contempo le cassette dei programmi registrati. Alla Presidenza del Consiglio siede da un anno Bettino Craxi, il quale, nell'arco di soli 4 giorni emana un decreto legge ad hoc (d.l. 694/1984) per consentire la "prosecuzione dell'attività delle singole emittenti radiotelevisive private", disponendo espressamente che "è consentita la trasmissione ad opera di più emittenti dello stesso programma pre-registrato, indipendentemente dagli orari prescelti".

L'operazione, spregiudicata, non passa esente da critiche e finisce silurata il 28 novembre 1984, quando, sottoposto a pregiudiziale di costituzionalità, il decreto viene bocciato dalla Camera dei Deputati con 256 voti contro 236. Un Craxi furente fa approvare in pochissimi giorni (5 dicembre) un nuovo decreto-legge, che viene pubblicato il giorno successivo (d.l. 807/1984). Il decreto contiene un articolo denominato "norme transitorie" che ripropone esattamente il contenuto del provvedimento decaduto, ma aggiunge anche una disciplina sulla struttura aziendale Rai (nomina e composizione degli organi di vertice).
Questa volta Craxi minaccia la crisi di governo e impone il voto di fiducia: le pregiudiziali di costituzionalità sono respinte alla Camera (12 dicembre 1984) ed al Senato (4 febbraio 1985). La legge di conversione (l. 10/1985) mette in salvo le reti Fininvest. Sotto l'auspicio del ministro delle poste Gava comincia l'attesa per la definitiva disciplina del sistema radiotelevisivo, che si concluderà nel 1990 con la legge c.d. Mammì: la transizione dal monopolio al duopolio è così compiuta.

Altre leggi completeranno il quadro legislativo relativo alla nuova situazione: dalla l. 249/97, c.d. legge Maccanico,che istituì l’Autorità garante per le Comunicazioni, alla 112/2004, c.d. Legge Gasparri, dalle Direttive Comunitarie sul commercio elettronico ( 31/2000) al Dlgs. 67/2000 sulla pubblicità comparativa. Tutte, a partire da quelle emanate dall’autorità europea, hanno dato ulteriore regolamentazione alla nuova emittenza: quella commerciale.


CAPITOLO SECONDO


LA TV COMMERCIALE


- la Tv generalista

La TV “pubblica”, agendo in regime di monopolio, lo abbiamo già detto, non era sottoposta alle leggi economiche della domanda e dell’offerta. Mancando un rapporto diretto tra domanda e offerta, potendo quest’ultima prescindere dalla prima, il prezzo per usufruire del programma o palinsesto, risultava indipendente dalle regole economiche. La prima dimostrazione di questa situazione è che la TV pubblica, per la sua gestione, ricava in parte i suoi mezzi applicando ai detentori del “ricevitore” una c.d. Tassa di possesso, un canone, che, calcolato alla fonte, non tiene conto delle leggi di mercato. Diverso, invece, il modello commerciale.

A differenza del modello pubblico l’emittenza commerciale, legata alle inderogabili esigenze di profitto cui necessariamente deve orientare la propria attività, opera in regime di concorrenza, di conflittualità, anche particolarmente aggressiva, con gli altri media. Tutto questo per fagocitare, acquisire, un importante numero di utilizzatori dei suoi programmi. E’ proprio il telespettatore la sua merce più preziosa. Questo non significa che la TV commerciale non faccia parte a pieno titolo dell’industria culturale e di informazione come quella pubblica.

Pur operando in ambienti apparentemente contradditori l’emittenza commerciale, attraverso una sapiente organizzazione del palinsesto, cerca di massimizzare gli ascolti per ogni singolo segmento offerto. In altri termini il palinsesto dell’emittente commerciale non è il prodotto finale, l’offerta, ma un fattore di produzione del bene, rappresentato dal pubblico, che viene venduto all’inserzionista, nel momento che egli dedica alla visione dello spot o messaggio pubblicitario. La merce, il prodotto da valorizzare, non è quindi il programma, la trasmissione, ma il pubblico che, esaminato sotto il profilo commerciale della domanda e dell’offerta, da soggetto si trasforma in oggetto della transazione economica, diventando merce di scambio, in quel particolare mercato, quello pubblicitario, tra il broadcaster, che da la programmazione in cui si inserisce lo spot, e l’inserzionista pubblicitario che lo acquista. Questa formula è efficacemente sintetizzata nell’espressione “ L’emittente commerciale vende pubblico ai pubblicitari ” (A.Preta , Economia dei contenuti, pag.51). Pubblico e Pubblicitari sono, dunque, i due piatti della bilancia dell’offerta radio-televisiva commerciale, i due versanti di un mercato dall’incerto equilibrio.
La TV commerciale, finanziata dalla pubblicità, estrinseca la sua offerta mediante tre modelli differenti:
1- TV generalista in chiaro
2- Canali tematici
3- TV locali
Il primo modello, multigenere, tende a massimizzare gli ascolti, che consente di attrarre rilevanti investimenti pubblicitari.
Il secondo modello, con trasmissioni sia in chiaro che a pagamento, è rivolta ad un pubblico di nicchia; a fronte di costi minori, però, fanno riscontro anche ricavi limitati.
Il terzo, anch’esso finanziato dalla pubblicità, è rivolto ad un mercato “limitato”, territoriale, ad un ristretto ambito geografico, dove prevale l’interesse locale. La TV generalista è, in tutti i principali mercati europei, la componente prevalente.
La TV generalista, ad alto indice di ascolto, è caratterizzata da forte concentrazione: un numero ridotto di canali ( da 4 a 6 ) si spartisce la gran parte degli introiti pubblicitari e degli ascolti, con i primi due operatori che controllano mediamente il 50% degli ascolti e degli introiti.

Il modello di business della TV generalista, finanziata dalla pubblicità, è ovvio che spinga alla competizione per assicurarsi quell’audience, base fondamentale della formula che quantifica i ricavi pubblicitari. In un mercato competitivo di questo genere, in presenza di una “concentrazione” non temporanea, la risultante di “oligopolio naturale” è generata, derivata, da un insieme di fattori i cui più importanti sono:
1- l’esistenza di costi irrecuperabili (sunk costs), sostenuti per l’acquisizione di strumenti che una volta usciti dal mercato, non sono più spendibili, recuperabili;
2- l’elevata dimensione degli operatori già presenti sul mercato, fatto che consente di avere costi di produzione assai bassi, nonché i nuovi mezzi per stare al passo con l’innovazione tecnologica;
3- la migliore conoscenza delle tecniche di gestione delle aziende del settore;
4- il maggiore potere contrattuale degli esperti operatori sul mercato sia con i clienti che con i finanziatori (Banche e finanziarie);
5- la già acquisita fidelizzazione della clientela in portafoglio.
Queste risultanti autorizzano la definizione di “oligopolio naturale”, come sostengono Sutton e Shaked (J. Sutton – A. Shaked, Natural Oligopolies -1983).

L’oligopolio naturale prima evidenziato, considerata l’esistenza dei “costi irrecuperabili”, prima evidenziati e delle altre variabili difficilmente superabili, limita fortemente il possibile ingresso di altro competitori, che difficilmente sarebbero capaci di produrre a costi uguali o inferiori a quelli degli operatori già presenti. E’ il “circolo vizioso/virtuoso che “…genera pochi vincitori ” ( A. Preta già citato, pag. 55).
Queste forti e permanenti ” barriere all’entrata “ sono ulteriormente aggravate dai seguenti altri fattori:
1- la necessità di disporre delle frequenze, notoriamente limitate;
2- la presenza di due operatori che già possiedono e controllano tre reti TV ciascuno ( gli eventuali altri ingressi dovrebbero anch’essi operare con lo stesso numero di reti);
3- L’integrazione verticale (proprietà della rete) che consente di massimizzare i vantaggi competitivi.
Tutto questo ha, di fatto, impedito l’ingresso di altri competitori, confermando la struttura duopolistica.

- la Tv a pagamento

Ad una TV in chiaro, pubblica o finanziata dalla pubblicità non importa, qualche decennio dopo si affianca, una nuova TV: quella a pagamento.

Nel corso dei primi anni settanta negli Stati Uniti, in anticipo di dieci anni rispetto all’Europa, si sviluppa un nuovo modello di televisione, inizialmente operante via cavo e successivamente via satellite, destinato a soddisfare nuove esigenze di un consumatore sempre più “particolare”, sempre più attento ai suoi bisogni. E’ questo il passaggio dalla TV uguale per tutti, “universale”, a quella specialistica, dove è l’utente che sceglie la tipologia dei contenuti a lui più soddisfacenti.

E’ questo un passaggio epocale: l’abbattimento delle barriere tecnologiche, pone le condizioni anche per il superamento delle barriere economiche, derivanti dalla non escludibilità del bene, che rendevano improduttivo un investimento in presenza di un mercato prevalentemente generalista. Le nuove tecnologie inoltre consentono il superamento della penuria di canali ( con il digitale teoricamente la moltiplicazione è infinita) creando, quindi, nuove possibilità, aprendo nuove frontiere.
Questa rivoluzione, in primis, travolge, distrugge, uno dei pilastri fondamentali su cui si era basato per tanto tempo il prodotto radiotelevisivo: il concetto di “ bene pubblico” in quanto scarso, limitato. Caduto il “muro”, il prodotto televisivo si libera dai vincoli e si trasforma: diventa “bene privato”, commerciabile, vendibile attraverso la definizione di un prezzo, regolato dalle leggi dello scambio economico. E’ il passaggio alla logica economica del libero mercato, dove si confrontano, si instaurano rapporti diretti tra domanda e offerta, basati sulla disponibilità del consumatore/cliente a pagare per il prodotto il prezzo relativo.

Il costo richiesto al cliente/consumatore per il prodotto televisivo fornito, si basa sulla logica del “valore percepito”, ovvero da quanto il consumatore è disposto a pagare per il prodotto offerto. La differenza tra il valore massimo che il consumatore attribuisce al prodotto offerto e quanto effettivamente richiesto, costituisce il suo guadagno, meglio definito come il “ Surplus del consumatore”.
Nella teoria economica il surplus del consumatore è strettamente legato al concetto di benessere economico: il consumatore acquista un bene se ne trae utilità, se questo bene gli da la soddisfazione richiesta. Questa utilità, questa soddisfazione, ha per il consumatore un prezzo massimo, ovviamente legato al reddito. Se il prezzo richiesto è più basso il consumatore comprerà, se il prezzo supera la soglia rifiuterà l’offerta. Più basso è il prezzo, maggiore sarà la differenza tra il prezzo massimo da lui attribuito al prodotto ed il prezzo pagato. Questa differenza è il surplus del consumatore.
Esaminando, invece, il problema dall’altra parte, quella dell’impresa che fornisce il servizio, i termini risulteranno rovesciati. Infatti dal prezzo attribuito al servizio l’impresa deve detrarre il costo sostenuto per produrlo: maggiore è la differenza tra il costo sostenuto ed il prezzo di vendita del servizio, maggiore sarà il suo guadagno (surplus del produttore). La risultante che stabilisce il “massimo benessere economico”, la massima efficienza del mercato, in situazione di concorrenza perfetta ed in assenza di esternalità, è ottenuta quando si massimizza il Surplus totale, cioè quando i consumatori attribuiscono ai beni il valore più elevato ed i produttori sono in grado di offrirli al costo più basso.

La TV commerciale ha, negli ultimi anni, modificato radicalmente le abitudini dei suoi fruitori/consumatori. Il forte cambiamento portato dalle Pay TV, o TV multichannel, si basa su due forti elementi di novità:
1- la disponibilità di un maggior numero di canali, ottenuta mediante la diffusione via cavo o via satellite;
2- l’utilizzo in via predominante, anche se non esclusiva, degli abbonamenti.

Il primo elemento, certamente il più importante, è quello che fa cadere uno dei due dogmi da cui siamo partiti: la scarsità delle radiofrequenze. Se agli inizi del secolo scorso i presupposto fossero stati quelli di oggi, forse, il percorso fin’ora seguito sarebbe stato molto diverso! Il modello originario televisivo, analogico, universale, in chiaro e terrestre, forse non sarebbe mai esistito.

Il progresso, però, come è giusto che sia, non si ferma mai. L’era del digitale da una parte ha resa obsoleta una parte importante del nostro passato ma, soprattutto, ha aperto frontiere di portata ancora tutta da scoprire. La Pay TV multichannel è solo un primo passo verso un futuro fatto di ben altro.



Tramontato il dogma più importante, quello di bene pubblico, quindi limitato, entrata a pieno titolo nel “mercato” commerciale dopo la caduta del monopolio prima e dell’oligopolio dopo, l’industria dei media è diventata grande. Oggi, raggiunta la maturità, ha non solo migliorato se stessa ma ha anche contratto più di un matrimonio: con la telefonia e con la rete di Internet. E’ questo il passaggio, ancora in corso, del mercato televisivo dalla piattaforma unica al mercato multipiattaforma.

Questa, però, è un’altra storia!!!


Mario Virdis, ECG, matr. 30019800



lunedì, giugno 02, 2008

ORGOGLIOSI DI ESSERE SARDI!



























SEI SARDO SE…..




sei sardo se pur non avendo un lavoro e un euro in tasca offri il caffè al bar ai tuoi amici!



• sei sardo quando ti lamenti sempre della tua città e quando sei fuori la vanti come se fosse il paese delle meraviglie!


• sei sardo se, quando vivi fuori, almeno 1 volta al mese ricevi il pacco che ti manda tua madre da giù con tutte le cose tipiche!


• sei sardo se ami la tua terra e ti fai le vacanze nei tuoi posti di mare!


• sei sardo se, pur vivendo al Nord da dieci anni, non hai perso una virgola del tuo meraviglioso accento! ( puru si ti leana pro su culu!).


• sei sardo se parcheggi la macchina in quinta fila e dopo ti lamenti pure perché ti hanno fatto la multa!


• sei sardo se sei abbronzato 8 mesi su 12 e hai il segno del costume a vita!


• sei sardo se conosci le persone in internet ma ti vergogni di parlarci di persona!


• sei sardo se ti spulci il sito di Crastulo per 'pidanciulare' sulla gente e vedere se c'è la tua foto!


• sei sarda se ad un primo e fantastico appuntamento gli concedi un bacio sulle labbra e poi aspetti che ti caghi lui per fare la preziosa e lasciarlo sulle spine 1 o 2 settimane, finché, non si stanca ed esce con un'altra tipa e allora li ti incazzi e dai del coglione a lui e della bagassa a lei (magari alimentando scene stile Peppedda vs. Valentina).


• sei sardo se per fare 100 metri prendi la macchina!


• sei sardo se vai fino al lungo mare o al belvedere e poi non scendi e rimani in macchina a guardare.


• sei sardo se già quando hai un anno mangi 'pane e saltizza'!


• sei sardo se hai la marmitta modificata o i neon blu nella macchina.


• sei sardo se vai allo stadio con la macchina piena di gente vestita con i colori della tua città, con la sciarpa fuori al finestrino, e imprechi contro la squadra avversaria!


• sei sardo se abiti in un paesino di 4000 abitanti e conosci tutti.


• sei sardo se ad ogni rumore che senti ti affacci a vedere ché è successo.


• sei sardo se vai a fare il militare perché non sai che fare del tuo futuro.


• sei sardo se dopo 3 ore che conosci una persona la inviti a casa per le vacanze estive.


• sei sardo se parcheggi la macchina ai parcheggi abusivi e per te è tutto normale.


• sei sardo se trovi normale vedere 3 ragazzi che vanno in giro tutti su uno scooter.


• sei sardo se almeno una volta nella vita sei stato raccomandato!


• sei sardo se quando vai in macchina alzi la musica a palla.


• sei sardo se quando incontri fuori dalla Sardegna un tuo concittadino che magari conoscevi di vista e non avevi mai cagato in città, ci parli e: …sembra come se usciste insieme da una vita; oppure (più frequentemente)… …fai finta di non averlo mai visto prima, poi scopri di avere fatto le stesse scuole dall'asilo e inizi a fare l elenco delle persone in comune!


• sei sardo quando dici di non essere permaloso e ti incazzi ad ogni appunto che ti fanno!


• sei sardo quando vivi al nord e almeno una volta al giorno ti viene nostalgia della tua terra e della sua gente!


• sei sardo se ridi anche nelle situazioni drammatiche e fai divertire la gente.


• sei sardo se ti fai in quattro per fare un favore ad un amico.


• sei sardo se lavori in nero pure tutta la vita.


• sei sardo se passi l'estate tra disco e sagre di paese.


• sei sardo se il sabato sera vai a ballare solo se hai gli omaggi.


• sei sardo se hai sempre un sorriso e un consiglio per gli amici.


• sei sardo se ti chiamano 'pecoraro' al Nord e pensi:'abbaida cussu coglione che tanto d'estate viene in Sardegna a faghere casinu e a rubarsi le pivelle più bone'.


• sei sardo se in estate la prima volta che ti abbronzi, ti ustioni e spelli perché non vedi l’ora di abbronzarti subito.


• Ma sei sardo soprattutto quando non ti vergogni della tua terra e ricordi sempre il luogo dove sei nato. Quando la esalti per il mare e la buona cucina, il sole caldo anche d'inverno, per l'ospitalità della gente e per tutte le bellezze che la rendono una terra splendida!


ORGOGLIOSI DI ESSERE SARDI.. sei sardo anche se dopo aver letto questo reportage non vedi l'ora di mandarla a tutti gli amici e magari di farne una copia da appendere in camera!





MARIO (noto "amicomario" o anche "gattomario")




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Questi pensieri li ho ricevuta da una sarda D.O.C. ( A DENOMINAZIONE DI ORIGINE CONTROLLATA..): L'AMICA D.SSA FRANCESCA CAMBONI !
VIVA FRANCESCA!

mercoledì, maggio 21, 2008

51° CONGRESSO R.I. - DISTRETTO 2O80: " IL ROTARY ATTIVO E ... COINVOLGENTE.








Oristano 20 Maggio 2008


UNA MEDITATA RIFLESSIONE SUL TEMA DEL 51° CONGRESSO DISTRETTUALE:

IL ROTARY ATTIVO E…COINVOLGENTE!

CONSIDERAZIONI DI UN PRESIDENTE RIPETENTE

Chi pensa che l’emozione degli esami è forte solo la prima volta si sbaglia. Se è vero il detto che gli esami non finiscono mai è vero anche che rimettersi in gioco, riprendere le sfide, dà sempre una forte emozione. Noi rotariani siamo abituati alle sfide: nella professione, nella Società e, da rotariani impegnati, nell’Associazione. Ho letto questa emozione anche nel volto e nella voce del nostro governatore Franco Arzano, nella sua relazione di chiusura di questo 51° Congresso che ha riepilogato un nuovo anno di intenso impegno rotariano.
Salutando Franco, domenica, prima di partire per la Sardegna, gli ho solo detto: “ Grazie Franco anche per quello che in questo anno mi hai insegnato”. Lui, come suo solito senza scomporsi, mi ha risposto: “ Io non ho insegnato niente, forse abbiamo appreso molte cose insieme”.
La sua non era una risposta “formale”, era, invece, a mio avviso la più corretta applicazione del nostro modo di essere rotariani: la condivisione, tutti insieme, all’interno ed all’esterno, del nostro patrimonio professionale, culturale e di servizio.
L’ho apprezzato molto quest’anno il motto del nostro Presidente Wilkinson, “ Rotary Shares”, perché rappresenta l’essenza del nostro impegno; è, a mio avviso, la corretta applicazione del nostro motto “ Servire al di sopra di ogni interesse personale”.
Il Congresso, attraverso la relazione di chiusura del nostro Governatore, le relazioni del rappresentante del Presidente Internazionale, l’ing. Carlo Michelotti e dei relatori, hanno messo in luce non solo il prezioso lavoro svolto nell’anno dal Distretto, ma anche la necessità di adeguare il Rotary alle necessità di un mondo in continua evoluzione. Il dibattito ha toccato i grandi problemi che affliggono l’umanità: la fame, l’istruzione, la salute, a partire dal bene più prezioso: l’acqua. Sono questi i grandi problemi che affliggono mondo, per la cui soluzione tutti debbono apportare il loro contributo.
Il tema del Congresso, “Il Rotary attivo e …coinvolgente” voleva certamente evidenziare che senza impegno e senza coinvolgere gli altri non si fa servizio rotariano. A partire dalla comunicazione.
E’ fondamentale, nel mondo di oggi la comunicazione. Per anni il Rotary ha operato a favore della Comunità, dei più deboli, senza clamore, in silenzio, operando “senza che la mano destra sapesse cosa faceva la sinistra”.
Oggi questo non è più possibile. Condividere significa anche coinvolgere, significa stimolare gli altri a fare del bene, significa attrarre gli altri ad apprezzare il nostro impegno. Significa iniziare, attraverso il Rotaract e l’Interact, i giovani validi alla filosofia del servizio e dell’attenzione alle fasce deboli; significa farli crescere nell’amicizia, nell’etica e nella tolleranza, perché domani, affermati nelle professioni, possano diventare buoni rotariani, raccogliendo da noi il testimone.
Strumento utile per far conoscere chi siamo e cosa facciamo è il “Libro dei progetti”.
Questo interessantissimo libro, realizzato con grande capacità e creatività dal Direttore di VDR, l’amico Claudio Marcello Rossi, sarà un insostituibile “biglietto da visita” , capace di raggiungere molti di quei luoghi dove il Rotary è ancora visto come una Associazione superata, del passato, capace solo di osservare, dall’alto, i mali del mondo. Questo libro potrà smentire molti luoghi comuni. Saranno i club il primo veicolo che farà pervenire, a partire dalle Autorità locali ed ai relatori delle conferenze, questo importante strumento di conoscenza del nostro lavoro, del nostro servizio.
Anche io quest’anno mi sono rimesso in gioco. Ho accettato la presidenza del mio club, quello di Oristano, per la terza volta. Ho accettato per spirito di servizio ma anche in considerazione che la mia esperienza poteva essere utile nell’anno che festeggiava il 40° anniversario di fondazione del club. E’ stato un anno faticoso ma entusiasmante. Ho cercato di dare, al club ed al Distretto, tutta la mia esperienza. Spero di esserci riuscito. Spero di aver superato l’esame. Per un Presidente ripetente, altrimenti sarebbe stata davvero una grande delusione!
Mario Virdis, Presidente del Club di Oristano.


INDIRIZZO - Viale S. Martino n. 17 - 09170 ORISTANO -
Tel: Abit. 0783.303979 - Fax 1782231436 - Cell. 349.3559293
- E-mail : virdismario@tiscali.it - Sito Web : http://www.amicomario.blogspot.com/


mercoledì, maggio 14, 2008

I DIVERSI MODI DI...APPRENDERE: ESPERIENZE DI VITA VISSUTA












Sassari ,12Maggio 2008




LA COSTRUZIONE DI UN PROGETTO: COME E COSA APPRENDERE PER NON SBAGLIARE.
RICORDI DI LONTANE ESPERIENZE DI VITA VISSUTA:
“in positivo”

Sono uno studente anomalo, lo devo riconoscere. Tornare a scuola dopo una vita intera trascorsa a comprare e vendere danaro non è consueto, anzi per molti è uno sfizio anomalo. Completare, invece, molte caselle della conoscenza rimaste inesorabilmente vuote è stato per me un desiderio incontenibile. Non è questo, però, il luogo per raccontare le mie ansie e la mia storia passata. Lo spunto per portare alla altrui conoscenza un pizzico delle mie esperienze lavorative me lo ha dato la Prof. Marti durante le lezioni di “ Progettazione di ambienti tecnologici per la comunicazione”.
Alla sua richiesta di parlare, raccontare, le nostre esperienze di vita connotate da un segno positivo o negativo, mentre lavoravo con il mio gruppo ( Map2music) ho rivisto, come in un film, alcune scene ormai datate, risalenti al mio periodo di formazione nei primi anni lavorativi nella Azienda bancaria che mi aveva assunto (Banco di Sardegna).
Debbo riconoscere che l’esperienza che sto per raccontarvi fu per me un tassello determinante nella successiva costruzione della mia carriera che, sotto molti aspetti, è stata appagante e gratificante.
Avevo poco più di 27 anni (era il 1973) e lavoravo in banca da meno di quattro. Avevo fino ad allora svolto lavoro esecutivo allo sportello, dove avevo dimostrato non solo buona capacità ma anche quel “savoir faire” di intrattenimento della clientela. Oggi questo lavoro è riservato agli addetti commerciali, specializzati con corsi di formazione e di marketing, ma allora tutto era lasciato alle capacità individuali ed alla innata forza comunicativa esistente o meno in ciascuno di noi. Lo stabilimento dove lavoravo era la Sede di Oristano. Era il 1973 ed all’arrivo di un nuovo direttore, giovane e dinamico, come di consueto, furono modificati anche gli incarichi e ridistribuiti i compiti agli addetti ai vari servizi. Venni individuato per gestire i conti correnti della clientela, uno dei servizi più impegnativi, che presupponevano un costante contatto con il direttore, l’unico facoltizzato ad autorizzare le “posizioni eccedenti” ( ndr. Quando il saldo del c/c supera i limiti del deposito o supera l’importo del fido accordato, per esempio viene presentato per il pagamento un assegno da 10.000 euro su un conto con un saldo di 7.000, l’unico che può autorizzare il pagamento della c.d. “posizione eccedente” è il direttore della filiale). Era questo uno dei “servizi” più temuti proprio per la costante necessità di avere le autorizzazioni “scritte” al pagamento delle eccedenze. I momenti più drammatici erano quelli che viveva l’addetto, quando salendo trafelato a cercare la firma del direttore per uno sconfinamento, questi era irreperibile, perché , magari, uscito con dei clienti. Che fare? In banca non ci sono tempi morti il tempo scorre inesorabile ed è necessario dire un sì o un no in tempi terribilmente brevi. Le giornate di questo tipo diventano una giornaliera corsa ad ostacoli, e la sera, dopo tante ore di ansia ti assalgono gli incubi notturni per gli eventuali errori.
Ero da pochi giorni in questo gravoso servizio, quando una sera, prima della chiusura serale, mi chiamò il direttore. Salii al quarto piano ( le direzioni, come d’uso allora, erano all’ultimo piano: il potere domina sempre, tutto, dall’alto; questo era lo schema della struttura piramidale, anche nella allocazione fisica degli spazi) convocato in direzione.
La filiale era, ormai, praticamente deserta. Il colloquio, lo ricordo ancora con grande nitidezza fu cordiale, ma allo stesso tempo fermo e razionale. Il Dr. Cabras, questo il nome del direttore, mi disse che apprezzava molto il mio modo di fare, che quel servizio poteva farmi crescere nella acquisizione degli strumenti per diventare un capo servizio e che mi avrebbe messo alla prova per avere conferma delle mie doti gestionali e decisionali. Mi disse che lui aveva necessità di dedicarsi con grande dispendio di tempo ed energie allo sviluppo esterno e che dall’indomani lui sarebbe uscito tutti i giorni, per ore, lasciando a me il compito di amministrare il servizio, pur privo delle necessarie coperture e delle firme di autorizzazione che necessitavano per il corrente andamento quotidiano. Mi mancò il fiato: come avrei io potuto indovinare quello che il direttore aveva in animo di autorizzare o non autorizzare? Come avrei potuto intuire quello che necessariamente doveva essere pagato e quello che, invece, doveva suo malgrado, essere respinto? Comprendendo il mio imbarazzo ed il mio disagio sorrise e mi disse testualmente: “ …vedi Mario io credo che ciascuno di noi sia qui per amministrare bene l’azienda che ci ha assunto, l’azienda che se va bene potrà per tanti anni continuare a produrre, dare reddito e garantire a tutti noi un futuro sereno. Se io ho deciso di fidarmi di te c’è una ragione; credo che amministrerai in mio nome e conto con grande saggezza e capacità. La tua tranquillità è totale: al mio rientro, la sera, io firmerò tutto quello che tu hai autorizzato in mio nome e poi, insieme faremo un consuntivo su quello che hai fatto e su quello che, magari avresti potuto evitare. Ma tutto questo dopo che avrò avallato il tuo operato…”. Rinfrancato dissi di si e gli garantii la mia piena responsabilità ed attenzione.
Non ci furono problemi. L’esperienza mi diede una grande soddisfazione ed una grande capacità di giudizio. Credo che se sono cresciuto e diventato manager in questa azienda molto lo debbo a quel direttore che ebbe fiducia in un ragazzo.



Mario Virdis
virdismario@tiscali.it – blog: http://www.amicomario.blogspot.com/


N.B.

Credo che questa esperienza dimostri che CONDIVISIONE, FIDUCIA, ESPERIENZA, GIOCO DI SQUADRA, siano basilari nella costruzione dell’apprendimento; nessun progetto serio può realizzarsi, funzionare, senza l’oculata scelta degli elementi. Il progetto vincente è quello che appaga entrambi: il progettista e l’utilizzatore.
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Nel mio passato lavorativo non ci furono solo esperienze "POSITIVE" : Tante furono anche quelle negative. Eccone una significativa, che invita, anche oggi, a riflettere...!

L’esperienza, in negativo, che sto per ricordare ora non risale ai miei primi anni di lavoro, ma è, invece, parte degli ultimi dieci anni della mia esperienza lavorativa.
Dopo una vita intera trascorsa a girare in lungo ed in largo le varie dipendenze della nostra isola, ormai appagato da positive esperienze e da una carriera per molti aspetti brillante (avevo già maturato il grado di Vice Direttore) ero rientrato alla Sede di Oristano, come responsabile del credito alle grandi aziende. La mia esperienza era tale che non ero più intimorito dalle grandi cifre e dalle esposizioni aziendali che spesso ammontavano a svariati miliardi ( allora si ragionava ancora in lire).
Venuto a conoscenza che nella zona industriale si era installata una nuova azienda, facente parte di un noto gruppo nazionale, andai in visita di sviluppo a trovare i responsabili. Il colloquio mise in luce una possibile comunanza di intenti e la possibilità per il nostro gruppo bancario di entrare in relazione creditizia con la nuova azienda. Raccolsi tutto il materiale necessario ( atti ufficiali, bilanci, compagine sociale e quanto altro necessario per avviare una seria istruttoria e proporre una linea di credito notevole, ammontante a diversi miliardi.
Non erano tante le aziende installate nella nostra provincia che beneficiavano di crediti importanti. Mi dedicai anima e corpo all’istruttoria della pratica, senza nulla trascurare: più che un’analisi avevo fatto una seria radiografia dell’azienda, con analisi dei mercati di riferimento, proiezioni sul medio e lungo termine, concorrenza trascurabile, etc. C’erano, in effetti tutti i presupposti, le caratteristiche, per la concessione. Anche i più recenti convegni a cui avevo partecipato avevano messo in luce che la “nuova banca” non doveva più finanziare chi aveva già soldi e patrimonio, ma doveva, invece, finanziare le idee innovative, le idee vincenti.
Con grande orgoglio presentai la pratica al direttore dell’area che aveva il potere deliberativo. Aspettai qualche giorno, ma nulla mi fu fatto sapere. Nella seconda settimana, ormai non ce la facevo più ad aspettare, una sera, prima di uscire, andai in direzione per sapere l’esito. Dopo un giro di parole che mi allarmò, capii che tutti i miei sforzi erano stati vani. La pratica, pur in possesso di tutti i requisiti formali e sostanziali previsti per la concessione di crediti di quella entità, non avrebbe avuto la necessaria positiva delibera. Per quale ragione? Perché a fronte dei requisiti pubblicamente richiesti, la pratica mancava di quei requisiti occulti, mai scritti da nessuna parte ma validi quanto e forse più degli altri. Questi requisiti, apparentemente superati, continuavano a resistere come le norme non scritte, come usi e consuetudini pur obsoleti ma sempre capaci di superare le nuove regole. Alla pratica difettavano: la conoscenza personale, la mancata sardità dei titolari dell’azienda, e forse…la mancanza di connubio con la classe politica isolana.
Uscii dalla direzione senza proferire parola. Non chiesi mai più della pratica e non tornai mai in quella azienda: non avrei avuto parole per giustificare la nostra posizione.


Mario Virdis
N.B.

Credo che questa esperienza negativa dimostri che la mancanza di fiducia, l’ancoraggio al passato, la carenza di voglia di innovazione, l’incapacità ad affrontare il rischio, l’investimento per il futuro, possano far fallire anche progetti capaci di cambiare il volto non solo di un’azienda ma anche di un’intera nazione.



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