domenica, novembre 30, 2014

AVERE UN FIGLIO PROPRIO O ESSERE GENITORE? LA SFIDA DI CHI CRESCE UN FIGLIO NON SUO, AMANDOLO COME E PIÙ DI UN PADRE NATURALE.



Oristano 30 Novembre 2014
Cari amici,
oggi è l’ultimo giorno di Novembre. Domani inizia il mese più importante per tutte le famiglie: Dicembre, il mese del Natale, della natività di Nostro Signore. Mese dunque dedicato in particolare alla famiglia, il nucleo più importante della Società; è la famiglia, infatti, quella struttura che consente all’uomo di continuare, di generazione in generazione, la sopravvivenza della sua specie.
Famiglia, dunque, come nucleo basilare, che oltre all’amore reciproco dello stare insieme, si forma per procreare: far nascere dei figli e quindi perpetuare la razza umana. Spesso, però, avere un figlio biologico per mille ragioni non è possibile, allora che fare? Si può essere comunque padri e madri anche non biologici, ottenendo gli stessi identici risultati. Essere un buon padre è sempre difficile. La veste di “padre putativo” è ben conosciuta di chi è cristiano: l’esempio più luminoso lo troviamo in S. Giuseppe, padre putativo di Gesù, che in tempi ben diversi da questi di oggi, si assunse l’onere di provvedere alla crescita e all’educazione terrena del figlio di Dio.
Tutto questo certamente dimostra che si può essere ottimi genitori anche senza aver avuto un figlio proprio: l’amore non può essere limitato dalla biologia, perché lo spirito e il sentimento d’amore esulano dalla materialità della carne, perché l’amore è puro spirito è elevazione, è quell’anello di congiunzione che ci porta ad avvicinarci all’amore infinito, quello di Dio. La dedizione nei confronti di una nuova creatura, che altro non è che amore, non può essere limitata dal fatto che a questo bambino non abbiamo trasmesso i nostri geni, perché questo sentimento, questo nobile gesto, esula certamente dalla materialità! 
Il poeta e filosofo libanese Kahlil Gibran, (Bsharri, 6 dicembre 1883 – New York, 10 aprile 1931) sosteneva che i figli non ci appartengono, che non si possono quindi «avere». In una delle Sue numerose opere, rivolgendosi ad una donna che reggeva un bambino al seno, Le disse: «I vostri figli non sono i vostri figli. Sono i figli e le figlie della fame che in se stessa ha la vita. Essi non vengono da voi, ma attraverso di voi. E non vi appartengono...». L’«avere» usato da Gibran era inteso nel senso materiale del “possesso” (lo stesso concetto sostenuto da Fromm,1976, il quale afferma che nella nostra cultura consumistica tutti devono “possedere” qualcosa, come oggetti, sesso, amici, ecc., altrimenti non ci si sente di «essere» persone), con la risultante che un figlio è inteso come cosa propria. Un figlio, cari amici non è mai stato e mai sarà “cosa nostra”!
Cari amici, molti di Voi sanno che sono un padre-adottivo, nel senso che ho adottato 28 anni fa un bambino che oggi ha 30 anni. Potrei ripercorrere mille volte questo non breve percorso, rendendomi conto ogni giorno che passa che per me questa scelta è stata una "meravigliosa avventura". Credo, e ne sono fermamente convinto, che se Santino fosse stato generato da me, non avrei cambiato nulla nel mio comportamento, nel senso che avrei fatto le stesse cose che ho fatto e che, soprattutto, non avrei sicuramente potuto volergli più bene. Ho passato notti intere a vegliarlo, quando nei primi anni faticava a superare alcune malattie infantili, così come ho sempre cercato di dargli tutto il mio affetto, senza misure. Per me averlo aiutato a crescere è stato un dono straordinario, che Dio ha voluto riservarmi.
Ai molti scettici, che credono che crescere un figlio non proprio non sia “essere un vero padre”, vorrei invitarli ad andare a vedere un film, recentemente apparso sui nostri schermi. Il film “Mio papà” (nelle sale dal giovedì 27 novembre) potrebbe dare loro una risposta non banale e per certi versi inaspettata al loro scetticismo. Il film è del regista Giulio Base e racconta la storia di Lorenzo, interpretato da Giorgio Pasotti. A Lorenzo piace molto la libertà; lavora come subacqueo su una piattaforma poco distante dalla costa adriatica; nella sua professione è uno dei migliori, ma non vuole nessun legame e quando scende sulla terraferma lo fa solo per divertirsi. Una sera, però, incontra Claudia (interpretata da Donatella Finocchiaro), bella, diversa dalle altre. Con lei è subito passione, forse amore, però Claudia non è sola: ha un figlio, Matteo, che ha già sei anni.
Crescere e amare un figlio "non suo" per Lorenzo inizialmente non è facile. Il vecchio scapolo impenitente da principio vede la cosa come un ostacolo, ma dopo qualche scontro nasce tra l’uomo e il bambino una sorta di complicità, di affetto, insomma un vero rapporto tra padre e figlio. L’esperienza raccontata nel film dall’attore Giorgio Pasotti ha un risvolto anche “reale”: Pasotti ha cresciuto i figli della compagna Nicoletta Romanoff, dalla quale ha avuto anche una bambina. “Spesso – dice Giorgio -  mi ritrovo a pensare che con la mia figlia non di sangue il cimentarsi dell'affetto paterno sia ancora più forte, proprio perché non è dovuto, non è imprescindibile, non è immediatamente naturale. Ci si studia, e poi si sceglie di amarsi”.
Cari amici, vorrei che tanti altri padri potessero fare la mia esperienza. Per un padre amare un figlio, a prescindere dal fatto che sia biologicamente suo, è un’esperienza affascinante; costruire una nuova vita è qualcosa di straordinario e ineguagliabile. Se è pur vero che non gli hai dato il tuo DNA, gli hai dato molto di più: lo hai preso per mano e gli hai insegnato a camminare nella vita. I tuoi passi accanto ai suoi sono una traccia indelebile, che hanno legato per sempre la tua esistenza alla sua.
A domani.
Mario

sabato, novembre 29, 2014

LUOGHI COMUNI: L’OZIO È IL PADRE DEI VIZI O DELLA CREATIVITÀ?



Oristano 29 Novembre 2014
Cari amici,

fin da piccoli, per smorzare la nostra voglia di sfuggire agli impegni, soprattutto scolastici, ci è stato detto e ripetuto che l’ozio era il padre dei vizi. L’equazione ozio uguale vizio è talmente diffusa che qualsiasi ipotesi contraria sembra solo campata in aria. Se apriamo un dizionario della lingua italiana (il Garzanti, ad esempio) alla voce Ozio troviamo: [ò-zio] n.m. m, pl. –zi. 1. il non far nulla per abitudine, per pigrizia o anche per malattia o altri impedimenti: stare in ozio dalla mattina alla sera; poltrire, vivere nell’ozio; un ozio forzato |tener in ozio la penna, (fig., lett.) non scrivere | (prov.) l’ozio è il padre dei vizi. 2. riposo dalle occupazioni ordinarie, tempo libero; vita comoda e agiata: un bel libro da leggere nei momenti di ozio. Etimologia: ← dal lat. otĭu(m). Eppure, a ben pensare, l’equazione non è proprio così corretta.
Quella che abbiamo letto prima è la visione sull’ozio che normalmente viene condivisa nella nostra società e che viene esemplificata magistralmente dalla definizione che ne da il dizionario della lingua italiana. Quante volte abbiamo sentito dire che “l’ozio è il padre dei vizi”?  O che “non bisogna rimandare a domani ciò che si può fare oggi”? O ancora che “il tempo è denaro”? Tutte definizioni che avallano il vizio, non certo la virtù dell’ozio. 
Eppure il luogo comune va sicuramente modificato. Insomma, esaminando l'ozio ai nostri giorni, pensiamo che possa essere considerato realmente il padre dei vizi o qualcos’altro? A prescindere dall’ozio realmente vizio, esistono, circa l’ozio operativo, due scuole di pensiero: quella detta dell'Ozio affaticato e quella dell'Ozio benefico. Mentre la prima asserisce che l'ozio può essere una forma di attività, dato che si può oziare leggendo o praticando uno sport, l'altra proclama vero ozio quello in cui si lascia la mente al riposo e non si attua alcun tipo di attività.
Insomma, nella gran parte dei casi, l’ozio può essere una grande fonte produttiva. Facciamo un esempio. Si avvicinano le vacanze di Natale e la prima cosa che pensiamo è: dopo le fatiche lavorative degli ultimi mesi e quelle dei preparativi, il riposo è sacrosanto! Questo però non ci deve impedire di ‘far fruttare‘ anche questi momenti. Si può essere produttivi ed efficienti anche quando non siamo iper concentrati sul nostro lavoro! Vi faccio un semplice esempio. Un mio collega che stimo molto, esperto web marketer, passa ore e ore a ‘cazzeggiare’ sui siti di informazione, leggendo riviste o su Youtube. Eppure, quando c’è da prendere decisioni, da scegliere le idee migliori da sviluppare, Lui è sempre quello più creativo, più aggiornato. Vi sembrerà una esagerazione, ma invece non lo è.
Quando si è troppo concentrati sulla propria attività si rischia di diventare ciechi a tutte le novità o alternative diversamente percorribili. Sono stati scritti molti saggi e teorie sulla positività dell’ozio per migliorare la produttività. Posso citarvi Russel con "Elogio dell’Ozio" oppure Domenico De Masi, con il suo "Ozio Creativo". Libri scritti per convincerci che indugiare nel relax non è sempre sintomo di svogliatezza o incapacità. L’ozio sarà anche, a volte, il padre dei vizi, ma senza dimenticare che c’è bisogno di riposo per essere più produttivi!
Secondo Hermann Hesse l’ozio è la premessa necessario per la creatività. Per Hesse l’ozio è qualcosa che appartiene soprattutto alla cultura orientale ma che anche noi occidentali possiamo recuperare nel suo significato positivo se iniziamo a considerarlo un bene da salvaguardare, una sorta di difesa dell’individuo dai meccanismi della società moderna che spingono verso l’azione e allontanano dalla contemplazione e dall’introspezione. Insomma l’ozio è quello “spazio di riflessione e fermento” che sta tra la conclusione di un’opera e l’inizio di un’altra.
L’ozio dunque non è sinonimo di pigrizia ma di contemplazione: osservazione attenta della natura e recupero di una dimensione “magica” della vita basata sull’introspezione. Un’introspezione che porta al contatto con la nostra sfera più intima, quella nella quale possiamo smettere per un po’ di indossare delle maschere e sfiorare la nostra dimensione più autentica. L’ozio ha realmente un senso: è il bisogno naturale di un “dolce far niente”, inteso non in senso negativo, ma anzi utile, in quanto indispensabile per la nostra vita interiore, per la nostra evoluzione nel passaggio dalla vita corrente, anonima e ripetitiva, a quella della nostra vita interiore, viva e unica, animata dell’introspezione.
Cari amici, tutti i “creativi” hanno sempre avuto bisogno dei loro momenti d’ozio. L’artista che crea, per portare a maturazione il lavoro già ideato e presente nella mente, ha bisogno di fermarsi per consolidare e trasferire, poi, all’esterno la sua creazione. I pittori, per far emergere dalla tavola una realtà estratta dalle visioni, i poeti, per trovare le parole giuste per descrivere le loro passioni, le loro sensazioni, i fisici, i filosofi e i matematici per metabolizzare le loro teorie. Per Hesse è lo stesso artista il primo che resta sorpreso e deluso dalle pause, apparentemente oziose, che lo tengono in angoscia. Eppure decide di obbedire alle leggi della natura e medita, in attesa della giusta ispirazione. C’è qualcosa dentro di lui che gli dice che non è ancora arrivato il momento creativo, perché manca la giusta ispirazione. E allora l’unica soluzione possibile è ancora quella di fermarsi, lasciarsi andare e attendere il momento giusto, immerso nel suo “ozio produttivo”.
Grazie, amici della Vostra sempre gradita attenzione.
Ciao, a domani.
Mario

venerdì, novembre 28, 2014

I PARASSITI DELL’UOMO: 2^ PARTE, QUELLI PIÙ DIFFUSI E INSIDIOSI.



Oristano 28 Novembre 2014
Cari amici,
dopo la riflessione di ieri, dove abbiamo parlato in generale di parassiti, quegli organismi “scrocconi” che oltre che fastidi ci regalano molte malattie, oggi ne vediamo alcuni in dettaglio, in particolare quelli con cui abbiamo più a che fare. Forse non tutti sanno che esistono ben 430 tipi di parassiti, che possono vivere su o dentro l’uomo: pensate che ce ne sono di così intelligenti da controllare la mente dei loro ospiti, oppure alcuni, come la tenia dell’uomo (verme solitario), che si annida nel suo intestino e può raggiungere anche una lunghezza di 20 metri! Ognuno di noi, sappiate, può “ospitare” ogni genere di queste minuscole creature.
Tenia, vermi e pidocchi sono gli animali che più di tutti utilizzano, per vivere, il corpo umano, vero hotel gratuito, ma non solo loro. Il corpo umano, come luogo di soggiorno,  piace a molti altri. E’ recente la notizia che la cantante inglese Katie Melua ha scoperto all’interno del suo orecchio un piccolo ragno, che si era insediato lì con piacere, vivendoci per una settimana. Ha pubblicato un video della creatura che ha ospitato, sul suo profilo Instagram scrivendo: "Così ho sentito un fruscio nel mio orecchio per una settimana e sono andata dal medico. Questo piccoletto è ciò che hanno trovato". Incredibile ma vero.
A prescindere da casi rari come quello segnalato, gli abitatori più comuni del nostro organismo sono i vermi (endoparassiti), che si installano con grande soddisfazione nel nostro apparato digerente. Quelli più diffusi sono i Nematodi, e in particolare, di questa classe, gli elminti. I più comuni sono gli ossiuri, vermi biancastri e piccoli (mezzo centimetro se maschio, uno se femmina), che vivono esclusivamente nell’intestino umano. Per infettarsi con gli ossiuri basta ingerirne le microscopiche uova, mettendosi le mani poco pulite in bocca, come capita spesso ai bambini. Dall’uovo installatosi nella parte più alta dell’intestino (duodeno) si sviluppa il verme che poi si dirige verso le parti più basse (intestino crasso) da cui infine fuoriesce con le feci. La femmina adulta depone le uova vicino all’orifizio anale, soprattutto di notte, causando un prurito a volte assai fastidioso. La cura per eliminare gli ossiuri è un po’ lunga, e sarebbe meglio evitare di ingerire queste uova poco nutrienti, usando le norme igieniche necessarie. In alcune scuole materne (ma non solo) un bambino su due ha questa infestazione.
Altre uova da cui stare alla larga sono anche quelle di altri Nematodi, tra cui emerge il genere Ascaride, specie Ascaris lumbricoides, che infesta l’uomo. Le sue uova, una volta giunte nell’intestino dell’ospite, si schiudono e rilasciano larve che poi diventano vermi cilindrici biancastri o rosacei che possono raggiungere i 30÷40 cm di lunghezza. Le uova (ogni femmina ne può produrre fino a 200.000 al giorno!) vengono rilasciate nell’ambiente con le feci dell’ospite ma, resistenti come sono, possono rimanere nel terreno anche per mesi o anni, contaminando ortaggi e verdura. È buona norma, per prevenire la malattia, lavare sempre la frutta, la verdura e le mani; e curarsi al più presto, se gli ascaridi ci hanno scelto come loro dimora.
Il verme più lungo, che nel nostro intestino può giungere fino a 10 m di lunghezza e rimanervi sgradito ospite per decenni, è un verme piatto, la tenia, nelle sue varietà di Taenia solium, o verme solitario (la più diffusa), o di Taenia saginata, della classe dei Cestodi. Anche se l’infestazione da tenia è oggi meno frequente che in passato, rimane sempre temibile. Nel caso di queste due tenie ci si infetta non tramite le uova o le larve ma mangiando carne cruda o poco cotta degli animali di cui si nutrono (il maiale per la Taenia solium e i bovini per la Taenia saginata), nella quale le larve si sono incistate trasformandosi in vescichette con dimensioni di un chicco di riso: i cisticerchi. Sono questi cisticerchi che, giunti nell’intestino, si trasformano nel verme adulto. La tenia non ha né bocca né intestino: si nutre del cibo presente nell’intestino dell’ospite assorbendolo direttamente attraverso la sua pelle sottile. Fino a quando, per mezzo di opportuni farmaci, non si riuscirà a fare uscire la testa del verme dal corpo dell’ospite, la tenia continuerà a produrre nuove proglottidi. Sarebbe interessante indicare i tanti altri tipi di vermi, compresi quelli che infestano i nostri animali domestici, come cani e gatti, ma sarebbe troppo lungo: l’importante è sapere che bisogna sempre badare alla massima pulizia, in particolare delle mani.
Parliamo ora degli “ectoparassiti”: tra i più importanti i pidocchi e gli acari. Se date a qualcuno del ‘pidocchioso’ non gli fate certo un complimento: è come dirgli tirchio, spilorcio, miserabile, ma questo ha poco a che fare con i pidocchi, i parassiti umani più comuni tra gli insetti. Infatti i pidocchi, di cui il più noto è il pidocchio della testa, più che ‘tirchi’ sono fastidiosi per il prurito che provocano. Causa di prurito è anche il meno comune pidocchio del pube (piattola), a volte diffuso anche in altre parti calde del corpo. Il pidocchio del corpo o dei vestiti, ormai quasi scomparso nel nostro paese, può trasmettere invece alcune malattie infettive, come un particolare tipo di tifo, detto petecchiale.
Il pidocchio della testa, molto diffuso tra gli scolari, s’ installa sul cuoio capelluto, un ambiente a lui gradito perché caldo e ben irrorato di sangue, del quale si nutre. Il prurito è causato dalle sue feci e da sostanze contenute nella sua saliva, che viene ‘iniettata’ nella pelle per raggiungere il sangue da succhiare. Le femmine depongono uova che presto si trasformano in altri pidocchi. Perciò è bene eliminare al più presto questi insetti e le loro uova con opportune medicine.
Tra i numerosi tipi di acari che infestano il mondo, alcuni causano allergie e altri amano installarsi come parassiti nella nostra pelle. Tra questi il più noto è l’acaro della scabbia, ancora piuttosto diffuso nelle scuole e negli asili. Le femmine gravide scavano nella pelle cunicoli lunghi anche 1 cm e lì depongono le uova. Le larve che ne derivano circondano i follicoli dei peli e causano un fastidiosissimo prurito. Questi acari passano facilmente da una persona all’altra, per semplice contatto, e devono essere eliminati al più presto in modo da evitare lesioni conseguenti al prurito o gravi allergie.
Cari amici, il nostro corpo sembra un Hotel molto ambito per questi “scrocconi”! Come un affamato stuolo di villeggianti a gratis esplorano il corpo di uomini e animali alla ricerca di nutrimento; sono pulci, zecche, pidocchi, zanzare, vermi e altri parassiti che, con l'aiuto delle tecniche più svariate, si installano su di noi e si guardano bene dall’allontanarsene! La loro estromissione diventa un problema di strategie: di chi è ospite e di chi è ospitato, di chi aggredisce e di chi si difende. E’ la grande lotta per la vita, ognuno cerca di portare l’acqua al suo mulino.
Noi, allora, facciamo di tutto, senza indugio,  perché gli scrocconi lascino il “nostro albergo”!
A domani.
Mario

giovedì, novembre 27, 2014

I PARASSITI DELL’UOMO: ORGANISMI “SCROCCONI” CHE OLTRE CHE FASTIDI CI REGALANO MOLTE MALATTIE. 1^ PARTE, CHI SONO E COME CI AGGREDISCONO.



Oristano 27 Novembre 2014
Cari amici,
lo sappiamo tutti che i parassiti sono “essere indegni”, perché vivono a spese di altri. Anche i modi di dire “sei un parassita”, evidenzia un individuo che sottrae risorse ad altri (spesso alla Comunità) anziché procurarsele con il suo lavoro. 
L’esempio, spesso portato anche in TV, dell’individuo-parassita che non paga le tasse danneggiando e sottraendo risorse a tutta la Comunità di appartenenza, chiarisce senza altre aggiunte il problema. Oggi la mia riflessione fa un “giro panoramico” in questo strano mondo animale “particolare”: gli organismi che vivono nel corpo umano, sottraendo risorse, come tenie, vermi, pidocchi, zanzare, solo per citare i più importanti. Vediamo insieme cosa sono esattamente.
I parassiti sono esseri che vivono a spese di altri organismi animali (o vegetali), detti ospiti, che ne garantiscono la sopravvivenza e la capacità di riprodursi. 
Per alcuni parassiti l’uomo rappresenta la ‘casa’ ideale per sopravvivere e moltiplicarsi, per altri invece è solo una tappa transitoria prima di completare il proprio ciclo vitale. Per molti altri parassiti gli ospiti preferiti sono gatti, cani, topi, pecore, capre, maiali, mucche, da cui possono passare all’uomo. Sono molti i parassiti responsabili di malattie, anche gravi, sia nell’uomo che negli altri animali.
Molti di questi parassiti sono organismi costituiti da una sola cellula: si tratta soprattutto di Protozoi, tra cui l’ameba, la leishmania, il tripanosoma, il toxoplasma, il plasmodio della malaria. Altre volte sono organismi pluricellulari e la loro presenza nell’organismo si chiama infestazione. Alcuni (soprattutto i vermi o elminti) sono in grado di installarsi nelle cavità dell’organismo che comunicano con l’esterno, per esempio stomaco, intestino, vescica, oppure in tessuti e organi più profondi e, per questa capacità di vivere dentro il nostro corpo, sono classificati come endoparassiti. Parassiti pluricellulari che infestano l’uomo e altri animali sono però anche quelli che si installano sulla superficie corporea e che sono denominati ectoparassiti. Tra questi ricordiamo molte specie di acari e vari insetti, quali i pidocchi e le pulci.
Il parassitismo può essere accidentale oppure obbligatorio. Il primo si riferisce a organismi animali o vegetali che conducono normalmente vita libera, ma che, una volta penetrati nell’ospite, passano a vivere come parassiti. Il secondo, invece, si riferisce a organismi che dipendono, per almeno una parte del loro ciclo biologico, dall’ospite senza il quale non possono completare la loro crescita e la loro riproduzione. La maggior parte degli endoparassiti umani compie il suo ciclo vitale in ospiti diversi, quali animali vertebrati o invertebrati. In questo caso l’ospite obbligato in cui si svolge la fase del ciclo vitale che porta alla riproduzione prende il nome di ospite definitivo, mentre l’ospite in cui il parassita compie una fase del proprio ciclo biologico, dando origine alle forme infettanti che sono trasmesse poi all’ospite definitivo, è detto ospite intermedio.
Tra i numerosi endoparassiti dell’uomo, gli elminti, o vermi, spiccano per la loro diffusione e, in certi casi, per la gravità delle malattie che possono provocare. Essi sono in genere rivestiti di sostanze che l’ospite riconosce come estranee (antigeni): ciò innesca una serie di risposte immunitarie che possono danneggiare gli organi. I vermi parassiti, inoltre, per sopravvivere utilizzano il sangue dell’ospite, spesso causandogli grave anemia e quindi uno stato di affaticamento cronico. In generale, molte malattie, anche gravi, dovute a parassiti possono essere evitate con la prevenzione, che spesso consiste nell’adottare adeguate misure igieniche, come evitare di mangiare cibi sospetti, quali carni o pesci crudi o poco cotti, non fare il bagno né lavarsi in acque contaminate e astenersi da eccessiva familiarità con animali in grado di trasmettere le uova o le larve di parassiti che poi si installano nel nostro corpo.
Cari amici, considerato che questi “sgraditi ospiti sono un bel numero e che di alcuni vorrei parlarne in dettaglio, per oggi ci fermiamo alla loro conoscenza generale, così non vi affatico più di tanto. Domani vedremo in dettaglio  il comportamento dei più importanti di questi organismi, partendo proprio dai vermi, i parassiti più comuni, per arrivare ai pidocchi e all’acaro della scabbia, ancora abbastanza diffusi, soprattutto nell’età scolare.
Grazie della Vostra attenzione, a domani!
Mario