venerdì, luglio 18, 2025

IL “PEOPLE PLEASING”: QUEL COMPORTAMENTO CHE CI PORTA A COMPIACERE SEMPRE GLI ALTRI, SACRIFICANDO IL NOSTRO VALORE.


Oristano 18 luglio 2025

Cari amici,

A tanti di noi è certamente successo, in più di una circostanza, di dover dire “SI” ad una richiesta, seppure dentro di noi avremmo voluto dire “NO”. Si, succede spesso che, per accontentare qualcuno, sacrifichiamo il nostro pensiero, la nostra volontà, i nostri bisogni, per accontentare quelli degli altri. Questo comportamento a volte può avere una giustificazione, ma quando dovesse diventare prassi, ovvero utilizzato come norma, siamo già caduti nella trappola del “PEOPLE PLEASING”. Certamente, dire sempre SI, accontentare sempre gli altri, sacrificando il nostro pensiero, il nostro valore, significa diventare succubi degli altri, svilendo così il nostro potenziale.

Alla base del comportamento del PEOPLE PLEASING ci sono certamente diversi fattori, tra cui bassa autostima, insicurezza e paura dell’abbandono (maturato in età infantile). Si, a questo proposito, giocano un ruolo determinante i traumi subiti nell’adolescenza, spesso vissuti in un contesto socio-culturale negativo. Nella maggior parte dei casi, infatti, i PEOPLE-PLEASER si portano appresso le adolescenti paure dell’abbandono, nate come conseguenza di traumi relazionali e di attaccamento vissuti nell’infanzia; la negativa esperienza infantile ha creato in loro dei limiti pericolosi, privati della facoltà di affermare ed esprimere i propri bisogni, la propria individualità, in quanto ciò avrebbe necessariamente comportato sentimenti di colpa o di vergogna, oltre a condizioni di giudizio o separazione.

Se, nel corso della sua infanzia, il bambino cresce in un’atmosfera familiare repressiva ed evitante, da adulto è destinato a diventare un PEOPLE-PLEASER, che cercherà sempre di compiacere gli altri, a costo di sacrificare la sua verità interiore. In altre parole, potrà diventare una persona che vivrà nella sofferenza di dover mettere i propri bisogni in secondo piano per sopravvivere, e a lottare in continuazione per mantenere un equilibrio mentale. Questo anomalo comportamento, nel lungo termine, crea “dipendenza” (“Se dico quello che penso, gli altri mi rifiuteranno”), trasformando il People Pleaser in un individuo tarato, malato di servilismo e adulazione.

Il people pleasing porta con sé, inevitabilmente, delle conseguenze negative nel soggetto, che, una volta resosi conto del meccanismo perverso che lo avviluppa, può e deve modificare questo suo status di negatività. Lo può fare mettendo se stesso al primo posto! Smettere di compiacere gli altri è possibile, anche se richiede tempo, ma consente di ritrovare gradualmente un giusto equilibrio tra le proprie esigenze e quelle altrui. Vediamo come è possibile riuscirci.

Per prima cosa bisogna iniziare a comprendere se stessi, diventando consapevoli delle proprie motivazioni; ciò significa lavorare sull’autostima, alimentando la fiducia nelle proprie forze, senza il bisogno di aspettare le conferme esterne. Una volta che il soggetto è arrivato ad essere conscio della propria immagine positiva, e non più dipendente dagli altri, può tranquillamente arrivare a dire “no” agli altri senza sudditanza o senso di colpa.

Amici, ovviamente deve farlo agendo con intelligente fermezza, in modo tale da stabilire con precisione i confini tra lui e gli altri, preservando il proprio spazio personale. Infine, deve imparare a “Praticare l’assertività”. È questa la chiave di una buona comunicazione, che significa esprimere i propri pensieri e bisogni in un modo chiaro, che non sia né passivo né aggressivo. Essere assertivi significa saper affermare sé stessi senza prevaricare gli altri.

Cari amici,  se è pur vero che l’uomo è un animale sociale, che la vita di relazione è fondamentale per una pacifica convivenza, dobbiamo prendere atto, considerato che ognuno di noi è un mondo a sé, che, purtroppo risulta impossibile piacere a tutti! Allora dobbiamo entrare nell’ordine di idee che non è possibile accontentare tutti, come – allo stesso tempo . non è possibile essere apprezzati da tutti. Allora, difendiamo sempre il nostro spazio personale, pretendendo sempre il rispetto dagli altri, ridandolo, ovviamente, nella stessa, identica misura.

A domani.

Mario

giovedì, luglio 17, 2025

IL CURIOSO SIGNIFICATO DELLA PAROLA “SCRUPOLO”. DI ORIGINE LATINA, QUESTO TERMINE STAVA AD INDICARE QUEL FASTIDIOSO SASSOLINO NELLA SCARPA...


Oristano 17 luglio 2025

Cari amici,

Nel nostro linguaggio corrente, ci capita spesso di usare la parola "SCRUPOLO". È questo un termine le cui origini sono datate, perché la parola deriva dal latino “Scrupulus”, che stava ad indicare quel fastidioso sassolino appuntito che, una volta insediatosi tra il piede e i sandali, creava non poco fastidio. Il significato attuale di questa parola, consultando un vocabolario, assume invece il significato di "avere un dubbio o un'esitazione che ci morde la coscienza, relativamente a qualcosa da noi fatta che ci rimane in dubbio che sia giusta o sbagliata". Ma come si è arrivati ad utilizzare in senso virtuale questa antica parola?

Amici, nell’Antica Roma i famosi soldati, chiamati legionari, erano avvezzi a lunghissime camminate, durante le quali marciavano senza sosta per molte miglia. All’epoca indossavano dei sandali aperti in cuoio, e, considerate le strade dell’epoca, capitava spesso che degli insidiosi sassolini si infilassero nelle loro CALIGAE, i loro sandali militari. Queste minuscole pietre appuntite, che si incastravano tra la suola e il piede, provocavano loro un fastidioso disagio costante. Il soldato, a quel punto, aveva solo due strade da percorrere: sopportare il dolore e continuare la marcia, oppure fermarsi per togliere il sassolino, rischiando, però, la punizione per aver rallentato il viaggio della truppa.

In realtà erano entrambe soluzioni pericolose, insomma, una scelta difficile da effettuare! Loro erano l’ultima ruota del carro, e pagavano sempre di persona le conseguenze, mentre i loro capi, a partire dai senatori, tribuni e altri uomini di potere, viaggiavano comodamente a cavallo o seduti in un carro! Per loro non vi potevano essere dei possibili “Scrupulus” capaci di creare fastidiosi problemi, in quanto non avevano di certo sassolini da sopportare nei calzari! Ai grandi, di ieri e di oggi, i fastidi (quelli sempre in capo alla gente comune) vengono sempre risparmiati, senza Se e senza Ma. Ecco da dove nasce l’idea che chi ha potere  spesso "non ha scrupoli": perché non sente il fastidio morale che rallenta le persone comuni.

Col passare del tempo, lo “Scrupolo”, da pietra vera, fastidiosa e appuntita, ha assunto una “veste figurata”, diventando quel piccolo disturbo della mente o della coscienza. Si, amici, un “sassolino interiore”, che ci tormenta e non ci lascia vivere tranquilli, che ci punge e ci riempie di dubbi, martellandoci e preoccupandoci. Dubbi che non tormentano solo nei nostri giorni, in quanto questa metafora era già ben viva e attiva nell’antica Roma. Cicerone, per esempio, parlava di "Crupulus conscientiae", il sassolino della coscienza, dove anche i piccoli dettagli potevano diventare fonte di preoccupazione.

Amici, viviamo nel Terzo Millennio, e usiamo quotidianamente al termine “SCRUPOLO”. Ma, oggi, con quale significato? Questo proverbiale "sassolino nella scarpa", seppure virtuale, resta, oggi come ieri, capace di turbare le nostre coscienze. Lo scrupolo ci fa sentire gravemente inadempienti nei confronti delle leggi morali e religiose, dei nostri doveri di cittadini e di cristiani. Avere degli scrupoli è diventato un serio problema psicologico che procura grandi sofferenze: ansia, inquietudine: un continuo esame sui nostri pensieri, azioni e omissioni! Insomma, un sassolino virtuale che ci crea momenti di profondo sconforto.

Cari amici, col tempo, quella piccola pietra aguzza che si infilava nei sandali dei soldati romani. è diventata un grande simbolo di coscienza: si è trasformata in un dubbio interiore, che ci punge quando abbiamo fatto qualcosa che non ci sembra giusta. E così che è nato questo campanello d’allarme, questo avviso! "Avere degli scrupoli" è diventato un segno di grande sensibilità morale. Ovviamente nelle persone dotate di vero senso di responsabilità, perché, in fondo, chi non ha scrupoli non sente neanche quel piccolo, scomodo sassolino dell’etica nella scarpa della coscienza.

A domani.

Mario

mercoledì, luglio 16, 2025

IL MISTERO (SEGRETO) DELLA FELICITÀ. LE DIVERSE OPINIONI, DAL DALAI LAMA AL FILOSOFO JOSÈ ANTONIO MARINA.


Oristano 16 luglio 2025

Cari amici,

La “FELICITÀ”, ovvero l’essere felici, è uno dei desideri più ambiti dell’uomo.  Ma in realtà cos’è LA FELICITÀ? Non è facile definirla! Di certo si fa molto prima a dire “Cosa non è la felicità”, che arrivare ad esprimere ciò che essa in realtà è! Insomma, arrivare ad essere felici è un traguardo sempre più ricercato ma sempre più difficile da raggiungere! A parole, alla domanda “Cosa è la felicità? Potremmo rispondere, serenità, gioia, estasi, contentezza, compiacimento, spensieratezza, allegria, soddisfazione, buon umore, ottimismo, eccitazione, entusiasmo, e molto altro, ma alla fine sentirsi davvero felici è proprio difficile!

Secondo il filosofo e psicoterapeuta Umberto Galimberti, nel suo Dizionario di Psicologia, descrive così la felicità: “La felicità è quella condizione di benessere di rilevante intensità, caratterizzata dall’assenza di insoddisfazione e dal piacere connesso alla realizzazione di un desiderio. Nel suo nesso con il desiderio, la felicità rivela il suo carattere circostanziale, cioè il suo legame a condizioni di fatto complessive e transitorie, da cui dipende anche la sua caducità”. Che dire, amici, parole sagge, da grande studioso, ma difficili da comprendere e, soprattutto, da mettere in pratica!

Amici, in parole più semplici, LA FELICITÀ è quel piacevole stato emotivo positivo, caratterizzato da soddisfazione e benessere; può derivare da esperienze piacevoli, relazioni appaganti o il raggiungimento di certi obiettivi. È influenzata da fattori biologici, psicologici e ambientali, e chi è felice, ha sempre un comportamento positivo: tende a sorridere spesso, si sente più energico ed è in grado di affrontare la vita con ottimismo. Altra nota positiva è che la felicità riduce lo stress, migliora la qualità del sonno e rafforza il sistema immunitario. Inoltre, l’essere felici favorisce l’instaurarsi di relazioni sociali positive e anche una maggiore produttività.

Quando siamo felici, il nostro corpo e il nostro cervello reagiscono in diverse maniere, coinvolgendo una serie di processi fisiologici, neurochimici ed emotivi. Ecco alcuni degli effetti che la felicità scatena: quando siamo felici, il cervello rilascia neurotrasmettitori come la dopamina, la serotonina e le endorfine; questi neurotrasmettitori sono coinvolti nella regolazione dell'umore e della motivazione, e il loro rilascio contribuisce a crearci sensazioni di gioia, gratificazione e benessere. In generale, sentirsi felici ha un impatto positivo sul nostro corpo e sulla mente, promuovendo il benessere generale e contribuendo a una migliore qualità della vita.

Amici, prima di chiudere questa mia riflessione, voglio riportare a Voi, cari lettori, il pensiero sulla felicità di due grandi personaggi: il DALAI LAMA e il filosofo JOSÈ ANTONIO MARINA. Il Dalai Lama è la massima autorità buddista tibetana, la guida spirituale del popolo del Tibet, che negli ultimi decenni (a causa del suo esilio) è diventato una figura importante anche per noi occidentali. Il motivo per cui i suoi insegnamenti hanno un appiglio così universale è la chiarezza con cui descrive la sua ricetta per una vita sana e felice. Per il DALAI LAMA il significato di felicità è alquanto ampio, e non si limita al piacere del possesso, dell’avere, poiché sempre alla ricerca di ciò che ci manca.

La felicità è legata al nostro modo di vivere, e l’essere felici è considerato, spesso, qualcosa di irraggiungibile e sfuggevole. La vera felicità, afferma il Dalai Lama, è dentro di noi: ed è quel sentimento che ci permettere di apprezzare quello che abbiamo e di non soffrire per quello che non abbiamo. È, inoltre, un rapporto pacifico con il mondo e con sé stessi, uno stato di appagamento e apertura verso gli altri, un sentimento di fiducia e di calma. Per il Dalai Lama, “A renderci felici è il nostro atteggiamento mentale", che sta a significare che la vera felicità è qualcosa di stabile e durevole, che resta dentro di noi nonostante gli alti e i bassi della vita e le normali oscillazioni dell’umore.

Ecco, ora, il parere del filosofo JOSÈ ANTONIO MARINA. Per questo filosofo, non più giovane, essendo già arrivato all’età di 85 anni, la felicità va oltre quella individuale, perché deve coinvolgere anche gli altri. Per Lui la vera felicità è quella pubblica, più che quella individuale. L'obiettivo finale dell’uomo, infatti, dovrebbe essere quello di raggiungere la “FELICITÀ PUBBLICA”. Spesso, dice il filosofo, la nostra felicità si scontra con la felicità degli altri; quindi dobbiamo adoperarci, in qualche modo, per coordinare con gli altri i diversi progetti di felicità personale che abbiamo. “Questo tipo di felicità estesa è ciò che l'Illuminismo chiamava Felicità pubblica, ovvero la felicità della Società. Una situazione sociale auspicata, che ognuno di noi vorrebbe vivere, perché è in questo modello sociale che saremmo maggiormente tutelati. Vivere in una società pacifica, in cui i diritti sono riconosciuti, dove c'è la tutela legale per tutti e dove sono presenti politiche di aiuto che non tollerano discriminazioni ingiustificate". Questo il saggio pensiero del filosofo José Antonio Marina.

Cari amici, sul difficile raggiungimento della felicità, credo che ci sia poco altro da aggiungere…

A domani.

Mario

martedì, luglio 15, 2025

NASCE AL POLITECNICO DI ZURIGO UNA RAFFINERIA CHE PRODUCE CARBURANTE DAL SOLE E DALL'ARIA. NON È FANTASCIENZA MA REALTÀ.


Oristano 15 luglio 2025

Cari amici,

Può sembrare una favola, mentre invece è proprio una grande realtà. Alcuni ricercatori e ricercatrici del Politecnico di Zurigo hanno studiato e messo in funzione un interessante procedimento di raffinazione, dal quale si ottiene un carburante “pulito”, ricavato dal sole e dall’aria. La mini raffineria solare dimostrativa è stata realizzata sul tetto di uno degli edifici universitari nel centro della città. L’importante scoperta, che può portare a sviluppi straordinari, appare davvero di estremo interesse.

In realtà l’idea di una raffineria in grado di produrre carburante utilizzando la luce solare e l'aria che ci circonda e respiriamo, appare proprio fantascienza, mentre, secondo alcuni scienziati svizzeri è una realtà. Oltre ad affermarlo, i ricercatori del Politecnico di Zurigo (il cui Rettore è italiano di Merano - Günther Dissertori), lo hanno dimostrato, riuscendo a creare un metodo per produrre con questi due elementi dei “carburanti sostenibili”, potenzialmente ottenibili su larga scala. Ora si può passare dal prototipo, da loro realizzato, alla costruzione in serie per arrivare, quanto prima, alla diffusa, concreta realizzazione degli impianti con questa nuova tecnologia.

Questa prima mini-raffineria solare, appollaiata sul tetto dell’Università di Zurigo, appare a chi guarda come una semplice installazione bianca, con una torretta che, curiosamente, sembra uscita da un film di James Bond, quando la parabola esce dal suo involucro e punta al cielo. Ma la sua funzione, amici, non è quella di intercettare, da parte del famoso agente segreto, le comunicazioni secretate. La sua funzione è quella di produrre carburanti a impatto zero, a partire dall’aria e dalla luce solare.

Dopo tutta una serie di studi di fattibilità durati due anni, il team di ricerca ha appurato che l’impianto dimostrativo ha confermato il regolare, “stabile e affidabile” funzionamento del processo di produzione di combustibile solare. Il professor Aldo Steinfeld del Department of Mechanical and Process Engineering - ETH Zurich,  che guida il gruppo di ricerca, ha dichiarato: “È stata una straordinaria odissea, con fallimenti e successi”, come ha raccontato l’avventura a SWI swissinfo.Ch. Ma vediamo, seppure in estrema sintesi, come funziona questo interessantissimo processo.

Il processo è complesso ma allo stesso tempo brillante. Nella prima fase avviene il processo di “Cattura dell’aria” (Direct Air Capture); l’impianto aspira l’aria atmosferica e, tramite speciali materiali assorbenti, separa due ingredienti fondamentali: CO₂ (anidride carbonica) e H₂O (vapore acqueo). Queste due sostanze sono la “materia prima” del carburante artificiale. Nella seconda fase, inizia il lavoro il  “Reattore solare a concentrazione”. Qui avviene la vera magia: un enorme specchio parabolico concentra la luce solare in un punto focale, raggiungendo temperature superiori ai 1.500 °C. All’interno del reattore c’è un materiale ceramico chiamato ossido di cerio (CeO₂), che agisce da catalizzatore redox.

A questo punto nella miscela che si crea si riduce, con il calore estremo, l’ossigeno; poi, una volta raffreddato, il composto lo riacquista, sottraendolo da CO₂ e H₂O iniettate nel reattore. Così facendo, viene rilasciato syngas, una miscela esplosiva (in senso tecnico) di monossido di carbonio (CO) e idrogeno (H₂). Nella fase 3 avviene la Sintesi del carburante (Fischer-Tropsch o metanolo): il syngas ottenuto viene poi convogliato in un secondo modulo, dove si verifica la sintesi chimica del carburante. A seconda del catalizzatore usato, si ottiene: Cherosene sintetico (ideale per aerei), Metanolo (per auto, caldaie o come base industriale). Questo carburante è chimicamente identico a quello fossile, ma prodotto senza inquinare.

Amici, ci si domanda: Perché questo impianto è da considerarsi così importante? Intanto: Emissioni nette zero: la CO₂ emessa quando il carburante viene bruciato è la stessa che è stata assorbita all’inizio del processo; Compatibilità totale: può essere usato nei motori attuali, senza doverli modificare; Fonte illimitata: aria, sole e acqua sono disponibili ovunque; Impianto adattabile ovunque ci sia sole forte: deserti, tetti industriali, zone aride. Una delle ipotesi avanzate dagli scienziati e che, se si coprisse meno dell’1% del Sahara con impianti simili, si potrebbe produrre tutto il carburante necessario all’aviazione mondiale. Un sogno che presto potrebbe avvicinarsi alla realtà.

Cari amici, credo che quella di cui parliamo sia una scoperta davvero interessante, capace di aprire la strada alla produzione industriale di combustibili sintetici puliti, in grado di mettere al bando i combustibili fossili, quali cherosene, benzina e diesel. Un passo importante verso quella transizione ecologica capace di rendere i trasporti a lunga distanza marittimi e aerei più sostenibili. Questi due settori sono responsabili dell’8% delle emissioni globali di gas a effetto serra. Seppure molto lavoro resti ancora da fare, credo che sia la via giusta da intraprendere.

A domani.

Mario

lunedì, luglio 14, 2025

SCOPERTO DAGLI STUDIOSI UN COLEOTTERO CHE RICAVA ACQUA DALL'ARIA: È L'ONYMACRIS BICOLORE, ABITANTE DEL DESERTO AFRICANO.


Oristano 14 luglio 2025

Cari amici,

Un gruppo di scienziati della Jilin University cinese, dello Smart Materials Lab della New York University di Abu Dhabi e del Center for Smart Engineering Materials, ha sviluppato un interessante studio sulla particolare capacità di alcuni coleotteri, abitanti del deserto africano, di ricavare acqua dall’aria. Lo studio pubblicato sul Journal of the American Chemical Society spiega in modo dettagliato la straordinaria capacità di questi scarafaggi di ricavare acqua dall’aria. Nel deserto, come ben sappiamo non ci sono fonti di approvvigionamento idrico, per cui chi ci vive abitudinariamente, deve faticare non poco a sopravvivere, data l’estrema calura che richiede un costante bisogno di acqua.

Amici, mentre la specie umana cerca in vari modi di ricavare acqua dolce, magari dissalando quella del mare, per gli animali che abitano il deserto il problema diventa molto più complicato. Per questi l’unica fonte contenente acqua è l’aria, una grande risorsa, come ben sappiamo di acqua, ma come ricavarla? Per la specie umana, come succede negli emirati arabi il problema appare più semplice: ricorrere alla desalinizzazione, un procedimento ampiamente utilizzato per produrre acqua potabile, che risolve il problema eliminando il sale dall’acqua. Ma per gli animali? Ecco cosa si è scoperto.

Amici, sono stati gli scienziati prima accennati a scoprire un fatto inusuale: il comportamento di un ingegnoso coleottero, l'Onymacris bicolore, abitante del deserto africano, che riesce a ricavare acqua dall’aria. Vediamo come. Questo coleottero, che vive in quel torrido deserto del Namib (è detto anche ‘scarafaggio delle dune), riesce a raccogliere acqua dall’umidità presente nell’aria, condensandola sul proprio esoscheletro. Questo scarafaggio ha un particolare corazza, rivestita da piccole protuberanze idrofile e da una copertura cerosa idrofoba. È questa a giocare un ruolo fondamentale nella raccolta dell’acqua, in quanto delle minuscole irregolarità e protuberanze superficiali sono presenti sul dorso di questo coleottero.

Nello specifico, le parti del corpo dell’insetto che presentano queste protuberanze sono chiamate elitre, che costituiscono il rivestimento di protezione che ricopre le ali e l’addome dell’insetto. Quando l’insetto si arrampica sulla cima delle dune desertiche sollevando la parte posteriore del suo corpo, fa sì che i piccoli rigonfiamenti idrofili sul suo esoscheletro agiscano come calamite per raccogliere le particelle di umidità presenti nell’aria umida. Grazie a questo rivestimento, le gocce d’acqua si aggregano e scivolano verso la bocca del coleottero, dissetandolo nell’arido deserto.

Amici, questo strano coleottero ha il corpo costruito proprio ingegnosamente: il suo esoscheletro, essendo idrofilo (cioè, che non respinge l’acqua), accumula umidità dall’aria formando acqua liquida, che, attraverso dei piccoli canali (che sono idrofobi) la incanalano verso le sua bocca! Da questa acuta osservazione il team di scienziati ha avuto una brillante idea: creare qualcosa che riuscisse a replicare questo comportamento duale: da una parte assorbente l’aria umida e dall’altra repellente per portare l’acqua alla bocca.

Secondo i dati dell’agenzia ambientale americana USGS (United States Geological Survey), l’atmosfera terrestre conterrebbe circa 13.000 chilometri cubi d’acqua, una risorsa preziosissima che aspetta solo di essere sfruttata. Più facile a dirsi che a farsi, come ha ricordato il professore di chimica della New York University Abu Dhabi, Pance Naumov, che ha guidato il gruppo di ricercatori: “È un’acqua che non contiene sali; quindi, non abbiamo bisogno di usare alcuna energia per desalinizzarla e vorremmo raccoglierla, ma non ci sono modi efficienti per farlo e convertirla in acqua potabile”.

Ma ecco arrivare, da parte degli scienziati, l’idea brillante: ispirarsi all’ingegnosità della natura per trovare una soluzione al problema. L’ispirazione è arrivata osservando proprio il coleottero del deserto africano prima descritto, e cercando di replicarne il funzionamento. Il Team guidato dal professor Naumov è riuscito a creare uno straordinario materiale cristallino, in grado di replicare la funzione svolta dal coleottero, ricavando acqua senza bisogno di fornire energia dall’esterno. L’acqua prodotta dall’aria viene raccolta in un’area idrofila per condensazione e poi trasportata attraverso un’area idrofoba fino ad un recipiente. La caratteristica principale di questi particolari cristalli è quella di avere contemporaneamente una parte idrofila e una idrofoba.

Cari amici, La natura non smette mai di sorprenderci: come dimostra l’esempio di oggi, con protagonisti dei minuscoli coleotteri. Mentre miliardi di persone in tutto il mondo faticano ad accedere all'acqua potabile, i ricercatori hanno fatto, utilizzando l'esperienza della natura, una scoperta straordinaria che potrebbe cambiare il futuro della scarsità d’acqua nel pianeta. Madre Natura, come spesso accade, ha in serbo delle straordinarie soluzioni geniali, sta a noi scoprirle con intelligenza!

A domani.

Mario

domenica, luglio 13, 2025

UNA RECENTE PROPOSTA LANCIATA DA ESPONENTI DEL GOVERNO: UTILIZZARE IL TFR PER ANDARE PRIMA IN PENSIONE. UN ESEMPIO: IN PENSIONE A 64 ANNI CON 1.500 EURO AL MESE.


Oristano 13 luglio 2025

Cari amici,

In campo pensionistico c’è una interessante proposta al vaglio del Governo: utilizzare il TFR maturato e in mano all’INPS, per consentire a chi ha necessità di andare in pensione di farlo in anticipo: ad esempio a 64 anni, garantendogli una pensione di almeno 1.500 euro mensili. Per ora è solo una proposta, ma un “pensionamento anticipato” di questo tipo potrebbe diventare più accessibile grazie all’utilizzo del TFR. Il Governo, infatti, sta pensando di introdurre tale provvedimento nella prossima manovra economica.

Finora per i lavoratori italiani, il Trattamento di Fine Rapporto (TFR) – o Trattamento di Fine Servizio (TFS) per i dipendenti pubblici – è stato a lungo considerato una sorta di “tesoretto” accantonato nei lunghi anni di servizio e da riscuotere al termine della carriera. Un accantonamento pari a circa una mensilità per ogni anno di lavoro prestato. Negli ultimi anni di lavoro questo tesoretto ha consentito di realizzare molti sogni: acquistare una piccola casa vacanze, una dimora al figlio, oppure l’acquisto di un orto da coltivare.

Ora, invece, in seguito all’iniziativa del sottosegretario al Lavoro, Claudio Durigon, esponente della Lega, il TFR ritorna in auge per essere utilizzato in altro modo. L’idea si basa praticamente sulla nota Rendita Integrativa Temporanea Anticipata (RITA). Per chiarezza, RITA in passato era una prestazione che permette agli iscritti a fondi pensione di ricevere anticipatamente una parte o l'intero capitale accumulato, sotto forma di rendita, fino al raggiungimento dell'età pensionabile. In pratica, è un modo per trasformare il capitale del fondo pensione in una rendita mensile o trimestrale per il periodo che intercorre tra la cessazione dell'attività lavorativa e il pensionamento di vecchiaia.

Ora, in altre parole, per consentire di andare prima in pensione, si potrebbe ricorrere ad una parte del capitale accumulato nei fondi pensionistici integrativi, che verrebbe impiegato per raggiungere il requisito minimo richiesto per l’assegno pensionistico, ossia tre volte il valore dell'assegno sociale. In pratica, se l’iniziativa fosse accolta, i lavoratori, una volta raggiunti i 64 anni e con versamenti contributivi superiori a 20 anni, potranno utilizzare una parte del TFR versato nei fondi pensionistici per colmare eventuali contributi mancanti e raggiungere il requisito di una pensione pari a tre volte il minimo.

Secondo il sottosegretario al Lavoro Claudio Durigon, in questo modo si aiuterebbero i lavoratori più giovani, che rischiano di avere pensioni basse con il sistema contributivo, garantendo loro un assegno di almeno 1.500 euro al mese. Un ulteriore vantaggio consiste nella riduzione, da parte dello Stato, dell’esigenza di effettuare interventi integrativi delle pensioni minime, rappresentando altresì un primo passo verso la revisione della Legge Fornero, che attualmente prevede l’età pensionabile a 67 anni con almeno 20 anni di contributi.

Sempre da parte di esponenti dell’attuale Governo, si discute, inoltre, dell’eliminazione del pensionamento obbligatorio a 67 anni per i dipendenti pubblici, nonché dell'introduzione di incentivi per incoraggiare i lavoratori, sia pubblici che privati, a prolungare la loro attività nonostante abbiano raggiunto i requisiti pensionistici. Indubbiamente, questo meccanismo, se reso operativo, consentirebbe di rinnovare, di ringiovanire il parco lavoratori, inserendo al posto dei neo-pensionati forze giovani.

Cari amici, a mio avviso, si potrebbe anche andare un po’ oltre! Perché non consentire anche a chi è vicino ai 63 anni di utilizzare il proprio TFR come ponte verso la pensione? Un’ipotesi che, seppure necessiti di un impianto normativo specifico, potrebbe rappresentare una risposta concreta al ringiovanimento lavorativo, inserendo “forze fresche”, ovvero validi giovani preparati, facendo godere la pensione a chi la sogna da una vita!

A domani.

Mario

 

sabato, luglio 12, 2025

C'È UN ANIMALE CON UN'INTELLIGENZA QUASI UMANA: È IL CORVO. LA SUA INTELLIGENZA ARRIVA ANCHE A RICORDARE I TORTI SUBITI PER ANNI!


Oristano 12 luglio 2025

Cari amici,

I CORVI sono considerati gli uccelli più intelligenti del pianeta. Appartengono alla famiglia dei Corvidi (Corvidae), che fa parte dell'ordine dei Passeriformi e della classe degli Uccelli. La specie che identifica il corvo è il "Corvus", che include varie specie, come il corvo comune (Corvus frugilegus) e il corvo imperiale (Corvus corax). I numerosi studi scientifici su questo curioso animale hanno accertato che hanno una grande intelligenza: sono in grado di capire in modo straordinario, come ad esempio ricordare per lungo tempo i volti umani che hanno avuto modo di conoscere negli anni.

Si, il loro cervello, per quanto piccolo, è in grado ri ricordare le conoscenze fatte, entrare senza problemi in relazione con gli umani, sia in modo positivo che negativo. Per esempio, un corvo, se lo infastidisci una volta, non lo dimenticherà mai più, anche per decenni, e non saprà e vorrà perdonarti. Gli studi effettuati hanno accertato che possono ricordare i volti umani per oltre 17 anni. Inoltre, sono in stretta relazione con i loro simili: i corvi si avvertono tra loro su chi non gradiscono. Insomma, queste creature dalla livrea nera fanno delle vere e proprie “liste nere” dei personaggi a loro non graditi!

Le straordinarie capacità di questo volatile sono note fin dalla metà dell‘800. Da sempre le capacità intellettuali dell’uomo occupano il posto più alto nella scala degli abitanti del pianeta. Mai è stata messa in discussione la convinzione che l’uomo sia, se non l'apice dell'evoluzione, per lo meno l’animale più intelligente. Insomma, siamo convinti di fare sempre 4 a 0 alla possibile intelligenza degli altri esseri viventi! Il fatto che certi uccelli o tartarughe marine siano in grado di orientarsi con il magnetismo terrestre per le loro migrazioni non sembra, comunque, scalfire la nostra presunzione di essere sempre i migliori.

Da decenni però gli studiosi di comportamento e cognizione animale stanno contribuendo ad abbattere certe stratificate convinzioni. Ad esempio, risulta ben evidente il fatto che gli scimpanzé, alcune scimmie e alcuni corvidi, sono in possesso di una proprietà nota come teoria della mente, ovvero la capacità di attribuire stati mentali (desideri, intenzioni, conoscenze, credenze) a se stessi o ad altri individui: “io so che tu sai che dietro quell’albero c’è del cibo, quindi mi comporto di conseguenza”. Gli esseri umani sono molto bravi a fare questo genere di inferenze, e, secondo lo psicologo e scienziato cognitivo Michael Tomasello questa capacità sarebbe alla base dello sviluppo di una coscienza di sé prima e della complessa cultura umana poi.

Amici, la natura ci sta rivelando, giorno dopo giorno, che abbiamo ancora tanto da scoprire, nell’analizzare la perfezione che alberga negli esseri viventi e che consente di vivere insieme agli altri in modo praticamente perfetto. Tornando ai nostri corvi, essi hanno dimostrato di avere abilità cognitive paragonabili a quelle di certi mammiferi (come alcuni primati): sanno maneggiare strumenti, comprendere concetti astratti, stabilire nessi causali tra oggetti. Questo nonostante le dimensioni del loro cervello siano molto più modeste: più piccole quelle dei corvi, ben più grandi quelle dei primati.

L’esperimento realizzato qualche anno fa all’Università di Tübingen, che si è guadagnato addirittura la copertina della rivista SCIENCE, secondo gli autori, dimostrerebbe la presenza di attività neuronale cosciente in una popolazione specifica di neuroni del pallio degli uccelli, in particolare dei corvi. Si, i corvi sono in grado di portare a termine compiti che suggeriscono la capacità di stabilire nessi causali. Insomma, amici, primati e corvi potrebbero essersi evoluti in maniera indipendente nei rispettive direzioni, oppure potrebbero averla ereditata da un antenato comune, vissuto magari molti milioni di anni fa!

Cari amici, gli studi e gli esperimenti fatti, seppure di grande interesse, non sono certo decisivi per stabilire e dimostrare la presenza di attività cosciente in alcuni animali come i corvi e i primati, comunque gli studi sono concordi nello stabilire gli importanti passi avanti fatti. Insomma, il forte convincimento che l’uomo sia l’unico a possedere certe capacità, comincia a vacillare…

A domani.

Mario