venerdì, luglio 26, 2024

“EDUCARE”...UN VERBO DIFFICILE DA APPLICARE! L'ARDUO COMPITO DEI GENITORI, CHE, PER CORREGGERE, DEBBONO ANCHE PUNIRE.


Oristano 26 luglio 2024

Cari amici,

Fermo restando che praticamente tutti concordiamo sul fatto che mai e poi mai si debbano usare forme violente di correzione sui bambini, è anche vero che non bisogna nemmeno arrivare a farli crescere senza applicare nessuna forma di correzione-sanzione! Va dunque, ben distinto, l’intervento educativo e correttivo selettivo, capace di riuscire a controllare certe forme di rifiuto educativo che certi bambini manifestano. Se la storia, come è ben noto è sempre da considerare e apprezzare (lo affermava anche Cicerone in “Historia magistra vitae”), non dimentichiamo che anche nel lontano passato l’educazione prevedeva determinati provvedimenti da prendere nei confronti dei figli poco osservanti.

Si, amici, per esempio,  l'uso della ciabatta come “strumento pedagogico” e coercitivo era alquanto utilizzato fin dall'antichità classica; nel mondo greco,  da cui deriva la gran parte della filosofia occidentale, anche gli Dei dell’Olimpo mostravano nei confronti della prole dei “metodi di educazione” che prevedevano interventi corporali, seppure poco invasivi. In diversi vasi, mosaici e sculture, è evidenziata la dea Afrodite che, sicuramente per aver messo in atto un comportamento poco consono, colpisce il figlio Eros con una ciabatta!

Il motivo di queste frequenti punizioni risiederebbe nel carattere incontrollabile di EROS, dio dell’Amore, cosa che spingeva la mamma-dea a usare queste “tecniche di educazione”. Essendo questo comportamento educativo alquanto in uso, in un mosaico ritrovato in Giordania c’è un altro esempio di utilizzo della “ciabatta volante“, stavolta anche con l’aiuto di una complice. Insomma, l’educazione dei figli, anche nella mitologia non è mai stata una passeggiata!

Cari lettori, col passare dei secoli, educare la prole è sempre rimasto un compito arduo. Fino alla prima metà del secolo scorso, comprendente quindi anche quelli della mia generazione, il “lancio della ciabatta”, quando non si arrivava anche ai due classici schiaffi o AGLI SCULACCIONI, per punire le marachelle, era la norma. Poi, a partire dalle generazioni successive, molto è cambiato. Sia in famiglia che a scuola. Se è pur vero che la vita di tutti noi è cambiata tantissimo, pensare di educare senza punizioni appare un compito a dir poco impossibile.

Oggi entrambi i genitori lavorano, per cui risultano carichi di tanto stress, con la conseguenza di non poter essere sempre pazienti con i propri figli. Sono tante le famiglie con simili situazioni, per cui è la norma arrivare stanchi e stressati a casa a fine giornata. È probabile che seppure le mamme e le nonne che lanciavano la ciabatta non avessero i mille impegni di lavoro che abbiamo noi oggi, anche loro con certi comportamenti perdevano la bussola e non riuscivano a controllare le emozioni di rabbia e frustrazione.

Come riuscire, allora, ad essere dei buoni genitori educativi? Se una sculacciata o uno schiaffo sono ritenuti un atto di violenza, non è violenza anche “fare il muso” al bambino che sbaglia evitando il dialogo? Un bambino che affronta i prolungati silenzi di un genitore come forma di punizione, è un bambino che va in pallone, che sente di non esistere più, di non contare più nulla! In lui cresce l’dea per cui “se non faccio ciò che gli altri trovano giusto… smetto di esistere”. Amici, siamo certi che i silenzi punitivi dei genitori non siano peggio del colpo di ciabatta o dello schiaffo al momento opportuno?

Faccio parte, cari lettori, di quella generazione in cui i genitori applicavano “lo schiaffo e/o il rimprovero motivato”, tuttavia sempre usato con criterio e forte ammonizione sul comportamento errato, e posso dirvi che non solo il loro comportamento non mi ha creato problemi, ma mi ha aiutato moltissimo a crescere nel modo giusto! Era in particolare mia madre (che ha saputo gestire in modo eccellente il “ragazzo iperattivo” qual ero), a gestire la mia esuberanza, e ancora oggi la ringrazio per l’eccellente educazione che ha saputo darmi, applicando con saggezza le “giuste sanzioni”.

Cari amici, chiudo questa mia riflessione augurando a tutte le famiglie di nuova formazione, madri e  padri che hanno figli piccoli o che si accingono a creare una famiglia, di essere perfettamente consci del difficile compito educativo che grava su di loro! Essere buoni genitori non vuol dire essere amici-complici dei propri figli, ma genitori veri, capaci di gestire la loro crescita con dolcezza ma anche fermezza, nel pieno rispetto dei ruoli!

A domani.

Mario

giovedì, luglio 25, 2024

LA SARDEGNA E LA LEGGENDA DEL SUO DIO PROTETTORE, IL “SARDUS PATER”. LA STORIA DI QUESTA MITICA FIGURA, VENERATA NEL TEMPIO DI ANTAS (SULCIS-IGLESIENTE).



Oristano 25 luglio 2024

Cari amici,

La storia della Sardegna, terra fra le più antiche abitate del pianeta, è costellata di leggende, come e più delle altre antiche terre e delle popolazioni che le hanno abitate. Leggende che, in primis, derivavano da scopi religiosi, in quanto l’uomo ha sempre avuto bisogno di “Padri spirituali”, esseri superiori da venerare come “DEI-PADRI”, a cui rivolgersi impetrando assistenza e aiuto, in particolare  nei momenti di pericolo e di necessità. Ebbene, le popolazioni nuragiche veneravano, come figura principale, il “SARDUS PATER”,  un dio tradizionalmente cacciatore, tanto che lo raffiguravano con il capo cinto da una corona piumata e con un giavellotto sulla spalla.

La più antica raffigurazione del Sardus Pater – secondo gli studiosi – è quella presente in un bronzetto ritrovato durante gli scavi nel TEMPIO DI ANTAS, datato al IX secolo a.C., e raffigurante il dio senza vesti e con la mano sinistra che impugna una lancia. Secondo gli studiosi, la figura del Sardus Pater rappresenta una sintesi dei vari elementi religiosi che, partendo dall'antica devozione per un dio paleosardo guerriero e cacciatore, si arricchirono successivamente di influssi culturali di diversa provenienza.

Per lo studioso Attilio Mastino il tempio del Sardus Pater di Antas «...ha rappresentato nell'antichità preistorica, poi in quella punica e soprattutto in età romana, il luogo alto dove era ricapitolata tutta la storia del popolo sardo, nelle sue chiusure e resistenze, ma anche nella sua capacità di adattarsi e di confrontarsi con le culture mediterranee.» (da La Grande Enciclopedia della Sardegna, pag. 384). Il mito del Sardus Pater è una delle storie più suggestive del patrimonio delle leggende e delle tradizioni della Sardegna.

La prima menzione letteraria del Sardus Pater risale al I secolo a.C. ed è contenuta nelle “Perdute Historiae” di Sallustio. Nel racconto che ne fa lo storico romano, il Sardus Pater giunse in Sardegna proveniente dalla Libia (Nordafrica). Figlio del dio Makeris (l'Eracle venerato con il nome di Melqart), sarebbe sbarcato con un gruppo di coloni. Questi si integrarono con gli autoctoni e cambiarono il nome dell'Isola da Argyròphleps nesos (isola dalle vene d'argento) e Ichnussa in Sardo, Sardinia. Silio Italico nel I secolo d.C. nel suo poema Punica, nel libro XII racconta del Sardus Pater dicendo: «dopo che i Greci chiamarono l'isola Ichnusa, Sardus confidando nel generoso sangue di Ercole Libico, le cambiò il nome dandole il suo».

Nel II secolo d.C. Sardus Pater fu citato sia dal geografo egiziano Tolomeo che da Pausania, nella sua opera Periegesi della Grecia; in base a quanto da lui visto nei suoi viaggi, racconta che nel celebre Tempio di Delfi consacrato ad Apollo si trovava una statua in bronzo del Sardus Pater e che tale statua fosse stata portata a Delfi dai Sardi abitanti la Sardegna. Nel III secolo d.C. Gaio Giulio Solino nella sua opera Raccolta delle cose memorabili dice: «Non importa dunque narrare come Sardus, nato da Ercole e Norace da Mercurio, l'uno dall'Africa, l'altro da Tartesso della Spagna, arrivassero sino a questa isola di Sardegna e da Sardus si sia denominato il paese, da Norace la città di Nora».

L’importanza rivestita dal Tempio di Antas trova una motivazione per quei tempi alquanto importante. Il sito dove è ubicato, come troviamo ben spiegato in Sardegna Turismo, «era sacro già in età nuragica (IX secolo a.C.), poi, alla fine dell’età del Ferro, vi si stanziarono i cartaginesi, poi (a metà III a.C.) giunsero i romani. La zona costituiva una grande attrazione per gli abbondanti giacimenti di piombo e ferro, tanto che la valle di Antas è stata individuata come possibile sede di Metalla, la città mineraria romana, purtroppo mai rintracciata e divenuta un mito».

Amici, sempre in Sardegna Turismo leggiamo: «L’area archeologica è la sovrapposizione, su un insediamento nuragico, di due santuari, dedicati prima al dio punico, guerriero e cacciatore, Sid Addir e successivamente al corrispettivo sardo Sardus Pater Babai». Davanti alle gradinate del tempio romano ci sono i resti di quello punico. «Il primo sacello – come viene spiegato - fu rinvenuto su un affioramento di roccia calcarea ritenuta sacra: le tracce di bruciato documentano i sacrifici alla divinità. Il santuario fu completato nel V secolo a.C.. e ristrutturato a fine IV a.C. Intorno all’altare sono stati ritrovati numerosi ex voto».

Nei pressi del tempio dove è stato rinvenuto il bronzetto, sono visibili le vestigia di tombe a pozzetto, che appartenevano a una necropoli risalente all’inizio dell’età del Ferro. Proprio in una di esse è stato rinvenuto quello che è stato considerato uno dei più famosi bronzetti dell’archeologia sarda: una figura che, impugnando una lancia, ha fatto capire di trovarsi proprio di fronte alla raffigurazione del mitico Sardus Pater! Cari amici, la Sardegna, terra antica e misteriosa, è, sotto tanti aspetti, un immenso museo a cielo aperto, che, in gran parte, è ancora da scoprire!!!

A domani.

Mario

mercoledì, luglio 24, 2024

SOFFRIRE DI “VERTIGINI”, UN DISTURBO CHE CI FA PERDERE L’EQUILIBRIO. QUALI LE CAUSE, E COME PORCI RIMEDIO?


Oristano 24 luglio 2024

Cari amici,

Capita a tanti di provare, in particolari momenti e in determinate situazioni, delle sensazioni di disorientamento, come se, nello spazio intorno, TUTTO si stesse improvvisamente muovendo, creandoci una ansiosa percezione di instabilità. Spesso dura poco, per poi riprendersi, e tutto sembra tornare alla normalità. Queste particolari, temibili sensazioni di perdita di equilibrio, possono essere ricorrenti e, in realtà, pur non essendo una vera e propria malattia, sono comunque il sintomo di una patologia, che sconvolge il nostro sistema di controllo dell’equilibrio.

Il nostro equilibrio, amici, è la risultante dell’interazione di più sistemi. Sono interessati l’orecchio, l’occhio, i muscoli del collo e il cervello. Un disturbo di uno o più di questi sistemi, può creare problematiche che si traducono in un deficit del controllo dell’equilibrio, e, conseguentemente, danno vita alla comparsa delle vertigini. Una delle cause importanti che scatenano le vertigini, riguarda l’orecchio, la cui patologia, legata ad un problema vascolare del microcircolo, oppure ad un’alterazione dei liquidi endo-labirintici, oppure ad una patologia del nervo acustico, provocano il fastidioso problema (sia acuto che cronico), accompagnato in alcuni casi anche da sordità e acufeni.

Vediamo in dettaglio come si presenta, nella persona colpita, la vertigine. La prima sensazione è quella di instabilità o di rotazione del corpo; nel compiere i movimenti del capo, o del corpo, all’improvviso sembra che il mondo intorno si metta a girare;  la cosa può scomparire in tempi brevi oppure perdurare a lungo. La vertigine, poi, può essere accompagnata anche da fenomeni collegati al nervo vago, quali nausea e vomito, anche se, di norma, il fastidio non è accompagnato da debolezza o perdita di coscienza. Insomma, pur non essendo la vertigine una vera malattia, la manifestazione dei sintomi prima elencati va analizzata dal medico, per accertarne le vere cause.

Come accennato, lo scatenarsi delle vertigini ha cause diverse. Può derivare da una pressione troppo bassa, da un forte calo della glicemia,  da particolari malattie a carico dell’orecchio e dell’apparato uditivo (come una forte otite o labirintite), ma anche da un’attività sportiva intensa o da un anomalo sforzo fisico; anche alcune disfunzioni della tiroide o un forte mal di testa, oppure episodi acuti di artrosi cervicale, problemi circolatori o assunzione di alcuni farmaci, possono essere cause scatenanti.

Amici, qualora gli episodi di vertigine siano ripetitivi è consigliabile parlarne con il proprio medico curante, che, sulla base del racconto del paziente e di alcuni test effettuati, potrà formulare una diagnosi precisa ed accurata sulla natura della vertigine. Solitamente vengono prescritte analisi del sangue di base, dove verranno controllati i valori correlati alla glicemia, al ferro, al colesterolo ed all’ormone tiroideo: in seguito, a seconda dei valori “sballati”, potrà seguire una visita dallo specialista come il Neurologo o l’otorino, oppure indagini strumentali.

La vertigine, amici, statisticamente colpisce di più le donne e gli anziani. Quella in forma benigna interessa circa il 2,4% della popolazione, con una predilezione, appunto, per le donne. La sua frequenza aumenta con l’età: sopra gli 80 anni affligge una persona su dieci. In genere nei più giovani è conseguenza di un trauma cranico e, forse, associata anche a un rialzo del seno mascellare in caso di interventi odontoiatrici. Negli anziani il distacco degli otoliti è spesso spontaneo.

Si, esistono diversi tipi di vertigini, e un’attenta valutazione delle loro caratteristiche può indirizzare sulla giusta strada. «La prima cosa da chiarire è se i sintomi si riferiscano davvero a un quadro di vertigine o piuttosto a un “disorientamento spaziale” e di instabilità, visto che spesso si fa confusione, come precisa Claudio Albizzati, specialista in Otorinolaringoiatria all’ospedale Multimedica di Castellanza di Varese, che precisa anche che, accanto alla vertigine benigna, ci sono, per esempio, la malattia di Ménière e la neurite vestibolare, ovvero la labirintite, che dura ben più a lungo.

Cari amici, indubbiamente le vertigini sono un problema fastidioso, che non bisogna trascurare, per cui in presenza di questi sintomi di disorientamento e di instabilità, è consigliabile, nel caso  di ripetuti attacchi, rivolgersi al proprio medico. Meglio prevenire, sempre!

A domani.

Mario

martedì, luglio 23, 2024

I PRIM 50 ANNI DELLA PROVINCIA DI ORISTANO. HA FESTEGGIATO IL TRAGUARDO DEL PRIMO MEZZO SECOLO, MENTRE LOTTA PER LA SUA SOPRAVVIVENZA.


Oristano 23 luglio 2024

Cari amici,

La Provincia di Oristano nasceva Il 16 luglio del 1974. Era l’agognata “IV Provincia” dell’isola sarda, da lungo tempo attesa, per rompere il cordone ombelicale che legava il suo territorio a quello di Cagliari. Istituita con la legge numero 306, pubblicata nella Gazzetta ufficiale 205 del 5 agosto 1974, nacque con capoluogo Oristano, suo maggiore centro. Per festeggiare (oserei meglio dire ricordare) i suoi primi 50 anni di vita, il Comune e la Provincia di Oristano hanno organizzato una serie di iniziative.

Il mezzo secolo di vita dell’Ente, che, come tutti noi ben sappiamo, vive una vita alquanto grama essendo gestita da un Amministratore straordinario, è stato ricordato con una serie di iniziative, che hanno preso il via martedì 16 luglio. Alle 17,30, nella cattedrale di Santa Maria Assunta , il vicario generale dell’arcidiocesi, monsignor Roberto Caria, ha officiato una messa, poi, al suo termine, alle 18,30 le celebrazioni si sono spostate in piazza Roma, dove, sulla Torre di Mariano IV i vigili del fuoco hanno calato il drappo istituzionale dei 50 anni, alla presenza dell’Amministratore straordinario Massimo Torrente, del Sindaco di Oristano Massimiliano Sanna e del Prefetto Salvatore Angieri. Presenti numerosi sindaci del territorio, provenienti da tutto l’Oristanese.

A rimarcare il ricordo della nascita, sul lastricato antistante la Torre di Mariano II, era parcheggiata la Fiat 132 con la prima targa OR 00001, assegnata alla neonata Provincia; il veicolo fu, per anni, l’auto di rappresentanza dei Presidenti della Provincia. Tanti i curiosi che hanno colto l’occasione per scattare una foto ricordo con la Fiat 132, prima autovettura con la targa della Provincia. A seguire, a partire dalle 19, a Palazzo d’Arcais, sede di rappresentanza della Provincia, l’Amministratore straordinario, Massimo Torrente, ha tenuto una relazione dal titolo “Profili di una fase storica e dei protagonisti di Oristano IV^ Provincia sarda”, a cui hanno fatto seguito gli interventi di saluto delle autorità presenti.

Il 50° anno di vita della nostra Provincia ha ottenuto da Poste Italiane uno speciale “Annullo filatelico”,  che ha dato grande gioia ai collezionisti di questi trofei. A corredo della manifestazione sono state effettuate anche due mostre: una storica sui 50 anni dell’Istituzione e una d’arte con esposte le opere di alcuni dei più illustri artisti oristanesi. Le celebrazioni si sono concluse al Teatro Garau, dove, era stato programmato un concerto dell’ensemble d’archi “Accademia della Sardegna”, diretta dal maestro Fortunato Casu, che ha proposto delle interessanti musiche di Mozart e di Elgar.

Amici, 50 anni sono indubbiamente un traguardo importante. Tuttavia, le perplessità sulla futura funzione e piena operatività delle Province nella nostra negletta Sardegna appaiono ancora alquanto fumose. Di recente la nuova giunta di centrosinistra guidata da Alessandra Todde ha deciso di affrontare di petto la materia delle Province e delle Città metropolitane con una proposta di legge firmata dal consigliere del Pd e Presidente della prima Commissione (Autonomia) Salvatore Corrias. Insomma un sasso lanciato nello stagno per cercare di chiarire il futuro delle Province. In attesa del nuovo pronunciamento da Roma, l'obiettivo della giunta Todde, e dell'assessore degli Enti Locali Francesco Spanedda, è che i tempi per la ripartenza degli Enti siano certi e rispettati, anche perché, come ha sottolineato il Presidente della prima Commissione Corrias, "Tutto questo serve ai territori per tutte quelle competenze che alle Province spettano: parliamo di scuole, strade, pianificazione e promozione dei territori a beneficio delle comunità".

Cari amici, sarà la volta buona che le province riprenderanno la loro regolare attività, certamente indispensabile per il funzionamento del territorio di competenza? Credo che tutti i sardi lo sperano e lo aspettano!

A domani.

Mario

lunedì, luglio 22, 2024

ECCO UN PIATTO ESTIVO SPECIALE: I FAMOSI “FIORI DI ZUCCA”. CON IL LORO PROFUMO E SAPORE DELICATO, ACCOMPAGNANO I PIÙ SVARIATI SECONDI.


Oristano 22 luglio 2024

Cari amici,

I FIORI DI ZUCCA sono la parte floreale della zucca, intesa nelle sue varie forme,  prodotti sia dalla zucca (Cucurbita maxima, Cucurbita moschata) che dalla zucchina (Cucurbita pepo), quindi tutte appartenenti allo stesso ceppo botanico delle Cucurbitaceae. Quelli della zucchina sono un po’ più piccoli (più allungati e profumati), mentre quelli della zucca sono più grandi e panciuti; Si tratta di infiorescenze edibili che vengono prodotte dalle diverse piante della zucca (i fiori sono sia di genere maschile che femminile)

Questi fiori prodotti dalla zucca sono ricchi di vitamine, sali minerali e carotenoidi, per cui sono molto utilizzati in cucina. Insomma, un  ingrediente molto apprezzato, profumato e saporito. Sono utilizzabili in mille maniere: fritti in pastella, al forno ripieni, posti sulla pizza o utilizzati con la pasta; insolla sono una tentazione per il palato, e un piacere per gli occhi. Come accennato, sono un toccasana per la salute: sono ortaggi diuretici e depurativi, grazie al loro contenuto d’acqua che supera il 90% del peso; contengono vitamine, in particolare vitamina A, B6 e C, e sali minerali, in particolare il ferro. Hanno pochissime calorie: 12 kcal per 100 grammi, e sono ricchi in carotenoidi, sostanze dal potere antiossidante e antitumorale.

Essendo alquanto deperibili, vanno utilizzati molto freschi, possibilmente appena colti. Occorre parecchia delicatezza nella pulizia. Si recide il gambo, si apre la corolla, e con le mani o un coltellino si elimina il pistillo interno (è edibile, ma ha un sapore particolarmente amaro, quindi meglio toglierlo). Si passano velocemente sotto l’acqua fredda e poi si adagiano ad asciugare su uno strofinaccio. Poi si passa all’utilizzo per essere utilizzati nelle più svariate ricette.

Una delle ricette classiche è quella di utilizzarli fritti in pastella, alla romana, ma, senza dubbio la ricetta dei fiori di zucca fritti farciti con mozzarella e alici con la pastella raggiunge l’optimum! Si passano i fiori prima nella farina, poi nell’uovo sbattuto e poi di nuovo nella farina, così saranno davvero al meglio. Tenere presente che i fiori di zucca si possono mangiare anche crudi  (in insalata o con un carpaccio di pesce o di carne), e ovviamente cotti al forno, ripieni di formaggio, verdure, carne o tonno, oppure essere utilizzati in frittata, per condire la pasta o nel risotto.

Insomma, amici, i nostri fiori di zucca in cucina stanno bene con tutto: con le uova, in frittata o sformati; con il pesce (non solo utilizzando l’acciuga, ma anche gamberi, cernia, branzino e sogliola). Sulla pasta danno un tocco di colore e un sapore raffinato! Provate la pasta con fiori di zucca e pancetta, o i maccheroni con bottarga e fiori di zucca. Rimarrete estasiati! Sono, inoltre, un ingrediente perfetto (e colorato) per torte salate, e mini cocotte, ma anche per la rivisitazione di un caposaldo della cucina italiana: al posto delle melanzane arriva il bouquet di primavera con la parmigiana di fiori di zucca!

Volete realizzare un primo delicato e perfetto per il pranzo in famiglia che conquisterà il palato di tutti? Le crepes con asparagi e fiori di zucca o fritti, al forno, ripieni, in pastella. Con i fiori di zucca ci si può sbizzarrire! Le frittate ai fiori di zucca sono una ricetta facile e veloce perfetta per i pranzi in famiglia, tra pic nic e gite fuori porta complici le belle giornate. Bastano pochi minuti per portare in tavola un secondo piatto gustoso e delicato al tempo stesso!

Cari amici, a me questi “Fiori” prodotti dalla zucca piacciono tantissimo e li mangio sempre, appena posso! Provateli anche Voi, e non li lascerete più!

A domani.

Mario

domenica, luglio 21, 2024

ECCO UNA DELLE ULTIME "ECO-FOLLIE" DELL'UNIONE EUROPEA: IL REGOLAMENTO “NATURE RESTORATION LAW”, SUL RIPRISTINO DELLA NATURA...


Oristano 21 luglio 2024

Cari amici,

Ursula von del Leyen è stata riconfermata Presidente della Commissione Europea. Per essere rieletta ha convinto i VERDI a votare a suo favore e questo, vedrete, comporterà cambiamenti di non poco conto! Già prima di questa alleanza, era stata resa operativa una delle ultime “ECO-FOLLIE”, con l'approvazione in via definitiva del “Regolamento Comunitario sul ripristino della natura”, un decalogo di regole volte a riportare almeno il 20 per cento delle terre e dei mari europei allo stato originale entro il decennio! È stata un’approvazione alquanto contestata, se pensiamo che è stata ottenuta in via definitiva “su filo di lana”, all’ultimo momento utile, con una maggioranza molto risicata, non tanto sul numero dei Paesi richiesti dal meccanismo di voto a maggioranza qualificata, quanto sulla percentuale di popolazione UE rappresentata dai vari ‘SI’. Venti Paesi su 27 approvano il regolamento (di fronte a un numero minimo di 15), per una popolazione pari al 66,07 per cento (soglia minima al 65 per cento).

Un’approvazione, dunque, poco condivisa, che tra l’altro ha registrato il voto contrario dell’Italia, che si è unita al mini-blocco dei Paesi del nord-est europeo che da tempo censurava uno dei dossier più delicati del Green Deal europeo. Ungheria, Polonia, Paesi Bassi, Finlandia e Svezia hanno fatto mancare, al pari dell’Italia, il sostegno al provvedimento. Il Belgio, invece, ha scelto la via dell’astensione. Per l’approvazione è stato decisivo il voto favorevole dell’Austria, in precedenza contraria, consentendo così l’approvazione.

Quello dell’Austria è stato un voto che ha aperto una crisi interna nel Paese, con il cancelliere che ha sfiduciato la sua ministra per l’Energia e il clima, Leonore Gewessler, annunciando ricorso davanti alla Corte di giustizia dell’UE. Mentre il partito popolare austriaco (OVP) ha messo in stato d’accusa la ministra e annunciato di essere pronto a procedimenti penali contro di lei. In Belgio, invece, Alain Maron, ministro dell’Ambiente e per la Transizione per il Clima, ha ostentato soddisfazione: “La delegazione europea potrà andare alla prossima Conferenza della parti sul clima (Cop29, dall’11 al 22 novembre 2024, n.d.r.) a testa alta”. Come UE, ha sottolineato; “è nostro dovere rispondere all’urgenza del collasso della biodiversità in Europa, ma anche consentire all’Unione europea di rispettare i suoi impegni internazionali”.

Amici, ormai il “Dado è tratto”, in quanto, trattandosi di un Regolamento, le nuove norme entreranno in vigore da subito. Nel Regolamento risulta stabilito che “tutti gli habitat terrestri, lacustri, marini, fluviali in cattive condizioni,  dovranno essere recuperati al 30 per cento entro il 2030, con obiettivi vincolanti che salgono al 60 per cento entro il 2040 e al 90 per cento entro il 2050. Pulizia, bonifica, rimboschimento se e dove necessario, messa in sicurezza, sono tutte attività che ogni Stato membro dovrà portare avanti senza indugio. La priorità è data alle aree terrestri e marittime: il 20 per cento di queste dovrà essere strappata al degrado entro la fine del decennio”.

Stante ciò, ora gli Stati membri dovranno definire dei piani nazionali da presentare alla Commissione europea. Le strategie dovranno dimostrare come raggiungere gli obiettivi. I governi sono tenuti, inoltre, a monitorare e riferire sui loro progressi, sulla base di indicatori di biodiversità a livello dell’UE. Gli Stati membri dovranno anche varare misure volte a migliorare: la popolazione delle farfalle di prato, lo stock di carbonio organico nei terreni, incrementare la popolazione degli uccelli delle foreste e il contrasto alla cementificazione; inoltre, non dovranno esserci  perdite nette sugli spazi verdi urbani fino alla fine del 2030.

Gli Stati membri dovranno anche operare per mettere a dimora almeno tre miliardi di nuovi alberi entro il 2030 a livello dell’UE. Al fine di trasformare almeno 25.000 km di corsi d’acqua in “fiumi a flusso libero” entro il 2030, gli Stati membri dovranno anche adottare misure per rimuovere le barriere create dall’uomo alla connettività delle acque superficiali. La Commissione europea nel 2033 (data prevista per una valutazione dell’impatto delle nuove regole e i correttivi del caso), effettuerà le verifiche su quanto realizzato, in particolare ai settori agricolo, della pesca e della silvicoltura.

Amici, la “Nature Restoration Law”, così è definita la normativa, è frutto di un risultato inseguito e voluto da anni dagli ambientalisti più ferventi e più miopi. Per l’Italia è una pessima notizia, in quanto imporre un abbandono di diverse attività agricole per lasciare il territorio alla natura «selvaggia», vuol dire esporre gran parte dei nostri territori a un crescente rischio idro-geologico, oltre a mettere ulteriormente a rischio lo spopolamento delle aree interne. Per esempio, sarebbe una follia mettere in sicurezza antisismica i centri abitati, in un contesto di abbandono e degrado del territorio, cosa che li esporrebbe agli eventi estremi causati dai cambiamenti climatici che, come è accaduto per le alluvioni dello scorso anno, vedono proprio nella biomassa non gestita (cioè, il nuovo bosco «selvaggio») un fattore moltiplicatore degli effetti disastrosi.

Cari amici, con il voto favorevole dei VERDI al secondo mandato della von del Leyen, molto altro verrà portato avanti in favore di un ambientalismo miope e di facciata! Come la Nature Restoration Law, figlia di quell'ambientalismo esagerato tanto caro a molti Paesi del Nord Europa, dove gli insediamenti umani sono rarefatti e dove la natura «selvaggia» è ben diversa dalla nostra! Alle nostre latitudini la natura è compagna dell'uomo, che grazie alle attività agricole ha moltiplicato e conservato una biodiversità unica e preziosa. L’Europa non è tutta uguale, per cui i provvedimenti andrebbero calibrati zona per zona; da noi la natura, senza il giusto intervento dell'uomo, cadrebbe dalla padella nella brace, sarebbe una partita persa in partenza!

A domani.

Mario

sabato, luglio 20, 2024

LA CURIOSA STORIA DELLA “DISTANZA” TRA I DUE BINARI DELLE FERROVIE. QUELLA STRANA MISURA HA DAVVERO ORIGINI MOLTO LONTANE...


Oristano 20 luglio 2024

Cari amici,

Di certo, quando viaggiamo in treno, oltre a essere concentrati sui nostri pensieri, magari ci piace osservare il paesaggio, ma difficilmente ci capita di osservare i binari; e, se anche fosse, non certo pensando alla curiosa “DISTANZA” che separa un binario dall’altro,  oppure domandandosi il motivo che ha creato quella particolare misura. In realtà questa misura, meglio nota come “Scartamento ferroviario”, è una misura standard, nata in antica data, che corrisponde a 4 piedi e 8,5 pollici. Una misura che ai più appare alquanto strana! A pensarci ci si domanda: “Perché è stato usato quel calibro? La risposta, è in realtà alquanto complessa, considerato il fatto che quella misura ha radici che affondano nel lontano passato!

Tornando indietro nel tempo, è bene sapere che furono gli inglesi a costruire per primi in Inghilterra le ferrovie; questi validi ingegneri inglesi, successivamente, progettarono e realizzarono anche le prime ferrovie nel Far West degli Stati Uniti. Ebbene, anche nel progettare la rete ferroviaria americana lo Scartamento ferroviario utilizzato fu lo stesso, nel senso che la distanza fra i binari, rimase uguale, confermando quelle misure distanzianti,  che in realtà erano alquanto più antiche, come vedremo tra poco.

Ma andiamo con ordine. Gli inglesi, nel costruire le prime linee ferroviarie, utilizzarono il personale qualificato che in precedenza aveva costruito le carrozze tranviarie, e proprio da questa esperienza nacque la conferma: per le ferrovie fu usato “lo scartamento” usato in precedenza per le carrozze. Ma torniamo ancora più indietro. Perché i costruttori di carrozze tranviarie avevano utilizzato inizialmente quella misura? Il motivo fu semplice: perché le maestranze utilizzate per la costruzione dei tram usarono le stesse misure e gli stessi strumenti che in precedenza avevano usato per costruire le carrozze trainate dai cavalli! Insomma, l’iniziale distanza che era stata stabilita tra le ruote delle carrozze e dei carri, rimase sempre la stessa, ovvero ferma anche per tutti gli usi successivi!

A questo punto, tuttavia, c'è da dire che non siamo ancora arrivati all'origine. Quale fu la ragione per cui i primi inventori delle carrozze stabilirono quella misura per distanziare le ruote? La principale motivazione derivò dallo stato delle strade presenti nella vecchia Inghilterra. Su queste strade erano presenti dei profondi, antichi solchi, scavati dalle ruote dei carri del passato, quando la trazione animale era l'unico mezzo di trasporto, per cui, se avessero provato ad usare una distanza tra le ruote differente, le ruote dei carri si sarebbero rotte più spesso nel percorrere le lunghe distanze. Quella scelta, dunque, fu dettata dall’esperienza, visto che "uscire da quei solchi" avrebbe significato rompere il veicolo.

Amici, quei solchi profondi esistenti fin dal lontano passato furono scavati dai carri degli eserciti della Roma Imperiale, andati alla conquista dell’Inghilterra! Sappiamo bene che i Romani furono grandi costruttori di strade e di mezzi che percorrevano lunghe distanze in tutta Europa (compresa l'Inghilterra), strade e carri necessari per la movimentazione delle legioni. Furono proprio i solchi scavati nelle strade dai carri dei conquistatori romani a creare quella particolare misura che successivamente venne adottata e utilizzata dalle successive generazioni, fino ad arrivare ai nostri giorni ed agli odierni binari ferroviari.

È proprio vero, cari lettori, che il presente è figlio del passato! L’esperienza fatta dai romani con i loro carri da guerra, fu ritenuta valida anche dalle generazioni successive, e quei solchi profondi lasciati sulle strade divennero una misura eccellente, che non fu mai cambiata. La distanza tra le ruote stabilita dai Romani era stata così ben calcolata e sperimentata, che gli intelligenti ingegneri inglesi la adottarono, sia nelle ferrovie della loro patria che in quelle degli Stati Uniti! Questa era la misura: 4 piedi e 8,5 pollici! L’esperienza del passato, insomma, fu successivamente adottata, e continuò ad esserlo nei secoli successivi, in quanto ritenuta valida ed efficiente.

Cari Amici, il post di oggi può sembrare curioso, ma in realtà è la chiara dimostrazione che nulla si crea di nuovo senza analizzare ed utilizzare le esperienze fatte dai nostri predecessori nel passato. Per chiudere, cari lettori, questa riflessione sulla “distanza tra le ruote” anche degli attuali mezzi ferroviari, voglio aggiungere una chicca curiosa. Si dice che gli antichi ingegneri romani che costruirono i carri da guerra dell’esercito imperiale li progettarono pensando ai due cavalli che li avrebbero dovuti trainare. Questi carri furono quindi studiati posizionando le ruote appena più larghe rispetto all'ampiezza delle estremità posteriori di quei due cavalli che li avrebbero trainati; insomma, “la distanza tra le ruote” del carro fu calcolata estrapolando la misura ricavata dall’ampiezza “dai culi dei due cavalli!

Ciao amici, a domani,

Mario