sabato, marzo 25, 2023

L’UNIONE EUROPEA HA DETTATO NUOVE REGOLE PER RENDERE LE ABITAZIONI GREEN: GLI EDIFICI DOVRANNO ESSERE A EMISSIONI ZERO A PARTIRE DAL 2030. CI ATTENDE UN GRAN BEL SALASSO!


Oristano 25 marzo 2023

Cari amici,

Il Parlamento Europeo il 14 marzo 2023 ha approvato la Direttiva sulle “CASE GREEN”, una normativa che prevede il miglioramento della classe energetica degli edifici a partire dal 2030. Il provvedimento, anche se la sua entrata in vigore non è vicinissima, prevede infatti il recepimento degli Stati membri, cosa che probabilmente non avverrà, però, prima del 2025. Tuttavia, dopo il sì dell’Europarlamento, inizia ora il negoziato tra la Commissione, il Parlamento europeo e i Governi; indubbiamente una cosa non facile, vista la complessità della materia, i costi e i tempi di realizzazione. Ma vediamo in dettaglio di cosa in realtà si tratta.

La Direttiva UE sulle “case green” contiene un pacchetto di norme finalizzato a promuovere la ristrutturazione (riqualificazione energetica) degli edifici esistenti e la costruzione di nuovi edifici ad alta efficienza energetica. Questa Direttiva prevede che gli Stati membri presentino piani nazionali per l’adeguamento degli edifici alle nuove norme, in base al seguente principio guida: iniziando prioritariamente ad operare sul 15% degli edifici più energivori, che andranno così collocati dai diversi Paesi membri nella classe energetica più bassa, la G. In Italia, secondo i dati Istat, sono circa 1,8 milioni gli edifici residenziali su un totale di 12,2 milioni.

Stando ai dati ANCE (Associazione nazionale costruttori edili) oltre 9 milioni di edifici residenziali, su 12,2 milioni, non rispettano le performance energetiche richieste dall’UE; inoltre, il 74% dei nostri immobili è stato realizzato prima dell’entrata in vigore della normativa completa sul risparmio energetico e sulla sicurezza sismica, determinando così una grossa perdita di valore della maggioranza degli immobili italiani. Secondo gli ultimi dati ENEA, gli attestati di prestazione energetica per gli edifici italiani emessi nel 2021 si riferiscono per lo più (il 76%) ad immobili nelle classi più inquinanti, ossia classe E F G: più di 2 case su 3 dovrebbero quindi essere riqualificate energeticamente!

L’obiettivo della Direttiva UE è quello di stimolare le ristrutturazioni di edifici privati e pubblici in tutta Europa, al fine di ridurre i consumi energetici e le emissioni di CO2 del parco immobiliare dei 27 Stati membri. Il testo fa parte del Progetto FIT FOR 55, con cui l’Unione europea vuole ridurre del 55% entro il 2030 le emissioni nocive rispetto ai livelli del 1990. In media, gli edifici rappresentano il 40% del consumo energetico e il 36% dell’emissione di gas nocivi.

La domanda che in tanti si fanno è: ma come fa un cittadino proprietario di casa d’abitazione a sapere lo stato preciso del suo immobile, quanto alle sue caratteristiche energetiche? Lo può sapere rivolgendosi ad un professionista qualificato, che, dopo l’esame del suo immobile, gli rilascia “L’attestato di prestazione energetica”, indicante le caratteristiche energetiche del suo immobile, classificato in base a delle “Classi energetiche”, che vengono ricavate usando degli indicatori che vanno da A4, che indica la classe energetica più performante a G, la meno performante. Ogni classe energetica è associata a un punteggio che va dal 10, associato alla classe più efficiente, fino all’1 della classe energetica G. Più la classe energetica è bassa, maggiori saranno i consumi di energia dell’abitazione stessa.

In Italia le abitazioni di classe energetica E rappresentano la maggior parte degli immobili, in quanto in gran parte realizzati tra gli anni ’70 e ’90. Gli edifici di classe energetica D sono abitazioni relativamente recenti che, a differenza delle abitazioni di classe energetica E, dispongono di un migliore isolamento termico perché i muri esterni sono stati ispessiti ed è stata migliorata la coibentazione del tetto. Il valore EP, invece, indica l’indice di Prestazione Energetica, che corrisponde all’energia totale consumata dall’edificio climatizzato per metro quadro di superficie ogni anno.

Amici, per gli italiani, se la norma passasse così com’è, sarebbe un salasso stratosferico, impossibile da raggiungere in tempi brevi! Secondo l’Ance (Associazione nazionale costruttori edili), gli obiettivi rimangono irraggiungibili in Italia: le stime prevedono 630 anni solo per raggiungere la classe E! Per raggiungere in tutti gli edifici l’efficienza energetica richiesta dall’UE, addirittura 3.800 anni!!! Inoltre, realizzare gli interventi richiederebbe uno sforzo economico notevole, insostenibile per la maggior parte degli italiani. la CONFEDILIZIA, (la Confederazione italiana della proprietà edilizia), ha definito la Direttiva una vera ‘ECO-PATRIMONIALE EUROPEA’.

Cari amici, indubbiamente la Direttiva Europea, seppure ipotizzata al fine di migliorare l’attuale situazione di spreco energetico, viene calendarizzata in modo abnorme, senza tener conto delle reali tempistiche necessarie: temporali ed economiche. Stiamo attenti: Nella ricerca di migliorare il futuro, non si può affossare il presente!

A domani.

Mario

venerdì, marzo 24, 2023

IL PROBLEMA DEI RIFIUTI SPAZIALI. IN ORBITA RUOTANO OLTRE 130 MILIONI DI OGGETTI ARTIFICIALI DA TEMPO IN DISUSO. OLTRE CHE PERICOLOSI, RECUPERARLI SAREBBE UN VERO AFFARE.


Oristano 24 marzo 2023

Cari amici,

A molti di noi certamente sfugge un problema che, seppure non visibile ad occhio nudo, comincia ad essere preoccupante e sicuramente da risolvere. Nell’orbita terrestre girano intorno a noi oltre 130 milioni gli oggetti abbandonati nello spazio dopo la loro missione inziale portata avanti dalle varie agenzie spaziali. Tutti questi rifiuti, in costante crescita, sono un pericolo reale, in quanto minacciano l’operatività di centinaia di satelliti e sonde spaziali essenziali, per le comunicazioni e le altre attività sia civili che militari.

Questa preoccupazione ha indotto un team di ricercatori dell’Università del Southampton, a cercare di trovare una soluzione, ovvero quella di recuperare questi rifiuti, non solo per cercare di salvaguardare la sicurezza delle future missioni spaziali, ma anche per riportare a terra materiali preziosissimi che potrebbero costituire una opportunità economica importante. Questi rifiuti, hanno detto gli scienziati britannici, hanno un valore molto alto, tanto che le stime da loro elaborate arrivano a valutazioni “tra i miliardi e i trilioni di dollari”, anche se, come è facile immaginare, il loro recupero è indubbiamente alquanto rischioso.

Rischioso ma conveniente, in quanto a detta dei ricercatori, in orbita ci sarebbero molte migliaia di tonnellate di materiali riciclabili, come sonde, pannelli solari, razzi, e anche parti di navicelle. L’interesse è alto, considerato anche che i risultati della ricerca dell’Università del Southampton sono stati pubblicati sulle pagine della rivista Waste Management. Una piccola parte dei detriti è stata già riportata sulla Terra, ma il lavoro da fare è immenso e porterà sicuramente alla nascita di un nuovo settore di recupero e riciclo di questi preziosi materiali.

Nel gennaio del 2021 la US Space Surveillance Network ha recuperato e riportato sulla superficie terrestre 21.901 oggetti artificiali, di cui quasi 4.500 satelliti ancora funzionanti. Questa missione, benché abbia consentito anche il recupero di un gran numero di detriti, aveva come obiettivo quello di catturare prevalentemente gli oggetti di grosse dimensioni. In orbita ci sono circa 128 milioni di frammenti più piccoli di 1 centimetro, quasi 1 milione di dimensioni comprese tra 1 e 10 centimetri, e poco meno di 34mila più grandi di 10 centimetri. Insomma, un bazar davvero grande e che, dato il valore, sta creando molto interesse.

Dall’Università del Southampton è dunque partito uno studio volto a trovare una soluzione sicura, ambientalmente sostenibile e, possibilmente, anche economicamente redditizia; il professore di Scienze Ambientali Applicate Ian Williams e il dottore in GIS Applicato e Telerilevamento Ryan Leonard, hanno stimato il valore della massa di rifiuti spaziali se fossero inseriti in un sistema di recupero circolare delle risorse, ritenendo, come ha spiegato Williams, che “Se il valore finanziario del recupero di detriti spaziali è abbastanza alto, l’investimento nella tecnologia per farlo è giustificato”.

I ricercatori hanno quantificato i potenziali ricavi netti del riutilizzo dei detriti tra i 570 miliardi e 1,2 trilioni di dollari. Le cifre si riferiscono alla valorizzazione di una quantità che va tra i 5.312 e le 19.124 tonnellate di rottami meccanici, potenzialmente recuperabili con il sistema di rimozione attiva dei detriti (ADR), ovvero utilizzando il propulsore al plasma inventato dal dottor Kinkwan Kim dell’Università del Southampton per il deorbit dei satelliti a fine vita.

“Lo sviluppo di servizi in orbita – ha evidenzia il professor Ian Williams -, come l’estensione della vita dei satelliti inattivi, o l’avanzamento dell’ADR, sarà cruciale per risolvere il problema dei detriti orbitali. Ma, con questo, una futura economia circolare per lo spazio può essere finanziariamente fattibile, con conseguenze potenzialmente benefiche per la riduzione del rischio, efficienza delle risorse e occupazione ad alto valore aggiunto; oltre alla conoscenza del cambiamento climatico, scienza, monitoraggio e dati di allarme precoce”.

Cari amici, certamente è necessario ed urgente che l’uomo debba intervenire, ove possibile, a rimuovere i tanti oggetti ormai inutili e pericolosi che in precedenza ha lanciato nello spazio, non solo per evitare problemi a tutti i satelliti funzionanti ma anche e soprattutto per salvaguardare l’ecologia dello spazio che circonda la nostra Terra. Risolvere il problema dei rifiuti spaziali, operando in un’ottica circolare, potrebbe essere una soluzione non solo per la salvaguardia e la sicurezza delle future missioni spaziali, ma anche funzionale al recupero e alla valorizzazione delle risorse disperse in orbita intorno alla Terra.

A domani cari lettori.

Mario

giovedì, marzo 23, 2023

LA LEGGENDA DELLA CHIESETTA, POSTA IN CIMA ALL'ISOLOTTO CHE SORGE AL CENTRO DEL LAGO “DI S. SEBASTIANO”, IN TERRITORIO DI ISILI (SARCIDANO).


Oristano 23 marzo 2023

Cari amici,

ISILI, Panorama

Ieri 22 marzo era "La giornata mondiale dell'acqua", indetta dall'ONU e festeggiata per la prima volta nel 1993. Giornata nata per ricordare l'importanza e lo sfruttamento delle risorse idriche del pianeta da parte dell'uomo. Anche il post di oggi parla di questo elemento, perché il racconto di cui parlo è ambientato dove oggi sorge il lago artificiale di San Sebastiano, nel nostro Sarcidano vicino ad Isili, Acqua, in particolare in Sardegna, assolutamente indispensabile! Ecco la storia. La Sardegna, terra antichissima, indubbiamente fra le prime abitate del pianeta, è anche un’isola ricca di storia e di leggende. Ebbene, oggi voglio raccontare a Voi, fedeli lettori, la storia, in parte leggendaria, di una curiosa, storica chiesetta, che oggi possiamo vedere su un isolotto posto al centro di un lago che proprio dalla chiesetta prende il nome: il lago di San Sebastiano, un luogo unico nel suo genere in Sardegna. Siamo a ISILI, nel Sarcidano, non lontano da Cagliari. Ebbene, scorrazzando nelle campagne del paese è possibile raggiungere l’isolotto (in canoa o in pedalò), per poi visitare la Chiesetta campestre dedicata a San Sebastiano, costruita originariamente nel XVI secolo circa.

Il lago che esiste oggi è artificiale, formatosi con la costruzione della diga di “Is Barrocus”, che raccoglie le acque provenienti dal Fiume Mannu, formando appunto il lago San Sebastiano. Al centro di questo specchio d’acqua spicca un caratteristico isolotto, formatosi con la nascita del lago (prima era un promontorio dove si ergeva la chiesetta di San Sebastiano). In questo lago artificiale oggi vengono praticate diverse discipline sportive, come la pesca sportiva, la canoa, il canottaggio, il dragon boat e delle escursioni. È, però, rigorosamente vietata la balneazione.

Amici, come detto in premessa, in Sardegna di certo le leggende non mancano, e anche quella che racconto oggi è interessante: riguarda proprio la chiesetta di S. Sebastiano. Questa leggenda narra che a Isili, nei tempi che furono, viveva un pastore che aveva tre figlie. Le prime due erano molto belle, con una gran gioia di vivere e sempre in ottima salute. la più piccola, invece, chiamata Friorosa (perché aveva sempre freddo), era sempre malaticcia, pallida e infreddolita persino d’estate. Per questo Friorosa, qualsiasi lavoro provasse a fare, la affaticava molto, dando poco aiuto in famiglia.

Insieme al pastore e alle sue figlie, viveva anche un loro giovane parente, bello e molto simpatico. Il ragazzo era felice, perché le figlie maggiori del pastore lo circondavano di molte attenzioni. Così, anche Friorosa un giorno decise di provare a conquistare il giovane. Un giorno, tentando di dare una carezza sul viso del ragazzo, questi provò un forte brivido di freddo e Friorosa scappò via imbarazzata e addolorata. Allora si chiuse sempre più in sé stessa, piangendo e invocando Dio affinché le desse almeno un’opportunità per sentirsi utile e provare anche lei un po’ di gioia.

In una bella giornata d’estate, la famiglia e il ragazzo decisero di fare una gita presso la chiesetta di San Sebastiano, dove c’era una fonte d’acqua. L’allegra brigata camminava, cantando e ridendo, alla ricerca della chiesetta campestre, ma dopo ore di cammino non trovarono né la chiesa né la fonte. Ad un certo punto, affaticati e accaldati, si resero conto di essersi persi, prima di stramazzare al suolo, vinti dalla fatica. Allora Friorosa, tanto affaticata, si rivolse loro dicendo: “Andate Voi a cercare un ruscello al quale attingere l’acqua, io vi aspetterò qui: sono esausta”.

I familiari, sebbene stanchi e affaticati, continuarono a cercare una fonte per prendere dell’acqua. Rimasta sola, Friorosa si sedette vicino ad un grande masso di granito e, mortificata per ciò che stava accadendo e desiderosa di aiutare per una volta la sua famiglia, pregò Dio con tutte le sue forze di tramutarla in una fonte d’acqua, con queste parole: “Sono fredda come la neve, rendimi utile almeno stavolta. Signore, fai che possa sciogliermi e tramutarmi in acqua, la mia famiglia potrà dissetarsi”. Il miracolo avvenne e, quando i familiari tornarono sfiniti alla roccia dove avevano lasciato Friorosa, senza aver trovato l’acqua, trovarono una fonte di acqua fresca che prima non avevano veduto. Bevvero l’acqua freschissima che sgorgava dal granito e si dissetarono ma, quando cercarono Friorosa, non riuscirono a trovarla mai più.

Ancora oggi, si dice nelle campagne di Isili ci sia una fonte di acqua sovrastata da un grande masso di granito: la fonte di Friorosa. Ebbene, amici, sulla chiesetta di S. Sebastiano, oltre la leggenda di Friorosa ne esiste anche un’altra, a mio avviso, però, alquanto triste. Su questa chiesetta, che una volta si trovava sulla terraferma, sino alla metà dell'Ottocento, si celebravano i matrimoni delle famiglie importanti, quelle ricche e facoltose; un giorno, però, in questo luogo successe un terribile fatto di sangue. Da allora nessuno volle più andare a sposarsi nell'antica chiesetta di San Sebastiano. Ecco cosa successe.

Si narra che ad una importante festa di nozze, alla quale parteciparono in gran numero cavalieri e dame elegantemente vestiti, ornati di ori e preziosi, al culmine della festa, irruppe in mezzo alla folla come un fulmine un giovane fuori di sé, che si buttò con violenza contro lo sposo, sostenendo di essere stato da questi derubato della donna a lui promessa. I due lottarono con grande foga e durante la lotta lo sposo fu trascinato sul ciglio di una rupe e spinto nel baratro. Disperata, la sposa precipitò anch’essa nel burrone, dopo aver tentato invano di strappare l’amato sposo dalle mani del rivale. Ma fu una triste vittoria anche per il rivale, che fu giustiziato dalla folla, facendo la stessa fine dei due sventurati sposi. Da allora, il tratto del fiume che scorre sotto la rupe venne chiamato Sa Piscina de sa Sposa.

Cari amici, le leggende che riguardano la nostra amata isola di Sardegna sono sempre interessanti, anche se a volta raccontano dei fatti misteriosi sfociati anche nel sangue.

A domani.

Mario

mercoledì, marzo 22, 2023

IL ROSMARINO, UNA PIANTA AROMATICA UTILE NON SOLO IN CUCINA! ESSA È DAVVERO RICCA DI EFFETTI BENEFICI PER IL NOSTRO ORGANISMO, IN PARTICOLARE COL SUO OLIO ESSENZIALE.


Oristano 22 marzo 2023

Cari amici,

Il rosmarino è una pianta appartenente al genere Rosmarinus, della famiglia delle Labiatae ed il suo nome scientifico è Rosmarinus officinalis. Ampiamente diffuso nella macchia mediterranea, è un’essenza straordinaria, che adora il clima marino. L'etimologia del suo nome già lo fa presumere: secondo alcuni deriverebbe dal latino "ros = rugiada" e "maris = mare" vale a dire "rugiada del mare", secondo altri deriverebbe sempre dal latino ma da "rosa = rosa" e "maris = mare" cioè "rosa del mare"; secondo altri ancora dal latino "rhus = arbusto" e "maris = mare" cioè "arbusto di mare". In ogni modo, qualunque sia la sua origine, è sempre un arbusto strettamente legato al mare, come ce lo ricordano anche i suoi delicati e deliziosi fiori proprio del colore del mare. Conosciuto fin dall’antichità per le sue numerose proprietà, il rosmarino è sempre stato una delle piante più amate. Utilissimo in cucina, possiede, però, anche notevoli virtù terapeutiche, e si rivela ancor oggi di grande utilità per la cura di numerose patologie.

Amici, di questo profumatissimo arbusto ho parlato già diverse volte su questo blog, anche perché ben diffuso nella parte costiera del Sinis di Cabras (zona dove fortunatamente ho la mia casetta al mare), in particolare nell’oasi di “Seu”, meravigliosamente ricoperta di macchia mediterranea (cisto, lentischio, fillirea, elicriso ed altre essenze) ma, in modo particolare di rosmarino. Nelle giornate primaverili ed estive, quando il maestrale con la sua brezza carica di salsedine assale le narici di chi passeggia nelle vicinanze, arriva, quasi come un regalo, il suo intenso profumo a dare sensazioni stupende.

I suoi fiori hanno una fragranza unica, che ammalia, ristora e sotto certi aspetti rassicura, quasi a dire che sei nella terra che ami e che ti vuole bene! Quando, poi, a primavera inoltrata di primo mattino ti addentri nella macchia bassa, ricoperta di fiori e di una miscela intensa di profumi, perdi, quasi la cognizione del tempo. Allora, accarezzando un cespuglio fiorito di rosmarino, ancora umido di rugiada, sei colpito e avvolto dal suo intenso profumo: e allora aspirandolo ti inebria e, anche allontanandoti, ti rimane addosso, tra le dita. Ti senti quasi riportato indietro nel tempo, in un onirico ritorno alle origini primordiali dell’umanità, quando tutto era più semplice, più naturale, più vero, e la gente non era, come oggi, schiava di una civiltà che ha perduto l’innocenza, che non si ferma di fronte alla natura, che corre…corre…in una corsa senza fine, alla perenne ricerca di un dio farlocco: il Dio denaro. Ecco, amici, le sensazioni che mi fa provare questa pianta meravigliosa!

Amici cari, ma il Rosmarino non è solo un arbusto dalla straordinaria fragranza, in quanto oltre a risultare utile, sotto certi aspetti indispensabile in cucina, è in possesso di una varietà di sostanze benefiche che vantano innumerevoli proprietà terapeutiche! Esso rinforza il sistema immunitario, favorisce la digestione, è un antidolorifico naturale, ha proprietà antibatteriche ed espettoranti, tonifica e migliora l’energia vitale, è afrodisiaco, migliora la salute di pelle e capelli, migliora la fiducia in sé stessi e favorisce l’autostima; aiuta anche a contrastare l’apatia, gli stati di tristezza e malinconia e porta chiarezza mentale e spirituale. Per questi motivi è usato contro lo stress fisico e i dolori articolari, per diminuire la stanchezza e la debolezza generale, come antinevralgico naturale, vantando anche proprietà antisettiche con anche un buon effetto lenitivo nei casi di asma e tosse, oltre che d'aiuto a contrastare i dolori reumatici e gli stati febbrili; è in grado anche di migliorare la digestione.

In versione olio essenziale i componenti del rosmarino possono trovare impiego nei massaggi per migliorare la circolazione: sia in aggiunta all'acqua del bagno per un relax totale, come anche in impacco per la capigliatura e in unguento antiage per la pelle. Sotto forma di decotto da bere la sera, invece, l’olio di rosmarino si rivela di supporto per calmare l'animo e migliorare la respirazione. Ebbene, amici, oggi voglio riportare una ricetta casalinga, che consentirà, a chi lo vorrà, di confezionale in casa un olio di rosmarino “fai da te”. Vediamo come.

Per preparare in casa l'olio al rosmarino dobbiamo procurarci pochi, semplici elementi: dell'olio extravergine di oliva e dei rametti freschi di rosmarino. Partiamo dal lavaggio accurato dei rametti di rosmarino, e, dopo averli asciugati con un canovaccio da cucina li mettiamo all'interno di un pentolino capiente, ricoprendoli poi con un quantitativo abbondate di olio EVO. Mettiamo il pentolino sul fornello del gas e lasciamo scaldare sul fuoco per circa 5/6 minuti a fiamma dolce, senza superare i 90 gradi. Al termine spegniamo il gas e lasciamo raffreddare. Una volta che la miscela si è raffreddata completamente, versiamo il liquido in una bottiglietta di vetro scuro precedentemente sterilizzata aggiungendo due rametti puliti di rosmarino. L'olio così composto si può conservare al massimo per un mese, meglio se in frigorifero.

Cari amici, il rosmarino è davvero straordinario! Pensate che nell’antica Roma gli studenti portavano in testa delle ghirlande di rosmarino per migliorare la memoria o ne mettevano un rametto sul tavolo quando si dedicavano allo studio. Fin dall’antichità il rosmarino è, infatti, conosciuto per le sue meravigliose, straordinarie proprietà, materiali e spirituali! Al rosmarino, infatti, si accreditano virtù uniche: ottimo, dunque, sia per il corpo che per la mente!

A domani, amici.

Mario 

martedì, marzo 21, 2023

A “TRINDADE ISLAND”, IL SANTUARIO DELLE TARTARUGHE, SONO COMPARSE LE ROCCE FATTE DI PLASTICA! L’ALLARME LANCIATO DA UN TEAM DI RICERCA BRASILIANO.


Oristano 21 marzo 2023

Cari amici,

Un team di ricerca brasiliano dell’Università del Paranà, a “TRINDADE ISLAND”, l’isola santuario delle tartarughe verdi, un puntino, quasi un frammento di roccia in mezzo all'Oceano Atlantico, ha rilevato con grande preoccupazione e messo a fuoco un fenomeno definito terrificante: la presenza di “Rocce di plastica” dai più svariati colori. Sulle spiagge di quest’isola vulcanica, situata nell’Oceano Atlantico a circa 1200 km dalla costa sudorientale del Brasile, gli scienziati hanno appurato che la plastica si è fusa con le rocce presenti, creando un connubio innaturale, che prova in modo inconfutabile la crescente, negativa influenza dell'uomo sui cicli geologici della Terra.

La geologia dell'isola brasiliana di Trindade Island ha affascinato per anni gli scienziati, ma ora la scoperta di rocce composte di detriti di plastica in questo remoto santuario delle tartarughe verdi ha suscitato il serio allarme dei ricercatori. All’agenzia Reuters la geologa dell’Università federale del Paranà Fernanda Avelar Santos ha detto: "È una cosa nuova e terrificante allo stesso tempo, perché l'inquinamento ha raggiunto la geologia e la plastica può essere conservata nel registro geologico della Terra”. Insieme al suo team. la Santos ha eseguito diversi test chimici per individuare il tipo di plastica che si trova inclusa nelle rocce contaminate, che sono state chiamate "Plastiglomerati", perché costituite da una miscela di granuli sedimentari e altri detriti tenuti insieme dalla plastica.

Il fenomeno, come ha avuto modo di chiarire la Santos, “proviene principalmente dalle reti da pesca, che sono detriti molto comuni sulle spiagge dell'isola di Trindade; le reti vengono trascinate dalle correnti marine e si accumulano sulla spiaggia. Quando la temperatura sale, la plastica si scioglie e si incorpora nel materiale naturale presente nella spiaggia". Un fenomeno davvero preoccupante, se pensiamo che l'isola di Trindade è uno dei luoghi di conservazione più importanti al mondo per le tartarughe verdi (Chelonia mydas) che qui arrivano a migliaia ogni anno per deporre le uova.

L’isola è praticamente quasi deserta, in quanto gli unici abitanti umani di Trindade sono i membri della marina brasiliana, che mantiene una base sull'isola e opera per proteggere le tartarughe che nidificano. Trindade, insomma, è un'area protetta in modo permanente dal Brasile, e il fenomeno della plastica che contamina le rocce, proprio vicino a dove le tartarughe verdi vanno a deporre le uova, non è certo un fatto positivo. Secondo la Santos, infatti, la scoperta fatta suscita preoccupanti interrogativi sull’impatto che il fenomeno plastica sta creando sulla terra e sull’umanità intera che la abita. Si presume che l'inquinamento rilevato sarà solo l’inizio di un qualcosa di serio e preoccupante, in quanto giorno dopo giorno, la plastica arrivata sulle spiagge, col sole si decompone amalgamandosi con le ricce, si solidifica e mette radici in un ambiente che andrebbe invece preservato.

Amici, questi "plastiglomerati", così chiamati perché costituita da una miscela di granuli e altri detriti tenuti insieme dalla plastica, dimostrano che l'inquinamento creato dalla plastica nei nostri oceani è salito a livelli senza precedenti; ora, la constatazione che su una remota isola vulcanica al largo della costa brasiliana gli scienziati hanno trovato qualcosa che li ha lasciati senza parole, ovvero delle "rocce di plastica", dimostra che è un fenomeno alquanto triste, che sottolinea quanto questo terrificante materiale faccia ormai parte, d’imperio, degli ecosistemi!

Cari amici, personalmente credo che il fenomeno sia più preoccupante di quanto appaia. Chiudo questa mia riflessione con le parole della geologa dell’Università federale del Paranà Fernanda Avelar Santos che nell’intervista prima richiamata ha dichiarato: «La scoperta suscita interrogativi sull'eredità umana sulla Terra: parliamo così tanto dell'Antropocene, ecco, lo abbiamo davanti agli occhi. L'inquinamento, la spazzatura nel mare e la plastica scaricata in modo errato negli oceani sta diventando materiale geologico: conservato nei registri geologici della terra». Se in futuro si eseguisse un carotaggio nei vari strati del passato, se ne potrebbe trovare uno con rocce ricavate da detriti di plastica! A me resta poco da aggiungere!

A domani.

Mario

lunedì, marzo 20, 2023

NELL'ANTICA ROMA IL VECCHIO ANNO FINIVA A FEBBRAIO E IL CAPODANNO ERA FESTEGGIATO IL 1° MARZO, CON I “TERMINALIA”, IN ONORE DEL DIO TERMINE.


Oristano 20 marzo 2023

Cari amici,

Nell’Antica Roma il Capodanno, fino alla riforma del calendario introdotta da Giulio Cesare, veniva festeggiato il 1° marzo, in quanto l’anno terminava col mese di febbraio. Febbraio era infatti l’ultimo mese dell’anno, con agosto che era chiamato Sextilis. I mesi successivi, da settembre a dicembre, portano ancora oggi l’impronta di quell’antico calendario nel loro nome: settembre era il settimo, ottobre l’ottavo, fino ad arrivare a dicembre, che era il decimo mese. Ma perché proprio marzo come mese iniziale e perché poi c’è stato un cambiamento che è arrivato fino a noi?

L’inizio dell’anno per i romani era stabilito a marzo in quanto in quel mese iniziava la primavera, e questo rappresenta un simbolo di rinascita e rinnovamento anche per la terra. Marte, da cui deriva il termine marzo, non era solo visto come il dio della guerra, ma anche come difensore della terra dalle calamità naturali e soprannaturali. Questo calendario tradizionale rimase in auge fino almeno al II secolo a. C. dai romani, che lo mantennero assegnando al dio Marte il compito di aprire ogni nuovo anno. Il 1° marzo, inoltre, veniva rinnovato il fuoco sacro nel Tempio della dea Vesta. Fu poi nel 191 a.C. che il pontefice massimo Publio Licinio Crasso con la Lex Acilia de intercalatione spostò la festa al 1° gennaio, rendendo inevitabile che Giulio Cesare scegliesse questo come primo mese dell’anno nella sua riforma di poco successiva.

Nella riforma del calendario apportata da Giulio Cesare (calendario Giuliano) fu inserito anche l’anno bisestile, oltre alla scelta di gennaio come il primo mese dell’anno. Oltre l'inserimento dell'anno bisestile, il mese di luglio fu così chiamato in onore proprio di Giulio Cesare, e agosto, il mese successivo, fu così chiamato in onore dell’imperatore Augusto. Il calendario giuliano fu usato fino al 1582, quando fu introdotta una nuova riforma: il “Calendario Gregoriano”, così chiamato in onore del Pontefice Gregorio XIII, che lo introdusse con una bolla papale.

Amici, anche in passato il passaggio dal vecchio al nuovo anno era festeggiato alla grande. Quando il Capodanno era fissato al 1° marzo, i festeggiamenti erano chiamati “Terminalia”, celebrati in onore del dio Termine, quel dio che determinava il confine di tutte le cose. Festeggiamenti che facevano parte di un antichissimo rituale, che veniva praticato in onore di questo dio che aveva il compito di stabilire "inizio e termine" per tutto: cose e ovviamente anche persone, che terminavano la vita terrena. I festeggiamenti si svolgevano durante la giornata del 23 febbraio, allora, come detto, l’ultimo giorno del mese e dell’anno.

Termine era un dio potentissimo, che giocava un ruolo importante per la vita degli umani, dato che poteva decidere quando una stagione doveva terminare oppure quando una vita poteva spegnersi. Una mitica creatura, quindi, particolarmente temuta, ma anche venerata, alla quale era stata dedicata l’ultima giornata del mese di febbraio: il 23, appunto. La scelta di decretare il 23 febbraio come la giornata da dedicare al dio Termine era tutt’altro che casuale, in quanto con la fine del mese di febbraio terminava un periodo, bello o brutto che fosse stato, e iniziava un nuovo ciclo, con la speranza di un anno migliore.

Amici, come per noi oggi il 31 dicembre, il 23 febbraio era un giorno particolarmente importante, tanto che durante quel giorno veniva sospesa qualunque attività all’infuori dei festeggiamenti in onore del dio, che avvenivano sia sui campi che sull’attuale via Laurentina, nella quale sorgeva il tempio dedicato al dio Termine. Era un modo per ingraziarsi il dio per l’anno trascorso, oltre ad auspicare che quello entrante fosse ugualmente favorevole. Insomma, era un salutare il vecchio anno, dando il benvenuto al nuovo.

In realtà i Terminalia, nonostante fossero una festa pagana,  non erano una celebrazione violenta come, invece, lo erano molte altre dell’epoca. I suoi rituali, infatti, erano per lo più pacifici, poiché prevedevano la consacrazione di alcune pietre che determinavano i confini dei campi e l’incoronazione di una statua, che rappresentava il dio Termine. Gli unici sacrifici che erano previsti prevedevano l’uccisione di un agnello oppure di un maialino. Sacrifici che simboleggiavano la morte dell’anno vecchio; per questo motivo il sangue degli animali doveva poi essere sparso su un altare insieme a del cibo che sarebbe poi andato bruciato. Era un rito necessario ad inaugurare l’anno, auspicando un po’ di fortuna, ma soprattutto chiedendo la benevolenza del temibile dio.

Cari amici, ogni epoca ha le sue tradizioni, e, se vogliamo dirla tutta, la gran parte delle celebrazioni che si susseguirono poi nei secoli, hanno sempre affondato le radici proprio in queste antiche pratiche di ringraziamento alle entità superiori, comunque chiamate, che l’uomo ha sempre voluto riconoscere come esseri superiori, capaci di regolare la vita, nel bene e nel male.

A domani, amici lettori.

Mario