lunedì, settembre 30, 2024

L’ITALIA E IL PROBLEMA DELLA DE-NATALITÀ. IL PREOCCUPANTE CALO DEMOGRAFICO METTE IN PERICOLO ANCHE L'ISTRUZIONE SCOLASTICA. LA SARDEGNA È LA “MAGLIA NERA”.


Oristano 30 settembre 2024

Cari amici,

Voglio chiudere con Voi i post di settembre parlando di DE-NATALITA' e di SPOPOLAMENTO. Se è pur vero che in Italia si fanno sempre meno figli, la nostra Sardegna è proprio il fanalino di coda! Nella classifica mondiale della natalità oggi l'Italia è al quart'ultimo posto. Le ragioni sono molteplici, alcune di queste hanno origini lontane, affondando le radici in ritardi sociali e culturali, riferiti alla mancanza di “parità di genere”, oltre  che a ragioni economiche più ampie. La risultante è che la denatalità in Italia continua a crescere: gli ultimi dati ISTAT, relativi all’anno 2023, parlano di 379mila nuovi nati, ovvero soltanto 1,20 figli per donna, i numeri più bassi di sempre!

Di fronte alla disastrosa situazione italiana, la Sardegna risulta, tra l’altro, collocata agli ultimi posti: praticamente la “maglia nera” delle Regioni. Si,  le donne sarde non fanno più figli: la nostra si conferma come la regione italiana con la natalità più bassa in assoluto, oltre che e la seconda regione più colpita (dopo la Basilicata) dallo spopolamento. L'impietosa statistica dichiara in Sardegna un valore di fecondità per donna, pari a 0,95: la nostra isola è l’unica regione italiana con una fecondità al di sotto dell'unità!

Amici, questo calo demografico sempre più accentuato sta avendo un impatto devastante su diversi fronti, che vanno dallo spopolamento, in particolare dei centri minori dell’interno, al ridimensionamento del “sistema scolastico”, con soppressioni di classi ed accorpamenti che, anno dopo anno, stanno mettendo in pericolo il nostro livello culturale. L’isola perde circa 5.000 studenti ad ogni apertura di anno scolastico! Un vero disastro che, senza urgenti interventi tampone, effettuati dalla politica per garantire il sacrosanto diritto allo studio, sta causando danni irreversibili. La scuola è un diritto inalienabile, per cui è evidente l’urgenza di una legge specifica sul diritto allo studio che possa salvaguardare il diritto dei sardi all’istruzione.

Il problema del calo demografico nell’isola è particolarmente acuto nel centro della Sardegna, dove si registra anche un tasso di diplomati significativamente più basso rispetto alla Città Metropolitana di Cagliari ed agli altri centri costieri come Olbia. Cinquemila iscritti in meno ogni anno, con le aule sempre più vuote, fanno tremare in particolare i piccoli centri, che ogni anno temono che la loro scuola possa essere chiusa. È la tragica conseguenza dello spopolamento, che aggredisce in particolare le zone interne dell’isola, dove interi paesi sono abitati solo da pochi anziani.

Negli ultimi quattro anni le scuole dell’isola, dalla materna alle Superiori di secondo grado, hanno visto sparire ventimila iscritti. E se prima il segno meno riguardava prevalentemente la fascia 3-11 anni, a causa del baby boom che si è interrotto drasticamente intorno al 2010, ora anche le Medie e le Superiori patiscono la carenza di new entry. Un quadro molto grave, che per ora appare inarrestabile, che impone una urgente revisione del sistema scolastico e indubbiamente delle scelte politiche importanti da fare!

All’entrata in vigore del Decreto Ministeriale sul dimensionamento scolastico, concepito in linea con gli obiettivi richiesti dall’Europa, l’Italia ha provveduto a ridurre il numero di autonomie; in Sardegna queste sono state ridotte da 270 a 228, seppure senza tagli e chiusure, almeno per ora. Il piano messo in atto ha suscitato discussioni e contrapposizioni fortissime: è stata sottolineata la specificità della Sardegna e l’opportunità di legiferare sulla scuola in maniera autonoma tenendo conto delle caratteristiche della nostra regione, sia in termini linguistico-culturali, che demografici e orografici. Ma non è questo l’unico problema che affligge il sistema scolastico isolano.

Amici, chi governa l’isola, dovrà intervenire con forza per invertire la rotta. Dovrà cercare di frenare l’emorragia scolastica, che di fatto rischia di portare all’assenza di una nuova, futura classe dirigente nell’isola. Il numero di ragazzi che non arrivano al diploma o che non vengono ammessi all’esame di maturità (per due anni il dato sardo è stato il peggiore d’Italia) si accompagna alla percentuale di NEET (ragazzi tra i 15 e i 29 anni) che non studiano, non lavorano e non frequentano corsi di formazione: sono il 25% del totale. Quelli evidenziati sono dati alquanto allarmanti.

Cari amici, indubbiamente il problema in Italia della crescente DE-NATALITÀ è serissimo, ma in Sardegna ha implicanze, sotto certi aspetti, ancora più pericolose: il gravissimo rischio dello spopolamento, con conseguente abbandono dei piccoli centri, specie quelli dell’interno. Quando in un piccolo centro spariscono la Banca, l’Ufficio Postale, la Farmacia, i negozi e la scuola, che senso avrebbe per i pochi rimasti continuare a restare? La risposta la dovrebbero dare i politici che ci governano, in particolare quelli della nostra SARDEGNA!

A domani.

Mario

 

 

domenica, settembre 29, 2024

ORISTANO HA VOLUTO FESTEGGIARE CON UN FORTE IMPEGNO IL GRANDE LAVORO PORTATO AVANTI DALL'UNICEF, CHE HA COMPIUTO I SUOI PRIMI 50 ANNI.


Oristano 29 settembre 2024

Cari amici,

Il Comitato Italiano per l’UNICEF, l’Organizzazione non governativa e Onlus creata, dopo la seconda guerra mondiale, in armonia con il Fondo delle Nazioni Unite per l’Infanzia, opera nel nostro Paese dal 1974, quindi quest’anno ha compito e festeggiato i suoi primi 50 anni. La sua importante funzione nel mondo nacque con due principali finalità: la prima, quella di raccogliere fondi per sostenere i programmi che l’UNICEF promuove in 162 Paesi a difesa dei bambini e delle donne, la seconda, quella di promuovere quanto stabilito dalla Convenzione sui diritti dell’infanzia. L’UNICEF, in particolare durante i conflitti armati e le catastrofi naturali, garantisce gli aiuti di prima emergenza (acqua, medicinali, assistenza medica e alimenti per la prima infanzia), promuovendo interventi specifici con programmi di sviluppo nel campo sanitario, educativo e sociale.

Il Comitato Provinciale UNICEF di Oristano si è sempre distinto per impegno e determinazione fin dall’origine. Una delle Presidenti più importanti e note è stata BIANCA FANTONI MUSCAS, che fu Presidente del Comitato  di Oristano per oltre 35 anni. Venerdì 20 settembre, suo nipote Andrea Muscas, musicista, per festeggiare sia Bianca, la sua indimenticabile nonna, che l’Unicef, unitamente ad un bel gruppo di  musicisti amici, ha organizzato un eccellente concerto ("NOTE PER BIANCA"), tenutosi in Piazza Cattedrale, che ha avuto una grande partecipazione di pubblico. Ma i festeggiamenti non sono certo finiti con il concerto! Ne ho parlato nel mio blog, chi vuole può andare a leggere: http://amicomario.blogspot.com/2024/09/si-e-svolto-in-piazza-duomo-ad-oristano.html.

Lo scorso Venerdì 27 settembre, sempre con lo scopo di festeggiare il primo mezzo secolo dell’Unicef, è stata allestita una sfilata di moda a scopo benefico, dal titolo “Una notte per l’Unicef”. La location scelta è stata il piazzale della chiesa di San Sebastiano, nella centrale Piazza Roma della nostra città. Un folto pubblico ha voluto assistere alla sfilata, iniziata alle 21,00, che ha visto ben 7 (Sette) stilisti presentare innovativi abiti appartenenti alle diverse collezioni, che hanno sfilato addosso a 15 Quindici modelle. La sfilata è stata realizzata in collaborazione con la Fashion Squad Agency.

Ecco i sette stilisti partecipanti: Atella Claudia Cinzia Couture di Quartu Sant’Elena, Goral Gioielli di Alghero, Filo Felt di Maria Bonaria Salis di Selargius, la stilista Angela’s Bags, Vellusar creazioni in velluto, Atelier Duchesse di Sonia Flauto (Sassari) e Boutique Fru Fru di Oristano. Tra una presentazione e l’altra, durante gli intervalli, hanno deliziato il numeroso pubblico presente dei piacevoli intermezzi musicali, portati avanti dall’artista Corrado Atzei, dai Dual Mode e dal duo Doppio Diesis Live”.

Amici, grande soddisfazione è stata manifestata dalla Presidente del Comitato Provinciale Unicef oristanese PAOLA BRAI,  che ha voluto che negli intervalli fossero trasmessi, per una maggiore conoscenza al pubblico dell’attività svolta dall’Unicef,  diversi video promozionali. L’interessante evento è stato realizzato con la piena collaborazione del Comune di Oristano – Assessorato allo spettacolo, servizi sociali e attività produttive.

Cari amici, con i suoi 50 anni di vita, orgogliosamente portati, il Comitato italiano per l’UNICEF rinnova e rafforza il suo costante impegno a favore dell’infanzia svantaggiata soprattutto nelle aree più tormentate e depresse del pianeta. Oristano vi ha sempre contribuito onorevolmente. Lo dimostra il grande impegno portato avanti dai vari Enti, realizzando anche quest’anno un interessante “Settembre Oristanese”, di alto livello. Grazie a tutti quelli che si sono impegnati!

A domani, cari lettori.

Mario

 


sabato, settembre 28, 2024

LA STORIA DI GHINO DI TACCO, IL BRIGANTE GENTILUOMO CANTATO DA DANTE E BOCCACCIO, OVVERO IL ROBIN HOOD DI CASA NOSTRA!


Oristano 28 settembre 2024

Cari amici,

Se è pur vero che la letteratura britannica esalta con grande orgoglio il suo grande eroe popolare, ROBIN HOOD (nei manoscritti più antichi compare come "Robyn Hode"), il brigante gentiluomo che operò alla fine del Milleduecento nel Regno Unito, anche nel nostro Paese ha operato un personaggio simile, anch’esso  a metà tra lo storico e il leggendario, che fu operativo nella Valdichiana senese. Trattasi di un certo GHINO DI TACCO, nato nella seconda metà del XIII° secolo a La Fratta , nel Castello di Torrita, posto nel comune di Sinalunga vicino a Siena. Entrambi, Robin e Ghino, decantati come generosi giustizieri, diventati banditi nonostante le loro nobili origini (il primo, Robin, nobile sassone decaduto, il secondo Ghino, figlio di Ugolino, dei conti Tacco, e di una Tolomei, rampollo della nobile famiglia dei Cacciaconti); operarono entrambi “da briganti buoni”, ovvero utilizzando una particolare giustizia: rubando ai ricchi per dare ai poveri, alquanto vessati dalla pesanti tasse dei sovrani dell’epoca.

Amici, tutti conosciamo la storia del grande Robin Hood e della sua banda, che operava nella foresta di Sherwood, nella Contea di Nottingham, tra la fine del Milleduecento e l’inizio del Trecento, ma oggi, però, non voglio ripercorrere queste note vicende che videro protagonista Robin Hood, ma quelle del suo omologo nostrano il nobile decaduto GHINO DI TACCO. Anche la sua è una storia sicuramente romanzata, ma di certo con una sicura fonte di verità. Proviamo a ripercorrerla insieme.

Ghino di Tacco nacque a La Fratta da una grande, nobile famiglia di Torrita (quella dei Cacciaconti), intorno al 1265. Un tempo la Fratta si trovava nel castello di Torrita di Siena, oggi nel Comune di Sinalunga. Il padre di Ghino, escluso dagli onori riservati alle famiglie patrizie, decise, insieme ai figli Ghino e Turino, di vendicarsi: misero a ferro e a fuoco, nel 1285, il borgo di Torrita. Tacco e Turino furono giustiziati in Piazza del Campo, mentre Ghino riuscì a fuggire rifugiandosi a Radicofani.

A Radicofani, una rocca sulla Via Cassia , al confine tra la Repubblica di Siena e lo Stato Pontificio, Ghino continuò la sua carriera di bandito alla macchia, ma in forma di gentiluomo, lasciando ai malcapitati sempre qualcosa di cui vivere. Messosi a capo di una valente banda, la rocca di Radicofani diventò la  base per sequestri, taglieggiamenti e rapine, che lo resero celebre; tuttavia fu un bandito-gentiluomo, un Robin Hood della Valdichiana! Certo, toglieva ai ricchi per dare ai poveri, ma senza infierire sulle sue vittime.

Fiero di questa sua fama, sentì il dovere di vendicare il padre e lo zio.  Messosi a capo di quattrocento uomini si recò a Roma per pareggiare i conti con il giudice che fece condannare a morte suo padre e suo zio; l'uomo, ormai era diventato un importante giudice della corte dello Stato Pontificio. Ghino, armato di una sola spada, entrò nel tribunale papale nel Campidoglio e decapitò l'odiato giudice Benincasa, infilando poi la testa sulla spada che portò nella rocca di Radicofani, dove a lungo ne espose lo scalpo appeso al torrione. Ottenuta questa macabra vendetta, Ghino, con grande determinazione, ritornò a compiere le scorribande in val d 'Orcia, continuando così ad alimentare l’alone leggendario di fiero ed imbattibile guerriero. Dopo il 1300 le notizie certe su di lui, però, cessarono, lasciando spazio alle leggende, a cui contribuirono gli scritti di Dante e Boccaccio.

Si, amici, di questo straordinario personaggio qual fu Ghino di Tacco, troviamo solida traccia nella Divina Commedia. Al VI canto, Dante, quando arriva nell’Antipurgatorio, nel girone de “I morti per forza”, incontra il personaggio “Benincasa di Laterina”, una delle vittime messa a morte da Ghino, il Sommo Poeta così scrive: “Qui v’eran l’Aretin che da le braccia Fiere di Ghin’ di Tacco ebbe la morte”. Ebbene, ma di questo Robin Hood nostrano parla anche il grande Boccaccio.

Si, amici, a dare un importante contributo alla fama di Ghino, “brigante gentiluomo”, fu, sicuramente, anche Boccaccio. Nella novella “Ghino di Tacco e l’abate di Clignì”, si parla proprio di Lui. La novella è una di quelle raccontate dall’"allegra brigata" durante la decima ed ultima giornata del Decamerone, in cui i giovani narratori presentano esempi di “liberalità”, ovvero l’equilibrata generosità, tipica dei veri signori, nel distribuire beni a chi li merita, o nel trattare con gran cordialità gli altri. Ecco come viene ricordato Ghino di Tacco.

Nella novella, che ha come tema centrale quello della cortesia nobiliare, Ghino viene descritto come un perfetto esempio di grandi virtù; Ghino viene considerato un bandito onesto, in possesso di valori esemplari, insomma, un vero e proprio eroe positivo! Ecco la storia! Accade che un giorno Ghino rapì l’abate di Clignì (uno dei principali centri del monachesimo benedettino medievale, a Cluny, nella regione francese della Borgogna) e, come da prassi, lo portò nel suo castello. Dopo aver scoperto che l’abate si stava dirigendo alle terme di San Casciano a causa di un forte mal di stomaco, decide di curarlo seguendo un suo rimedio personale: ogni giorno gli concede solo razioni molto limitate di pane, fave e vino, favorendo in tal modo la guarigione completa dell'abate. Dimostrò, così, di essere più uomo altruista che bandito.

Cari amici, oggi ho voluto raccontarvi la storia di questo nostro “Robin Hood”: Ghino di Tacco, certamente un bandito, ma dotato di grande onestà, in possesso di grandi valori positivi!

A domani.

Mario

venerdì, settembre 27, 2024

LUANA PERILLI, L’ARTISTA CHE METTE IN DISCUSSIONE LA RELAZIONE DELL'UOMO CON LA NATURA CHE LO CIRCONDA. ECCO UN SUO CURIOSO ESPERIMENTO SOCIALE.


Oristano 27 settembre 2024

Cari amici,

Ci sono dei giovani artisti che non si rassegnano a prendere per buona la relazione che l’uomo ha messo in atto con la natura che lo circonda. Artisti che non approvano l'egoistica predominanza che l’uomo ha instaurato sulle regole del Creato in cui si trovano, per cui, la loro acuta analisi, li porta a ipotizzare la necessità del ripristino delle antiche regole, auspicando relazioni diverse e paritarie tra l’uomo e la natura che lo circonda.

Una di queste figure artistiche, non rassegnate allo status quo, è di certo LUANA PERILLI, giovani artista che da tempo ha rimesso in discussione la relazione uomo-natura, auspicando modi di vivere più vicini a quelli originariamente in atto nel regno animale (come ad esempio quello delle formiche). La sua straordinaria immaginazione, l’ha portata ad indagare sulle intelligenze non umane, sui sistemi collettivi ecologici, biologici e semantici, ipotizzando che la vita dell’uomo sarebbe dovuta essere molto più vicina alle altre intelligenze presenti nella vita animale. Luana lo ha fatto per oltre 15 anni, approfondendo la ricerca sull’intelligenza collettiva degli insetti eusociali; studi che poi hanno stimolato altri a continuare.

Questo è il suo immaginifico modo di vedere l’uomo di oggi integrato nell’originario, complesso mondo animale primordiale, dove i sistemi biologici ed ecologici risultano perfettamente integrati tra di loro; si, amici, questo suo stato d’animo indagatore (definito “WANDERLUST”), ha messo in luce il suo forte e irrefrenabile desiderio di vedere l’intelligenza umana tornare in perfetta sintonia con quella  non umana, quella da noi considerata alquanto inferiore, e oggi volgarmente definita animale.

Amici, per noi, uomini che ci definiamo "civilizzati", l’affermazione «Vivere come delle bestie» è intesa in senso alquanto negativo. La battuta, derivata come afferma Francesca FAVOTTO (di cui parleremo dopo), giovane e valente giornalista che scrive per importanti riviste, deriva dalla famosa citazione dantesca «Fatti non foste a viver come bruti», e sta ad indicare la nostra natura umana di esseri senzienti, quindi dotati di intelletto e ragione.

La domanda è: “Ma siamo sicuri di essere dalla parte della ragione? E se qualcosa fosse andato storto in questo nostro stare al mondo?”, a cui si potrebbe rispondere: “E se, invece, vivere come gli animali fosse la risposta giusta, il modello a cui tornare per ritrovare un’umanità più attenta e collaborativa di quella attuale? È proprio questo l’importante interrogativo che l’uomo dovrebbe porsi e che si è già posto Luana Perilli, docente all’Accademia di Belle Arti di Roma e valente artista, che cerca con le sue opere d’arte di analizzare la relazione che esiste tra l’uomo e la società, la natura e la cultura; lo fa tornando indietro nel tempo, ripercorrendo la Storia e le tradizioni tramandate e ripescate dalla memoria, frutto degli studi di sociobiologia.

Amici, FRANCESCA FAVOTTO, come accennato prima, è una giovane e capace giornalista, che si è formata dopo una lunga gavetta, e che oggi possiamo definire una fonte inesauribile di vitalità. Curiosa e determinata, si è convinta che l’uomo deve tornare al passato, riprendendo a convivere con gli insetti eusociali, come le formiche; lo può fare “ripartendo – come dice Lei - dalla sorellanza, modello usuale ai tempi delle società arcaiche matrilineari”. E per dimostrarlo ha deciso di provarci, riproponendo questo stile di vita al giorno d’oggi, in questa società tremendamente intrisa di individualismo. Ebbene, per poterlo toccare con mano ha voluto partecipare ad un esperimento sociale, che insegna agli esseri umani ad imitare le formiche. Un esperimento curioso e importante: ecco il riepilogo di come è andato.

Francesca, insieme ad altre donne, si è recata in una località posta tra i monti del Parco Naturale Regionale Sirente Velino, nell’Abruzzo più selvaggio, al confine con il Lazio. Voleva provare a creare una microcomunità temporanea fatta di sole donne, a contatto per la maggior parte del tempo, rivivendo l’antico modo di stare al mondo delle nostre antenate più ancestrali, coloro che animavano e sostenevano con il loro sapere le cosiddette società matrilineari, ovvero incentrate su una condivisione dei saperi e dell’accudimento squisitamente femminile.

Come ha maturato Francesca l’ispirazione? L’ha avuta dalle formiche, animali da sempre organizzati in Comunità di vere e proprie «sorelle», esemplari che tra loro si supportano per la sopravvivenza, arrivando anche a sviluppare due stomaci, uno per sé e uno per la sorella in difficoltà. Lavorando incessantemente per il bene di se stesse, in primis, e del formicaio; un mondo, questo, dove esse creano quello che in sociobiologia viene chiamato Superorganismo, un’entità a se stante, fatta di migliaia di formiche in empatica cooperazione tra di loro.

Francesca, amici, ha partecipato a questo progetto con molta curiosità, sicura che tra donne si sarebbe subito creata una vera e propria magia solidale, come da sempre è capitato. Il progetto messo in atto è stato intitolato ad Alcina, la maga raccontata dall’omonima opera di Händel del 1735, che trasforma le persone in animali, pietre e piante e regna sulla sua isola insieme a Morgana, altra maga, in un contesto di creature non umane ma in grado di parlare.

A partecipare al progetto sono state una ventina di donne, di diverse età, alcune artiste a loro volta, altre studentesse; la più piccola di soli 5 mesi, allattata al seno da sua madre Nicole, allieva e collaboratrice di Luana Perilli. Oltre alle adulte e alla piccola lattante, quattro bambine, figlie delle partecipanti, che a loro volta hanno creato sin da subito una loro microcomunità. Indubbiamente un esperimento perfettamente riuscito, vista la perfetta coesione raggiunta!

Cari amici, interrogarsi sull’uomo di oggi e sui rapporti con la natura che lo circonda è senz’altro positivo; oltre ad analizzare e riflettere sulla perfetta sintonia che regola la natura, la riflessione aiuterebbe certamente l’uomo ad essere più rispettoso sul mondo che lo circonda, un mondo che dovrebbe conoscere meglio, apprezzandone le sue straordinarie regole e inchinandosi di fronte alla sua perfezione! Facciamo in modo che succeda davvero!

A domani.

Mario

giovedì, settembre 26, 2024

RIVIVE NEL SUD ITALIA L'ANTICA “OLIVA BIANCA” (LEUCOLEA) ARRIVATA MOLTI SECOLI FA DALLA GRECIA, GRAZIE AI MONACI BASILIANI.


Oristano 26 settembre 2024

Cari amici,

Tra le tante varietà di piante di olivo, una di queste è davvero particolare, avendo una antichissima storia sulle spalle. Sopravvive nel Sud Italia, e il suo nome è LEUCOLEA (in gergo scientifico Olea Leucocarpa), una varietà ritenuta quasi perduta e rarissima, famosa per il suo colore chiaro, candido. Coltivata in Grecia oltre 3.000 anni fa, ha frutti bianchi piccoli, ed è sopravvissuta, quasi miracolosamente, in piccole piantagioni nelle terre del nostro Sud, in particolare in Calabria e nella Tuscia.

Pianta originaria dell’Asia, dove risultava presente ben 6.000 anni fa (si trovano attestazioni della sua coltivazione in racconti tradizionali, testi religiosi e reperti archeologici), con la diffusione del cristianesimo questa pianta dai frutti bianchi venne utilizzata per produrre uno speciale olio da usare nelle liturgie, oltre che nell’uso di lucerne, grazie alla sua proprietà di non produrre fumo; l’olio estratto diventava quindi “l’Olio del Crisma”, da cui ancora oggi prende il nome il rituale cristiano della Cresima. Di questo olio, stando al racconto della Bibbia, erano stati unti addirittura sia Davide che Saul, prima delle loro imprese.

Amici, un olio, quello ricavato, praticamente considerato sacro, tanto che nelle città bizantine di Bova e di Gerace, tale olio era ritenuto così particolare da essere riservato alle diverse funzioni rituali: battesimo, cresima, ordinamento dei sacerdoti e dei vescovi, unzione dei malati e, a partire dal VII secolo, per le cerimonie di "incoronazione degli imperatori”, come ha avuto modo di raccontare Orlando Sculli, dell’Associazione “Patriarchi della natura”. Ma vediamo come si presenta quest’albero e come sono in realtà i suoi frutti.

L’“oliva bianca” è prodotta da un albero imponente, con un portamento maestoso, chioma ampia e foglie verde-scuro, anche se, per gli esperti, presenta una particolare anomalia genetica. Come ha avuto modo di spiegare ad AgroNotizie il dottor Innocenzo Muzzalupo, laureato in Scienze Biologiche, ricercatore del Consiglio per la Ricerca in agricoltura e Analisi dell'Economia Agraria (CREA), che da anni studia la Leucocarpa: “A causa della sua colorazione, in passato Leucocarpa veniva associata al concetto di purezza e per questo veniva coltivata nei pressi di chiese e monasteri. L’olio ottenuto dalla molitura veniva poi usato per i riti sacri, come l’estrema unzione oppure la consacrazione di nuove chiese”.

Questa pianta, ai tempi della Magna Grecia, era diffusa in tutta la Calabria, soprattutto nei pressi del monasteri basiliani, che la utilizzavano per ricavarne olio per le sacre funzioni; anche l’olio che se ne ricavava, infatti, invece del caratteristico colore giallo-verde, rimane di un bianco quasi trasparente. Il nome Leucolea deriva proprio dal fatto che sia le drupe che l’olio ricavato restano bianchi anche dopo la totale maturazione del frutto. Al giorno d'oggi, come accennato, la Leucolea allo stato selvatico, è presente praticamente solo in Calabria.

Grazie allo studioso Alessio Grandicelli, che ne ha incentivato la coltivazione, possiamo trovare la Leucolea anche nella Tuscia, precisamente a Castel Sant’Elia, in provincia di Viterbo. Grandicelli, attraverso un post su Facebook, ha così commentato: “Finalmente posso presentare a tutti qualcosa di meraviglioso! Sono riuscito a far crescere un’oliva di oltre 3.000 anni fa, un’oliva perduta nel tempo, completamente bianca. È il ‘leucokasos’, ossia l’oliva bianca dell’isola greca di Kasos”.

Cari amici, credo proprio che la rinascita della LEOCOLEA sia proprio una grande riscoperta! Indubbiamente ha fatto un lungo percorso: dalla Terra Santa alla Grecia, con successivo arrivo nel nostro Meridione. Ora, dopo migliaia di anni, la coltivazione di questa pianta è ripresa nel nostro centro-sud, proprio dove, più di due millenni fa, veniva coltivata dagli etruschi. La Leucolea ha, dunque, ripreso vita, sia in Calabria che nella Tuscia, è ci resterà, speriamo, per molti altri secoli! Io credo che questa pianta possa avere un buon successo anche nella nostra terra di SARDEGNA! Basterebbe avere il coraggio di impiantarla e utilizzarla anche da noi!

A domani amici lettori.

Mario

mercoledì, settembre 25, 2024

IL “NUNCHI”, L’ANTICHISSIMO METODO COREANO PER POTENZIARE L'EMPATIA E MIGLIORARE LE RELAZIONI SOCIALI.


Oristano 25 settembre 2024

Cari amici,

I COREANI, guidati dalla filosofia orientale, da millenni hanno adottato un interessante metodo per avere relazioni sociali più sane, un sistema capace di trasmettere loro quella necessaria fiducia negli altri. Questo metodo, da loro considerato essenziale per la sopravvivenza, la felicità e il successo, consente loro di entrare istantaneamente in sintonia con i pensieri e le emozioni degli altri, migliorando così le relazioni interpersonali messe in atto. Chiamato NUNCHI, questo metodo risulta essere una specie di intelligenza emotiva.

Ereditato dagli avi, che lo praticavano già millenni fa, il NUNCHI aiuta la persona che lo pratica in molte situazioni: dallo scegliere il partner a fare la mossa giusta nella vita o negli affari, a brillare sul lavoro e nel sociale, oltre che a proteggersi dagli invidiosi, che creano sempre ostacoli, e a ridurre l’ansia sociale. Per praticare il Nunchi vengono utilizzati gli occhi e le orecchie. Risulta importante, infatti, prestare attenzione agli altri, piuttosto che rimanere sempre concentrati su se stessi, oltre ad avere dei rapporti relazionali proficui.

La filosofia dei coreani, dunque, applicando il Nunchi, porta ad un miglioramento di se stessi, concentrandosi non su se stessi ma sugli altri, creando così relazioni sociali positive. In un mondo divenuto arido, in cui l’individualismo e lo scontro sembrano la regola, esiste dunque un’alternativa, che consente di creare un clima di armonia sociale nel quale diventa più facile essere felici, provare benessere e quindi avere maggiore successo in ogni ambito. Il Nunchi è, dunque, un’arte positiva, che consente di entrare in sintonia con i pensieri e le emozioni degli altri, costruendo di conseguenza un clima di armonia e di benessere.

Del NUNCHI  ne parlano diversi studiosi,  tra cui la giornalista coreana Euny Hong, che, nel suo nuovo libro “The Power of Nunchi: The Korean Secret to Happiness and Success”, definisce quest’arte una particolare caratteristica che possiedono le persone sensibili alle dinamiche dei gruppi. I coreani cercano di instillare il Nunchi nei loro bambini, che apprendono che cosa sia quando hanno appena tre anni. «Di solito, però, allora lo imparano in negativo», spiega l’autrice. «Ad esempio, se tutti sono in piedi sul lato destro di una scala mobile e un bambino si piazza a sinistra, il genitore gli dirà: “Perché non hai il Nunchi?”. In parte è una questione di non essere maleducati, ma anche in parte vuole anche dire: “Perché sei sconnesso dal tuo ambiente?”».

Il Nunchi nel mondo coreano torna utile in quasi tutti gli ambienti sociali in cui ci si può trovare, da un matrimonio, a una riunione, a un colloquio di lavoro. Nella pratica, chi possiede il Nunchi è in grado di notare chi, in un dato contesto, sta parlando, chi sta ascoltando, chi interrompe, chi si scusa, chi alza gli occhi al cielo. E, a partire da queste osservazione, si possono fare valutazioni potenzialmente utili sulla natura delle relazioni e delle gerarchie all'interno di un gruppo, sull'umore generale e su come comportarsi di conseguenza.

Per i coreani, inoltre, più che avere un buon Nunchi, è importante averlo rapido, avere la capacità di elaborare prontamente le informazioni sociali in evoluzione. Le persone con un Nunchi veloce hanno elevate possibilità di successo in qualsiasi ambiente sociale: hanno maggiori probabilità di adattarsi al contesto e di stabilire le giuste connessioni. Oltre ad essere meno inclini a commettere imbarazzanti passi falsi. «Le persone saranno più felici di starti vicino, se hai un Nunchi veloce», afferma Hong, «che, da un punto di vista machiavellico, aiuterà a “negoziare” meglio», restando in silenzio, ascoltando attentamente e raccogliendo informazioni dagli altri prima di parlare. È un’abilità basata sulla discrezione, e quindi può diventare un «superpotere»

Cari amici,  secondo l’autrice del libro prima riportato Euny Hong, non solo il Nunchi aiuta le persone a cavarsela in ogni contesto, ma avrebbe anche contribuito al rapido sviluppo della Corea, passata da essere una delle nazioni più povere del mondo ad un Paese culturalmente potente e ad alto reddito. Eppure non siamo abituati a pensare ai leader aziendali e mondiali come persone sensibili e raccolte. «L’Occidente enfatizza l'autonomia e l'individualismo, mentre il Nunchi sembra sostenere il contrario», come spiega Euny Hong. Credo proprio che la filosofia del Nunchi sia molto più positiva di quella occidentale.

A domani.

Mario