martedì, gennaio 30, 2007

PALESTINA, "terra santa", TRA ISLAM E MODERNITA'



UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI SASSARI
FACOLTA’ DI SCIENZE POLITICHE

CORSO DI LAUREA SPECIALISTICA IN EDITORIA, COMUNICAZIONE MULTIMEDIALE E GIORNALISMO


LA PALESTINA, “ TERRA SANTA ”,
TRA ISLAM E MODERNITA’




RELAZIONE DI MARIO VIRDIS, matricola 30019800

Esame di: Culture e conflitti nell’area mediterranea
PROF. RODOLFO RAGIONIERI

INDICE

In copertina:
PALESTINA, “Terra sancta quæ in sacris terra promissionis olim Palestina “ Dal Theatrum Orbis Terrarum, nella rara edizione di Blaeu del 1635. Importante carta nautica incisa in rame con vivace coloritura coeva; misure: mm. 510x385
- Indice……………………………………………………………………....................pag. 2
- Premessa …………………………………………………………………................. pag. 3
- La Palestina nell’attuale scacchiere internazionale……….………………pag. 8
1- Tra Islam e Modernità…………………………………........………………..pag. 8
2- Nasce lo Stato d’Israele……………………………………………….........…pag. 9
3- Gli ulteriori interventi di pace della Comunità Internazionale……pag. 10
4- La Palestina del dopo Arafat………………………………….......………….pag. 12

-Conclusioni……………………………………………………………............…………..pag. 13
-Bibliografia……………………………………………………………………............…..pag. 16









PREMESSA

La Palestina è notoriamente considerata “Terra Santa”, terra promessa da Dio, per le tre grandi religioni monoteistiche mondiali: Ebraismo, Cristianesimo ed Islamismo. Terra Santa, quindi, prediletta dalla sorte? Forse no, ma da millenni sempre contesa, sì.
Eppure questo specialissimo lembo di terra promessa non è un Eden. In parte desertica, arida e inospitale, stretta tra il Mediterraneo ed il Deserto Siriaco, la Palestina è stata sempre teatro di aspre contese per il suo possesso. Questa terra ha una collocazione particolarmente strategica: collega geograficamente e idealmente tre Continenti: Europa, Asia e Africa, che in quel punto si incontrano. E’ nella sua posizione geografica, forse, il motivo di tanta contesa.
Le Genti che iniziarono ad abitare questo territorio presumibilmente risalgono ad almeno 3500/4000 anni orsono. La Bibbia, testo sacro degli Ebrei, ci aiuta in questa ricerca. Questo testo pone le radici giudaiche in Mesopotamia con Abramo. Egli, però, come dice la Bibbia, ricevette da Dio il compito di recarsi in Palestina con la sua stirpe. Il nipote di Abramo, Giacobbe figlio di Isacco, detto anche Israele, è considerato il capostipite del popolo ebraico, in quanto dai suoi dodici figli sarebbero discese le 12 tribù di Israele.
L’occupazione della Palestina da parte degli Ebrei avviene, soprattutto, intorno al XII secolo A.C. : era la realizzazione dell’invito di Dio ad occupare la terra promessa, nota allora col nome di Canaan. L’occupazione non fu indolore, anzi fu estremamente brutale, con lo sterminio dei Cananei da parte dei Giudei. Nella regione era stabilmente insediato anche il popolo indoeuropeo dei Filistei, uno dei progenitori degli odierni Palestinesi. La rivalità fra Ebrei e Filistei diede luogo ad una lunga serie di guerre sanguinose: celebre la sconfitta subita dalla coalizione delle tribù giudaiche a Ebenezer, ove i Filistei catturarono l’Arca dell’Alleanza con Yaweh. In funzione antifilistea il condottiero Saul fu nominato Re degli Ebrei, capostipite di quel regno ebraico che visse alterne fortune. Pur vivendo momenti di indipendenza, infatti, questo regno visse un destino satellite di grandi imperi: prima l’Impero Medio-Persiano, poi l’Impero Macedone di Alessandro Magno ed il Regno dei Seleucidi ed infine l’Impero Romano. Lo status di “Provincia romana” non era ben accetto dagli Ebrei che, in parte, iniziarono ad emigrare; altri restarono e diedero vita a ripetute e sanguinose rivolte. Il periodo più drammatico fu quello del 70 D.C., quando Tito, figlio dell’imperatore romano Vespasiano, per sedare la ribellione assediò Gerusalemme. Lo scontro, che causò la morte di centinaia di migliaia di persone, tra ebrei e altri popoli che abitavano a Gerusalemme, si concluse con la caduta della città e la distruzione del Tempio di Salomone. Per gli Ebrei era l’inizio della Diaspora.
La dispersione nel mondo non disgregò, comunque, il popolo ebraico. La cultura, la fede, la forza di coesione e lo spirito di appartenenza portarono il “Popolo guidato da Dio” a creare anche fuori dalla Palestina una “Comunità”. Una fitta rete di solidarietà etnica consentì agli esuli di integrarsi in comunità ebraiche precedentemente costituite o di costruirne di nuove in altre parti del mondo, mantenendo, in linea a di massima, una costante separazione culturale dalle popolazioni autoctone nei nuovi insediamenti.
In Palestina, intanto, i posti progressivamente lasciati liberi dalla diaspora ebraica erano riempiti dalla migrazione di genti vicine, in particolare, dopo Maometto, dagli Arabi. La massiccia migrazione, a metà del VII secolo, porta la Palestina ad entrare a far parte dell’impero costruito dai Califfi (“successori”) di Maometto, subendo cosi una profonda arabizzazione demografica, culturale e religiosa. Le minoranze ebraiche rimaste in Palestina e quelle cristiane che ormai erano stabilmente insediate, tuttavia, riuscivano a mantenere la propria identità in quanto il Califfo riconosceva loro il diritto di praticare la propria religione e vivere secondo i propri usi e costumi in comunità autonome. L’unica condizione imposta era che dette comunità pagassero una tassa che costituiva il loro contributo al benessere ed alla potenza dell’Islam. Rispetto alla condizioni precedentemente vissute sotto l’impero di Bisanzio questa nuova condizione era, in effetti, migliorativa. Questo fatto consentiva loro, all’occorrenza, di schierarsi apertamente con gli Arabi contro Bisanzio.
Nel resto d’Europa con l’avanzare del Cristianesimo (la conversione di intere popolazioni barbariche ne fece aumentare considerevolmente il numero) la violenza tra Ebrei e Cristiani era in costante aumento e, considerata la minore consistenza, erano gli Ebrei ad avere la peggio. Tuttavia la forte solidarietà ebraica consentiva loro di mantenere posizioni dominanti, sia economiche che sociali, con la copertura di importanti incarichi nelle strutture amministrative e di potere in quasi tutti i regni nazionali ove erano insediati.
Nessuno, però, dimentica la Palestina, la terra degli avi. Nonostante il passare dei secoli ed il raggiungimento di traguardi importanti nel resto del mondo, la Palestina e la sua capitale Gerusalemme, continuano ad essere un forte punto di riferimento e di richiamo.
La Terra Santa e, soprattutto, Gerusalemme, erano un simbolo sacro, un forte richiamo di appartenenza, non solo per gli Ebrei, ma anche per gli esponenti delle altre due religioni, tutte discendenti da Abramo, che vi erano nate: il Cristianesimo e l’Islamismo.
Sostanzialmente per le seguenti ragioni:

- per gli Ebrei, perché era stata la capitale del loro regno;
- per i Cristiani, perché vi era morto e risuscitato il Messia;
- per i Musulmani, perché là era stato portato in volo Maometto a conoscere Abramo, Mose' e Gesu', e da li era asceso al Cielo.

La convivenza delle tre religioni in Palestina fino all’anno Mille fu possibile, come detto prima, per la tolleranza dei Califfi che consentivano ai pellegrini ebrei e cristiani l’accesso ai luoghi santi. A rompere questo equilibrio, intorno all’XI secolo, fu l’intervento del Papa Urbano II° che, con l’intento di “liberare” i luoghi sacri del Cristianesimo dalla presenza musulmana, diede inizio alle crociate. La crociata che nel 1099 parti' da Costantinopoli, con alla testa condottieri del peso di Ugo da Vermandois, Goffredo di Buglione e Boemondo d’Altavilla, consentì ai cristiani la conquista di Gerusalemme a prezzo, però, di un feroce massacro della popolazione musulmana e giudaica. Dopo questa immane violenza i Musulmani non poterono più consentire ai regni cristiani di sopravvivere a lungo in Palestina. La reazione fu considerata necessaria non solo per vendicare il massacro ma, soprattutto, perché la testa di ponte cristiana era una seria minaccia per la fede islamica. La reazione islamica non tardò a farsi sentire. Il Sultano Solimano fu il condottiero che nel 1187 riconquisto' Gerusalemme. Nonostante le successive reazioni cristiane respinse anche la terza crociata condotta, in forze, dall’imperatore Federico Barbarossa, dal re Filippo di Francia, dal re Riccardo Cuor di Leone d’Inghilterra e dal re Guglielmo di Sicilia.
La sconfitta non penalizzò più di tanto Cattolici e Ortodossi e, nonostante la fama, il feroce Saladino continuo' a permettere loro, come in passato, l’accesso in Terra Santa.
Tra alterne vicende, odi e intolleranze reciproche, in un costante precario equilibrio di convivenza, dobbiamo arrivare fino alla nostra epoca per assistere ad un nuovo rivolgimento della situazione politica in Palestina che riaccende gli scontri. Il fatto “nuovo” è la crisi e la successiva caduta dell’Impero Ottomano, in conseguenza della sconfitta nella prima guerra mondiale. L’impero viene smembrato e la Palestina passa sotto “mandato” britannico.
L’Islam dopo la caduta dell’Impero Ottomano non era più una “grande potenza”. La forzata divisione lo aveva ridotto in mille pezzi: frammentato e controllato da una serie di stati europei, con l’unica eccezione della Turchia che riuscì a mantenere la sua autonomia.
La situazione degli Ebrei in Europa, intanto, era nettamente migliorata: emancipati dalla Rivoluzione Francese, i più capaci erano diventati esponenti di primo piano sia negli ambienti politici che in quelli economici. Alcuni intellettuali avevano anche maturato una propria idea nazionale di Nazione Ebraica, gettando uno sguardo sulla Palestina.
E’ verso la metà del XIX secolo, quando quasi tutte le aspirazioni nazionali dei popoli d’Europa si sono realizzate o stanno per farlo, che questa idea di nazione israelita, partita da pochi intellettuali, cresce e si diffonde. Il primo a parlare di Sionismo (dalla collina di Sion a Gerusalemme) fu lo scrittore Birnbaum nel 1895. Era un bisogno nuovo quello che stava maturando in quanto sia nel Medio Evo che nell’Età Moderna gli Ebrei non avevano mai sentito il bisogno di creare un proprio stato-nazione.
Il Sionismo, come costruzione identitaria di “Stato-Nazione”, fino al 1945, fu sposato solo da una corrente minoritaria composta per lo più da intellettuali e Giudei dei ceti più abbienti. Non tutti, però, pensavano alla Palestina. Teodoro Herzl , ad esempio, pensava all’Argentina, terra allora poco popolata e ancora non oggetto di forte emigrazione, e solo in second’ordine alla Palestina, descritta come “ terra degli avi”. La Palestina, al contrario dell’Argentina, però, non era affatto spopolata: in circa 18 secoli aveva garantito la buona convivenza tra la popolazione araba e le minoranze ebree e cristiane. La Palestina, inoltre, era ancora sotto il controllo della Turchia. Tentativi fatti presso il Sultano per l’acquisto di questa regione furono vani: la regione non era vendibile a nessun prezzo, solo con quello del sangue. Saranno successivamente gli Inglesi (la Palestina era sotto “mandato” britannico) a fare le prime promesse per l’assegnazione della regione agli Ebrei e costituire quel “focolare nazionale” per gli Ebrei in Palestina.
Com’è noto l’Impero Britannico, all’atto della guerra con l’Impero Ottomano, fece una doppia promessa: agli Arabi promise di dare, dopo la vittoria, una propria nazione in cambio dell’aiuto offerto in guerra; agli Ebrei, invece, assicurava la creazione di una loro nazione in Palestina. Era la famosa “ Dichiarazione Balfour ” che i potentati sionisti erano riusciti ad ottenere dal governo inglese.
Come scrive Daniele Scalea, scrittore e giornalista nella pubblicazione “ La Nazione Eurasia ” (numero speciale 1, La lotta della Palestina. Omaggio a Yasser Arafat) : “…Chiaramente l’intriganza inglese, una volta di più, aveva dato un colpo al cerchio ed uno alla botte, e nel 1918, a guerra conclusa, per sfuggire all’ambigua situazione, finirono col non mantenere nessuno dei due impegni! Infatti gli Arabi, lungi dall’ottenere una propria nazione, secondo gli accordi presi con la Corona britannica, videro i propri Paesi spartiti tra gli imperialismi coloniali di Francia e Inghilterra; gli Ebrei dal canto loro, poterono trasferirsi in Palestina, ma solo a piccole quote annuali prestabilite, e comunque la regione rimaneva saldamente sotto il controllo inglese…”.
Inizia cosi per gli Ebrei il flusso migratorio verso la Palestina: prima lento, tiepido, poi forte e massiccio, quasi un esodo dall’Europa negli anni ’30, a seguito della politica antisemita del Nazionalsocialismo tedesco e del fascismo italiano. Alla fine della guerra gli Ebrei che uscivano dai campi di concentramento venivano avviati, anche dai porti italiani, in gran numero, verso la Palestina. Questa operazione è da molti considerata un “disegno strategico” portato avanti dalle potenti Lobbies sioniste dei Paesi Anglosassoni, considerato che la Palestina era ancora colonia britannica. Questa emigrazione in massa mette a dura prova la convivenza dei nuovi arrivati con i già residenti, con l’esplosione di seri conflitti. Inoltre la realizzazione della doppia proposta inglese di “creare due Stati separati” , uno per gli Arabi e uno per gli Ebrei, è rifiutata da entrambe le parti.
E’ l’inizio della lunga lotta armata, con la creazione di organizzazioni e formazioni terroristiche indirizzate inizialmente contro le truppe della Corona per liberare la Palestina dal dominio inglese e poi per l’estromissione di una delle due parti pretendenti.
Nel 1947 gli Inglesi rinunciano al mandato coloniale e abbandonano la patata bollente nelle mani dell’ONU. Il nuovo tentativo di creare due Stati, in relazione al “peso” demografico dei due popoli non riuscì: anche l’ONU, come prima gli Inglesi, si mostrava “cerchiobottista”. Ebrei e Arabi si decisero allora a risolvere il problema con le armi: nel maggio del 1948 i Paesi arabi inviarono le loro truppe in Palestina per conquistarla ed estromettere gli Ebrei. L’esercito sionista, ampiamente sostenuto in mezzi e apparati bellici da forze esterne, si impone sull’avversario conquistando larga parte della Palestina e lasciando agli Arabi solo Gaza e la Cisgiordania. Il 14 dello stesso mese di Maggio gli Ebrei proclamano unilateralmente la nascita della Stato d’Israele.
Per la Palestina, però, non è la fine di una lungo e tormentato periodo ma solo la modesta tappa di un lungo cammino.



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LA PALESTINA NELL’ATTUALE SCACCHIERE INTERNAZIONALE

1-TRA ISLAM E MODERNITA’

L’attuale disputa tra quello che viene comunemente definito “l’Islam” e “l’Occidente” ha radici lontane. Le intolleranze reciproche tra le basi teologiche islamiche, ebraiche e cristiane, sono state sempre fonte di esplosioni e reazioni fin dal Medioevo ed i relativi sistemi intellettuali, spirituali, morali e giuridici sono sempre stati di esclusione reciproca. Islam sinonimo di valori della tradizione, Occidente sinonimo, invece, di modernità, di conquista, di rifiuto della tradizione.
Scrive Mohammed Arkoun, studioso dell’Islam, algerino classe 1928, docente all’Università di Lyon (Francia) in un articolo dal titolo “ Come conciliare Islam e modernità”, reperito in “rete”:
“…Islam e Modernità: questi due concetti chiave richiedono una rielaborazione, se si vuole far luce nella confusione attuale derivante da un uso polemico e ideologico dei termini, che tende a contrapporre due forze antagoniste, a prescindere da qualsiasi analisi storica, sociologica, antropologica, teologica o filosofica che sia. E’ necessario, infatti, attingere a tutte queste discipline per esplicitare quella che è la posta in gioco, sul piano del pensiero, della cultura, della civiltà, di solito abilmente nascosta anche dai sedicenti esperti dell’uno o l’altro polo di quella che io chiamerei <>… “.
Ciascuna delle tre comunità rivendica la primogenitura, l’unzione, per essere stata eletta da Dio depositaria esclusiva della Verità rivelata. E’ un lungo percorso, un continuo ribadire la propria istanza di legittimazione con la conseguente estromissione dell’altro, cacciando l’usurpatore. Si è assistito e si continua ad assistere, da secoli, ad una lunga serie di “guerre giuste”. Diversi i motivi scatenanti, ma uguale il tema di fondo: la contrapposizione frontale tra le proprie identità, le tradizioni religiose e culturali e quelle dell’altro, quelle che creano la summenzionata “esclusione reciproca”. Riducendo, per semplificare il concetto, a due i contendenti (accomunando ebrei e cristiani insieme), questo lembo di spazio mediterraneo, la Palestina, sin dall’avvento dell’Islam si trova diviso tra due sponde: quelle “ebraico-cristiane”, e quelle “arabo-musulmane”. In una simbolica eterna lotta tra il Bene e il Male.


2-NASCE LO STATO D’ ISRAELE

E’ lontano, oggi, quel 1948 quando l’Assemblea generale dell’ONU adotta il piano di ripartizione della Palestina che attribuisce il 55% delle terre agli Ebrei ed il restante ai Palestinesi. Tuttavia per le vicende recenti, per le proposte che ancora si susseguono, per le lunghe dispute e trattative su metri quadri di terra, contati e ricontati, vinti e persi ad intermittenza, quell’anno sembra cosi vicino! Oggi come ieri e, forse, anche domani poco cambierà; ma torniamo alla storia.
Immediatamente dopo la proclamazione dello Stato di Israele scoppia la prima guerra arabo-israeliana. E’ il primo tentativo fatto dalle truppe dei principali paesi arabi che cercano di occupare militarmente lo stato sionista. Il tentativo, però, fallisce ed al termine delle ostilità Israele annette ulteriori territori ( il 40% in più in due anni) dividendo l’area palestinese in due zone: la Cisgiordania e la striscia di Gaza, occupata militarmente dall’Egitto. E’ la prima di una infinita serie di guerre: tra le più importanti ricordiamo la guerra del canale di Suez (1956), la guerra dei sei giorni (1967), la guerra dello Yom Kippur (1973) la guerra del Golfo (1991) e le successive guerre contro il terrorismo. Ecco in dettaglio i protagonisti.
Il 1956 è l’anno della seconda guerra arabo-israeliana. Nasser, il leader egiziano, nazionalizza il canale di Suez e proibisce il transito delle navi israeliane. Inghilterra e Francia intervengono a fianco di Israele, arrivando all’occupazione della penisola del Sinai. L’escalation della tensione porta, nel 1967, al terzo conflitto, chiamato guerra dei sei giorni. In questo breve lasso di tempo lo stato d’Israele conquista le due zone, in cui era stata divisa l’area palestinese, che diventano Territori Occupati. E’ il Consiglio di Sicurezza dell’ONU, con la risoluzione n. 242, a stabilire che da un lato Israele ha il diritto di vivere in pace e sicurezza, ma che il suo esercito deve ritirarsi dai territori occupati. La tregua armata, tra alti e bassi, vive un periodo di relativa calma apparente fino al 1973. In quell’anno, il 6 di Ottobre, nel giorno di digiuno più solenne del calendario ebraico, lo Yom Kippur, gli eserciti di Egitto e Siria lanciano un attacco contro Israele per la riconquista dei territori perduti in precedenza. La guerra, che prende il nome di guerra del Kippur, è vinta da Israele che detta le condizioni e ripristina i confini del 1967.
La successiva conferenza di pace è tenuta a Ginevra sotto l’egida dell’ONU che, con la risoluzione n. 338, ribadisce il proprio invito all’applicazione della precedente risoluzione numero 242. La conferenza, per il rifiuto ribadito dai rappresentanti arabi e israeliani a trattare direttamente, viene aggiornata sine die.
La reazione araba nei confronti dell’ ”Occidente”, considerato troppo tiepido nei confronti di Israele, porta all’embargo petrolifero che fa lievitare vertiginosamente i prezzi del petrolio nel mondo. Il risultato è che diverse organizzazioni sovranazionali, tra cui la Comunità Europea, adottano mozioni contrarie alla politica di Israele. Gli anni dal 1973 al 1977 vedono le formazioni terroristiche arabe, palestinesi soprattutto, compiere attentati all’estero. Tra gli altri quello all’aeroporto di Fiumicino, il 31 dicembre del 1973. Nel 1974, con la mediazione dell’allora segretario di Stato USA Kissinger, Israele si ritira dai territori egiziani e siriani occupati durante la guerra del Kippur. Il 14 ottobre dello stesso anno l’ONU riconosce all’OLP lo status di rappresentante del popolo palestinese. Yasser Arafat, primo leader dell’Organizzazione, ribadisce non solo la negazione alle trattative con Israele ma la ferma volontà di cancellare lo stato ebraico.
Un modesto disgelo tra i Paesi arabi e Israele inizia nel 1977. E’ il presidente egiziano Sadat a rompere le ostilità visitando Gerusalemme su invito del primo ministro israeliano Begin. Nel settembre del 1978 il presidente USA Carter invita Sadat e Begin in America, dove, a Camp David, il 26 marzo 1979 viene firmata la pace. Con quest’atto Israele restituisce il Sinai all’Egitto. Nonostante i momenti di pace le lotte continuano. Nel 1982 Israele invade il Libano, dove postazioni militari dell’OLP lanciano attacchi contro le truppe israeliane. Tra alti e bassi, ed una convivenza sempre più precaria tra palestinesi e israeliani, si arriva al 1987, anno della prima Intifada.


3- GLI ULTERIORI INTERVENTI DI PACE DELLA COMUNITA’ INTERNAZIONALE

E’ il 1987, infatti, l’anno della ripresa degli scontri armati. L’occasione è data da un banale incidente d’auto: l’eccessiva reazione ed i toni forti raggiunti dalla disputa, riaccendono gli animi facendo ripartire gli scontri. E’ l’inizio di una guerriglia che prende il nome di Intifada (in arabo risveglio, sollevamento). Questa prima nuova presa di coscienza è concomitante con la fine della Guerra Fredda e porta la Comunità Internazionale ad occuparsi nuovamente dell’annoso conflitto. Nel 1991 i leaders delle maggiori Potenze organizzano a Madrid la prima conferenza di pace tra arabi e israeliani. Le difficoltà, però, sono praticamente insormontabili: Il non riconoscimento del popolo palestinese e le difficoltà di dialogo tra le delegazioni fanno si che i delegati del governo laburista di Yitzhak Rabin e gli esponenti dell’OLP di Yasser Arafat non raggiungono alcun punto di incontro.
Il problema, però, non viene accantonato dalle Grandi Potenze. Successivi incontri segreti ad Oslo, dopo mediazioni laboriose, sfociano nella “ Dichiarazione dei Principi (DOP) per la creazione di una Autorità Palestinese (AP), firmata sul prato della Casa Bianca ad Washington il 13 settembre del 1993, in presenza di Bill Clinton e di altre importanti autorità internazionali. Quello che a molti sembrava impossibile è accaduto: Arafat, a nome del popolo palestinese riconosce Israele e Rabin, a nome di Israele, riconosce l’OLP come rappresentante del popolo palestinese.
La DOP prevede un periodo ad interim di 5 anni in cui da un lato l’esercito israeliano si dovrà ritirare dalla Cisgiordania e da Gaza, dall’altro i palestinesi eleggeranno una Autorità che si occuperà dell’amministrazione civile della popolazione. Le questioni più controverse sono i confini del futuro Stato palestinese, le colonie israeliane, lo Statuto di Gerusalemme e la sorte dei rifugiati; questi problemi “difficili” saranno risolti con successivi contatti. Gli accordi di Oslo possono essere considerati uno dei primi concreti tentativi di pace.
Nel 1995, con gli accordi di Oslo II, i territori occupati vengono divisi in tre aree: la zona A sotto il totale controllo dell’AP, la zona B sotto il controllo amministrativo palestinese e militare israeliano, la zona C sotto il totale controllo israeliano. A sconvolgere, però, la via della pace due importanti fatti: l’uccisione di Rabin e la vittoria del partito di destra israeliano, il Likud, da sempre contrario al processo di pace. I due avvenimenti portano ad un parziale fallimento degli accordi di Oslo II, allontanando nuovamente le ipotesi di pace.
Il primo tentativo di dare corpo allo Statuto definitivo, previsto negli accordi di Oslo, viene effettuato dal nuovo primo ministro laburista israeliano Ehud Barak e da Yasser Arafat leader palestinese. L’incontro avviene nel luglio del 2001 a Camp David ma fallisce miseramente.
Il 29 settembre dello stesso anno l’esponente del Likud Ariel Sharon, giudicato personalmente responsabile del massacro dei campi di Sabra e Chatila, compie provocatoriamente una “passeggiata” sulla Spianata delle Moschee, terzo luogo sacro dell’Islam, provocando reazioni e proteste durissime. L’eccessiva repressione delle manifestazioni provoca lo scoppio di una seconda intifada (l’intifada di Al Aqsa) che alimenta la ripresa delle repressioni israeliane e, dall’altra, l’aumento degli attacchi suicidi. E’ una guerra totale che fa migliaia di morti e causa la distruzione di intere città palestinesi. Dopo la vittoria elettorale di Ariel Sharon nel 2001 i tentativi di conciliazione cessano praticamente del tutto. La successiva costruzione di un muro di divisione tra Israele e la Cisgiordania aumenta ulteriormente le divisioni, non solo materiali ma anche psicologiche, delle due popolazioni. La successiva scomparsa nel 2004 del presidente palestinese Yasser Arafat riapre la strada ad una nuova trattativa di pace.


4- LA PALESTINA DEL DOPO ARAFAT

Le successive elezioni che si tengono in Palestina per la successione di Arafat portano alla carica di primo ministro Abu Mazen. I tempi, però, non sono ancora maturi per la ripresa vera del dialogo. La tensione non si allenta e la guerriglia continua. Un forte sostegno viene dai profughi palestinesi dislocati nei territori circostanti, soprattutto nel Libano. La formazione Hezbollah, con l’utilizzo della basi dislocate nel Libano, martella frequentemente Israele con ripetuti lanci di missili ed attentati a militari israeliani. In una delle più sanguinose operazioni otto militari israeliani restano uccisi e i due sopravvissuti vengono catturati. Il 12 luglio 2006 Israele lancia una potente offensiva militare ai danni del Libano con l’obiettivo esplicitamente dichiarato di distruggere Hezbollah. E’ l’inizio di un altro sanguinoso conflitto che provoca centinaia di morti e la distruzione di enormi strutture logistiche e abitative. L’intervento del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, con la risoluzione approvata il 10 agosto 2006, cerca di mettere fin al nuovo conflitto che nel frattempo ha causato oltre 1.100 vittime libanesi e 154 israeliane.
L’intervento dell’ONU, nello stesso mese di Agosto, mette in piedi una forza internazionale di pace che coinvolge anche l’Italia. Il 29 agosto salpano dall’Italia 2500 militari con destinazione Libano. Scopo della missione ONU è quella di disarmare gli Hezbollah operanti nel sud del Libano e agevolare il ritiro delle forze israeliane dai territori occupati. Partecipano alla missione ONU anche Francia, Belgio, Olanda, Lussemburgo e Spagna, con un numero globale di 7.000 “Baschi blu”.
Ma anche questa è solo una ulteriore puntata di una guerra senza fine.




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CONCLUSIONI

Guerra infinita dunque? Forse sì, anche se spesso l’apparenza inganna. A volte vedendo le identiche scene di guerra, ripetute ormai per anni, mi viene il sospetto che quelle figure che calcano le scene siano solo marionette. Marionette sapientemente guidate da capaci registi con interessi e fini abilmente nascosti. Il mondo che stiamo vivendo è pieno di Richelieu, praticamente in tutte le attività: politiche, economiche, sociali, nazionali ed internazionali. Le comparse, (marionette) in campo, i registi (Richelieu) in camera di regia.
Credo che anche la “Telenovela” La Palestina , con il tema conduttore il conflitto tra Islam e Occidente sia diretta da abili registi e preveda ancora un considerevole numero di puntate.
Quali i rimedi perché la Palestina, la contesa terra promessa, possa finalmente trovare quella pace da troppo tempo attesa? La risposta non è certamente facile.
A questo proposito più che la mia opinione può essere utile rileggere le considerazioni di studiosi ben più preparati. Scrivono Daniela Pioppi e Rodolfo Ragionieri in “ Culture e conflitti nel Mediterraneo”, nel capitolo 8 dal titolo ‘ Il vicino Oriente, la stabilità senza soluzione dei conflitti ‘ (pag. 244) : “…I problemi sui quali si è avuto un disaccordo non componibile nel decennio di trattative sono costituiti da un intreccio di problemi “materiali”, come la configurazione territoriale dello Stato palestinese e le risorse idriche, ed elementi percepiti da ambedue le parti come costitutivi di identità nazionale, e quindi sostanzialmente non negoziabili in via di principio. ”.
Sono questi i valori che difficilmente possono trovare una quadratura o una negoziazione. Se consideriamo valida l’ipotesi iniziale di uno scontro di culture profondamente diverse, con componenti “intellettuali, spirituali, morali e giuridici di esclusione reciproca”, la soluzione apparentemente non esiste.
Scrivono ancora Pioppi e Ragionieri nell’opera prima citata: “…Quali possono essere i possibili scenari futuri della conflittualità intra-statuale in Vicino Oriente? Senza dubbio le sfide sul piano economico sono al primo posto. Il deterioramento delle condizioni di vita (World Development Report, 2000-2001), non più arginato dalle politiche di redistribuzione e dalle varie reti sociali previste dal modello statalista, potrà fornire un terreno fertile per futuri conflitti sociali, specialmente se al vertice verranno a mancare le risorse necessarie per la catena clientelare su cui poggiano i regimi attuali…”.
Questo a mio avviso significa che se l’antica catena di privilegi, concessioni e scambi di favori, attualmente ancora in uso, (la politica dello scambio, del “do ut des”), che da millenni i regnanti di quest’area applicano, dovesse interrompersi, nuovi potenti gruppi potrebbero sfidare e deporre gli attuali governi. Il rischio ha due facce, due variabili: una è l’alleanza tra vecchia e nuova borghesia, ed è l’ipotesi più probabile, l’altra, è che l’esplosione del malcontento popolare diventi una “rivoluzione” e riesca a sconvolgere i consolidati assetti millenari. Riuscire a contenere il malessere sociale sarà il segreto della sopravvivenza degli attuali regimi. Sono infatti le popolazioni delle diverse parti in lotta quelle che continuano a pagare il prezzo più alto. E’ la gente comune che vive in mezzo alle bombe, agli agguati, alle sparatorie; gente che sostanzialmente vorrebbe vivere in pace, risolvere i tanti problemi quotidiani, prima che pensare a come dividersi uno stretto lembo di terra.
Alla fine, giorno dopo giorno, la vita continua anche nello stillicidio quotidiano di vittime, perché la realtà dei bisogni e delle speranze è più forte anche della guerra e delle ideologie. Una realtà quotidiana complicata anche senza gli scontri armati, anche senza l’incertezza di un futuro che pare serbare ancora molto sangue e molte lacrime. Ad entrambe le parti in lotta.
Da una parte il popolo d’Israele che ha una società formata da immigrati della più diversa provenienza, costituita in tempi molto diversi da ebrei giunti da un centinaio di paesi, fin’ora guidati e sostenuti dall’ideologia sionista o dalle persecuzioni antisemite. Questo mosaico variegato di culture e costumi, unificato dal sottile filo di una comune identità storica e da un comune progetto di costruzione di uno Stato democratico non è coeso, ma ha al suo interno anime diversissime. Un progetto di Stato, quindi, non scevro di tensioni al suo interno ove esiste, oltretutto, una forte minoranza non ebraica costituita dagli abitanti arabi rimasti nel 1948 e divenuti cittadini dello stato con uguali diritti ma con profonda diversità culturale.
Dall’altra il popolo Palestinese, costituito da una società estremamente povera, economicamente dipendente da Israele. Ogni giorno una grossa moltitudine di palestinesi varca le linee di confine per recarsi a lavorare in Israele o negli insediamenti israeliani nei Territori occupati. Anche ora, con il riaccendersi del conflitto, per molti nulla è cambiato: non si conta il numero dei palestinesi che ogni giorno fa il muratore, raccoglie la frutta, pulisce le strade, o a fianco di personale medico israeliano lotta per salvare vite umane nello stesso ospedale. Dove si soffre è più facile trovare esempi di convivenza. Ma non è solo il dolore quello che unisce. Nella squadra di pallacanestro di Gerusalemme si allenano e giocano insieme arabi ed ebrei. Diversi arabi giocano nelle squadre di calcio israeliane ed i migliori entrano a far parte anche della Nazionale.
Gli uomini comuni che popolano la Palestina, quelli che ogni giorno devono fare i conti con i bassi salari, arabi ed ebrei nella stessa misura, vivono giornalmente la continua tensione fra speranza e paura: la speranza di poter vivere come uomini che si aiutano l’un l’altro e la paura di doversi combattere come membri di popoli e cittadini di stati diversi e nemici. La stagione della guerra avrà, purtroppo, il suo luttuoso corso per molto tempo ancora, prima che prevalga il sano istinto della vita.
Vorrei chiudere questa mia relazione con le considerazioni espresse da Etienne Balibar, filosofo, e Jean Marc Lèvy-Leblond, fisico, e riportate da “Le Monde” del 19 agosto 2006. L’articolo, dal titolo “Scontro di civiltà, Guerra in Medioriente o Pace Mediterranea?”, in chiusura cosi riporta: “ Disinnescare il problema Israelo-Palestinese è urgente. Perché possano sopravvivere Israele, la Palestina e il Libano sarà necessario un grande sforzo di immaginazione. Ma la domanda è: lo si vuole davvero? Intanto affinché la politica internazionale torni sul terreno del diritto l’Europa dovrebbe reclamare l’applicazione di tutte le risoluzioni ONU”.
Credo anch’io che l’Europa debba recitare nello scacchiere internazionale un ruolo più incisivo per aiutare a costruire, nell’antica culla della civiltà, al di fuori degli interventi d’oltreoceano, una pacifica convivenza.
Sarebbe un vero peccato, davvero una “promessa mancata”, se la Palestina, terra promessa da Dio per le tre religioni monoteiste più importanti del Pianeta, non riuscisse a trovare il suo equilibrio di pace. Da terra santa diventerebbe terra maledetta e da culla della antica civiltà si trasformerebbe nella tomba di quella dei nostri giorni.


Mario Virdis








BIBLIOGRAFIA


- R. Ragionieri, O.Schmidt, Culture e conflitti nel Mediterraneo – Asterios 2003
- L. Bonanate, La guerra - Laterza 2005
- L. Bonanate, La politica internazionale fra terrorismo e guerra- Laterza 2005
- Enciclopedia Wikipedia, Storia di Israele - sito web wikiedia
- Bicchi, Guazzane, Pioppi, La questione della democrazia nel mondo arabo, Polimetrica 2004
- Daniele Scalea, La lotta della Palestina, - da La naz.Eurasia –anno secondo n. 1 – dal sito Web
- Massimo Introvigne, Fondamentalismo islamico terrorismo e guerra in M.O. – Intervento al Cesnur – To – 21 feb.2003
- Etienne Balibar e J.M.Lèvy-Leblond, Scontro di civiltà, guerra in Medioriente o pace mediterranea? - articolo su Le Monde del 19.8.2006
- Paola Caridi, Israele, ma è vittoria o debacle? – articolo apparso su “Il riformista” – tratto dal sito internet
- Michele Brambilla, La verità su questa guerra? Non finirà mai – sito internet et-et.it
- Mohammed Arkoun, Come conciliare Islam e modernità – dal sito web
- Franco Cardini, Europa,”Occidente”,Islam: profilo storico e prospettive – http://www.identitàeuropea.org/
- Paolo Barnard, Due pesi e due misure:riconoscere il terrorismo dello Stato d’Israele - http://www.peacelink.it/

domenica, gennaio 07, 2007

GRILLINCUBI...IL FUMETTO COME LO VEDO IO!





INDICE




-IN COPERTINA: Riproduzione del quadro “Grillincubi” di G. Bosich – olio su tela cm.60x73 –1984






- Indice …………………………………………………………………………... pag. . 2

- Premessa ……………………………………………………………………….. “ 3

- Capitolo primo: il linguaggio del fumetto……………………………………… “ 5

- Capitolo secondo: crescita, evoluzione e diffusione del fumetto………………. “ 8

- Capitolo terzo: la produzione italiana ………………………………………….. “ 10

- Capitolo quarto: la generazione “cannibale”…………………………………… “ 16

- Capitolo quinto: nuvole parlanti, insegnare con il fumetto…………………….. “ 19

- Conclusioni……………………………………………………………………... “ 21

- Bibliografia……………………………………………………………………... “ 23

- Note……………………………………………………………………………... “ 24


PREMESSA

Ho voluto dare a questo lavoro il titolo “ GRILLINCUBI” per diverse ragioni.
La prima perché identificava una pubblicazione del 1994, realizzata artigianalmente da diversi amici riuniti nell’Associazione Amici della Grafica di Ghilarza, a cui sono particolarmente affezionato; la seconda perché questa parola composta mi sembra condensare il nostro immaginario quotidiano. Non so quale di questi amici abbia coniato il termine, forse il prof. Antonino Amore, figura importante ad Oristano in diversi campi: pittura, scultura, grafica, poesia o, forse, il prof. Giuseppe Bosich, importante pittore e scultore, autore del quadro in copertina, presidente della Associazione e coautore della pubblicazione menzionata.
Avere grilli per la testa significa essere sognatori, non accettare il solito, il consueto. La persona che ha i “grilli” per la testa ?, per?, pi? curiosa, meno rassegnata. Il suo pensiero ? costantemente alla ricerca di reazioni emotive che lo tolgano dal solito, dall’anonimo presente. Ecco allora i sogni, gli “incubi” che si interpongono tra il reale e l’immaginario. Chi sogna vive due vite: nel consueto, anonimo, impegno quotidiano ma anche, virtualmente, in una avventurosa dimensione immateriale, extra corporea. Il titolo da me scelto, Grillincubi, dunque, per indicare il nostro costante bisogno di sognare, di vivere una doppia vita come Clark Kent e Superman, dr. Jekill e mr. Hide. Scrive l’amico Giuseppe Bosich nella premessa al volume prima citato: “…Gli stimoli a produrre molte creazioni mentali hanno il loro alimento naturale nelle paure ancestrali, in tutto ci? che ? sconosciuto, “meraviglioso”, irrazionale, che non si possiede pienamente e che, quindi, sfugge alla ragione logica, esulando dall’esperienza vitale diurna…”. [i]
Il bisogno dell’immaginario ? certamente nato con l’uomo. Sin dai tempi pi? remoti l’uomo ? vissuto nell’angoscia, nell’insicurezza. Con mezzi arcaici ha iniziato a rappresentare i pericoli e le sue paure quotidiane.Le prime pitture rupestri conosciute, risalenti a 35000- 40.000 anni fa, precedenti dunque alla narrazione, raccontano, ancora in modo elementare, le paure e le ansie della lotta con gli animali feroci per la sopravvivenza. Graffiti e racconti che si sono, poi, perfezionati attraverso la scrittura e, nel tempo, in una miriade di altre forme: giornali, libri, la radio, il telefono, la TV, fino ad Internet, alla Rete. In sintesi un costante bisogno di “raccontare una storia a qualcuno”, reale o immaginaria, vera o falsa, dolce o amara, seria o comica, ma in grado, comunque, di riempire, di soddisfare, il nostro immaginario.
Come scrive il prof. Di Pietro nel suo recente lavoro Fumetti suscettibili , “…Nella vita quotidiana gli individui narrano e sono destinatari di storie, con una frequenza talmente sorprendente e in tante diverse occasioni, che non si pu? non ammettere la natura antropologica profonda del ruolo che questa azione ha nelle societ? umane dalla notte dei tempi…”.[ii]
Tra i tanti medium oggi a disposizione per comunicare uno in particolare, oggetto del presente studio, ? il Fumetto.
La nascita del fumetto come genere linguistico e narrativo, viene fatta risalire, convenzionalmente, al 1842 con il primo “comic book” di Rudolphe Topffer. A mio avviso, per?, questo ? il risultato finale di un percorso partito da molto lontano: i graffiti, la colonna Traina a Roma, i codici miniati, il manoscritto dell’Apocalisse, le incisioni di Gustav Dor?, dimostrano la costante necessit? dell’uomo di comunicare per immagini, di poter arricchire al massimo il proprio linguaggio, sfruttando insieme testo ed immagini ed il loro maggiore effetto, risultato d’insieme.
A differenza di altri mezzi narrativi, per?, le capacit? letterarie e le potenzialit? linguistiche del fumetto sono state, da sempre, sottovalutate. A questo genere narrativo viene attribuita una capacit? limitata al puro intrattenimento; ? considerato, a torto, solo uno strumento ludico destinato ad un target o infantile o di modesta cultura ed estrazione sociale. Niente di pi? falso. Nella successiva elaborazione si cercher? di dimostrare che il fumetto ? un linguaggio di grande validit? culturale. Il fumetto ? un mezzo di comunicazione complesso ma estremamente efficace; dotato di un linguaggio ibrido ma estremamente aperto alla multimedialit?, in grado di interpolare diversi media e, soprattutto oggi, con le nuove tecnologie come la computer grafica, le animazioni tridimensionali, la TV digitale ed Internet, candidato a recitare un ruolo comunicativo di primo piano non solo nel campo dell’intrattenimento ma anche in quello culturale, sociale, commerciale e recentemente, last but not least , nella formazione scolastica.
Questo lavoro ? composto dalla attuale premessa da cinque capitoli e dalla conclusione.
Nel primo capitolo si esamina il linguaggio del fumetto, la sua origine, la sua capacit? letteraria ed il suo potenziale linguistico e pedagogico.
Il secondo capitolo narra il percorso di crescita del fumetto, la sua successiva evoluzione, in particolare nella seconda modernit?, e la diffusione nel mondo.
La storia del fumetto italiano ? riportata, invece, nel capitolo terzo. Partendo dalla stampa popolare di fine ‘800 viene affrontata l’evoluzione negli anni dal 1900-1945 e la diffusione negli anni dal 1945 al 1970. L’ultimo paragrafo ? dedicato al periodo successivo ed al “fumetto per adulti”.
Il capitolo quarto analizza “quella generazione Cannibale che fece la storia del fumetto”, come ? stata definita da Filippo Bergonzini.
L’ultimo capitolo, il quinto, esamina la nuova frontiera del fumetto: il fumetto come testo didattico Le mie conclusioni finali chiudono il lavoro.


CAPITOLO PRIMO
IL LINGUAGGIO DEL FUMETTO

1.1 LE CARATTERISTICHE PRINCIPALI

Raccontare per immagini ? stato considerato in passato, dalla cultura ufficiale, un genere espressivo modesto, una “non arte”.[iii] Agli inizi il fumetto era dedicato ai bambini ed ai soggetti poco acculturati che avevano necessit? delle immagini per comprendere il testo scritto. Il denominatore comune delle critiche mosse al fumetto ad ai suoi lettori pu? essere condensato nelle riflessioni che riporto, tratte da “Psicologia e fumetti” di Fabio Panciroli e Alessandro Reati: “…Nel tentativo di salvaguardare la cultura ufficiale, la letteratura e presumibilmente lo stesso ordine sociale, svariati autori tracciano un profilo del lettori di fumetti bel oltre il limite di patologia: si tratta di soggetti dalla vita tormentata, di persone provenienti da un’educazione sbagliata (!), se sono adulti sono profondamente immaturi …”.[iv] Gli autori proseguono sostenendo che il luogo comune, le convinzioni, erano quelle di negare al fumetto “…lo status di arte espressiva, al punto da affermare che quand’anche si riuscisse ad elevarlo a tale rango, un sistema educativo basato sulle immagini causerebbe danni gravissimi forse anche danni irreparabili…”. 4
Immagini e parole vengono dunque tenute su due livelli bel distinti, attribuendo a queste ultime un ruolo primario nella narrazione e negando al fumetto lo status di arte espressiva. Niente di pi? falso! Il fumetto ?, invece, un linguaggio immediato, aperto, intersecato da tanti altri linguaggi che, attraverso il fumetto possono al meglio esprimere tutte le loro capacit?. Con il fumetto la comunicazione diventa pi? ricca e completa.
Abruzzese e Borrelli ne L’industria culturale affermano: “…Lo sviluppo socio-antropologico dell’immagine travalica quello della parola scritta e si mette in gara con le voci discorsive della quotidianit?. E’ il tempo della caricatura. Il tempo in cui i fatti della cronaca vengono fissati dal tratto rapido e veloce del disegno e dello sguardo…” .[v]
Inoltre, al pari di altri medium come la cinematografia, il teatro, l’opera letteraria, etc. il fumetto attua allo stesso tempo sia una comunicazione diretta che una comunicazione indiretta o meta-comunicazione, spesso anche in maniera pi? efficace degli altri medium.

1.2 LA CAPACITA’ LETTERARIA E IL POTENZIALE LINGUISTICO E PEDAGOGICO

La nascita del fumetto come genere linguistico e narrativo viene fatta risalire, come detto prima, al 1842 con il primo comic book di Rudolf Topffer, e poi in maniera pi? diffusa nel 1895 come “striscia” sul quotidiano statunitense “New York World” con il personaggio di “Yellow Kid” di R. Outcalt. Inizio in sordina, come “striscia” comica di intrattenimento, inserita in un giornale per far sorridere, quasi a stemperare l’arida lettura dei fatti di cronaca. Solo successivamente assumer? una precisa e significativa fisionomia ed autonomia. Dalla pubblicazione “Antenati, il fumetto nella seconda met? del XX secolo”, reperito in rete, riporto una efficace affermazione: “…anche per il fumetto come per la canzone si pone il “problema” della definizione di questa forma di espressione. Se la canzone si muove tra musica e oralit?, il fumetto si incunea tra grafica e immaginazione visiva, ma sviluppa ‘storie’ narrative e usa il segno della scrittura. In ci? ? pi? vicino al cinema che non alla scrittura. Nella seconda met? del XX secolo il fumetto giunge a ottimi livelli qualitativi, sia espressivi che di diffusione, avvalendosi delle possibilit? del colore e della contaminazione con il cinema…”.[vi]
Oggi la capacit? letteraria del fumetto ?, ormai, riconosciuta anche in quegli ambienti che prima la negavano. Tutto ci? ? il frutto di un forte impegno professionale che ha migliorato la qualit?: la capacit? espressiva che si nasconde dietro ogni eroe dei cartoons ? il frutto della capacit? e della bravura degli autori. Hugo Pratt, di cui diremo pi? tardi, amava definire il fumetto “ Letteratura Disegnata”.
Ma il fumetto non ? solo letteratura disegnata: il suo potenziale linguistico e pedagogico ? oggi ampiamente riconosciuto. Scrive Amelia Capobianco nella introduzione al testo “Nuvole parlanti, insegnare con il fumetto”, di S. Tirocchi e G. Pratichizzo ed. Carocci Faber ; “…Quali sono, quindi, i motivi per una didattica del fumetto e quali i vantaggi di una didattica con i fumetti? Diventa soprattutto fondamentale, maturare una pi? approfondita conoscenza del mezzo sul piano strutturale se si vogliono acquisire gli strumenti per leggere tra le righe, all’ombra dei balloons, per comprendere appieno i messaggi veicolati attraverso le storie, le personalit? e gli ideali di eroi e supereroi o attraverso la scelta di un campo lungo in luogo di un primo piano o, ancora, attraverso la preferenza di un colore piuttosto che di un altro. Ancora, non si sottovaluti la caratteristica ludica, fine a se stessa della lettura di un fumetto, la capacit? di far evadere per qualche decina di minuti un lettore stanco o semplicemente desideroso di lasciarsi raccontare una storia, pi? o meno fantastica, pi? o meno credibile. La capacit? del fumetto di portare in altri mondi e in altri sogni. Lo sapeva bene chi ha gi? sperimentato la didattica con i fumetti, chi ha provato, riuscendoci benissimo, a trasmettere la Cultura con la C maiuscola, da cui non si pu? prescindere seppure in maniera leggera e divertente. E’ il caso, ad esempio, delle Grandi Parodie Disney, dall’Inferno di Topolino ai Promessi Paperi, da Paperino di Bergerac a Paper Dames e Celest’Aida, e tanti, tanti altri. Pensiamo ancora alla storia d’Italia a fumetti di Enzo Biagi o ai racconti dei lager di Spiegelman, alla trasposizione in fumetti di romanzi come l’Hobbit di Tolkien o di testi per l’infanzia come Pinocchio (realizzato non solo dalla Walt Disney ma anche dalla DC italiana come mezzo di propaganda politica). Non si devono considerare didattici solo i fumetti che lo sono dichiaratamente; attraverso le immagini, le costruzioni di ambienti e i dialoghi tra i personaggi ? possibile trasmettere un numero infinito di nozioni che vanno ad arricchire il bagaglio culturale dei bambini-lettori, in maniera leggera, non didascalica, affascinante e accattivante. Quanti di noi hanno visto la loro prima piramide in un fumetto? Quante miniere dell’ovest dei pionieri o scene di setacciamenti dei fiumi alla ricerca di una pepita d’oro?…”.[vii]


CAPITOLO SECONDO
CRESCITA, EVOLUZIONE E DIFFUSIONE DEL FUMETTO[viii]

2.1 La produzione nordamericana
Il fumetto nasce dunque in America alla fine dell’800. A partire dai successivi anni ’30 sono gi? diverse le serie dei “super-eroi” nordamericani: Batman, Superman, Hulk e, non ultimi i paperi e i topi di Walt Disney. Nel 1950 l’artista Schultz inventa i Peanuts, il cui capofila ? Charlie Brown. Accanto a lui il cane Snoopy, Linus con la sua coperta ed altri. Il successo dei Peanuts ? strepitoso: nasce un piccolo impero commerciale. Gli anni ’50 segnano la nascita degli “Horror Comics ed i racconti di guerra. E’ l’inizio di un cambiamento: le cose pi? interessanti non sono appannaggio dei buoni ma provengono maggiormente dai “cattivi”. Frank Miller, con il suo Batman, ed altri costruiscono nuove storie con delinquenti e prostitute; tutti personaggi operanti in un ambiente degradato e fuorviante.
Arrivano gli anni ’70 e, con il movimento hippy, vengono a galla temi rimasti fin’ora tab?. L’apertura alla trasgressione (sesso, droga, libert? di costumi) ha per? vita breve, con un anticipato ritorno ai super-eroi come Batman e Superman. Un’importante innovazione ? l’adattamento in fumetto del film Guerre Stellari. Tra i fumetti di successo di quegli anni la serie dei Simpson.
2.2 la produzione giapponese: i manga
In Giappone il fenomeno pi? interessante ? quello dei manga e dei fumetti di fantascienza. Anche il fumetto hard e porno ? abbastanza diffuso. Gli autori pi? noti Hayao Miyazaki e Jiro Taniguchi.
Derivato dai manga il fenomeno Cyber-punk della fine degli anni ’80.
2.3 la scuola argentina.
L’area del sud-america ? , dal punto di vista del fumetto, tra le pi? interessanti.Alla “scuola argentina” appartengono, infatti, il cileno Del Castello, l’uruguaiano Alberto Breccia, l’italiano Hugo Pratt. Allievo di Breccia ? Jos? Munoz, che ha creato, insieme a Carlo Sampayo, il personaggio di Alack Sinner, il famoso detective americano quasi alcolista. Altri importanti Quino, Mordillo, Pablo Bach.
2.4 la produzione inglese
La produzione inglese risente fortemente del dominio degli Stati Uniti. Le principali caratteristiche della “scuola inglese” sono state individuate nell’umorismo, il gusto per l’avventura esotica e la propensione all’ horror. A differenza della matrice americana la scuola inglese crea storie destinate,soprattutto ad un pubblico adulto: sono fumetti di avventura, guerra, fantascienza come le storie di Matt Dillon Buck Ryan, Garth, ed altri. Altro filone, con un pizzico di erotismo, aggiunto all’avventura, quello di Modesty Blaise e Rome Brown. Appartengono al genere umoristico Andy Capp, Bristol e Tommy Wack. Anche la satira politica, con Carl Giles, realizza personaggi popolarissimi come quelli della serie “The familiy”.

2..5 la produzione francese
Gli anni ’60 sono quelli della migliore produzione. Nascono personaggi come Asterix, creato da Goscinny e Uderzo, protagonista con l’enorme Obelix di avventure simpaticissime ed esilaranti, Lucky Luke, Blueberry, Sanantonio ed altri che escono dai confini nazionali e si diffondono anche in Italia. In Francia nasce anche il fumetto erotico-fantastico. Barbarella ne ? la prima eroina. Creata da Jean Claude Forest nel 1962, il personaggio divenne poi film con la regia di R.Vadim. Con Barbarella, a cui seguiranno Jodelle , Beb? Cyanure ed altre il fumetto diventa un prodotto di “lusso”, destinato praticamente solo agli adulti.
2.6 la scuola belga del fumetto
Legata alla scuola francese si ?, per? ritagliata una sua autonoma collocazione e tradizione. Uno dei pi? famosi e accreditati autori ? Herg?(alias Gerges R?mi) che con il personaggio Tintin raggiunge notoriet? mondiale. Altri come Peyo che nel 1957 cre? la serie della famiglia Schotroumpfs ( in Italia diventati i Puffi) e Andr? Franquin con i personaggi di Spirou, molto polare tra i ragazzi, e Gastone .
2.7 il fumetto nei paesi nordici
Nei paesi scandinavi i cortoonist pi? famosi sono Asmo Alho e Tove Jansson, il primo finlandese ed il secondo svedese. Asmo Alho ? autore dei folletti Kleku e Kiaku, Tove Jansson ? autore dell’ippopotamo Mumin.

Esaminata velocemente la produzione europea ? stata tralasciata volutamente quella italiana in quanto destinataria del prossimo capitolo.



CAPITOLO TERZO
LA PRODUZIONE ITALIANA

3.1 LA STAMPA POPOLARE PER RAGAZZI NELL’ITALIA DELL’800
Nei primi anni dell’800 cominciarono le prime pubblicazioni periodiche per i ragazzi. Nel 1812 con “ L’amico dei fanciulli” e qualche altro modesto giornaletto, parte il primo timido esperimento, presto soffocato dal clima della Restaurazione. Si riprova nel 1830 con la comparsa di alcuni “fogli” destinati alla giovent?, che per? ebbero vita tormentata e dove l’illustrazione fu spesso sacrificata a fini moralistici. Scrive Daniele Gianotti (in Storia del fumetto in Italia): “ La situazione non miglior? di molto nell’immediato periodo post-unitario ed occorrer? attendere l’ultimo quarto di secolo per assistere alla comparsa di alcuni giornaletti per ragazzi nei quali venisse dato un certo spazio all’immagine..”. Continua riportando le parole di G. Genovesi (tratte dal libro ‘ La stampa periodica per ragazzi ‘ ): “… i giornalini non riuscirono ad esentarsi dall’assumere quel carattere pedantesco nel quale si scivola ogni qual volta si prescinde dalla vitale transazione del dialogo, denunciando cosi ai nostri occhi una generale insufficienza democratica e quindi educativa…” .[ix] Le uniche testate che si distinsero furono “ Il giornale dei bambini”, fondato nel 1881 da F. Martini e “ Il Novellino” fondato nel 1889 da Yambo (Enrico Novelli)
3.2 LA STAMPA PERIODICA PER RAGAZZI NEGLI ANNI DAL 1900 AL 1945
“ Il Novellino”, nato alla vigilia del secolo, ? considerato da alcuni il primo concreto esperimento di giornalino illustrato per ragazzi. Fu infatti il primo ad ospitare nel 1904 una tavola integrale a colori di “The Yellow Kid”, comprensiva di balloon e negli anni seguenti a fare da ponte tra l’Italia ed il resto del mondo nel campo dei giornalini per ragazzi, con la divulgazione di personaggi come Foxy Granpa (Nonno Volpone) ed altri. Nel 1906 a Firenze nasce il “ Giornalino della Domenica”, diretto da Vamba (Luigi Bertelli) che raduna attorno al foglio letterati (Pascoli, De Amicis, Deledda, Salgari, etc.), unitamente a scienziati e redattori. E’ il primo prodotto capace di entrare in sintonia con lo spirito infantile. Il successo si estese in campo nazionale, considerato il gradimento degli spazi illustrati, affidata a validi artisti come Scapelli, Finozzi, Anichini e Brunelleschi.
Bisogna attendere la fine del 1908 per vedere il primo numero del “Corriere dei Piccoli”, diretto da Silvio Filippo Spaventa. Il “Giornalino”, come viene familiarmente chiamato, gode del cospicuo appoggio finanziario e tecnico del Corriere della Sera e riscuote un grande successo. Sulla scia del “Corrierino” videro la luce negli anni seguenti altri periodici tra cui si ricordano: “ Il Giornaletto (1910) di ispirazione cattolica, “Donnina” (1914) destinato alle adolescenti, “L’intrepido (1920) destinato agli adolescenti maschi, “Piccolo Mondo” (1924) con storie umettate di genere avventuroso e “L’illustratore dei Piccoli” (1933) con personaggi comici ed avventurosi.
Negli anni dal 1923 al 1939 anche il Regime utilizza a scopo propagandistico i periodici per ragazzi. Nascono nel 1923 “ Il giornale dei Balilla” e nel 1927 “ La piccola italiana” , usati come strumento di formazione ideologica dell’infanzia. Inoltre, dal gennaio del 1939 furono aboliti tutti i materiali di importazione straniera. Unica eccezione i personaggi di Walt Disney per “ il loro valore artistico e per la sostanziale modernit?”, scrive Daniele Gianotti, in “ Storia del fumetto in Italia”. Il motivo di deroga, scrive ancora Gianotti, ? da alcuni individuato nel fatto che i figli di Mussolini erano appassionati lettori delle storie disneyane.
Anche la stampa cattolica si d? da fare. Nel 1924 la “San Paolo” di Alba inizia a pubblicare il “Giornalino”, che godendo della rete distributiva delle Parrocchie, raggiunge notevoli tirature.
Nel 1929 l’editore Boschi lancia “ Il cartoccino dei piccoli”. Nello stesso periodo nascono “L’amico dei piccoli” e “Mondo bambino” (1930). Nel 1939, complice il divieto di importazione straniera, le tirature diminuiscono. Alcuni giornali chiudono altri si snelliscono. Il mondo cattolico, che aveva prima guardato al fumetto con sospetto, resosi conto della forte influenza esercitata sui giovani, lancia “Il Vittorioso” nel gennaio del 1937. Avvalendosi della sua speciale rete di distribuzione il periodico raggiunge una tiratura di oltre 200.000 copie.

3.3 IL FUMETTO IN ITALIA DAL 1945 AGLI ANNI ‘70

Con la ripresa della vita civile e politica anche l’attivit? editoriale relativa alla produzione e diffusione del fumetto riprende vitalit?.
Sergio Bonelli ? stato, dopo il 1945, il migliore e pi? fortunato editore di fumetti in Italia. Figlio di Gianluigi Bonelli, che con il grafico Galleppini aveva creato il personaggio di Tex, ha collaborato nel corso degli anni alla creazione di decine di personaggi e strisce: tra quelli pi? famosi e capaci di reggere nel tempo, si ricordano: Zagor del 1961 e Mister No del 1975. A Bonelli si deve la creazione di una vera e propria scuderia di talenti e autori del fumetto, tra le poche in Italia ad avere avuto una continuit? negli anni. Sono nati in questa Editrice: Martin Myst?r nell’82, Dylan Dog nell’86, Nick Raider nell’88, Nathan Never nel ’91 a molte altre. Non per tutte le testate, per?, sono rose e fiori. Dei numerosi giornalini che videro la luce si pu? affermare che non pochi nacquero “vecchi”. Questa fu la causa che li fece abortire, o comunque vivere in maniera stentata. Neanche il fumetto”americano” rivestiva pi? quel potere di attrazione che aveva prima. A determinare il cambio di interesse da parte del pubblico, soprattutto femminile, influ? un nuovo tipo di lettura, rappresentato da nuovi periodici quali “Grand Hotel” e “Bolero Film”, subito seguiti da una valanga di altre testate similari. Era nato il fotoromanzo. Sostanzialmente diverso dal fumetto, questo nuovo prodotto, nonostante la modesta qualit?, sottrasse larghe fasce di lettori. Tutto ci? fin? per condizionare il fumetto, facendo calare il gradimento ed il consumo. Anche il “Topolino” di cui la Mondatori aveva ripreso la pubblicazione si ridusse nel 1949 ad una tiratura di sole 40.000 copie e divenne un mensile tascabile. Ma altre trasformazioni, in chiave positiva, attendevano il fumetto. Scrive Daniele Gianotti (nella gi? citata “Storia del fumetto in Italia”) che “…A partire dagli anni ’60 inizi? a diffondersi, gradatamente, una saggistica sui fumetti preoccupata di cogliere la vera natura del nuovo mezzo espressivo, oggetto di sempre meno prevenuti dibattiti a livello psico-pedagogico. Nel 1964 il semiologo Umberto Eco ed il sociologo Roberto Giammarco investirono con gli strumenti di analisi di due scienze in espansione il “fenomeno fumetto” facendolo oggetto di acuta e seria indagine. Iniziava cosi nei confronti del fumetto quel “disgelo” che “quasi di colpo” nel 1965 avrebbe dato i suoi frutti…”.[x]
Il 1965 ? l’anno di nascita della rivista “Linus”, la prima rivista specializzata nel campo dei “comics”. La rivista Linus ha un ruolo fondamentale non solo nella diffusione del fumetto statunitense, ma soprattutto nell’avvicinare la lettura del fumetto alle classi sociali colte. Il primo numero della rivista, diretta da Giovanni Gandini, pubblicata nell’aprile del 1965, apre con un incontro-dibattito tra Umberto Eco, Elio Vittorini e Oreste del Buono. Del Buono sar? per tutti gli anni ’60 e ’90 l’artefice delle svecchiamento e dell’assunzione del fumetto nell’Olimpo dell’alta cultura.
Linus, come sostiene ancora Gianotti, fin? per imporsi anche agli appassionati del fumetto tradizionale, attraverso il recupero dei classici americani comici ed avventurosi, e non manc? di valorizzare alcuni autori nostrani che iniziarono il cosi detto “fumetto d’autore”.
Gli anni ’70 segnano una tappa importante per questa forma narrativa. Dopo anni di vita nell’ombra, relegata a “cenerentola “ della comunicazione arriva, per la cultura del fumetto, il riconoscimento di quella dignit? precedentemente sempre negata.
Accettato dalla cultura ufficiale il fumetto diventa oggetto delle pi? svariate analisi: politica, psicologica, estetica, semiologia e pedagogica. Importanti istituti culturali come il “ Centro di Sociologia della Comunicazione di Massa e Archivio Internazionale della Stampa a Fumetti dell’Istituto di Pedagogia dell’Universit? di Roma, “ L’Istituto ‘Agostino Gemelli ‘per lo Studio Sperimentale del Problemi dell’Informazione, “ L’Istituto di Pedagogia di Roma, “L’Istituto di Pedagogia di Parma, “L’Istituto di Storia dell’Arte dell’Universit? di Parma, danno vita a molteplici iniziative che evidenziano l’attenzione per la cultura del fumetto. Nel 1974 nasce a Sansepolcro (Arezzo) l’INDIM, Istituto Nazionale per la Documentazione sull’Immagine.

3.4 IL FUMETTO PER ADULTI
Il fumetto “nero” ? un prodotto italiano iniziato nel 1962 con la creazione da parte delle sorelle Giussani di “Diabolik. Il nuovo personaggio impersona la figura dell’eroe nero: un individuo violento, eccezionalmente intelligente ed ingegnoso, dai tratti simpatici, individualista, che agisce in dispregio di ogni norma e convenzione. Questo eroe negativo per il raggiungimento dei sui scopi non conosce ostacoli, nemmeno il delitto. Per dare risalto al nuovo eroe “negativo” si contrappone un antieroe, ”normalmente un poliziotto”, che simboleggia il resto dell’umanit?, al quale si attribuisce la patetica parte dell’eterno perdente. Il nuovo personaggio riscuote immediato successo e, come sempre in questi casi, da l’avvio ad una folta schiera di emulatori: lo scheletrico “Kriminal” la rossa “Satanik”, il perverso “Sadik”, ed altri. Il fenomeno fu talmente contagioso che la trasformazione da “nero” in “sexy” fu immediata.
Erano gli anni in cui le maglie della censura iniziavano ad allargarsi. Dai primi anni’60 fino alla fine degli anni ’70 fecero la loro comparsa i cosiddetti “fumetti pornografici tascabili” che proposero alcune interessanti serie, libere dai normali e obsoleti canali sociali. E’ in questo formato tascabile che prendono vita personaggi come “Isabella”, “Jungla”, “Valalla” “Tartan” “Jacula e molti altri.
A fronte per? di tanta produzione dozzinale ci sono anche ampie nicchie di alta raffinatezza. Fra i maggiori interpreti di questo genere raffinato Guido Crepax che con “Valentina” nel 1965 inaugura il filone italiano del fumetto erotico e Milo Manara, gi? molto noto all’estero, e che la Francia considera uno dei pi? importanti al mondo.
La nascita del fumetto sexy – noir, e la sua incredibile diffusione ed accettazione sono sicuramente un fenomeno legato allo speciale momento che si viveva in Italia. Sono gli anni della contestazione giovanile, dell’occupazione delle universit? , della prima rivoluzione giovanile nei confronti di una societ? perbenista e bugiarda. Sono gli anni dei “figli dei fiori” della diffusione della droga, del rifiuto delle regole dei padri, della liberalizzazione dei rapporti sessuali. Sono, per?, anche gli anni del lavoro ripetitivo nelle catene di montaggio delle fabbriche, della insoddisfazione delle classi sociali meno fortunate, della solitudine, dell’incomunicabilit? e dell’indifferenza nei grandi centri urbani (ben descritte ne “La folla solitaria” di Riesman). In questo contesto il fumetto recita un ruolo importante: ? un antidoto all’alienazione, una droga/placebo che consente di sognare, di dimenticare il solito piatto orizzonte, per aprirne, anche se per un attimo, uno pi? ampio: quello dei sogni. E’ il sogno, come dicevo nella premessa , il segreto per sopravvivere. Mi aiuta in questa considerazione l’opinione di due autori che voglio riportare.
Fabio Panciroli e Alessandro Reati (gi? citati) scrivono in “ Psicologia e fumetti” : “…Passando dal fumetto in striscia agli albi, possiamo notare che anche in Dylan Dog e Nathan Never certe tematiche siano ricorrenti: Dylan Dog affronta spesso il tema dell’orrore e della vita quotidiana, dove i mostri e gli incubi sui quali di volta in volta indaga altro non sono se non la rappresentazione in chiave onirica e surreale delle angosce della vita quotidiana, la paura e la discriminazione verso il diverso sia esso un handicappato, un extracomunitario o un emarginato sociale, la solitudine, la follia. Tematiche che affondano le radici nella quotidianit?, che toccano da vicino il lettore proprio per la facilit? con cui ci si imbatte su di esse…”. [xi]
Altra conferma importante mi viene dalle considerazioni espresse dallo scrittore Silvio Andrei che ho incrociato in Internet. Andrei scrive, in rete, sul giornale “ La Mansarda di Miele”.
Nell’articolo intitolato “Fumetti” affronta il tema delle fantasie erotiche. Lo riporto per intero senza commenti: non ne ha bisogno.
“ FUMETTI”
“Ci sono fantasie in ambito erotico che sono destinate a rimanere tali perché, se messe in pratica, risulterebbero tutt’altro che attraenti o assumerebbero valenze anche condannabili. Idee che possono piacere fintanto che rimangono elaborazioni fantastiche, mentre perdono la loro carica eccitante se vengono riportate nella realt?. Per esempio, si sa che esiste la fantasia femminile dello stupro e che questa pu? risultare eccitante, altra cosa lo stupro vero: violenza e basta. C’? chi fantastica sui rapporti orali, ma non se la sente di praticarli, infastidito da odori o sapori. Cos? esiste la voglia di sofferenza, inflitta o subita, ma per molti le fantasie sadiche e masochiste restano esattamente tali, magari estreme e terribilmente elaborate, ma solo fantasie. I giochi della fantasia sono ambigui e tutti legittimi, altra cosa ? la realt? che implica invece una responsabilit? sociale e politica. Ogni fantasia ? un espandere le possibilit? della mente e se le fantasie sono comunicate in libri, film, fumetti…questo non ? altro che un arricchimento fantastico di chi le produce e di chi ne fruisce. Questa ? l’utilit? del materiale erotico: creare a stimolare la mente. E siccome ? importante la qualit? delle fantasie, ? altrettanto importante che il materiale da cui ricavarle e con cui rinvigorirle sia di qualit?. Purtroppo il fatto che si confonda realt? e fantasia, e che a volte si criminalizzi la produzione fantastica porta anche molti produttori di erotismo a proporre fantasie in modo “idiota”. Certi giornali pornografici andrebbero “perseguiti” non per quello che propongono nelle loro pagine, ma per come stampano le immagini, per come sono bassamente speculativi e irrispettosi dell’acquirente.
E’ chiaro quindi che l’immagine non ? la cosa, cosi come la fantasia non ? la realt?.
Le nostre fantasie e quindi il nostro studiarle, amarle, espanderle non ha niente a che fare con la realt?, a volte solo noiosa, spesso abbruttente” ( Silvio Andrei).”[xii]

La letteratura italiana del fumetto annovera molti altri autori di qualit?, oltre Guido Crepax e Milo Manara. Solo per citarne alcuni: Alfredo Castelli, Giancarlo Alessandrini, Tiziano Sclavi, Claudio Nizzi, Giancarlo Berardi, Ivo Milazzo, Galieno Ferri; altri come Sergio Staino, Altan, Ellekappa e Vauro, tutti impegnati nel fumetto di satira. Andrea Pazienza, Massimo Mattioli, Stefano Tamburini, Tanino Liberatore, Giorgio Carpinteri , impegnati, invece, nel campo delle storie del mondo giovanile, verranno esaminati pi? compiutamente nel prossimo capitolo.
La cultura italiana del fumetto ? a questo punto degnamente rappresentata.
Il prossimo capitolo ripercorre il periodo storico di quella “ generazione cannibale” che fece la storia del fumetto italiano.


CAPITOLO QUARTO
LA GENERAZIONE “CANNIBALE”

A met? degli anni ’70 il fumetto in Italia non passava un momento esaltante. I classici, a partire dal Corriere dei piccoli, continuavano ad uscire col consueto passo. In Francia usciva Metal Hurlant, mentre da noi si progettava Lanciostory. Il bisogno di cambiamento era nell’aria a partire dalle Universit?, dove i giovani politicizzati si lanciavano in arditi quanto improbabili esperimenti grafici. Vari tentativi effettuati con riviste e rivistine come Poligam?, Marxiana e Puzz offrivano degli strani prodotti “artigianali” che raramente uscivano dalla cerchia degli amici. Ma le spinte innovative c’erano e come! I primi prodotti importanti furono Linus e successivamente Alterlinus . In questo contesto di grande incertezza politica e sociale si muovono, per?, figure importanti di artisti italiani “on the road”, che uno studioso come Luca Lorenzon definisce “autori maledetti che hanno creato e vissuto seguendo il principio del live fast die young” : Liberatore, Mattioli, Pazienza, Scozzari, Tamburini, questi i nomi pi? importanti. [xiii] Il “gruppo” da questi creato, diventato ormai per noi una leggenda, ha trasformato, fin dalle fondamenta la struttura del fumetto “classico”. E, come nelle autentiche leggende, ognuno ha interpretato ed aggiunto qualcosa alla costruzione del nuovo fumetto, nel difficilissimo gioco di miscelare genio e creativit?, individualismo ed organicismo. Come scrive Mario Colonna nella post-prefazione al recente libro di F. di Pietro “Fumetti suscettibili” : “…la scansione classica della tavola esplodeva, i margini venivano violati da un disegno ipertrofico e pluridirezionale, i ballon abbandonavano le dimensioni e le collocazioni consuete, per contrarsi e sparire, o al contrario espandersi a coprire tutta la tavola; quei ballon, inoltre, come i disegni, veicolavano al lettore linguaggi ed immagini fino ad allora impensabili nell’ambito del fumetto tradizionale, che erano sopravvissute fino ad allora ai margini e nelle pieghe del sistema delle comunicazioni di massa; in ombra, come in quel grande magazzino del socialmente rimosso che ? la pornografia. Quei fumetti erano appunto inqualificabili: violenti, liberi, intelligenti, a volte debordanti, come tanta stampa di allora, con in pi? la differenza che andavano sottratti agli sguardi degli adulti. Era una nudit? nuova, la perdita storica dell’edenica innocenza di paperi e topi antropomorfi, la loro metamorfosi in macchine e corpi iper reali. Era una pagina simile sempre pi? ad uno specchio che rivelava in tutta la sua lividezza la societ? - reale – che vi si rifletteva inpudicamente.”. [xiv]
Il gruppo “cannibale” era molto giovane. A partire da Stefano Tamburini, neanche ventenne al tempo della prima pubblicazione, che propone al suo pubblico, composto da studenti contestatori, una prima serie di divertenti vignette e storie a fumetti. Giovane fantasioso ma scarso disegnatore, come apparir? ancora pi? evidente sulla rivista confezionata poco tempo dopo: Cannibale.
Oltre a Tamburini la rivista ospita un incredibile Massimo Mattioli, (forse anche finanziatore della rivista, che si dice essere stata stampata su carta rubata), autore gi? affermato in Francia. Mattioli, come scrive F. di Pietro in “Narrazioni suscettibili”, “.. ha la capacit? di far stare dentro al suo fumetto, in un concentrato psichedelico e dinamico, una quantit? considerevole di suggestioni, citazioni e fotogrammi rubati, attinti dalle narrazioni mass mediali tra le pi? disparate: senza distinzioni di genere, formati, pubblici, l’autore prende a piene mani soluzioni formali e tematiche eterogenee, dal porno al cartone animato, per consegnare ai lettori un personaggio che, ed ? questa l’eccezionalit?, si tiene insieme perfettamente. Anche sotto il profilo della narrativa, la velocit? da videogioco, da cartoon impazzito e frullato nelle sue dinamiche di concentrazione emotiva essenziale nella cadenza, che contraddistingue il ritmo del fumetto, unita ai continui sbalzi spaziali, galattici, non pregiudica la linea del racconto, ma anzi la esalta…”.[xv]
La stessa scelta del nome “cannibale” ha varie chiavi di lettura. Forse da “canna” , nel senso di spinello, ma forse anche dalla omonima rivista che i dadaisti fondarono nel 1920. Alle firme dei due cannibali originari, Tamburini e Mattioli, si aggiunsero, poi, quelle di Andrea Pazienza e di Filippo Scozzari. Pazienza, fumettista di altissimo valore, e che ? quello che maggiormente ? entrato nel cuore degli italiani, arriva da Alterlinus, mentre Scozzari, pur con capacit? grafiche non eccezionali, era la vera mente razionale del gruppo.
La follia creativa, l’impeto provocatorio del gruppo, nel lancio di Cannibale arriv? non solo a disconoscere il numero “1” come inizio della serie , ma anche, arrivati al numero “4”, ad estenderla fino ad un virtuale numero “7”, fabbricando un numero con quattro copertine, una per ogni autore, con un’operazione di lucida pazzia che prevedeva di vendere la stessa rivista quattro volte incellofanandola in modo da rendere visibile una copertina per volta! “Cannibale 4/5/6/7/ ? una vera pietra miliare nella storia del fumetto italiano, un modello di provocazione a tutt’oggi insuperato”, scrive Luca Lorenzon in un recente saggio. [xvi] Il quinto del “gruppo” ? Gaetano Liberatore, detto Tanino che esordisce nel 1978 sulla rivista. Liberatore, che ha frequentato il liceo artistico di Pescara insieme a Pazienza, sar?, poi uno dei fondatori di “Frigidaire”. E’ su questa rivista che trasport? il Ranxerox, creato nel ‘77 da Stefano Tamburini, dopo la chiusura di Cannibale per “debiti” da parte del Male.
Ranxerox, l’androide costruito usando una fotocopiatrice xerox rubata all’universit?, diventa “coppia” nel 1978 con Lubna. Il successo, oltre le previsioni, fece si che le storie del personaggio diventassero una saga. Scrive Filippo Bergonzini, sul sito web “ WWW.STRADENOVE.NET”, “…La fama di Tamburini ? legata in particolare al personaggio del coatto sintetico Ranxerox (molto spesso attribuito ingiustamente al solo Liberatore, che ne diede certamente un’interpretazione grafica potente, ma che doveva molto alle idee di Stefano): creato alla fine degli anni ’70, fu un personaggio assolutamente contemporaneo, che precorse temi che poi sarebbero esplosi nel cinema e nella letteratura della prima met? degli anni ’80, a dimostrazione della sensibilit? del suo autore per la cultura presente. ”. [xvii]
Frigidaire, oltre Ranxerox ospita le vicende di Joe Galaxy e le perfide lucertole di Callisto IV°.
“ Joe Galaxy ? un capolavoro a incastro di scatole cinesi che scorrono avanti e indietro a ritmi di replays e flash-backs, con il piacere della narrativa avventurosa, piena di colpi di scena e intrecci a catena..”, scrive F. Alinovi (1982), come riporta F. di Pietro, su Fumetti suscettibili gi? citato, a pag.87. [xviii]
Non sono solo queste le creazioni portate avanti dal gruppo, e non basterebbero certo queste poche pagine a definire i contorni non solo del “gruppo” ma anche dello speciale periodo in cui si sono realizzate. Mi piace chiudere questo capitolo con le parole che Roberto Benigni ha usato per ricordare l’artista ed amico Pazienza, prematuramente scomparso a soli 32 anni: “ Andrea Pazienza era l’albero del Paradiso. Ci ha fatto intravedere la bellezza e poi ha chiuso tutto, per? ci ha lasciato dei frutti proibiti e noi ce li siamo mangiati, li abbiamo assaporati. ”. [xix] Questa citazione di Benigni ? riportata da Raffaele Aronica nei commenti alla riuscitissima mostra “Andrea Pazienza 1956 – 1988” , la prima grande antologica dedicata in Italia ad un “fumettista” da un grande polo museale come il Complesso del Vittoriano a Roma, nel 2005. La mostra ha portato al Vittoriano tanti illustri personaggi, tra cui, oltre Benigni, un altro suo grande amico: Vincenzo Mollica.
Credo che queste parole possano essere estese a tutti i componenti del gruppo.


CAPITOLO QUINTO
NUVOLE “PARLANTI ”: INSEGNARE CON IL FUMETTO

E’ recentemente uscito nelle librerie (Giugno 2005) “Nuvole parlanti, insegnare con il fumetto” edizioni Carocci Faber, linea Scuolafacendo. Autori Simona Tirocchi (dottore di ricerca in Scienze della Comunicazione, docente di Teorie e tecniche delle comunicazioni di massa presso l’Universit? di Macerata) e Giovanni Pratichizzo (dottorando in Scienze della comunicazione presso La Sapienza di Roma).
Il libro ? parte di un progetto editoriale che prevede la realizzazione di guide pratiche all’uso dei linguaggi mediali nelle scuole. Tale progetto ? seguito dall’Universit? di Roma La Sapienza attraverso l’Osservatorio diretto dal Professor Mario Morcellini che vanta una esperienza ventennale di ricerche e studi sul rapporto tra media e minori. La ricerca di nuove strategie per integrare la comunicazione a scuola ha ipotizzato l’uso del fumetto. Perché il fumetto?
Il libro “Nuvole parlanti” nell’introduzione scritta da Amelia Capobianco, Presidente dell’Associazione MediaEducation.bo, riporta, tra l’altro, una significativa testimonianza tratta da un articolo di “Repubblica” : “Ero al liceo e si approssimava un’ora terribile: la professoressa di greco avrebbe fatto lezione alle nove, leggendo per quaranta minuti dal suo quadernetto didascalici appunti su Eschilo, che noi avremmo ulteriormente sussunto. Poi, nei venti minuti finali, avrebbe interrogato, pretendendo che ripetessimo quelle esatte parole. La minaccia gravava su me e un compagno, entrambi impreparati. Erano le otto e cinquanta. ‘Che facciamo?’, chiese quello. ‘Usciamo da scuola ’ . ‘Come?’. ‘Ci confondiamo tra quelli che entrano alla seconda ora ’ . ‘C’? il bidello alla guardiola che sorveglia. Ci vedr? ’. ‘Non se camminiamo all’indietro’. ‘Cosa?’. ‘Teniamo il profilo rivolto in avanti, ci mischiamo alla massa che entra, e con la faccia nella loro direzione, noi usciamo ’ . Mi guard? come se fossi pazzo, ma nei momenti disperati si ricorre alla ‘mossa de matto ’ . Lo facemmo. Funzion?. Corremmo sotto il portico, svoltammo, ridemmo. ‘Come ti ? venuto in mente?’ ‘L’ho letto su Topolino. C’era una storia in cui lui e Pippo lo facevano per uscire inosservati da una miniera ’. Questo brano, tratto da un articolo di Gabriele Romagnoli, (G. Romagnoli, il potere della fantasia, La Repubblica, 28.09.04.) potrebbe gi? da solo motivare la scelta di introdurre il fumetto nelle scuole, certamente non per suggerire metodi per sfuggire alle interrogazioni (ce ne sarebbe bisogno?) ma per la genialit?, la creativit?, la qualit? letteraria di tante strisce che questo articolo vuole testimoniare. ”. Continua la Capobianco: “ Si ? soliti denigrare il fumetto, considerandolo il passatempo ideale per ‘sfaccendati perdigiorno semianalfabeti che invece di leggere testi importanti perdono tempo a guardare le figure ’ come se “il fumetto” fosse un albo unico senza storia, senza autori, senza disegnatori, senza artisti e senza arte; nulla di pi? sbagliato, il tempo, soprattutto a noi italiani, lo ha dimostrato. ”. [xx]
In questo capitolo di “mio” credo di poter aggiungere ben poco. Nel condividere il progetto ? preferibile far parlare, con maggiore competenza, i protagonisti. Ecco una bella riflessione, da me totalmente condivisa, di Amelia Capobianco:
“Settant’anni fa il fumetto ? sbarcato in Italia dagli Stati Uniti con il suo carico d’innovazione figurativa e letteraria, ma “non eravamo pronti”, la nostra idea di letteratura per l’infanzia non considerava la possibilit? di dare ampio spazio al disegno (scadente, per giunta!) con tanta mortificazione per il testo: occorreva modificare, rielaborare, tagliare, aggiungere, cos?… via i balloons, le nuvolette e gi? didascalie a raccontar le storie in rima baciata, (da cui il famoso qui comincia l’avventura del Signor Bonaventura…). Di strada, da allora, il nostro fumetto ne ha fatta tanta, diventando mezzo di comunicazione con i bambini per il regime fascista, facendosi indipendente, legandosi a correnti di pensiero, a mutamenti sociali, facendosi voce per i gruppi minoritari, innalzandosi, grazie a grandi nomi, ad arte figurativa e comunicativa. Uscendo dal nostro Paese vediamo amplificarsi questi fenomeni e raggiungere traguardi tali da interessare (e molto) il mercato, i mercati, i produttori, gli editori, i pubblicitari…ben venga se con essi arrivano le magnifiche storie di Walt Disney, le crisi e i dubbi di Charlie Brown, la rabbia di Mafalda, le cavalcate nella prateria sterminata di Tex, le abbuffate di Chico, i casi di Julia e perché no, i mondi orrorifici di Dylan Dog, le crisi di coscienza dei Supereroi, le sfide quotidiane di giovani studentesse, la lotta contro il male di streghe adolescenti; per non parlare delle strisce “adulte” che hanno innalzato il fumetto a vera arte: Hugo Pratt con il suo Corto Maltese, Spiegelman con il suo Maus, Guido Crepax con le avventure oniriche di Valentina. Questi autori, e diversi altri insieme a loro, hanno fatto s? che il fumetto assumesse a pieno il titolo di prodotto letterario grazie a strutture narrative complesse e articolate e a scelte grafiche spesso innovative con riconoscimenti anche in ambito accademico: Laurea ad Honorem in Pedagogia a Giovan Battista Carpi, autore disneyano tra i pi? importanti, e Laurea ad Honorem a Sergio Bonelli in Scienze della Comunicazione, conferita lo scorso aprile. ”.[xxi]
Il fumetto dopo essere diventato adulto, ? pronto a vestire i panni di valido strumento didattico.


CONCLUSIONI

Nella sua ultracentenaria esistenza “ufficiale” il fumetto ? stato criticato, lodato, trattato come oggetto di culto o visto come un potenziale destabilizzatore dell’ordine sociale. Ma a parte la vita “ufficiale”, il fumetto, nato con l’uomo che tracci? i primi segni sulla nuda roccia, ha radici millenarie. Come tanti altri media ha vissuto nella polvere, e poi sull’altare. Anche la vita dell’uomo gli assomiglia: tra alti e bassi, tra realt? e sogno. Ho elaborato questo saggio proponendomi di avvalorare la tesi che il fumetto, per troppo tempo ? stato immeritatamente ignorato, calpestato, sottovalutato, ridotto a semplice giullare della giovent? o di soggetti poco acculturati. Tesi che intende sostenere che, invece, il fumetto ? uno straordinario mezzo multimediale, capace di essere per l’uomo un validissimo strumento culturale in tutte le et? della sua esistenza. Ho cercato, ripercorrendo i sentieri della nascita, della crescita e della evoluzione del fumetto, di rintracciare, tra le tante voci che lo denigravano, quelle che, inizialmente fuori dal coro, e poi con un consenso sempre pi? ampio, riconoscevano invece la sua valida funzione.
Nella mia ricerca, oltre i testi d’uso , mi sono addentrato nei meandri della “Rete”, dove ho trovato del materiale interessante e, credo, apprezzabili riscontri.alla mia tesi. Il fumetto nella sua evoluzione non solo ? diventato adulto, ha messo i pantaloni lunghi, ma si appresta anche ad indossare i panni di strumento didattico. Ora la mia convinzione ? ancora pi? forte: il fumetto, insostituibile e multiforme mezzo per comunicare, dare e ricevere emozioni, onirico ponte per portare in altri mondi ed in altri sogni ? non solo un insostituibile farmaco per alleviare il peso dell’umana esistenza, a tutte le et?, ma anche un valido alleato per insegnare a scuola, con metodo innovativo, i segreti della cultura .
Mi piace concludere con le parole di Renato Barilli, critico letterario e d’arte, tratte dal saggio “ I giardini incantati di Andrea Pazienza”: “… scopriamo in ci? la profonda saggezza dei fumetti, che intendono assicurare un ponte tra parola ed immagine, sanando la ferita prodotta dalla cultura “moderna”, al momento in cui si impose la fatale macchina di Gutenberg, la tipografia, la quale, come un angelo del Giudizio finale, pretese di convogliare da una parte le parole, obbligandole a indossare la veste stereotipata dei “caratteri”, dall’altra le immagini. Fu il grande divorzio, che i migliori autori del nostro ciclo contemporaneo cercarono di rimarginare: a cominciare da William Blake, grande padre di tutte le soluzioni dei nostri giorni, che si affatic? per ristabilire la convivenza, sulla stessa lastra, delle espressioni letterarie e di quelle figurative e la soluzione trovata dall’incisore inglese fu proprio di trasformare la lastra in una sorta di pianta organica flessuosa, fronzuta, pronta ad ospitare le parole cosi come gli alberi ospitano tra i loro rami i nidi degli uccelli. ”. [xxii]
Il grande albero ? pronto ad ospitare tutti.


Post scriptum

Concludendo il presente lavoro mi ? venuta in mente un’idea che mi piacerebbe proporre all’amico Luigi Gallucci.
Il professor Luigi Gallucci, Preside del liceo “Azuni”, nella cui Aula Magna ? stato presentato recentemente il libro “Fumetti suscettibili”, nel discorso di introduzione alla presentazione della nuova fatica del professor Di Pietro, raccont? che il suo Preside di allora, con una raccolta “forzata” pro biblioteca, depauper? i suoi studenti dei pochi denari che normalmente venivano utilizzati per l’acquisto dei “futili” fumetti. Ecco l’idea. Perché non ripetere, in senso opposto, oggi, una raccolta fondi per introdurre i migliori fumetti nella biblioteca dell’Istituto?
Amo scherzare…ma…

Mario Virdis
virdismario@tiscali.it






BIBLIOGRAFIA

- A. Abruzzese – D.Borrelli, L’industria culturale, -Carocci Roma 2005

- Bagnasco, Barbagli,Cavalli Sociologia 1 - Il Mulino- MI 1997

- Bagnasco, Barbagli,Cavalli Sociologia 2 - Il Mulino- MI 1997

- Berger e Luckmann La realt? come costruzione sociale - Il Mulino BO 2002

- Di Pietro Fabio Fumetti suscettibili - Edes 2006

- Dubar Claude La socializzazione - Il Mulino

- Chatman S. Storia e discorso - Net Milano

- Giddens A. Identit? e societ? moderna - Il Mulino 1990

-Giddens A. Le conseguenze della modernit? - Il Mulino 1990

- Imbasciati – Castelli Psicologia del fumetto - Guaraldi - Fi 1975

- Luhmann N. La fiducia - Il Mulino 2000

- Mc Luhan Gli strumenti del comunicare - Est 1999

- Morcellini Mario Lezione di comunicazione - Ellissi 2002

- Riesman David La folla solitaria -trad .Sarti - Il Mulino 1999

- Sciolla Loredana Sociologia dei processi culturali - Il Mulino 2002

- Tirocchi S. e Pratichizzo G. Nuvole parlanti,insegnare con il fumetto - Carocci Faber 2005

- Autori Vari Grillincubi - Ediz. CDE 1994

- Autori Vari Enciclopedia Universale Garzanti -Ediz. 2005

Si ? inoltre utilizzato il materiale presente sulla rete:

- Panciroli – Reali Psicologia e fumetti - www.psicologia e fumetti .it
- Il fumetto nella seconda met? del XX secolo – sito web “Antenati
- Daniele Giannotti Storia del fumetto in Italia - dal sito “Psycomedia”
- Silvio Andrei La mansarda di miele - sito Mansarda ’ s miele
- Luca Lorenzon Una generazione cannibale - sito fumetti
- Mario Colonna post prefazione a “fumetti suscettibili” - sito SDCO
- Filippo Bergonzini notizie -daWWW.STRADENOVE.NET
- Aronica R. Andrea pazienza al Vittoriano 9.2005 - sito Mu.Vi. news
- Renato Barilli “ I giardini incantati di Andrea pazienza” - www.giulyars.net


NOTE AL TESTO


[i] Giuseppe Bosich “ Grillincubi”, premessa all’opera, pag.7 – ediz. CDE 1994

[ii] Fabio Di Pietro “Fumetti suscettibili” pag.7 - ediz. Edes 2006

[iii] Fortess K.E.,1963 cit. in Imboscati-Castelli “Psicologia del fumetto” 1975 - FI – Guaraldi

[iv] F.Panciroli – A. Reali “Psicologia e Fumetti” dal sito internet www.psicologia e fumetti.htm

[v] Abruzzese e Borrelli “L’industria culturale” 2005 - Carocci RM

[vi] Il fumetto nella seconda met? del XX secolo , sito web “Antenati”

[vii]Amelia Capobianco, introduzione a “Nuvole parlanti, insegnare con il fumetto” di Tirocchi-Pratichizzo- Edizioni Carocci-Faber – 2005

[viii] Dati storici ricavati dal sito Internet indicato nella nota n. 6 (sei)

[ix] Daniele Gianotti lo riporta in “Psychomedia”, Storia del fumetto in Italia – dal relativo sito Internet

[x] Daniele Gianotti, gi? citato: vedi nota n. 9

[xi] gi? citati: vedi nota n. 4

[xii] Silvio Andrei dal sito Internet “ la Mansarda di miele” - sito Miele ’s mansarda

[xiii] Luca Lorenzon, “Come una generazione di Cannibale” – dal sito Internet dell’autore

[xiv] Marco Colonna, post-presentazione del libro “Fumetti suscettibili”, gi? citato

[xv] Fabio Di Pietro, “ Fumetti suscettibili”, opera gi? citata

[xvi] Luca Lorenzon, gi? citato, vedi nota n. 13

[xvii] Filippo Bergonzoni, dal sito Internet Stradenove.net

[xviii] Fabio Di Pietro, “ Fumetti suscettibili”, gi? citato

[xix] Raffaele Aronica, “ Andrea pazienza al Vittoriano, 9.2005, dal sito Internet News Mu.Vi


[xx] Amelia Capobianco, introduzione a “Nuvole parlanti, insegnare con il fumetto”, opera gi? citata a nota 7

[xxi] Amelia Capobianco, gi? citata, vedi nota 20

[xxii] Renato Barilli, “ I giardini incantati di Andrea pazienza” – dal sito Internet www.giulyars.net