Il complesso religioso di San Martino (nelle vicinanze dell’odierno ospedale civile), sorgeva nelle campagne acquitrinose extramurarie poste a sud-ovest della città di Oristano, dove in antica epoca vi era stata una necropoli romana. Era posto accanto a quello che fu un convento prima benedettino, in seguito domenicano, e probabilmente anche scuola e poi ospedale con l’ordine degli Ospedalieri. Di impianto gotico, oltre ad essere una delle chiese più antiche di Oristano, è anche una delle più belle e significative dell’architettura giudicale arborense. I suoi ambienti raccontano la storia del Giudicato prima e del Marchesato poi.
I documenti che ne attestano e comprovano l'esistenza, risalgono al 1228 e attribuiscono il possesso ai monaci benedettini ai quali, il 28 gennaio dello stesso anno, il Giudice Pietro II lo donò; infatti lo stemma raffigurante i pali d'Aragona affiancati dall'albero diradicato arborense è tutt'oggi leggibile su un capitello della chiesa. Dal libro di Luigi Spanu (Storia e Statuti dei Gremi di Oristano – S’Alvure 1997) rileviamo, in parte, la sua storia.
La pianta originaria nacque con una sola navata con copertura lignea, sul fondo della quale, si apriva l'abside a pianta quadrangolare e volta a crociera. Nella parte sovrastante l'abside veniva collocata una bifora a sesto acuto, elemento ancora esistente dell'impronta gotica.
L’impianto principale iniziale fu successivamente ampliato con due nuove cappelle nel corso del XVI secolo e l’intera Chiesa ripavimenta in ardesia, dopo la rimozione della precedente pavimentazione in mattoni di terracotta e l’innalzamento del pavimento. Anche il soffitto ligneo fu sostituito con altro a “botte”. Nella seconda metà del ‘500 la Chiesa fu elevata in “Rettoria”, il convento ed i frutti dell’orto furono ceduti al teologo domenicano Giovanni Porcela di Stampace, di Cagliari, perché nel Monastero, - una donazione del XIII secolo che fino alla metà del Cinquecento era occupato dalle monache- , vi fossero istituiti i corsi scolastici di umane lettere, di filosofia e di teologia. Per un certo periodo la Chiesa ospitò anche l’ospedale in cui si svolgeva il servizio sanitario col medico, il chirurgo e il flebotomo. Diverse anche le proprietà del Convento: erano in suo possesso una ventina di case, due terreni ed una vigna, oltre ad altri beni minori avuti in dono dai Giudici d’Arborea.
Il Monastero di San Martino restò in possesso dei Benedettini dal 1415 al 1579, anno in cui termina la loro opera. Questo “tramonto" non si sa esattamente quando avvenne e se motivato dalla diminuzione delle vocazioni e la conseguente diminuzione del numero dei monaci, oppure per l’affermarsi dei Camaldolesi nell’Oristanese; più probabile l’ipotesi della pianificata e progressiva sostituzione degli ordini religiosi italiani con quelli spagnoli. Quest’ultima verosimile ipotesi è avvalorata dal fatto che la lingua correntemente parlata era senza dubbio, almeno dalla seconda metà del ‘500, il catalano, come era avvenuto nel sud dell’Isola, dopo l’affermarsi del dominio catalano-aragonese, e solo successivamente si passò allo spagnolo.
Il passare del tempo e l'opera dell'uomo, hanno in gran parte cancellato non solo gli splendidi arredi della Chiesa ma anche le strutture, in particolare quelle del vecchio monastero. Resta però visibile, anche se non è supportata da fonti documentarie, l'impronta gotica caratterizzata da leggerezza di linee e verticalismo. Oggi l'edificio si presenta con una facciata, rimodernata nel nostro secolo, attraverso stilemi neogotici.
Le pareti di questa chiesa sono state il teatro di uno dei più importanti atti della storia Sarda. Qui nel 1410, in seguito alla tragica sconfitta di Sanluri dell'esercito arborense (30 giugno 1409), la secolare avventura dello stato Arborense fu indecorosamente cancellata, con la firma della cosi detta “Pace di San Martino”. Leonardo Cubello, giudice reggente del Giudicato in nome di Guglielmo III, dopo essersi opposto strenuamente agli aragonesi si arrese alle maggiori forse nemiche guidate da Pietro Torrelles che il 25 marzo del 1410, partendo dal castello di Sanluri e dopo aver conquistato prima Bosa, dava l’assalto ad Oristano annientando l’ultima debole resistenza. La successiva resa incondizionata (nota come Pace di San Martino), firmata da Leonardo Cubello per il Giudicato e da Pietro Torrelles per gli aragonesi, sanciva la fine del Giudicato d’Arborea che diventava “Marchesato di Oristano”, sotto la giurisdizione del re di Spagna. Sarà proprio Leonardo Cubello ad essere nominato primo marchese di Oristano. Nell’anno appena trascorso (2010) cadeva il seicentesimo anniversario della caduta e della malinconica fine del Giudicato d’Arborea.
Nella Chiesa e nel Convento annesso nel corso degli anni vi fu un avvicendamento che vide l'ingresso al convento delle monache benedettine a partire dal 1470 e dei frati domenicani dal 1567. Dal 1832 ai nostri giorni la destinazione d'uso fu tramutata in ospedale. Accanto alla chiesa, nel lato sinistro, era stato edificato l’oratorio dei confratelli del Rosario. Era questa la Confraternita che si prendeva cura dei condannati alla pena capitale, che proprio in una cappella della Chiesa trascorrevano l’ultima notte prima dell’esecuzione. Questa cappella è posta sul lato sinistro della navata centrale (sul lato destro, invece, è allocata la Cappella presbiteriale) ed è detta proprio “Cappella del Rosario”, macabramente nota per la triste funzione svolta a partire dal 1600; in essa veniva permesso il pernottamento a scopo redentivo dei condannati a morte alla vigilia della loro esecuzione.
Come scrive Raimondo Bonu :
" …il condannato usciva dalla porta principale della chiesa e percorreva una sessantina di passi fino al posto del patibolo ( ndr. verosimilmente ubicato nel terrapieno di fronte alla Chiesa, ove oggi sorge il monumento a San Pio da Pietrelcina)…”.
L’esecuzione capitale avveniva in questa piazza e, successivamente, le teste dei giustiziati venivano portate all'interno della chiesa dove ornavano macabramente un’arcata dell’abside. Il cadavere del giustiziato veniva poi seppellito in un tratto rettangolare del terreno lungo la fiancata dell'abside esterna della Chiesa.
Oggi, a livello religioso, la Chiesa non ha il rango di “Parrocchia” della Città; la Curia Arcivescovile ne ha affidato l’amministrazione alla Parrocchia dei frati Cappuccini ed è custodita dalla Confraternita proprio del Rosario. I recenti restauri, durati a lungo, hanno rimesso in pristino l’antica costruzione che oggi si presenta ben conservata. I lavori hanno consentito di alleggerire l’edificio dalle successive quanto improprie ed inopportune aggiunte: nel corso dei secoli, infatti, la Chiesa ha subito vari interventi e ristrutturazioni, fra i quali l’intonacatura in età moderna, che ne avevano oscurato ed in parte pregiudicato, le caratteristiche peculiari.
La Chiesa è oggi fruibile al pubblico in quanto settimanalmente aperta. Nell’antica chiesa è possibile anche assistere alle funzioni cristiane di rito orientale, in quanto il sacro edificio è stato concesso in uso ai fedeli di rito cristiano-ortodosso, presenti in Oristano. Anche le celebrazioni pasquali del quartiere dei Cappuccini si svolgono con l’utilizzo di questa Chiesa. La “Domenica delle Palme” i rami di palma e ulivo vengono benedetti dal sacerdote ai piedi dell’antico altare e dalla Chiesa il corteo dei fedeli si diparte per raggiungere, in processione, la Parrocchia dei Cappuccini, dedicata alla B.V. Maria Immacolata.
L’antica Chiesa di San Martino, teatro degli avvenimenti più significativi della vita del Giudicato, continuerà a rappresentare per gli oristanesi una pezzo importante e significativo della sua storia.
Mario Virdis