domenica, novembre 06, 2011

SARDEGNA - PIANETA GIOVANI: SENZA IL “LAVORO” CHE “SENSO” POTRANNO DARE ALLA VITA?


Oristano 6 Novembre 2011

Cari amici,

l’argomento di oggi è triste e angosciante: I giovani e il lavoro che non c’è.

Il lavoro, con l’avvento della globalizzazione, ormai imperante e “senza ritorno”, è sempre più carente per i giovani di tutto il mondo occidentale, ma in Sardegna il problema è particolarmente accentuato. Dalle ultime statistiche apprendiamo che “Sette su Dieci” non solo non hanno un’occupazione ma non la cercano nemmeno, scoraggiati e delusi da un mondo, quello della nostra generazione, che sembra proprio rifiutarli, incurante delle loro aspirazioni. E’ questa una delle grandi colpe che la generazione attuale ha nei confronti della loro, operando in modo assente, senza aiuti o incoraggiamenti, senza predisporre gradualmente la "staffetta" che li alternerà al nostro posto.

Personalmente mi pongo ripetutamente una domanda angosciante e purtroppo senza risposta: come faranno, in queste condizioni, questi giovani, questi nostri figli, a “dare un senso” alla loro vita che vedono senza speranza, senza futuro? Essi ci guardano con rabbia, forse anche con commiserazione, per la nostra inerzia, per la nostra incapacità. Si rifugiano, quando va bene, nella musica, quella dei toni forti, che usano per stordirsi, per dimenticare le loro angosce. Sono alla ricerca della loro identità, di un vero 'senso' del loro vivere, che cercano e non trovano.

"...voglio trovare, un senso a questa vita…anche se questa vita un senso non ce l'ha..... Sai che cosa penso...che se non ha un senso, domani arriverà, domani arriverà lo stesso...senti che bel vento, non basta mai il tempo, domani un altro giorno arriverà...".

Cosi canta con rabbia Vasco Rossi, uno dei loro idoli, interpretando con forza la loro rabbia e le loro frustrazioni.

Eppure la nostra Costituzione all’art.1 cosi recita: “L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro”. E l’art. 4 cosi aggiunge: “La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto”.

Oggi i giovani, anche se la nostra generazione li considera “bamboccioni”, hanno grandi capacità cognitive ed espressive e nella loro rabbia, ci giudicano in modo impietoso. Già a scuola affrontano presto l’arduo tema del “vivere", in modo improprio, la loro vita. Si pongono con forza quelle domande che, prima o poi, a tutti vengono in mente: perché esisto ? che scopo ho io, una persona come tante altre, qui , sulla terra, dove non chiesto, io, di venire ? Li discutono con i loro docenti tutti questi perché, anche se sanno che rimarranno senza risposta. Soprattutto i più colti, partendo dal passato e riportandolo al presente, cercano difficili soluzioni. Ad esempio leggendo “Il canto notturno di un pastore errante dell’Asia” , si domandano perché anche il grande Leopardi non riuscisse a ‘capire’ il senso della vita; perché, pur cercandolo, non sperasse più nella possibilità di trovarlo e capirlo questo ‘senso’, per dare un reale impulso, uno scopo migliore, alla sua esistenza. E’ un’ansia forte quella che continua ad attanagliare i giovani, e tuttavia noi poco o niente facciamo per tranquillizzarli e metterli in condizioni di ‘trovare adeguate soluzioni’.

Riflettiamo, quando daremo lavoro ai giovani? Se non ora quando?

Ho appena finito di leggere nella pagina di “Economia e Finanza” de L’Unione Sarda di Sabato 5 Novembre, a firma di Lucia Schirru e Giorgio Garau, un interessante articolo dal titolo “ Giovani, il lavoro non c’è”.

Un’analisi profonda sulla attuale disoccupazione in Sardegna, e che riporta dati e numeri ‘impressionanti’, capaci di far venire i brividi anche alle persone più refrattarie. Ecco alcune cifre.

In Sardegna, secondo l’ISTAT, i giovani tra i 15 e i 24 anni sono in totale 172 mila, uno ogni 10 residenti. Di questi 54 mila (il 31,5%) partecipano attivamente al mercato del lavoro: 33 mila sono occupati e 21 mila cercano attivamente un lavoro. Sono, invece, 118 mila (il 68,5%) quelli che fanno parte delle “Non forze-lavoro”, che comprendono i giovani (studenti e non) che si dividono in: quelli che cercano lavoro non attivamente, però disponibili a lavorare e quelli che non sono disponibili a lavorare e, comunque, non cercano lavoro.

Il tasso di occupazione medio nazionale è pari al 20,5%, mentre in Sardegna è del 19,3%, con oltre un punto percentuale di differenza. Il tasso di disoccupazione, invece è in Sardegna notevolmente più elevato: 11 punti percentuali in più rispetto a quello medio nazionale, ovvero il nostro “tasso” è al 38,8%, contro il 27,8% di quello nazionale. Dati che parlano da soli. Quali le cause o le concause? La netta differenza tra i due valori va ricercata partendo da lontano. L’Istat evidenzia, per esempio, che in Sardegna il 23,9% dei giovani di età tra i 18 e i 24 anni abbandona precocemente gli studi, contro la media nazionale che è del 18,8%. Questo dato dovrebbe far riflettere di più e cercare di trovare soluzioni per ridurre l’abbandono scolastico. Inoltre è necessario investire sulle “Nuove Professioni”, dopo il triste abbandono della industrializzazione del territorio, rivelatasi deleteria e con negativi impatti ambientali difficili da correggere. Investire sui giovani è sempre più urgente. Uscire dagli investimenti a pioggia per focalizzarli in modo costruttivo e produttivo non è più dilazionabile, in un momento che necessita di recuperare ogni risorsa, anche quella apparentemente modesta.

Credo che la nostra generazione senza il preciso impegno, senza la forte volontà di abbandonare le fallimentari strade del passato per aprirne di nuove, si ritroverà con i suoi giovani senza futuro. Non solo. Anche il loro “mancato futuro” sarà una terribile corda al collo del “nostro presente”, perché rimarranno eternamente dipendenti da noi, a nostro carico, e noi moriremo strangolati dalla nostra stessa imperizia e dalla mancanza di lungimiranza. Non rubiamo il futuro ai giovani è un vero suicidio, etico culturale e sociale!

Facciamo in modo che la vita, la nostra e la loro, abbia, davvero, un “reale significato”, un costruttivo “senso” di concretezza e stabilità.

La globalizzazione, è vero, ha tolto a noi ed a loro un futuro di serenità e certezze consolidate. La ‘Globalizzazione’, però, è ormai un fenomeno inarrestabile ed irreversibile, un passaggio forse obbligato, anche se si sta rivelando pesante come un macigno, trasformando le acquisite certezze in pindarici voli senza ritorno, avvolti nella nebbia di lidi e porti sconosciuti ed insicuri. E’ un processo stritolante che sta trasformando profondamente le nostre abitudini ed ancor più lo farà con quelle dei nostri figli, sottraendo giorno dopo giorno le certezze e avviandoli ad una condizione di precariato a vita. Non era questo quello che la Globalizzazione pomposamente reclamizzava, proponendosi come strumento capace di abbattere le barriere e di preparare un mondo migliore. Noi l’abbiamo cavalcata senza riflessione, senza verifiche, ignorando che poteva anche imboccare sentieri pericolosi, che avrebbe potuto degenerare, creando disuguaglianze peggiori di quelle all'origine si prefiggeva di eliminare. Non lasciamoci abbattere, però: se abbiamo perso una battaglia non possiamo e non dobbiamo perdere la guerra. I nostri giovani vanno incoraggiati a non arrendersi, non ignoriamoli, non mettiamoli da parte! Sicuramente sapranno combattere meglio di noi una guerra che li riguarda in prima persona: Prepariamoli e poi passiamo loro il testimone: ne sapranno fare buon uso.

Mi sento di poter affermare che dobbiamo dare ai giovani una reale e concreta speranza; dobbiamo trasmettere dei veri ideali in cui credere ed operare. E' questo il nostro impegno, senza deroghe, perché ne hanno 'diritto' e possano cosi, con convinzione e speranza, vivere il futuro con minori ansie ed angosce. Il lavoro, non dimentichiamolo, è il vero motore della nostra esistenza. L’ozio, non a caso, è da sempre stato definito il “padre dei vizi”. Non parlo del lavoro come pura e semplice fonte di reddito. Lavorare è dare il meglio di se: come capacità, come competenza, con inventiva e fantasia, rivolta non solo verso se stessi, per il proprio tornaconto, ma anche indirizzata verso gli altri. L’uomo con il lavoro è riuscito a migliorare sia la propria vita che quella della Comunità di appartenenza. Dare ai giovani il lavoro è dare loro la possibilità di migliorare la convivenza su questo pianeta e, soprattutto, di apprezzare la vita, di amarla, senza dimenticarci mai che noi li abbiamo chiamati in questa vita, non l’hanno chiesto loro!

Chiudo con un “delicato” inno alla vita, frutto dei bellissimi pensieri di Madre Teresa di Calcutta, persona che, pur potendolo, non ha mai lavorato “per se”, ma solo per gli altri, per gli umili, per gli ultimi. Forse per questo amava stupendamente la vita… in modo supremo. Ecco il Suo “Inno alla vita”:

Amiamo la vita, facciamola amare ai nostri giovani, e ne verremo ricambiati: ci vorranno bene molto di più. Assaporeremo, insieme, il "Vero senso della vita", il vero motivo per cui siamo venuti in questo mondo.

Grazie della Vostra attenzione.

Mario

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