Oristano 31 gennaio 2024
Cari amici,
Ho pensato di dedicare il post dell'ultimo giorno di gennaio alle antiche, meravigliose tradizioni della nostra Sardegna! Oggi lo faccio anche per cercare di sfatare una radicata credenza: che la vite nella nostra isola sia stata introdotta dai fenici! Niente di più falso, in Sardegna la vite ed il vino erano presenti fin dal periodo nuragico! Eppure, per un lungo periodo
l’introduzione della coltivazione della vite in Sardegna è stata attribuita ai
colonizzatori fenici (IX-VIII sec. a.C.), mentre grazie alle più recenti indagini
archeologiche, effettuate con l’utilizzo dei più moderni sistemi ed alle minuziose analisi scientifiche, si è potuta datare la coltivazione della
vite e la produzione del vino in un periodo ben antecedente: alla fine
dell'Età del Bronzo Medio (XV sec. a.C.), escludendo quindi che a portare la
vite in Sardegna siano stati i Fenici. Nella foto gli scavi a SA OSA (Cabras) dove sono stati scoperti semi di uva vernaccia del periodo nuragico.
Le indagini
archeologiche, effettuate in diverse parti dell’Isola, hanno consentito non
solo di accertare che la coltivazione della vite veniva effettuata ben prima
dell’arrivo dei Fenici, ma hanno messo in luce anche “come avveniva in
passato la vinificazione”, ovvero le modalità di utilizzo del meraviglioso succo
ricavato dai grappoli d’uva: in parole povere, la nascita del vino. Questo particolare processo di trasformazione avveniva all’esterno, all’aria aperta, ricavando nei
pavimenti rocciosi delle campagne circostanti i vigneti, degli appositi
contenitori dove venivano spremuti i grappoli, ricavandone così il mosto.
Questo contenitori
scavati nella roccia venivano chiamati “Palmenti”, un termine di origine
incerta che, forse, secondo alcuni linguisti, deriva dal latino pavimentum
(pavimento, selciato), inteso come vasca per la pigiatura e la fermentazione
dell’uva, mentre per altri il termine potrebbe derivare da pavire (battere),
quindi l’atto del battere, pigiare i grappoli per ricavarne il succo. Gli
antichi “Palmenti” rupestri solitamente erano formati da due vasche comunicanti
tra loro tramite un foro; nella vasca superiore l’uva veniva versata, poi
pigiata e lasciata riposare; il mostro che ne fuoriusciva cadeva nella vasca
sottostante, e qui avveniva la fermentazione.
In Sardegna a studiare in
profondità la meravigliosa storia della nascita del vino c'è l’Associazione
Paleoworking,
che fin dal 2005 si occupa di ricerca scientifica e archeologia sperimentale della
nostra terra. Presidente di questa associazione è Cinzia Loi, che, oltre
che essere archeologa è un’appassionata dei “Palmenti rupestri” (ha partecipato
a numerose campagne di scavo sia nel territorio nazionale che all’estero e il
suo principale filone di ricerca riguarda proprio lo studio dei processi di
produzione e delle attività produttive, con particolare concentrazione sui
processi dell’antica vinificazione).
I “palmenti rupestri”,
amici lettori, sono gli speciali, antichi impianti di produzione del vino, rinvenuti
un po’ in tutta la Sardegna, ma più numerosi in Provincia di Oristano, ubicati
in particolare in territorio di Ardauli. L’analisi e il recupero di tali
strutture hanno dato vita nel 2020 al progetto, ideato dalla Paleoworking e
alquanto partecipato (chiamato “Lacos de Catzigare: I palmenti rupestri di
Ardauli”), che, nell’ambito dell’assemblea annuale del percorso culturale Europeo
European Wine Day e ITER VITIS Les chemins de la Vigne en Europe, tenutasi
a Tolosa l’ottobre scorso, ha vinto il premio Prix de la recherche en
archéologie du vin!
Il progetto “Lacos de
Catzigare: I palmenti rupestri di Ardauli” ha consentito di individuare e
censire, nel territorio oggetto d’indagine, ben 64 palmenti rupestri. L’impianto
di Funtana Leiosa, immortalato nella foto da Luana Sanna, è risultato il primo
classificato. L’associazione, oltre a proseguire nell’azione di censimento e
studio archeologico dei palmenti, sta proponendo una serie di attività
finalizzate alla loro conservazione e fruizione. Sono già state testate alcune
azioni concrete basate sul paesaggio in cui i palmenti sono inseriti, una serie
di itinerari eno-archeologici che hanno permesso ai visitatori di compiere un
viaggio affascinante nella vitivinicoltura antica.
Ma vediamo come avveniva
la produzione del vino nei palmenti rupestri. Gli studi hanno messo in luce che
le uve, ammassate nella prima vasca (sa pratzada), venivano sistemate man mano
dentro sacchi di lino tessuti a maglie larghe (sas cuneddas) e poi schiacciate
con i piedi da un pigiatore esperto. Terminata questa operazione i sacchi
subivano un’ulteriore azione di pressione mediante la cosiddetta perda ’e imbinare, un masso di pietra di forma grossomodo circolare dalla base
appiattita. Alcune prazadas mostrano ancora una fossetta in cui, durante la
vendemmia (sa innenna), veniva posto un acino (su pibione) per ogni cesto d’uva
tagliata (sa cannada). In questo modo il proprietario della vigna (su
bintzateri) riusciva a prevedere il quantitativo di mosto che ne sarebbe
derivato, così da predisporre per tempo il numero di otri (sas butzas) utili
per il trasporto a dorso d’asino e quello delle botti (sas cubas) necessarie
alla fermentazione.
Le più antiche
testimonianze di vinificazione in palmento attestate in Sardegna, provengono
dal villaggio di Genna Maria di Villanovaforru. Qui è stato rinvenuto un
particolare ambiente, il vano gamma, all’interno del quale è stata individuata
un’area di pigiatura lastricata e delimitata da lastre disposte a coltello, in
pendenza verso una vasca infossata nel pavimento. Al centro di essa si erge un
bacile in arenaria. All’interno del vano è stata ritrovata anche una brocchetta
decorata (askos), utilizzata per la mescita del vino.
Cari amici, sono
estremamente grato all’Associazione Paleoworking, ed in particolare alla sua
Presidente Cinzia Loi, per l’interessantissimo lavoro di conoscenza che viene
portato avanti per dare, ai sardi in particolare, una migliore cvonoscenza delle
tradizioni della nostra isola, la cui antica identità culturale resta ancora
oggi scarsa e che andrebbe, invece, seriamente ampliata, ovvero portata, come
merita, in piena luce!
A domani.
Mario