Oristano 28 gennaio 2024
Cari amici,
L'illustre studioso greco Erodoto,
detto di Alicarnasso, vissuto nel v° secolo a.C., fu uno uno storico di rilevo della
sua epoca. Un personaggio greco dell'antichità alquanto importante, se pensiamo che Cicerone lo considerò il «padre
della storia». Ebbene, tra i tanti suoi scritti, risalenti a circa 2.400
anni fa, parlò di un popolo, quello degli SCIITI, i cui feroci guerrieri, una
volta uccisi i nemici, ne utilizzavano poi la pelle. Si, per fabbricare le faretre, per esempio, quegli
astucci usati per riporre le frecce. Per molti secoli si pensò che fosse un
mito, una diceria, il fatto che utilizzassero la pelle dei loro nemici, in quanto fino ad
ora non c’erano prove che potevano dimostrarlo.
Gli Sciti, amici, erano
un popolo nomade che viveva nella steppa eurasiatica tra il 700 e il 300 a.C. È
questo un territorio che oggi fa parte della Russia meridionale e dell’Ucraina,
posto tra i fiumi Danubio e Don. Un popolo di grande fama, in quanto i suoi uomini
erano descritti come abilissimi cavalieri e guerrieri indiscussi, ma anche molto feroci in
battaglia. Purtroppo le fonti storiche sugli Sciti sono molto scarse e
frammentarie, e la maggior parte di ciò che sappiamo proviene proprio dagli
scritti di Erodoto, lo storico greco prima menzionato.
Erodoto ebbe modo di
visitare alcune delle regioni abitate da questa popolazione, e questo gli
consentì di raccogliere numerose testimonianze sulla loro vita che poi
pubblicò. Le sue narrazioni non sono esenti da leggende e miti, e quindi da noi
non sempre ritenute del tutto attendibili. Su questo popolo Erodoto ci ha
lasciato una descrizione molto vivida delle usanze belliche utilizzate, pratiche
che includevano riti raccapriccianti, come bere il sangue dei nemici, usare i
loro scalpi come asciugamani e fare le faretre con la loro pelle. Affermazioni
ritenute per molto tempo esagerate, o addirittura inventate.
Ecco cosa scriveva Erodoto,
parlando della loro ferocia: “(Essi) Scorticando la mano destra del nemico,
senza togliere le unghie, ne fanno, dopo averla marinata, una copertura per il
loro ataba; e non c’è da stupirsi di questo, poiché la pelle umana, forte e
lucente, risulta più chiara quando marinata e lucente più di qualunque altra pelle”. Ebbene, ora i ricercatori sono riusciti a dimostrare che quanto scritto da Erodoto
non era fantasia ma verità! I risultati dello studio sono stati resi noti e pubblicati
sulla rivista Plos One.
I ricercatori, utilizzando
nuove tecnologie di analisi del DNA, hanno esaminato le proteine del collagene
in campioni prelevati da 45 oggetti in pelle recuperati negli ultimi anni da
tombe scitiche datate tra il V e il IV secolo a.C. In questo modo, hanno potuto
determinare che la gran parte dei campioni di pelle utilizzati nelle faretre
erano di animali (cavallo, mucca, capra o pecora), ma non tutti; in due
campioni, un esame più attento ha mostrato che si trattava di pelle umana,
supportando così il macabro racconto di Erodoto.
La recente scoperta
dell’uso di pelle umana per confezionare le faretre degli Sciiti risulta
alquanto importante per lo studio della cultura e della storia di questa
popolazione; in primo luogo, conferma la veridicità di una delle fonti
principali che abbiamo su questo popolo, cioè quella di Erodoto, e sebbene le
sue narrazioni siano ancora da prendere con cautela, possiamo ora dare più
credito alle sue testimonianze sulle usanze degli Sciti; in secondo luogo, ci
offre uno spunto per capire meglio la mentalità e i valori degli Sciti, che
erano profondamente legati alla guerra e alla violenza.
Un popolo, dunque, fiero e
indipendente quello degli Sciti, che non era avvezzo a sottomettersi a nessuno, pronto a difendere sempre il suo territorio con determinazione; vita nomade e dura,
quella di questo popolo, che richiedeva abilità e resistenza; la guerra era per
loro un modo per esprimere la loro identità e il loro onore, ma anche per
sfruttare le risorse e le opportunità date dai loro nemici. Essi, dunque, non
solo uccidevano i loro avversari, ma li sfruttavano anche come materiale per le
loro armi. Questo era un rituale che, tra l’altro, serviva a dimostrare il loro
coraggio, il loro disprezzo o il loro dominio sui loro nemici.
Cari amici, questo popolo, indubbiamente forte e feroce era, però, anche colto, in quanto la loro cultura
era influenzata da quella dei popoli vicini, come quella greca, persiana e
cinese, con cui essi entravano in contatto attraverso il commercio e la
diplomazia. Insomma, un popolo fiero e colto, che ha lasciato un’impronta
indelebile nella storia dell’Eurasia. Un popolo guerriero, certo, ma che
annoverava anche artisti e inventori; un popolo che possiamo considerare
protagonista della storia antica, e che perciò merita di essere studiato e
ricordato.
A domani.
Mario
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