lunedì, giugno 30, 2014

LA SARDEGNA ED I SUOI PRODOTTI TIPICI: “SU CASU MARZU”, FORMAGGIO PERDUTO, UNA PICCANTE E SAPORITA SPECIALITA’, ANTICA COME IL POPOLO DEI NURAGHI.



Oristano 30 Giugno 2014
Cari amici,
la modernità, complice la globalizzazione, ha cambiato certamente le abitudini dei popoli, comprese quelle alimentari. 
Faccio questa considerazione perché oggi voglio parlarvi oggi di un antico prodotto tipico sardo: “Su Casu Marzu”. “Marzu” come ben sappiamo, in sardo vuol dire marcio, indica e identifica cioè una forma di formaggio andata a male, aggredita da un moscerino che, depositandovi le uova, trasforma il formaggio in una “crema viva e brulicante”, dove le larve del moscerino scorrazzano numerose, nutrendosi del prelibato prodotto caseario.
Inizialmente, non si sa come né perché, questo prodotto ‘avariato’ preda del moscerino e delle sue larve, sia comunque entrato nell’alimentazione umana. Forse millenni fa, all’epoca del popolo dei nuraghi, fu la carestia, la carenza di cibo, ad aver costretto qualche Comunità agro-pastorale a cibarsene comunque. Chissà! Tra leggenda e fantasia si racconta che l’antico popolo degli Shardana, dopo averlo mangiato e scoperto la sua prelibatezza, amasse cibarsene con gusto consumandolo in abbondanza; ciò facendo però, fece molto indispettire le divinità! Il motivo era semplice: l’odore nauseabondo delle forme di formaggio marcio infastidiva alquanto gli dei dell’Olimpo che, tra l’altro, si ritrovarono il territorio invaso dalle voraci larve. In un momento d’ira, persa la pazienza, staccarono con forza un lembo di Atlantide (la zona dove soggiornavano i Sardi Shardana) scagliandolo in mare e finendo al centro del Mediterraneo.
Al di là del mito (personalmente l’idea del mitico Giove che scaglia un lembo di Atlantide al centro del Mediterraneo, facendo nascere la Sardegna, risulta molto curiosa e suggestiva) la fantasiosa storia del ‘formaggio marcio’ di Sardegna rappresenta un intelligente esempio di vivacità intellettuale e culturale. Un Popolo, quello sardo, a cui da sempre e per mille altre ragioni è riconosciuta intelligenza e lungimiranza,  capace, come in questo caso, di trasformare una svista iniziale, da potenziale sventura in un successo gastronomico. Errore, se così lo possiamo definire, frutto di “eventi casuali”, nati in un contesto arcaico. Proviamo con la nostra fantasia ad immaginare i luoghi della preparazione del formaggio: le caverne, luoghi tutt’altro che asettici, dove, dopo la realizzazione delle forme, queste sostavano per la successiva conservazione e stagionatura. Ambienti certamente poco igienici, soggetti a variazioni di temperatura, nei quali anche solo un modesto errore di dosatura in eccesso del caglio (di capretto), sarebbe stato fatale. L’eccesso di caglio, capace di creare crepe nelle forme durante la stagionatura, avrebbe favorito la colonizzazione da parte della mosca casearia (Piophila casei), oggi ben conosciuta, temuta e combattuta dai caseifici di tutto il mondo, causando certamente la trasformazione della forma in “Casu Marzu”.
A volte, però, un errore può essere fonte di una nuova scoperta: Non per niente il proverbio sardo dice” Onzi impedimentu podet diventare godimentu” (lib. Trad.: Ogni errore può diventare piacere, godimento). Il formaggio, guastatosi certamente per mera distrazione, in periodo di carestia fu mangiato comunque, facendo scoprire, a chi faceva “di necessità virtù”, nuovi sapori dal gusto forte e deciso, mai immaginati prima. Alla scoperta iniziale seguirono certamente alcuni successivi interventi migliorativi, apportati per ottimizzare quel naturale processo di trasformazione. Era un modo per far apprezzare a tutti un potenziale, diverso, nuovo prodotto, utile in diverse occasioni.
Al giorno d’oggi, uscendo dal ristretto ambito locale, è necessario e doveroso chiarire diversi punti. Questo particolare formaggio è stato dichiarato “non commestibile” dalle norme della Comunità Europea e ne è stata proibita la commercializzazione. A questa restrittiva normativa la Regione Sardegna, per salvaguardare questa tipicità agroalimentare regionale, ha risposto inserendo su “Casu Marzu” nell’elenco dei prodotti tradizionali italiani, tenuto dal Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, chiedendo nel contempo, proprio all’Unione Europea, la concessione del marchio DOP a tutela della denominazione d’origine del “Casu Marzu”.
Cari amici, il vero rischio alimentare, di questo straordinario prodotto, esiste solo se l’insetto, prima di deporre le uova, fosse entrato in contatto con elementi contaminanti, comportando in quel caso gli stessi rischi di qualunque altro alimento avariato. L’intervento “animale”, nella formazione di questa piccante crema di formaggio, se avvenuto con rigido controllo igienico, credo che non sia più pericoloso di tanti altri prodotti di derivazione animale: ci basti pensare al miele prodotto dalle api, anch’esse soggette a “succhiare” sostanze contaminate. Al di là di qualunque teoria scientifica o pseudo tale, alcuni accorgimenti di natura igienico sanitaria nella preparazione e stagionatura, potrebbero garantire quel livello di sicurezza da molti contestato. Certo, non è semplice per i neofiti convincersi a metterlo in bocca e assaporarlo: ma chi lo farà potrà scoprire il suo gusto unico, il caratteristico aroma pungente e quei rari sapori e profumi, tipici della macchia mediterranea.
Ideale per la produzione di questa rarità gastronomica è il periodo primaverile, coincidente col ciclo riproduttivo del moscerino. Per ottenere le condizioni più favorevoli alla “colonizzazione delle forme”, nella lavorazione si riduce il tempo di salamoia delle forme di pecorino (la salatura è necessaria per evitare le fermentazioni batteriche indesiderate), per limitare la quantità di sale in modo da attrarre meglio l’insetto; le stesse forme vengono meno pressate e talvolta vi si praticano piccoli buchi, riempiti con dell’olio per ammorbidire la crosta e meglio attirare la mosca. Inoltre, per ottenere una pasta più cremosa ed omogenea, spalmabile sul pane, si evita di rivoltare le forme, collocate in locali aperti, facilmente raggiungibili dal moscerino. Dopo la schiusa, le piccole larve trasformano con i loro enzimi la pasta in una morbida crema e le forme, punte dalla Piophila casei, vengono man mano stoccate in ambienti separati, dove per tre/sei mesi si completa il ciclo di stagionatura durante il quale le larve diminuiscono di numero.
A questo punto la forma di formaggio marcio è pronta: alla pezza viene tolta la parte superiore, mostrando all’interno la tipica crema dal colore giallastro e dal sapore intenso, molto particolare e pungente, pronta per essere gustata al naturale, spalmata sul pane carasau e accompagnata, come molti dei prodotti tipici sardi,  da un bicchiere di cannonau consumato a temperatura ambiente.
Che dire, cari amici, la Sardegna, terra degli antichi Shardana, non finirà mai di sorprendere il visitatore che a Lei si avvicina! Il nostro patrimonio, anche gastronomico,  è immenso, costruito nei millenni, davvero unico! Siamo noi che dovremo vendere meglio le nostre grandi e uniche specificità!
Ciao
Mario

domenica, giugno 29, 2014

"LA CRISI (...AL VELENO) NEL PIATTO DEGLI ITALIANI NEL 2014". IL RAPPORTO DELL’AGENZIA EUROPEA PER LA SICUREZZA ALIMENTARE HA MESSO IN LUCE TROPPI CIBI IMPORTATI, CONTAMINATI CON RESIDUI CHIMICI IN ECCESSO.



Oristano 29 Giugno 2014,
Cari amici, 
l’invito, martellante da più parti, di “riempire il piatto” con prodotti a Kilometro Zero, non è solo uno slogan tirato su dai produttori locali, con la prospettiva per il consumatore, di risparmiare sui costi. Ci sono motivazioni ben più serie che sarebbe opportuno conoscere meglio, per poter verificare con attenzione il prodotto che tutti i giorni finisce sulle nostre tavole.
La globalizzazione dei mercati agricoli ha  immesso in circolo tutta una serie di prodotti alimentari privi delle certificazioni più elementari, accertando solo dopo, a posteriori, che abbiamo consumato cibi stracarichi di veleni, con seri rischi per la nostra salute. Allarme veleni, dunque, che finiscono continuamente e silenziosamente nel nostro piatto! Gli esperti hanno accertato, per esempio, che i peperoncini provenienti dal Vietnam, ma anche i cachi coltivati in Israele, le lenticchie provenienti dalla Turchia e le arance dell'Uruguay, erano tutti prodotti carichi di sostante contaminanti. La Coldiretti ha recentemente reso nota la classifica dei dieci cibi di importazione più contaminati da sostanze potenzialmente pericolose per la salute.
Le elaborazioni sono state condotte dalla Coldiretti su dati Efsa. In cima alla lista dei cibi più contaminati troviamo il peperoncino proveniente dal Vietnam. E' il prodotto meno sicuro in vendita in Italia. Il 61,5% dei campioni di peperoncino analizzati è risultato irregolare per la presenza di residui chimici indesiderati. L'Italia nel 2013 avrebbe importato ben 273.800 chili di peperoncino dal Vietnam per la realizzazione di sughi tipici, per insaporire l'olio o per condire la pasta, senza fare preventive analisi e conseguentemente senza dare alcuna informazione di pericolosità ai consumatori.
La globalizzazione, oltre che aver reso assolutamente poco competitiva la nostra agricoltura ha fatto salire in modo anomalo le importazioni: in Italia queste hanno raggiunto la cifra record di 39 miliardi di Euro nel 2013, con un aumento del 20% rispetto al 2007. 
Il rischio per il consumatore, per i prodotti provenienti da Paesi dove certi prodotti chimici sono permessi, è che, a fronte di un prezzo più basso, ben più alta è la tossicità dei residui chimici in eccesso rimasti sul prodotto. Residui tossici che si trovano sui prodotti alimentari più disparati: dalle melagrane alle foglie di tè, dai fagioli ai cachi, dalle ananas al frutto della passione, dal riso al grano, tutti provenienti da Paesi esteri, dove evidentemente l'utilizzo di prodotti fitosanitari in quantitativi elevate o usati in modo scorretto ha portato alla permanenza di residui eccessivi, e quindi pericolosi, sui cibi destinati alla vendita.
Secondo la Coldiretti, il pericolo di consumare cibi contaminati colpisce ingiustamente soprattutto coloro che dispongono di una ridotta capacità di spesa; questi, a causa della crisi, sono costretti ad approvvigionarsi di alimenti a costo più basso, dietro i quali spesso si nascondono ricette modificate, l'uso di ingredienti di diversa qualità o metodi di produzione alternativi. Dall'inizio della crisi sono più che triplicate in Italia le frodi a tavola con un incremento record del 248% del valore di cibi e bevande sequestrati perché adulterati, contraffatti o falsificati.

La Coldiretti, seriamente preoccupata, ha voluto sottolineare che: "In questo contesto è importante la decisione annunciata dal Ministro della Salute, On. Beatrice Lorenzin, di accogliere la nostra richiesta di togliere il segreto e di rendere finalmente pubblici i flussi commerciali delle materie prime provenienti dall'estero per far conoscere anche ai consumatori i nomi delle aziende che usano ingredienti stranieri per poi magari parlare di Made in Italy nelle pubblicità".
Cari amici, non era ironia la mia battuta iniziale di consumare, quando possibile, alimenti a “Kilometro Zero”. Ci sono Paesi dove le regole commerciali non sono certo simili alle nostre, i controlli sono superficiali o inesistenti, e la salute del consumatore non è proprio tutelata. Credo che rivalutare il prodotto locale non sia solo fonte di risparmio per l’assenza di costi di movimentazione e di trasporto, ma anche motivo di ritrovata sicurezza, conoscendo bene sia i luoghi di produzione che la serietà dei produttori, garanzie queste che tutelano bene la nostra salute, oltre che il nostro portafoglio.
Pensiamoci bene, cari amici, e preferiamo il kilometro zero, perché i veleni, come ben sappiamo tutti, sono cose con cui è meglio non scherzare troppo!
Ciao!
Mario

sabato, giugno 28, 2014

UN INGEGNOSO E SEMPLICE SISTEMA PER DEPURARE: RCBR, L’ECO-IDEA… CHE NON TI ASPETTI! INAUGURATO A NOVARA IL PRIMO DEPURATORE DI ACQUE DI SCARICO CHE UTILIZZA …TAPPI DI PLASTICA!



Oristano 28 Giugno 2014
Cari amici,
chissà quanti ne buttiamo ogni giorno insieme alle bottiglie (di plastica), dove svolgono la funzione di chiusura. Sto parlando dei variamente colorati tappi di plastica che a milioni ogni giorno vengono gettati via. Eppure potrebbero essere proficuamente recuperati. C’è oggi una moderna macchina, semplice e risparmiosa, capace di depurare in modo egregio le acque di scarico, che utilizza proprio, per funzionare, migliaia di tappi di plastica.
La macchina in acciaio inox si chiama RCBR, acronimo di Rotating Cell Biofilm Reactor, e al posto di costosi dispositivi prestampati, dove far vivere e crescere il film di colonie batteriche responsabili della depurazione, impiega tappi di plastica riciclati, perfetti, per forma e materiale, come supporto per far crescere i batteri. Lo ha spiegato ad un folto pubblico, in una conferenza stampa, Dario Savini, amministratore delegato di Eco-Sistemi, la società che ha realizzato la macchina. Ma, per noi, non addetti ai lavori, come si spiega una macchina così curiosa che depura le acque con dei semplici tappi? Vediamo insieme di capirlo meglio.
Questo ingegnoso sistema di depurazione delle acque è appena entrato in funzione a Novara, nel birrificio Hordeum che - tra birra bionda, ambrata, weiss e strong ale - produce ogni giorno 5,5 metri cubi di refluo di produzione: un carico inquinante pari a quello di circa 300 abitanti equivalenti. Nel caso specifico, sono stati impiegati 430 kg di tappi, acquistati da una Onlus locale (tappi raccolti sotto forma di donazioni ricevute per aiutare persone disagiate), cui va il merito, tra le varie attività portate avanti, di occuparsi delle campagne di raccolta e di riciclo dei tappi delle bottiglie. L’impianto realizzato, rispetto a quelli tradizionali, ha consumi inferiori: 1.2-1.5 kW/ora, ovvero circa un decimo dei consumi dell’impianto classico. "Riusciamo ad abbattere drasticamente i costi perché facciamo ricorso a due moduli che vengono azionati da un solo motore elettrico e perché utilizziamo i tappi delle bottiglie in plastica – dice Dario Savini della Eco-Sistemi - del resto il biofilm batterico ottiene l’ossigeno per svolgere il proprio lavoro dalla rotazione del sistema in atmosfera e non attraverso compressori dedicati".
Queste macchine depuratrici rotanti, chiamate RCBR, sono moduli autoinstallanti di dimensioni molto contenute, che realizzano il processo di rimozione degli inquinanti organici biodegradabili composti da carbonio, azoto e fosforo, attraverso un processo biologico noto come "sistema a biomassa adesa". In questi sistemi, oggetti plastici (come i tappi), detti "carriers (trasportatori) biologici" vengono messi a contatto con le acque reflue da depurare e sviluppano autonomamente un biofilm batterico in grado di "nutrirsi" delle sostanze inquinanti presenti nelle acque, restituendo acqua pulita all’ambiente. Queste macchine hanno un ampio spettro di applicazione per tutte le tipologie di refluo biodegradabile, quindi reflui civili urbani e di produzione industriale di tipo agroalimentare e zootecnico (es. lavaggio frutta/verdura, produzione vino, birra, succhi di frutta, lavorazione carni, allevamenti ecc.).
La macchina RCBR è in grado di ossigenare la popolazione batterica senza l’uso di compressori e di realizzare una popolazione batterica attiva di grande estensione in volumi molto contenuti. 
Ma, direte Voi, in che modo? La macchina è costituita da un cestello rotante rinforzato in acciaio inox che ruota lentamente all’interno di una vasca (sempre in acciaio) dove vengono fatte confluire le acque sporche da depurare (semplicemente mediante una pompa che trasferisce il liquido da depurare da una fossa biologica alla macchina). Il cestello è pieno al 100% di elementi plastici (tappi), carriers biologici che ruotando nell’acqua sporca sviluppano una pellicola batterica. Se il cestello ruota parzialmente immerso nell’acqua si formano comunità di batteri che rimuovono il carbonio organico dalle acque sporche e ossidano l’ammoniaca a nitrati. Se il cestello ruota completamente immerso nelle acque sporche si toglie ossigeno al sistema, che riduce i nitrati ad azoto molecolare. In poche parole combinando due macchine RCBR, una che ruota parzialmente immersa nelle acque sporche e una totalmente immersa otteniamo un impianto di depurazione completo che rimuove sia la componente organica a base di carbonio delle acque sporche sia quella azotata.
Veramente ingegnoso questo sistema! Se poi ci aggiungiamo che l’idea di creare il primo depuratore al mondo che rimuove dall’acqua gli inquinanti organici biodegradabili sfruttando dei comuni tappi di plastica è al 100% italiana, c’è da essere veramente orgogliosi! Dirò di più. E’ del tutto italiana anche la “Eco-Sistemi”, la start-up trentina che ha ideato l’innovativo ed ecologico dispositivo!
Cari amici, l’innovazione non smetterà mai di stupirci! Le generazioni future potranno domani dire: “…c’erano una volta migliaia di tappi di plastica che costituivano un rifiuto, ma un’idea ingegnosa li trasformò in depuratori già pronti per le acque di scarico"! In maniera molto semplice, tra l'altro, e soprattutto senza bisogno di alcuna trasformazione, cambiando solo, a questi tappi, la «destinazione d’uso».  La fantasia e l’ingegno italico sono davvero straordinari! Credo che idee come questa saranno capaci da cambiare seriamente in positivo, il futuro nostro e dei nostri figli!
Grazie dell’attenzione.
Mario

venerdì, giugno 27, 2014

IL “MISTRÀL”, L’IMPETUOSO VENTO ESTIVO, QUEST’ESTATE AL MISTRAL 2 DI ORISTANO, ACCOMPAGNA UN’INTERESSANTE RASSEGNA D’ARTE. APERTURA OGGI 27 GIUGNO.



Oristano 27 Giugno 2014
Cari amici,
ci voleva proprio un vento come il Mistràl, impetuoso e sferzante, a sconvolgere il grande torpore della nostra sonnolenta città di Oristano. Il Mistràl è un vento esuberante, forte e intenso, che profuma di mare e di emozioni; vento proveniente da nord-ovest, si forma nel centro della Francia a seguito delle alte pressioni, e si scarica poi con tutta la sua forza nel Mediterraneo, proprio dirimpetto alla Sardegna, che viene flagellata dalla sua forza vitale. Vento potente, che con la sua forza scombussola e travolge, ma che porta anche con se quella frescura indispensabile nelle torride giornate estive.
“Venti d’Estate” è l’appropriato titolo che è stato dato quest’anno alla rassegna di arti contemporanee, allestita da Simone Cireddu presso l’Hotel Mistral 2 in Via XX Settembre ad Oristano. Venti d’estate intensi e sferzanti, che dal 27 giugno al 12 ottobre 2014 invaderanno i saloni dell’Hotel. La hall dell’albergo ospiterà infatti la prima edizione della rassegna d’arte che vedrà protagonisti tre pittori: tre mostre di autori sardi della pittura contemporanea che i visitatori potranno non solo osservare e apprezzare, ma anche commentare,  poiché sono previsti incontri e dialoghi, pensieri e riflessioni.
Per circa quattro mesi la hall dell’Hotel Mistral 2 si trasformerà in una stazione di sosta per “erranti metropolitani” e viaggiatori curiosi: si inizia oggi 27 giugno, con inaugurazione alle ore 18,30, con il pittore cagliaritano Giorgio Podda e la sua “Epica domestica”, che durerà fino al 4 Agosto; a seguire, dal 6 agosto al 7 settembre, Marco Pili di Nurachi che esporrà le sue Architetture di terre; chiuderà, infine, l’oristanese Alfredo Tanchis con l’Atlante delle isole, dal 10 settembre al 12 ottobre.
Quella di Giorgio Podda è una pittura a olio su tavola; in Epica domestica, con forme solenni e monumentali, racconta il miracolo dell’ordinario e del quotidiano e narra le gesta e i gesti di eroi inconsapevoli, cavalieri inconcludenti, dee nel vento con la testa tra le nuvole e santi travolti dai marosi del dubbio. In Architetture di terre il pittore di Nurachi Marco Pili costruisce e disintegra città e paesaggi, forme e volumi, sempre in cerca di nuovi e inattesi equilibri cromatici e formali: manipolando terra, fuoco, acqua e vento, con la sua pittura materica dà forma all’informe, sempre al confine con la concreta astrazione.
Chiuderà, infine, la rassegna l’oristanese Alfredo Tanchis, con i suoi quadri dipinti ad olio sia su tela che su tavola: negli aspri paesaggi e nei cieli spazzati dal vento del suo Atlante delle Isole, unisce componenti visionarie della pittura romantica e simbolista a sperimentazioni formali di matrice espressionista, sintetizzando il visibile e l’invisibile e prediligendo il distante e il vago al vicino e al definito.
Cari amici, credo che l’iniziativa sia lodevole e da apprezzare. I momenti di pausa e di riflessione, in un mondo caotico che si muove così in fretta da non percepire, quasi, quello che si muove intorno a noi, mancano sempre di più ed è necessario trovarli: quale migliore soluzione di quella di proporre spazi e momenti di relax culturali in un luogo destinato al soggiorno ed al riposo come l’albergo? Iniziativa, quella messa in atto, certamente da replicare! Sono convinto che sia gli oristanesi che i viaggiatori di passaggio ad Oristano non potranno che apprezzare.
Venti d’estate all’Hotel Mistral 2 di Oristano: quando la hall di un hotel si riempie di sguardi e pensieri, musiche e incantesimi: quasi un ritorno all’antica curiosità dei viaggiatori dell’Ottocento! Un modo nuovo, vestito d’antico, di viaggiare e soggiornare, appagando vacanza e cultura, corpo e mente, conoscendo non solo nuovi luoghi, ma anche lo spirito e la cultura dei suoi abitanti.
Grazie amici della Vostra attenzione.
Mario