Oristano 6 Febbraio 2012
Cari amici,
anche quest’anno il carnevale puntualmente è arrivato. Per noi, poi, di Oristano, il Carnevale ha un sapore particolare: quello della Sartiglia. Ho già avuto modo di parlare di Sartiglia questi anni scorsi, oggi vorrei riflettere con Voi sulle origini del Carnevale, questo antichissimo rito pagano che anche in Sardegna continua ad affascinare, sempre.
Le prime notizie sul Carnevale lo evidenziano come un vero e proprio rito religioso e risalgono ai tempi degli Egiziani. All'epoca dei faraoni, il popolo, indossando delle maschere e intonando inni e lodi, accompagnava una sfilata di buoi che venivano sacrificati in onore del dio Nilo. I Greci, invece, dedicavano il rito al dio del vino Dionisio, mentre nel mondo romano le feste popolari legate al carnevale erano dedicate al Dio Bacco, i Baccanali. Questi festeggiamenti
si svolgevano lungo le strade della città e prevedevano l'uso di maschere, tra fiumi di vino e danze. Famosa era anche la festa di Cerere e Proserpina, che si svolgeva di notte, in cui giovani e vecchi, nobili e plebei si univano, senza riverenza, nell’entusiasmo dei festeggiamenti. Festeggiamenti che proseguivano anche a marzo e dicembre con i Saturnali, le feste sacre a Saturno, padre degli dei, che si svolgevano nell'arco di circa sette giorni durante i quali gli schiavi diventavano padroni e viceversa, dove il "Re della Festa", eletto dal popolo, organizzava i giochi nelle piazze, e dove negli spettacoli i gladiatori intrattenevano il pubblico.
Con il cristianesimo questi riti persero il carattere magico e rituale e rimasero semplicemente come forme di divertimento popolare. Durante il Tardo Medioevo il travestimento si diffuse nei carnevali delle città. In quelle sedi il mascherarsi permetteva lo scambio di ruoli, il burlarsi di figure gerarchiche, le caricature di vizi o malcostumi, con quelle stesse maschere che sono poi diventate simbolo di città e di debolezze umane. Nel Rinascimento i festeggiamenti in occasione del Carnevale furono introdotti anche nelle corti europee ed assunsero forme più raffinate, legate anche al teatro, alla danza e alla musica. La festa carnevalesca raggiungerà il massimo splendore nel XVI secolo, nelle strade della Firenze di Lorenzo dei Medici. Danze, lunghe sfilate di carri allegorici e costumi sfarzosi segnarono una svolta di questa festa, amatissima nella cultura rinascimentale. Con gli attori della Commedia dell'Arte, alla fine del '500, alcuni dei tipici personaggi carnevaleschi prendono forma e vengono trasformati in " maschere" che penetrano nella tradizione collettiva e ci accompagnano ancora oggi. Carnevale e maschera, quindi, elementi inscindibili.
L'uso della maschera come possiamo vedere è quindi antichissimo e fa parte, fin dall’origine, della storia degli uomini. Utilizzata fin dalla preistoria per rituali religiosi, la maschera diventa strumento indispensabile nelle rappresentazioni teatrali e accompagna le feste popolari come il carnevale. Il termine “maschera” probabilmente deriva dal latino medioevale màsca, strega, tuttora utilizzato in tal senso nella lingua piemontese. Si trova traccia dell'origine del termine nell'antico alto tedesco e nel provenzale masc, stregone. Dal significato originale si giunge successivamente a quello di fantasma, larva, aspetto camuffato per incutere paura. Alcuni la fanno derivare dalla locuzione araba maschara o mascharat, buffonata, burla. Scopo della maschera è quello di nascondere le fattezze umane e, nel corso delle cerimonie religiose, quello di essere il mezzo per unire l’uomo a Dio. Nel teatro la maschera, prima nel teatro greco e successivamente in quello romano, assume la funzione di “trasformazione” dell’attore nel personaggio messo in scena, per sottolineare la personalità ed il carattere, caratteristica che si perpetua nel tempo fino al fiorire in Italia della "Commedia dell'Arte".
L’etimologia della parola Carnevale è tuttora molto discussa: potrebbe derivare da “Carnem Levare” (tradizione medievale di consumare un banchetto di "addio alla carne" la sera precedente il mercoledì delle Ceneri, saziandosi fino alla nausea prima dei digiuni quaresimali) o da “Carnalia” (feste romane in onore di Saturno), o da “Carna-aval” (un invito a non mangiare carne) o ancora c'è chi la farebbe risalire al “Carrus Navalis” (carri a forma di nave usati a Roma nelle processioni di purificazione). In lingua sarda, la parola Carnevale viene indicata con carrasecare e deriva da carre de secare, cioè “carne viva da smembrare”. Il termine, di derivazione mitologica, ricorda i riti praticati dai fedeli del Dio Dioniso che dilaniavano capretti e torelli ancora vivi, per ricordare la morte del loro Dio che era stato sbranato dai titani.
Il Carnevale sardo è un rito sentito, una cerimonia festosa, celebrata entusiasticamente anche nei paesi interni dell’isola, dove si organizzano ogni anno eventi e spettacoli tipici in cui ci si diverte mascherandosi, gareggiando, ballando, mangiando e bevendo più del solito. Il ballo rappresenta in Sardegna un elemento veramente insostituibile del carnevale, che crea un impatto di forte unione sociale; durante questo periodo, si balla tanto e lo fanno tutti: donne e uomini, anziani e adulti, giovani e bambini. Il Carnevale sardo presenta tuttora tratti antichissimi, a volte anche tristi e violenti. È molto diverso dai carnevali italiani più famosi di Venezia o di Viareggio, ma altrettanto affascinante e curioso. Sull’isola questa festa ha diversi aspetti tragici e si basa sul concetto di morte e di rinascita. Inoltre ci sono diversi riferimenti alla pioggia e all’acqua, al mondo agricolo, nonché alla commemorazione di Dioniso, il Dio della vegetazione e dell’estasi, che tutti gli anni muore e rinasce nel ciclo naturale di eterno ritorno. Seguire il Carnevale in Sardegna significa fare un tuffo nella preistoria. Le antiche maschere sono vestite di pelli e cariche di campanacci. Fino al 1700 invece dei campanacci c’erano ossa di animali. I figuranti indossano maschere di legno, di sughero, di cuoio, oppure hanno il volto annerito dal sughero bruciato o dal carbone. Sebbene oggi non si immolino più capretti e torelli vivi da smembrare ed offrire al dio Dionisio, rimane molto di questo antico rito. Nei gesti, negli strumenti sonori e agricoli, nelle maschere e nei campanacci che portano sul dorso, nei lacci che si usavano per catturare, legare e immobilizzare le prede, nei ritmi e nel tipico incedere delle danze zoppicanti dei figuranti, tutto riporta ad un passato oscuro e crudele.
Il carnevale rappresenta ed incarna l’esorcizzazione del normale, del quotidiano, attraverso il rito scanzonato della “festa”. Festa che, in tutte le epoche e nelle pur diverse realtà culturali, ha rappresentato e rappresenta un elemento molto importante dell'esistenza umana. Festa che, una tantum, è retta dal principio della parità in cui non vi è alcuna differenza tra ricco e povero, vecchio e bambino, uomo e donna. In tale contesto le ansie del quotidiano vengono cancellate e si vive un mondo magico di spensieratezza e allegria: “SEMEL IN ANNO LICET INSANIRE”. Espressione forte, questa, il cui significato è "una volta all’anno è lecito impazzire"; detto che divenne proverbiale nel Medioevo. Questa locuzione è legata ad una sorta di rito collettivo che ricorre in molte culture, soprattutto occidentali. In un ben definito periodo di ogni anno tutti sono autorizzati a non rispettare le convenzioni religiose e sociali, a comportarsi quasi come se fossero altre persone. Possiamo sostenere che durante la festa le regole, le norme in vigore sono “sospese”. La festa rappresenta per la collettività un momento di apertura in cui cadono i ruoli e i normali comportamenti. Il mondo "alla rovescia" appare un mito che evoca la realtà. A Carnevale ci si diverte gareggiando, mascherandosi, mischiandosi, servi e padroni, mangiando e bevendo insieme senza timori o riverenze e, soprattutto ballando.
Il significato cosmologico del carnascialesco “rovesciamento dei ruoli”, con il paludamento ed il mascheramento che rende “diversi” ed “uguali” allo stesso tempo, riproduce anche l’alternarsi ciclico del tempo, delle stagioni: dal Caos rinasce, rifiorisce, una nuova stagione; al caos segue sempre una nuova creazione del Cosmo. Creazione che mette sempre in relazione il terreno con i Divino. Il carnevale, infatti, si inquadra in un ciclico dinamismo di significato mitico: è la circolazione degli spiriti tra cielo, terra e inferi. Il Carnevale riconduce a una dimensione metafisica che riguarda l’uomo e il suo destino. In primavera, quando la terra comincia a manifestare la propria energia, il Carnevale segna un passaggio aperto tra il cielo e la terra abitata dai vivi. Le anime, per non diventare pericolose, devono essere onorate e per questo si prestano loro dei corpi provvisori: essi sono le maschere che hanno quindi spesso un significato apotropaico, in quanto chi le indossa assume le caratteristiche dell'essere "soprannaturale " rappresentato. Il Componidori della nostra Sartiglia oristanese, il semidio che dietro la sua maschera è figura mitica per un giorno, impersona perfettamente questa trasfigurazione tra cielo e terra.
Tante le maschere che in Sardegna onorano il Carnevale. Ecco le più importanti.
Mamuthones e Issohadores – Mamoiada
Portatrice di una storia che si perde nella memoria, la maschera dei Mamuthones è sicuramente il più grande simbolo del carnevale sardo, essendo oramai nota oltre i confini isolani ed europei per il suo forte valore simbolico e l’alone di mistero che ancora la circonda.
Boes e Merdules – Ottana
Anche a Ottana, culla di uno dei carnevali più noti ed autentici della Sardegna, due maschere si accompagnano e si fronteggiano nel rituale. I Boes (buoi) dalle lunghe corna taurine, ricoperti del vello di pecora bianco e dai pesanti e grandi campanacci, sono tenuti per le redini dai Merdules, figure umane ma dai volti inquietanti e deformi. Entrambe le maschere, realizzate generalmente in legno di pero, sono dette “Carazzas”.
Thurpos – Orotelli
I “Thurpos”, figura dionisiaca di uomini-animali ciechi, sono maschere di origine arcaica con sottintesi fini propiziatori, derivanti dalla necessità dell’uomo di ricercare un aiuto dalle divinità nelle difficoltà del quotidiano.
S'Attittidu – Bosa
La bizzarra maschera bosana, protagonista del martedì grasso, è una figura di madre vestita a lutto e con un bambolotto in braccio, che si aggira per il paese cantando “S’Attittidu” appunto, un lamento tra funebre ed il satirico con cui chiede “unu tikkirigheddu po su pitzinnu”: del latte per il proprio bambino malnutrito. Malnutrizione dovuta ai bagordi della sconsiderata madre, che lo ha abbandonato per andarsi a “divertire” nei giorni del carnevale!
Sartiglia - Su Componidori
Su Componidori, una sorta di cavaliere semi-dio, è l’enigmatica figura a capo della Sartiglia, una spettacolare corsa alla stella di origine medievale che si corre a Oristano ogni anno l’ultima domenica e il martedì di carnevale. Su Componidori – dallo spagnolo “Componedor” – durante il momento solenne della Vestizione indossa per la prima volta una maschera androgina di terracotta, calzari in pelle, camicia bianca, un velo bianco sul capo e un cappello a cilindro nero. Con quest’aspetto sceglierà e guiderà gli altri cavalieri mascherati che avranno l’onore di correre nel tentativo di infilzare con la spada una stella a cinque punte.
Tanti gli altri centri che festeggiano il carnevale: dalle maschere del Cagliaritano (Is Cerbus di Sinnai e Is Mustayonis e s’Orcu Foresu di Sestu) a quelle dell’Ogliastra (Su Maimulu di Ulassai), dalle altre del Nuorese (Su Harrasehare Lodinesu, Su Bundu di Orani, S’Urtzu e Mamutzones di Aritzo, Maschera a gattu di Sarule, Il Carnevale di Ovodda, Sos Tumbarinos di Gavoi, etc.) a quelle dell’Oristanese (Mamutzones di Samugheo, Sos Cotzulados di Cuglieri, Sos Corriolos di Neoneli ed altri). Non c’è centro piccolo o grande che non festeggi in modo proprio una festa che, almeno per un giorno, faccia dimenticare il solito, il tran tran quotidiano.
Nel calendario liturgico cristiano, il Carnevale è il periodo compreso fra l’Epifania e l’inizio della Quaresima. Nella tradizione popolare, tuttavia, Carnevale copre soltanto i giorni detti “grassi”: dal giovedì al martedì prima del Mercoledì delle Ceneri, che segna appunto l’inizio della quaresima. Domani è Giovedì grasso, primo giorno Carnevale, quindi di festa e di baldoria. Sarà gioiosa Sartiglia anche quest’anno ad Oristano. La città si prepara all’evento. Domenica e Martedì il Componidori, androgino sovrano della corsa, anello di congiunzione tra l’uomo e Dio, cercherà di portare al popolo buoni auspici per questo nuovo anno!
Speriamo che Dio sia particolarmente benevolo, considerati i tempi che stiamo attraversando! Ne abbiamo veramente bisogno di un ottimo “Messaggero”, che sappia chiedere e ottenere i favori del Creatore!
Grazie, amici, della Vostra sempre gradita attenzione.
Mario