Oristano 16 Aprile 2013
Cari amici,
oggi vorrei tornare su un argomento che tratta il mestiere più antico del mondo: la prostituzione. Non è un argomento facile, lo so, ma ignorarlo, tenerlo sotto traccia, corrisponde a quel “tenere la testa sotto la sabbia”, come fa lo struzzo, anziché affrontare una volta per tutte il problema.
La prostituzione è sempre esistita, basta rileggere i libri di storia, dove si potrà verificare che è nata con l’uomo. Allora, se il male è cosi diffuso, se eliminarlo è certamente impossibile, l’unica soluzione valida resta quella di regolamentarlo, nel modo migliore possibile. Nel mondo ci hanno provato un po’ tutti ed in modi e maniere tanto diverse. Rivediamo brevemente la storia del “meretricio”, con particolare riferimento alla nostra Italia, prima di riflettere seriamente su una nuova e, forse, migliore ipotesi di soluzione, rispetto a quella attualmente in essere.
Il fenomeno della prostituzione era già diffuso al tempo della civiltà Egizia, della civiltà Greca e di quella Romana. Un affresco rinvenuto in un lupanare - antesignano delle case di tolleranza - negli scavi archeologici di Pompei, lo dimostra senza dubbio alcuno. In Italia la prostituzione è stata regolamentata dallo Stato fin dai tempi antichi. Nel Regno delle Due Sicilie, già nel 1432, era stata rilasciata una “reale patente” per l'apertura di un lupanare pubblico. Anche nella Serenissima Repubblica di Venezia esistevano numerose case di prostituzione. Case di tolleranza, nonostante il Governo del territorio da parte della Chiesa, erano presenti anche nello Stato pontificio. Il Regno di Sardegna introdusse il meretricio di stato (pensato, voluto e realizzato da Cavour), anche e soprattutto per motivi igienici, lungo il percorso delle truppe di Napoleone III nella seconda guerra di indipendenza italiana, sul modello di quanto già esisteva in Francia dai tempi di Napoleone Bonaparte.
Con l'unità d'Italia, una legge del 1860, che riprendeva quella del Regno di Sardegna, estendeva questa pratica a tutto il paese, dove peraltro esisteva già una ricca tradizione di tolleranza in varie regioni. Lo Stato italiano si faceva carico di fissare anche i prezzi degli incontri a seconda della categoria dei bordelli, adeguandoli al tasso d’inflazione. I prezzi, in realtà, erano popolari: ogni prestazione costava da un minimo di 200 lire (5 minuti in una "casa" di terza categoria) fino a 4.000 (un'ora in una "casa" di lusso), cioè in moneta attuale da 2,4 a 48 euro. Detto così sembra pochissimo, ma contando che ogni ragazza "serviva" da 30 a 50 clienti al giorno, il totale che si ottiene è di tutto rispetto. Ampi consensi popolari erano andati, ad esempio, al ministro degli Interni Giovanni Nicotera quando, nel 1891, aveva dimezzato il prezzo di un semplice intrattenimento in una casa di terza classe, con ulteriori sconti per soldati e sottufficiali. Una nota curiosa riporta che Urbano Rattazzi, aveva persino stabilito con un decreto ministeriale anche i “tempi standard” della prestazione basilare: doveva durare venti minuti!
Il regime fascista, con il Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza del 1931, aveva imposto misure restrittive nei confronti delle prostitute, obbligate a essere schedate dalle autorità di pubblica sicurezza e sottoposte a esami medici obbligatori. La frequentazione di case di tolleranza era, prima della loro chiusura, una pratica abbastanza consueta presso la popolazione maschile, mentre le donne che entravano a far parte della schiera delle prostitute avevano poche possibilità di affrancarsi da un mestiere che spesso era fonte di malattie veneree e quindi di una minore aspettativa di vita. Anche dopo la fine della seconda guerra mondiale l'opinione pubblica era in buona parte favorevole alla prostituzione legalizzata, sia per ragioni di igiene pubblica, sia per la volontà di porre un divario con le ragazze destinate a diventare spose e madri e per garantire alla popolazione maschile una valvola di sfogo per i propri istinti sessuali.
L’idea che la prostituzione legalizzata andasse abolita veniva coltivata fin dai primi anni di vita della nostra Repubblica. La senatrice socialista Lina Merlin presentò un suo disegno di legge per l’abolizione delle case fin dall’agosto del 1948 (anno in cui si calcola fossero attivi oltre settecento casini, con tremila donne registrate, che risulteranno ridotte a circa duemilacinquecento al momento dell'entrata in vigore della legge dieci anni dopo, nel 1958). La legge italiana in vigore fino ad allora prevedeva che venissero periodicamente messi in atto controlli sanitari sulle prostitute, anche se in realtà i controlli erano sporadici e soggetti a pressioni di ogni genere da parte dei tenutari, specialmente al fine di impedire di vedersi ritirata la licenza per la gestione dell'attività. Il disegno di legge non ebbe vita facile. Troppe le resistenze da parte di schieramenti anche contrastanti, perché tanti erano gli interessi in gioco, non ultimo il fatto che le entrate derivanti per lo Stato non erano modeste. Ci vollero circa dieci anni di “tira e molla” ma alla fine la legge fu approvata, con il parere contrario dei monarchici e missini: era il 20 febbraio del 1958. Con la nuova legge veniva abolita la regolamentazione statale della prostituzione e si disponevano sanzioni nei confronti dello sfruttamento della prostituzione. Sei mesi dopo la pubblicazione della legge sulla Gazzetta ufficiale della Repubblica Italiana - avvenuta sul numero 55 del 4 marzo - alla mezzanotte del 20 settembre di quell'anno, vennero chiusi oltre 560 postriboli su tutto il territorio nazionale. Molti di questi luoghi furono riconvertiti in enti di patronato per l'accoglienza e il ricovero delle ex-prostitute.
Se lo spirito della legge, inteso a proteggere la donna, può essere ritenuto pienamente ammissibile e condivisibile, come per molte altre questioni di principio il risultato è stato deludente. Ed è il risultato, purtroppo, quello che conta. Credo, pertanto che a distanza, ormai, di oltre 55 anni dall’entrata in vigore di questa legge poco o niente sia cambiato in meglio, rispetto alla situazione precedente. La svolta creata dalla legge modificò sia il costume che la cultura dell'Italia degli anni ’60: alcuni ambienti la considerarono una svolta positiva, altri, per il timore delle conseguenze derivanti dal mancato controllo medico, paventarono gravi epidemie di malattie veneree e, soprattutto, il dilagare delle prostituzione nelle strade delle città, cosa che in effetti avvenne. Dagli anni ottanta, visto il deludente risultato ottenuto dalla chiusura delle “case”, nel dibattito politico italiano hanno preso corpo numerose richieste per l'abrogazione - in tutto o in parte - della Legge Merlin, giudicata non più al passo con i tempi. La legge è da molti ritenuta non idonea a gestire il fenomeno della prostituzione in Italia che, di fatto, rimane una realtà inestinguibile. In Italia, infatti, non è considerato reato la vendita del proprio corpo, mentre lo è lo sfruttamento del corpo altrui anche se in ambiente organizzato. Ciò ha permesso il proseguire, di fatto, della mercificazione corporale nelle strade oltre che nelle case, ancorché nella clandestinità.
I dati statistici odierni sono preoccupanti. Il traffico di donne, talvolta anche minorenni, è vastissimo. La prostituzione genera in Italia un notevole indotto: sono stimate in 50.000 -70.000 le prostitute esercitanti (di cui non poche extra comunitarie), che coinvolgono oltre 9 milioni di clienti e con un giro d’affari stimato in 19-25 miliardi di euro, sottratto, tra l’altro, all'imposizione fiscale. I lauti guadagni dello sfruttamento di questo esercito di donne è ora sotto il controllo delle mafie italiane e dei Paesi dell’Est europeo, oltre che della mafia mondiale. Questa situazione non credo possa essere ulteriormente tollerata, senza interventi radicali. E’ pertanto necessario riproporre con urgenza il ripensamento di tutte le leggi in questo campo, a cominciare dalla stessa legge Merlin. Tutti i tentativi fatti finora hanno dato esito negativo, dato che attualmente la normativa in materia è la stessa del 1958, nonostante le numerose proposte di modifica presentate dai politici dei vari schieramenti.
Personalmente credo che una regolamentazione sia non solo utile ma anche necessaria. E’ di grande tristezza la visione di un esercito di donne che vendono il loro corpo per strada alle mercé di sfruttatori e sotto gli occhi di grandi e minori. E’ una cosa aberrante che, in assenza di una regolamentazione, frotte di uomini delle varie mafie si arricchiscano con lo sfruttamento coinvolgendo minori, anche di età sempre più bassa. E’, poi, assolutamente inconcepibile che questo “inestinguibile” bisogno dell’uomo (che, credo, nessuno potrà mai eliminare) debba non solo essere causa di sfruttamento per la donna, ma anche una perdita per lo Stato che, invece, deve continuare a garantire salute e assistenza alle donne coinvolte. La soluzione non sarà facile ma dovrà contenere almeno due punti essenziali:
-libertà per la donna che, di sua spontanea volontà, decide di vendere il proprio corpo, assoggettandola a rigorose norme di natura igienica e sanitaria, con obbligo, inoltre, di svolgimento dell’attività in luoghi assolutamente riservati, e soggetti a tutte le normative sul lavoro.
-severe punizioni per le organizzazioni che schiavizzando le donne, in particolare quelle minorenni, volessero lucrare sui loro guadagni.
Solo cosi, il fenomeno potrebbe tornare sotto controllo, considerato il fatto, accertato, che non è possibile eliminarlo.
Chiudo con una ironica riflessione. Gli insuccessi fino ad oggi delle varie proposte di modifica della legge, rafforzano l’ipotesi che l’argomento è cosi delicato che…”porta sfiga”. Lina Merlin, la senatrice che ha dato il nome alla contestata legge, non ebbe molta fortuna politica. Pochi anni dopo l'entrata in vigore della famosa legge, il Psi decise di escludere la "maestrina veneta" dalle liste dei candidati alle elezioni del 1963. Lei stracciò la tessera del partito, polemizzò aspramente sia con la destra che con la sinistra, attaccando indistintamente tutti e definendoli: "fascisti rilegittimati, analfabeti politici e servitorelli dello stalinisimo". Poi si ritirò a vita privata a Milano, dove scrisse le sue memorie, pubblicate postume. Morì a Padova nel 1979.
Adesso comprendete il perché? Grazie a tutti dell’attenzione!
Mario