giovedì, novembre 30, 2023

SCOPERTO NEI FONDALI DELLA SARDEGNA, VICINO AD ARZACHENA, UN GRANDE TESORO DI MONETE ROMANE DEL IV SECOLO D.C. COMPOSTO DA QUASI 50MILA PEZZI!


Oristano 30 novembre 2023

Cari amici,

Dedico l'ultimo post di questo mese di novembre alla nostra amata Sardegna, terra ultra millenaria, oggetto in passato di interesse da parte di tanti popoli! Di recente nel mare antistante le sue coste è stato scoperto un ricco deposito di monete di bronzo, risalente alla prima metà del IV secolo d.C. Nel mare proprio di fronte alla costa Nord Orientale della Sardegna sono spuntate, praticamente inaspettate in quanto la scoperta è stata fatta casualmente da una persona di Arzachena, che, durante un’immersione, ha notato un “mucchio metallico” affiorante dalla sabbia; ispezionandolo ha constatato che era formato da numerosissime monete, tra l'altro a poca distanza dalla riva ed a scarsa profondità.  La scoperta (il punto di ritrovamento è al largo di Arzachena, sulla costa Nord della Sardegna) è stata segnalata alla Soprintendenza dei beni culturali, che ha subito avviato ricerche più approfondite e non si escludono altri ritrovamenti, sicuramente quelli relativi ad un antico relitto.

È un autentico tesoro quello rinvenuto, composto da quasi 50mila monete di bronzo risalenti alla prima metà del IV secolo d.C. Dopo la segnalazione è stato il Nucleo archeologico subacqueo della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio di Sassari e Nuoro insieme con i Carabinieri del Nucleo Tutela Patrimonio Culturale della Sardegna e del Nucleo Carabinieri Subacquei della Sardegna a eseguire una prima ricognizione nel tratto di mare interessato, con la collaborazione del Nucleo Sommozzatori dei Carabinieri di Cagliari e di quello dei Vigili del Fuoco di Sassari, insieme alla Polizia di Stato, alla Guardia di Finanza e alle Capitanerie di Porto.

Dopo la prima ricognizione, eseguita nel tratto di mare dove sono state rinvenute le monete a circa 10 metri di profondità, gli archeologi hanno evidenziato due macro-aree di dispersione delle monete, in una zona sabbiosa compresa tra la spiaggia e le praterie di posidonia sul fondale. Gli esperti della Soprintendenza hanno definito la scoperta del tesoro dei 'FOLLIS' (monete romane), «il più ricco e vasto giacimento di monete del tardo impero mai rinvenuto prima».

I pezzi rinvenuti sono davvero tanti: circa 50mila esemplari di 'FOLLIS', monete introdotte nel 294 d.C. con la riforma monetaria di Diocleziano nell’Impero Romano e poi utilizzate anche dai bizantini. Nel deposito sono state ritrovate anche parti di anfore di produzione africana e orientale. Non è la prima volta che nei territori dominati dall’Impero Romano vengono rinvenuti depositi di monete di quel lontano periodo; questo di Arzachena, però, è indubbiamente quello più cospicuo, ben più sostanzioso di quello rinvenuto nel 2013 nel Regno Unito, a Seaton, quando riemersero 22.888 follis.

A destare non poca sorpresa è lo stato di conservazione delle monete. Questa caratteristica ha permesso di datarle perfettamente, collocandole in un arco temporale tra il 324 e il 340 d.C. Datazione confermata dalla presenza di monete di Costantino il Grande. Un’altra interessante particolarità è che il gruppo dei follis recuperato proviene da quasi tutte le zecche dell’impero attive in quel periodo. Grazie alla valutazione del peso si è giunti alla conclusione che il numero delle monete di bronzo potrebbe aggirarsi tra i 30.000 e i 50.000 esemplari.

Come ha commentato il Direttore generale Archeologia, Belle Arti e Paesaggio (ABAP), Luigi La Rocca, il ritrovamento è “Una delle più importanti scoperte di reperti numismatici degli ultimi anni ed evidenzia ancora una volta la ricchezza e l’importanza del patrimonio archeologico che i fondali dei nostri mari ancora custodiscono e conservano”. Le operazioni di restauro e conservazione delle monete e dei materiali rinvenuti permetteranno di ampliare e approfondire la conoscenza del contesto dei reperti dai quale possono provenire ancora numerose informazioni.

Cari amici, che i fondali che circondano la nostra isola nascondano ancora tantissimi tesori è una cosa certa! Tanti sono stati i popoli che nei secoli hanno cercato di colonizzare la Sardegna, vero grande “paradiso” posto al centro del Mediterraneo. Ecco, nei mari che circondano la nostra antica isola, c’è un grande libro di storia, tutto da leggere, giorno dopo giorno, perché nel passato ci sono le nostre radici!

A domani.

Mario

 

mercoledì, novembre 29, 2023

ECCO IL NUOVO, INTERESSANTE LIBRO DI IRENEO PICCIAU, “IL SILENZIO DELL'ACQUA”, RECENTEMENTE PRESENTATO AD ORISTANO.

 


Oristano 29 novembre 2023

Cari amici,

L’ultima fatica letteraria di Ireneo Picciau, è il romanzo “IL SILENZIO DELL’ACQUA”, che è stato di recente presentato (domenica 26 novembre) al Coworking di Via Vittorio Emanuele II, 36 ad Oristano, all’interno di “Leggendo Ancora Insieme”, la rassegna letteraria oristanese promossa dalla Mondadori. Di Ireneo Picciau, della cui amicizia mi onoro, ho già avuto occasione di parlare su questo blog, l’ultima volta in occasione della presentazione di un suo precedente libro “LUCA CHE VISSE DUE VOLTE”, un intrigante romanzo che affronta il dilemma della reincarnazione.

Ireneo Picciau, psicologo e psicoterapeuta, ha operato all’interno dell’Azienda Sanitaria come team manager della formazione; esperto in comunicazione efficace ed in psicologia delle organizzazioni, svolge attualmente l’attività di formatore e consulente aziendale. Nella sua lunga carriera di comunicatore ha scritto diversi libri, tra cui un manuale sulla comunicazione efficace dal titolo Camminerai sui mocassini del guerriero (Punto di Fuga Editore, Cagliari 1998) e alcuni romanzi: Il mistero di Campo de’ Fiori  (Punto di Fuga Editore Cagliari 2000), L’incoscienza del coraggio (Albatros Editore, Roma 2011), Imperfette solitudini (Edizioni Creativa, Viareggio 2013, scritto a quattro mani con Francesca Salis), La regola del sospetto (Edizioni Creativa, Viareggio, 2013), L’ultimo sciamano (Edizioni Creativa, Viareggio, 2015), Una donna complicata (Edizioni Creativa), Luca che visse due volte (Edizioni Creativa 2019).

Ora arriva in libreria il suo ultimo romanzo “IL SILENZIO DELL’ACQUA”, una storia con una trama intrigante, che affronta i terribili mali dell’uomo, come la violenza bestiale, ma anche la rinascita, la vendetta e il perdono. Protagonista del romanzo è Lorenzo Boero, un adolescente rinvenuto moribondo in fondo a un dirupo. Il ragazzo, dopo una lunga degenza (quasi un anno di coma), si sveglia e ritorna alla vita, ma non è più lo stesso: ha perso completamente la memoria!

La sua mente sembra aver cancellato tutto, tanto che gli rimane ignota persino la sua identità, quasi che egli fosse arrivato dal nulla! Della sua esistenza, precedente al suo rinvenimento nel canalone, nella sua mente non vi è traccia, quasi che in precedenza egli non fosse mai esistito. Il tempo passa e, nonostante la scomparsa dei ricordi, il ragazzo diventa un uomo. Lui, però, non si rassegna: ormai adulto, giorno dopo giorno cerca di rimettere insieme i piccoli brandelli scomposti che la sua mente sollecitata prova a ritrovare. Ed ecco il miracolo: la sua memoria lentamente ma inesorabilmente comincia a ricordare, e Lorenzo inizia così a fare i conti col passato, con l’abisso di brutalità e violenza di cui era stato vittima, una ferocia che aveva quasi posto fine alla sua esistenza.

A quel punto nella mente di Lorenzo inizia una lenta, ma inesorabile, costruzione della vendetta. Presto, però, si accorge che nella sua mente stranamente non albergano solo l’odio e la vendetta! Nel libro leggiamo: “Prima che potesse percepirne il sentore, un lampo di malinconica compassione gli si smosse dentro. Era un sentimento a lui del tutto sconosciuto, come se, per un’oscura beffa del destino, la pietà per un altro essere umano gli fosse penetrata dentro, scompaginandolo in profondità.”.

Domenica scorsa, nell’ospitale Coworking di Via Vittorio Emanuele, un pubblico colto e curioso ha ascoltato con attenzione e commozione alcune pagine del libro lette da Carla Orrù. La serata, coordinata dall’avv. Jimmy Spiga, che ha dialogato a lungo con l’autore, è stata a alquanto apprezzata dai partecipanti, che hanno applaudito Ireneo e numerosi hanno voluto portarsi via il libro, per poter leggere l'interessante storia per intero. Il libro, per chi non avesse partecipato, è disponibile presso la Libreria Mondadori di Piazza Mannu e la Libreria Canu di Via De Castro.

A domani, amici lettori.

Mario

martedì, novembre 28, 2023

LA GRANDE, ANTICA STORIA DEI MULINI A VENTO. COME L’UOMO, OLTRE MILLE ANNI FA, UTILIZZÒ PER SEMPLIFICARE LA PROPRIA VITA, LA FORZA DEL VENTO.


Oristano 28 novembre 2023

Cari amici,

Fin dagli albori dell’umanità l’uomo cercò di utilizzare la forza del vento per i propri bisogni. Utilizzò il vento per un concreto aiuto nel lavoro e nei suoi spostamenti per mare. La forza del vento, ben prima di essere utilizzata come fonte produttiva di energia, infatti, fu utilizzata per navigare per mare andando alla scoperta di nuove terre, issando le vele di piccole e grandi navi; così come anche sulla terraferma, per far muovere, con la sua forza, le prime macchine rudimentali per macinare il grano e gli altri cereali, oppure per pompare l’acqua dai pozzi.

Man mano che la popolazione cresceva, bisognava sfruttare le varie fonti di energia disponibili, e il vento poteva essere davvero di grande aiuto. Sulla terra furono costruiti dei grandi mulini a vento, gigantesche strutture che sfruttavano l'energia del vento (energia eolica) facendo muovere delle antiche macchine dotate di ingranaggi che, attraverso la rotazione di grandi pale, trasformavano l’energia eolica in energia meccanica.

Il mulino a vento, secondo le ricerche storiche, ebbe origine in Persia (oggi Iran), intorno al 3.000 avanti Cristo. Non tutti gli studiosi, però, sono concordi (altri attestano che questa invenzione risale invece al VII secolo d.C.), Queste strutture cattura vento erano costituite da costruzioni innalzate sulla torre di un castello o in cima ad una collina; il vano superiore ospitava le macine, quello inferiore il rotore. Erano usate per produrre la farina dal grano oppure da altri cereali. Queste costruzioni erano realizzate in mattoni crudi, fango e legno. Nell’antica regione dell’Iran, il Nashtifan, sono presenti ancora oggi circa 50 di questi mulini di cui 9 ancora funzionanti dopo il restauro.

Col passare del tempo numerosi mulini a vento sorsero un po’ in tutte le parti del Vecchio Continente, come il mulino ideato dall'ingegnere greco Erone di Alessandria, costruito nel primo secolo d.C. considerato uno dei più interessanti per l’utilizzo dell’energia eolica. Anche in Italia sorsero queste strutture: antiche turbine a vento a sei pale, conservate o restaurate, sono tuttora in uso nelle saline di Trapani, dove svolgevano la funzione sia di macina sale che di pompa idraulica, per pompare acqua di mare da una vasca all'altra.

Amici, i primi mulini a vento nati in Persia, a Nashtifan, avevano le pale che ruotavano su un asse verticale. Queste, erano numerose: andavano da sei a dodici pale, rivestite in stuoie di canne, ed erano usati per macinare grano o per estrarre acqua; mulini a vento che erano alquanto diversi da quelli europei, nati in data più recente. Ampiamente usati in Medio Oriente e in Asia centrale, successivamente si diffusero anche in Cina e in India. In Europa i pochi mulini a vento orizzontali furono costruiti durante il XVIII e il XIX secolo, come ad esempio il mulino Fowler a Battersea a Londra e il mulino Hooper a Margate nel Kent.

I primi esempi di mulini a vento europei erano mulini a palo, così denominati per il largo palo verticale su cui si basava l'intera struttura. Montando il corpo in questo modo, il mulino può ruotare così da ricevere il vento frontalmente, un requisito questo fondamentale di qualsiasi mulino a vento per operare con efficienza. Alla fine del tredicesimo secolo furono introdotte strutture in muratura, sulle quali, a differenza del mulino a palo, era possibile far ruotare solo la testa del mulino invece che l'intero corpo.

Si stima che in Europa il numero di mulini che sfruttavano il vento durante la loro massima diffusione si aggirasse attorno a 200.000, molto meno rispetto ai mulini ad acqua (500.000). I mulini a vento erano utilizzati in regioni dove la presenza d'acqua non era sufficiente, dove i corsi d'acqua gelavano in inverno e su terreni privi di pendenza, per cui la velocità dell'acqua era troppo bassa per generare la potenza necessaria. Con l'avvento della rivoluzione industriale l'importanza dei questi mulini, sia a vento che ad acqua, venne meno, come fonte di energia, anche se si continuò a costruire dei mulini a vento fino al diciannovesimo secolo.

Amici, di recente gli antichi mulini a vento sopravvissuti sono oggetto di "restauro e conservazione", per il loro interessante valore storico. Dei 10.000 mulini in uso nei Paesi Bassi nel 1850, circa 1.000 sono ancora in piedi. La maggior parte di questi sono mantenuti da volontari e qualcuno viene usato ancora per scopi commerciali. Ci si chiede: "come hanno fatto queste strutture, realizzate con materiali di poco pregio come terra cruda e mattoni e ingranaggi e pale di legno a superare i secoli ed arrivare ancora funzionanti a noi"? Certamente sono stati costruiti senza pensare a quella deleteria strategia, invece tanto in vigore oggi, che si chiama “obsolescenza programmata”!

Cari amici, purtroppo, viviamo nell’era dell’usa e getta, e la questione dell’obsolescenza programmata (tanto in vigore per gli elettrodomestici che si disattivano dopo un periodo stabilito) sta rovinando forse in maniera irreversibile il mondo, riempiendolo di spazzatura. I progetti che gli uomini hanno cercato di portare avanti nei secoli, dimostrano quanto oggi stiamo sbagliando!. I mulini di Nashtifan sono un esempio unico di come queste antiche popolazioni utilizzassero, sin dai tempi più remoti, l’energia del vento con l’utilizzo di una serie di mulini a vento che, ancora oggi, risultano parzialmente funzionanti. Se riflettessimo e pensassimo che, spesso, progredire non vuol dire disfarsi del passato…

A domani.

Mario

lunedì, novembre 27, 2023

“COME RITROVARE SÉ STESSI”. FORSE È CAPITATO ANCHE A TE DI SENTIRTI SPERDUTO, INCAPACE DI RITROVARE IL FILO DELLA TUA VITA. NON MOLLARE, PUOI RIPRENDERLA IN MANO!


Oristano 27 novembre 2023

Cari amici,

Credo che sia capitato a tutti di attraversare momenti in cui ci si ritrova a non credere più in noi stessi; ci si sente sperduti, senza punti di riferimento e abbandonati, arrivando a pensare di sentirsi finiti, incapaci di riprendere in mano la propria vita. Certo, può capitare a qualsiasi età, in determinati periodi, magari quelli di maggior stress, e sentire la grande voglia di abbandonare, di “gettare la spugna”, allo stesso modo in cui sul ring un pugile si sente perso e abbandona il combattimento.

In momenti così cruciali per la vita di ciascuno di noi, la prima cosa da fare è proprio quella di “non gettare la spugna”, di stringere i denti con forza e di avere pazienza: convincendosi che si può perdere una battaglia ma non la guerra; certo, magari ci vorrà del tempo, ma concentrarsi in maniera positiva è la via per trovare la soluzione del problema, tornando a stare bene con sé stessi. “Ritrovare sé stessi”, questo è l’imperativo, l'obiettivo da raggiungere, magari in modo diverso per ciascuno di noi, perché diverse sono le motivazioni che hanno creato il blackout.

Amici, capita spesso di sentirci come se avessimo smarrito la bussola e non sapessimo più come orientarci, ma per riprendere il controllo della nostra vita è fondamentale analizzarsi senza timore, imparare a conoscerci meglio; ciò significa accettarci per come siamo, con la nostra unicità, con tutte le imperfezioni e i difetti che ne fanno parte. Altro motivo importante è riconoscere senza attenuanti i propri errori, perché solo così possiamo arrivare a migliorarci.

Per analizzare sé stessi è necessario, da un punto di vista pratico, ritagliarsi alcuni momenti dedicati a sé stessi in solitudine; ciò consentirà di riflettere sulla persona che si è, con i propri pregi e difetti, in modo tale da poterci convivere in armonia. Cercare e trovare la felicità dentro sé è il primo passo per poter riprendere in mano la propria vita. Sul ritrovare sé stessi esistono moltissime frasi di pensatori illustri è tra queste voglio riportare, in quanto ben degne di nota, quelle pronunciate dal Dalai Lama: “La forza interiore è la protezione più potente che hai. Non aver paura di assumerti la responsabilità della tua felicità”.

Si, amici,
la pratica della meditazione consente di trovare uno spazio per connettersi con il proprio corpo e con la propria essenza, allontanandosi dalla vita frenetica e dai ritmi serrati della quotidianità. Immergersi nella meditazione serve proprio a separarsi dalle preoccupazioni, dall’ansia e dallo stress, per poter prendere consapevolezza di sé, in uno stato di calma e di pace interiore. Durante l’analisi introspettiva, bisogna dialogare correttamente con il proprio IO, in modo tale da ritrovare sé stessi.

Una volta ritrovata la propria serenità, è importante e necessario evitare di restare ancorati al passato, accogliendo il cambiamento con ottimismo e coraggio. Rimanere nella propria comfort-zone può apparire la scelta migliore, in quanto più semplice, ma non è così; alla lunga rimanere sempre allo stesso punto conduce a noia e insoddisfazione. Ciò non vale solamente in campo lavorativo, dove è importante coltivare la propria autostima per essere pronti a nuove e ambiziose sfide, ma anche nella vita sociale, aprendosi a nuove situazioni senza timore.

Cari amici, ritrovare sé stessi significa partire da un punto fermo: credere fermamente in sé stessi. Riponiamo, dunque, la fiducia in noi stessi, accettiamoci come siamo, con i nostri difetti e i nostri pregi. Tutti abbiamo dei talenti, delle passioni e dei punti di forza, ed è nostro dovere cercare di valorizzarli, non solo per vivere sereni ma per vivere felici. Trovare la felicità dentro di noi è il primo passo per vivere una vita felice, realizzandoci nel lavoro, in famiglia e nella società. PROVARE PER CREDERE!

A domani.

Mario

domenica, novembre 26, 2023

IL FUTURO DEL LAVORO: I TIMORI, I RISCHI E I POSSIBILI VANTAGGI FORNITICI DALL'UTILIZZO DELL’INTELLIGENZA ARTIFICIALE.


Oristano 26 novembre 2023

Cari amici,

La storia che ha portato l'uomo all’utilizzo dell'Intelligenza Artificiale ha radici lontane. Già negli anni Cinquanta del secolo scorso, quando i computer erano macchine da calcolo enormi, ingombranti e con poca capacità di memoria, il matematico inglese Alan Turing, parlando in un programma radiofonico della Bbc, anticipò il futuro portato da queste macchine; la sua era la visione di un futuro in cui computer intelligenti avrebbero superano “le nostre deboli forze e preso il controllo del nostro operato”. Allora pareva solo una suggestione distopica di una mente visionaria, ma così non è stato.

Dopo di lui le previsioni furono tante e di segno opposto: c’è che fece previsioni ottimistiche e altri che ne fecero, invece, di catastrofiche, come il fisico teorico Stephen Hawking, che in un’intervista del 2 dicembre 2014 affermò che, se era pur vero che l’intelligenza artificiale poteva portare grandi benefici, essa, “decollando da sola, modificandosi e progettando e costruendo autonomamente sistemi sempre più capaci, avrebbe potuto travolgere gli esseri umani, vincolati dal ritmo lento dell’evoluzione biologica”.

Nel gennaio del 2015 è ancora Hawking, con Elon Musk e più di 150 scienziati e pensatori, a firmare una lettera aperta intitolata “Priorità di ricerca per un’intelligenza artificiale solida e benefica”. Il testo sottolineò che l’Intelligenza Artificiale poteva portare grandi vantaggi all’umanità, ma il documento allegato segnalò anche l’esistenza di rischi in molti ambiti, e affermò che risolvere il problema del controllo dell’A.I. sarebbe stato un serissimo problema, addirittura cruciale!

Ebbene, amici, credo che l’Intelligenza Artificiale non possa essere ritenuta "da demonizzare", ma resa capace, con stringenti controlli da parte dell'intelligenza umana, di essere di reale, concreto supporto allo sviluppo dell’umanità. Perché ciò accada, dobbiamo però fare in modo che essa possa sempre restare sotto il vigile controllo umano, ovvero costruire un sistema, seppure complicato, di severo controllo; insomma, dovremo essere capaci di gestire una forma di “superintelligenza artificiale sicura”, capace di assistere l’uomo e non sostituirsi ad esso! Grande attenzione, dunque, agli attuali sistemi autonomi, che operano senza controllo umano, quindi capaci di ritorcersi contro l’uomo stesso.

Nel settembre del 2021 l’UNESCO pubblicò un report intitolato “La corsa contro il tempo per uno sviluppo più saggio” e il 24 novembre 2021 definì, in forma di raccomandazione, un insieme di norme etiche per L’A.I. Era il primo strumento globale di definizione degli standard su questo tema. Lo adottarono 193 Paesi ma, comunque, senza potere normativo. In seguito, nel maggio 2022, anche la Commissione Europea pubblicò una Risoluzione sull’intelligenza artificiale nell’era digitale.

Amici, di certo in tanti, in particolare i giovani, hanno grande paura del futuro. Spesso, di fronte ai cambiamenti continui, le paure e le incertezze ci assalgono. La paura è che le macchine possano sostituire l’uomo in tutto, e la domanda è: cosa faranno allora le nuove generazioni? Io penso che la speranza non deve mai mancare! L’intelligenza artificiale generativa (la forma più recente di AI), questa avanzata tecnologia che sta emergendo, appare come una soluzione capace di affrontare le aspettative del lavoro futuro dei giovani, oltre che quelle dei ‘senior’ attuali.

Entriamo dunque senza timore nell’ottica dell’automazione fornita dall’A.I. Generativa come alleato: uno dei principali timori in capo agli attuali lavoratori di mezza età è la crescente difficoltà a svolgere compiti fisici o ripetitivi. In questi casi il futuro prossimo dell’A.I. generativa può certamente assumere questo peso e queste responsabilità, liberando il lavoratore dalla fatica fisica e permettendogli di concentrarsi su compiti più stimolanti e gratificanti. In questo modo anche il lavoratore non più giovane potrà utilizzare questa tecnologia, che lo porterà a misurarsi su nuove sfide e quindi anche ad avanzare nella sua carriera.

L’Intelligenza Artificiale, opportunamente gestita e controllata, può dare una grossa mano all’espletamento del lavoro attuale e futuro; insomma, consentirà ad ogni lavorate, giovane o anziano che sia, di utilizzare al meglio le sue capacità, liberandolo del lavoro di routine poco gratificante e appagante. Dall’impiegato al manager, dal capo squadra al tecnico qualificato, l’Intelligenza Artificiale Generativa può essere non un nemico ma un alleato prezioso, capace di rendere la vita lavorativa più gratificante e sicura. L’automazione ben gestita e controllata non dovrà sostituire l’uomo, ma supportarlo e liberarlo dai compiti che lo tengono intrappolato nella routine.

Cari amici, io credo che, in particolare le nuove generazioni, con l’Intelligenza Artificiale generativa, possano guardare con fiducia verso il futuro, se noi sapremo creare le giuste protezioni; i giovani potranno così trovare nuove opportunità di inserimento lavorativo, che li porteranno, se capaci, a percorrere con successo la strada della loro realizzazione.

A domani.

Mario

 

sabato, novembre 25, 2023

SARANNO GLI INSETTI A SALVARE L'UOMO DALLA PLASTICA, QUELLA TERRIBILE IINVENZIONE CHE SI È RIVELATA UNA VERA E PROPRIA PESTE? FORSE...


Oristano 25 novembre 2023

Cari amici,

La domanda che in tanti ci poniamo è: qual è il tempo necessario alla degradazione, ovvero in quanto tempo i rifiuti tornano, degradandosi, a tornare all’origine? Nella società odierna, be nota per essere quella “dell’usa e getta” i rifiuti restano nell’ambiente con tempistiche diverse. Si va dai 2 mesi per gli scarti di frutta ai 3 mesi del cartone di latte, dai 20 anni della busta di plastica ai 450 anni del pannolino e della bottiglie di plastica. Per la plastica, dunque, tempi lunghissimi, con conseguente inquinamento del pianeta in terra e in mare.

Ormai gli studiosi pensano che la plastica si è rivelata un vero fallimento, considerato l’irresponsabile inquinamento che crea e che non accenna a trovare soluzione. Ebbene, se l’uomo ha fallito, nell’inventare un prodotto che non riesce a smaltire, una grande mano pare gli verrà dagli insetti: forse saranno loro, per esempio, le larve della “MOSCA SOLDATO NERA” (Hermetia illucens), che digeriranno la terribile plastica riducendola e trasformandola in prodotto riciclabile.

È proprio grazie ad uno studio delle Università di Milano e Napoli, che si sono sperimentate nuove strategie di bio-conversione delle plastiche attraverso i geni di batteri che risiedono nel loro intestino. La scoperta, pubblicata recentemente su Microbiome, ha stabilito che le larve di H. illucens sono efficienti agenti di bio-conversione, come ha avuto modo di spiegare la professoressa Morena Casartelli, responsabile del laboratorio di Fisiologia degli insetti e biotecnologie entomologiche del Dipartimento di Bioscienze della Statale di Milano, che negli ultimi anni ha studiato diversi aspetti della biologia e della fisiologia intestinale di queste larve.

"Questi insetti possono crescere su un'ampia varietà di rifiuti organici, scarti e sottoprodotti della filiera agroalimentare, i quali vengono così "bio-trasformati" in molecole di grande valore per diversi settori. Dalle larve e dalle pupe è possibile produrre farine per la mangimistica, estrarre proteine per la sintesi di bioplastiche e altri biomateriali utili nell'ambito biomedicale, oli per la produzione di biocarburanti e, ancora, chitina e peptidi antimicrobici", ha ribadito La professoressa Morena Casartelli.

Nello studio, le larve di Hermetia illucens sono state allevate su polietilene e polistirene e la loro capacità di degradare questi polimeri, dimostrata con spettroscopia NMR e microscopia elettronica a scansione, è il risultato di specifiche funzioni possedute dai batteri che risiedono nel loro intestino. Dall'analisi del microbioma intestinale, ossia l'insieme del patrimonio genetico della comunità microbica che risiede nel lume dell'intestino, sono stati ricostruiti circa 1.000 genomi parziali di specie batteriche sconosciute ed è stato possibile individuare diversi geni potenzialmente coinvolti nell'attività di degradazione delle plastiche, come laccasi e perossidasi.

"Questo lavoro", ha spiegato la professoressa Silvia Caccia, dello stesso gruppo di ricerca dell'Università degli Studi di Milano, "dimostra inequivocabilmente che le larve di H. illucens possono essere utilizzate come "bioincubatori" per selezionare non solo consorzi di microorganismi "plasticolitici" ma anche geni che codificano per enzimi in grado di degradare le plastiche che possono essere espressi in forma ricombinante ed evoluti per ottimizzarne la potenzialità biotecnologica. La plastica ora, amici, ha un nemico in più che ci può dare una mano per mettere un freno all’inquinamento del pianeta. E non è tutto.

Poiché nel mondo si stanno sviluppando diversi allevamenti di Mosca Soldato, in Italia possiamo citare il Biogest-Siteia, un centro di ricerca interdipartimentale dedicato al miglioramento e alla valorizzazione delle risorse biologiche agro-alimentari dell’Università di Modena e Reggio Emilia, oppure la Bef Biosystems, situata in provincia di Alessandria, si è arrivati a fare un’ulteriore scoperta.

I grandi allevamenti di mosche soldato, utilizzati per le diverse esigenze, sia di trasformazione dei residui alimentari che quello prima detto della digestione della plastica, possono essere un ottimo ingrediente per la produzione di plastica biodegradabile. La grande mole creata dalle carcasse delle mosche soldato, morte dopo aver fatto il lavoro, diventano un “sottoprodotto” degli allevamenti. Che fare dunque di questa mole di carcasse che sarebbe solo un rifiuto? Servono, invece, a produrre della plastica biodegradabile!

La plastica realizzata con le carcasse delle mosche soldato è davvero molto interessante e ha delle caratteristiche peculiari che di certo attirano l’attenzione. Ciò che rende estremamente affascinante l’utilizzo delle carcasse di mosche soldato defunte per la produzione di bioplastica è la presenza di chitina, un polimero a base di zucchero noto per rafforzare l’esoscheletro di insetti e crostacei. Non è un caso che i gusci di gamberetti, per esempio, siano stati precedentemente sfruttati per la produzione di plastica biodegradabile. Inoltre, le carcasse delle mosche soldato contengono una chitina di qualità superiore e, inoltre, eliminano completamente le preoccupazioni legate alle allergie ai frutti di mare. Da qui l’ispirazione di Karen Wooley, ricercatrice presso la Texas A&M University, che sta attualmente conducendo test per sviluppare questa innovativa plastica biodegradabile.

Cari amici, chi l’avrebbe mai detto che per la lotta alla plastica avremo ingaggiato gli insetti tra cui le mosche? Indubbiamente una scoperta molto importante, che magari in futuro potrà dare ulteriori, positivi riscontri.

A domani.

Mario