domenica, gennaio 22, 2012

LIBERALIZZAZIONI. PER RICREARE L’ECONOMIA DI MERCATO OCCORRE RIMUOVERE IL TABU’ DELLE CORPORAZIONI.

Oristano 22 Gennaio 2012

Cari amici,

Ormai non si parla d'altro che di "LIBERALIZZAZIONI" !

Secondo l’Ocse siamo agli ultimi posti nel mondo nella classifica della libertà di mercato. Siamo un Paese ammalato dove ognuno lotta strenuamente per difendere i propri interessi materiali, anche a costo di far fallire tutti.

Oramai si lotta senza quartiere per difendere i privilegi: gli ordini professionali dei farmacisti, dei benzinai e dei taxi sono sulle barricate e non sentono ragioni, costi quello che costi. Già, perché nessun economista serio, oggi, di nessuna facoltà economica del mondo, si sentirebbe di affermare che vendere le medicine soltanto nelle farmacie, costringere gli automobilisti a comprare il carburante soltanto nelle stazioni di servizio, dover andare da un notaio per acquistare casa pagando la tariffa stabilita inderogabilmente dal professionista sia un vantaggio per il sistema economico. Insomma, chi studia il funzionamento dei mercati senza interessi personali da difendere non può che essere a favore dell’abolizione degli ordini professionali – un residuato medievale che, nelle forme in cui li conosciamo, esistono solamente in Italia.

Eppure, nonostante questa lampante evidenza, i difensori dei privilegi delle corporazioni non trovano di meglio che fondare le loro astruse difese su argomentazioni ricattatorie che nulla hanno a che fare con l’economia di mercato. Secondo l’Ocse, l’Organizzazione per la cooperazione economica fra i Paesi industrializzati, l’Italia è nelle posizioni di coda nella classifica dei sistemi economici più protetti e chiusi alla libera concorrenza. Sui trenta Paesi presi in considerazione, il nostro occupa la 27° e 28° posizione nel settore dei servizi professionali e postali, 23° nei trasporti terrestri, 22° in quelli aerei e 18° nel commercio al minuto. Per capire meglio: è stato calcolato che le mancate liberalizzazioni e l’abolizione degli ordini professionali ci costano circa mezzo punto di P.I.L. ogni anno (cento miliardi), ma la stima è sicuramente per difetto.

Il sistema economico del mondo in cui viviamo, quello che oggi si muove in un contesto globalizzato, ha radici lontane. Questo sistema, che ha preso vita nel momento approssimativo in cui l'uomo è diventato allevatore-agricoltore, dopo aver abbandonato la fase del cacciatore-raccoglitore, ha consentito di mettere in piedi le primitive forme di baratto. Su questa forma iniziale di commercio, che consentiva un netto miglioramento delle condizioni di benessere fisico e materiale, si sono sviluppate forme sempre più complesse, non sempre eque, forse per la scarsa propensione all’equità e per il forte egoismo insito in ogni essere umano. Il mercato, nato per essere libero, è stato, invece, sempre condizionato, legato al carro del più forte.

Il “Mercato veramente libero”, forse, è pura utopia. Esso, secondo la teoria della “mano invisibile” creata da Adam Smith, si regola da solo, attraverso quell’automatico meccanismo che è la libera contrattazione. Solo cosi il prezzo che si forma è quello reale, il più equo, il più equilibrato, senza condizionamenti ed intromissioni più o meno forti. Questa fondamentale teoria, successivamente, ripresa da Léon Walras e Vilfredo Pareto, costituisce una pietra miliare che codifica come i meccanismi che regolano l'economia di mercato sono influenzati dal comportamento dei singoli, improntati alla ricerca della massima soddisfazione individuale, e che hanno come risultante finale il benessere della società.

Vero ‘mercato libero’ solo in teoria, stante la grande furbizia della specie umana, il cui egoismo personale portava e porta alla turbativa, all’intervento, teso a modificare gli automatici equilibri di regolamentazione. Riunendosi in gruppi, gli appartenenti alla stessa professione, già nel Medioevo avevano costituito le “Corporazioni”, la cui forza impediva la libertà di esercizio della professione, creando un mercato distorto, chiuso alla libertà ed all’innovazione.

Queste Corporazioni successivamente scomparvero, solo di nome però, non certo di fatto. Cosa sono oggi gli Ordini Professionali se non delle vere e proprie Corporazioni?

La nostra economia, inoltre, pur essendo di tipo liberista, come quella della gran parte dei paesi occidentali, è strettamente vincolata e regolamentata da parte dello Stato che, attraverso una sua forte “mano regolatrice”, interviene sul mercato fornendo controllo e sostegno, incentivando o disincentivando le iniziative di tipo privato. Stato che se da un lato predispone e realizza le infrastrutture che agevolano l’insediamento di nuove iniziative, dall’altro, però, supporta (e monopolizza, a seconda dei casi) quei settori di “interesse nazionale” (energia, trasporti, sanità, difesa, etc.)che non possono essere lasciati alla libertà del mercato. In questo modo, a ragione o a torto, sono stati costituiti presidi e strutture, monopoli ed oligopoli, percorsi obbligati e divieti che, nel tempo, hanno cristallizzato lo “status quo”, impedendo – di fatto – la libera concorrenza e l’iniziativa privata. Quale il risultato di tutto ciò?

Queste barriere, statali o corporative, costruite teoricamente per dare maggiori garanzie ed equità, sono successivamente diventate un forte ostacolo alla crescita, un imbuto, una forte barriera all’ingresso di nuovi concorrenti, capaci di creare maggiore occupazione e sviluppo. Unica ed ineludibile soluzione, quindi, quella di togliere o abbassare le “barriere” esistenti, in una parola “LIBERALIZZARE”. Come?

Preso atto che è necessario “liberalizzare” per rilanciare la crescita, come e cosa dovremo fare per sciogliere quei vincoli che impediscono la crescita?

Come sostiene l’Istituto Bruno Leoni, che segue con grande attenzione questa fase economica sia in Italia che nel mondo, “un mercato è libero quando vi è piena libertà di entrata: dunque, liberalizzare significa “rimuovere le barriere all'ingresso”. L’Indice delle liberalizzazioni , che questo Istituto sotto forma di “rapporto annuale” pubblica fin dal 2007, si propone appunto di identificare, attraverso il confronto tra l’Italia e i paesi europei più economicamente liberi, quali siano e quanto incidano, nei diversi settori dell’economia, le barriere all'ingresso. Ciascuna di queste barriere priva potenziali concorrenti dell’opportunità di offrire i loro prodotti, e impedisce ai consumatori di accedere a un’offerta più plurale e prezzi più convenienti. In questo rapporto l’Istituto B. Leoni, attraverso una “griglia” di indicatori , confronta sedici settori dell’economia italiana con gli stessi settori nei paesi più liberalizzati d’Europa.

I settori sono: mercato elettrico, mercato del gas naturale, servizi idrici, telecomunicazioni, trasporto ferroviario, trasporto aereo, trasporto pubblico locale, infrastrutture autostradali, servizi postali, televisione, servizi finanziari, ordini professionali, mercato del lavoro, fisco, pubblica amministrazione e mercato dell’arte.

Il metodo seguito per l’elaborazione dell’Indice è quello del benchmarking, ossia del confronto con le eccellenze internazionali attraverso indicatori qualitativi e quantitativi: il risulto, espresso in “percentuale di liberalizzazione” rispetto ai modelli più virtuosi, aiuta a capire intuitivamente qual è lo di avanzamento del processo di liberalizzazioni nel singolo settore rispetto al paese Benchmark.

Nonostante la retorica sulla crescita, la risultante è che l’Italia resta un Paese a bassa libertà economica. Complessivamente nel 2011, sostiene l’Istituto, l’economia italiana appare liberalizzata al 49%: un valore ancora molto basso, che pure nasconde settori molto avanzati e altri drammaticamente arretrati. E’ indispensabile rimuovere tutta una serie di vincoli frenanti, sei si vuole restituire una prospettiva al Paese e contribuire, attraverso una più decisa crescita economica, a far uscire dalla crisi questa Italia “immobile”, ingessata, che sembra essere pietrificata, non solo a causa della congiuntura internazionale, ma anche per colpa delle sue patologie strutturali.

Tutti i giorni sui giornali e sui numerosi mezzi di informazione è evidenziata l’altalena delle notizie che annunciano, modificano, smentiscono, correggono le varie ipotesi di liberalizzazione. Il “Governo Tecnico”, forse l’unico capace di portare avanti certe proposte senza restare imbrigliato nelle secche dei “poteri forti”, prova a rimuovere, recidere lacci e lacciuoli, ma al momento con scarsi risultati.

Far ripartire al più presto la crescita economica, questo è lo scopo principale, come sostiene il Presidente del Consiglio, che aggiunge che questo è il solo modo anche per trovare uno sbocco ai tanti e valenti giovani privi di lavoro. Liberalizzare, certo, ma con grande attenzione all’equità sociale. Andare avanti sulla strada delle liberalizzazioni è necessario, direi assolutamente prioritario, cercando però di realizzare "un circolo virtuoso" superando "egoismi di parte" e "resistenze degli interessi consolidati", nell'interesse del Paese.

Anche l'Antitrust, entrato a pieno titolo nella disputa, ribadisce in una segnalazione a Governo e Parlamento, quali e quanti i settori da aprire per "fare ripartire al più presto la crescita", ma avverte che questo processo deve essere accompagnato da "interventi che garantiscano l'equità sociale e che favoriscano, anche attraverso le opportune riforme del diritto del lavoro, nuove opportunità di inserimento per i soggetti che ne uscissero particolarmente penalizzati".

Il Governo ha varato i primi provvedimenti. A mio avviso sono viziati, come abbiamo visto aprendo questa riflessione, proprio dalla forza e dal potere proprio di quelle “incrostazioni corporative” dure a morire. Non possiamo calarci le braghe. Per raggiungere il risultato ci vuole forza, coerenza e decisione, anche quando non è facile. Il Governo Monti non deve lasciarsi intimorire da nessuno: non essendo un governo eletto, può e deve avere la forza di fare quello che ritiene necessario, anche perché è stato insediato proprio per questo: rimuovere gli ostacoli allo sviluppo ed alla crescita del Paese.

Una sola cosa mi sento di dire a Monti: “ Vai per la strada che hai tracciato, senza timore! Non hai elettori che possono condizionarti. Anzi hai la ‘libertà di fare’ con un grande vantaggio rispetto ai tuoi predecessori: in qualsiasi momento puoi dire in Parlamento che se la Tua ricetta non è gradita, si cerchino un altro cuoco!”.

Spero, con tutto il cuore, che una giusta soluzione venga al più presto trovata. Come si dice scherzando ironicamente: “ Io speriamo che me la cavo!”.

Grazie dell’attenzione.

Mario

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