Oristano 28 giugno 2022
Cari amici,
La natura ha delle
capacità straordinarie: seppure violentata, violata, apparentemente messa al
tappeto, ci riserva sempre positive sorprese, capaci di darci una mano per
trovare soluzioni ai seri problemi che noi, specie umana, continuiamo a creare nel pianeta che ci ospita.
Si, l’uomo distruttore ha da tempo intrapreso la strada sbagliata, creando alla
natura situazioni difficili da tamponare, tanto che i danni fatti potrebbero diventare
addirittura irreversibili. Una di queste drammatiche situazioni è stata certamente l'invenzione della “Plastica”,
quel terribile prodotto creato dall’uomo, a ragione definito la “Peste del
Terzo Millennio”.
Tanti i tentativi fatti
per cercare di tamponare l’inquinamento derivante dalla enorme quantità di rifiuti
plastici che ogni giorno invadono il pianeta, il cui corretto smaltimento
appare ancora di difficile realizzazione. Ebbene, uno di questi tentativi,
fatti per cercare di smaltire la plastica, è quello portato avanti dall’Università
del Queensland, che ha scoperto che i bruchi di Kaimano (è il coleottero
Zophobas morio appartenente alla grande famiglia dei tenebrionidi),
possono mangiare il polistirene, grazie a un enzima batterico presente nel loro
intestino. Ma vediamo meglio come si è arrivati a questa scoperta, partendo dalla
conoscenza di questo coleottero.
Il Kaimano è un coleottero
che, prima di diventare adulto, attraversa un periodo larvale, nel quale si
presenta simile alle tarme della farina. Questo bruco, pensate, è considerato
un ottimo alimento, in quanto ha grandi valori nutrizionali per il quantitativo
di proteine e grassi posseduto; per questo motivo risulta molto apprezzato come
cibo vivo per rettili di medie/grandi dimensioni quali gechi, pogone e lucertole, come cibo vivo per anfibi, invertebrati tra cui
le tarantole, oltre ad alcuni pesci, tra cui la trota di lago, e gli uccelli insettivori. Dai pescatori è ritenuto un’ottima esca viva.
Tornando alla ricerca prima
accennata, effettuata dall’Australian Centre for Ecogenomics, School of
Chemistry and Molecular Biosciences dell’Università del Queensland, pubblicata
da Jiarui Sun con il titolo “Insights into plastic biodegradation:
community composition and functional capabilities of the superworm (Zophobas
morio) microbiome in styrofoam feeding trials”, si è scoperto che i
bruchi di Kaimano possono mangiare il polistirene, grazie a un enzima batterico
presente nel loro intestino. I ricercatori Apoorva Prabhu, Samuel Aroney e
Christian Rinke, responsabili del team, per 3 settimane hanno nutrito i
superworm Kaimano con diete diverse: somministrando ad alcuni bruchi schiuma di
polistirene, ad altri crusca, mentre altri sono rimasti a digiuno.
Il ricercatore Christian
Rinke ha così spiegato: «Abbiamo scoperto che i superworm alimentati
con una dieta a base di solo polistirene non solo sono sopravvissuti, ma hanno
anche avuto un aumento marginale di peso. Questo ci ha suggerito che i bruchi
possono ricavare energia dal polistirene, molto probabilmente con l’aiuto dei
loro microbi intestinali». Il gruppo di ricerca
australiano prima menzionato ha utilizzato la metagenomica per trovare
diversi enzimi codificati con la capacità di degradare il polistirene e lo
stirene, e ha sottolineato che «L’obiettivo a lungo termine è progettare enzimi
per degradare i rifiuti di plastica negli impianti di riciclaggio attraverso la
triturazione meccanica, seguita dalla biodegradazione enzimatica». Rinke ha spiegato
ancora: «I superworm sono come mini-impianti di riciclaggio, che distruggono
il polistirene con la bocca e poi ci alimentano i batteri nel loro intestino. I
prodotti di degradazione di questa reazione possono quindi essere utilizzati da
altri microbi per creare composti di alto valore come le bioplastiche».
Amici, all’Università del
Queensland sperano che questo riciclo biologico effettuato dal bruco Kaimano
incentivi il riciclaggio dei rifiuti di plastica e riduca le discariche. Jiarui Sun
ha aggiunto: «Puntiamo a far crescere i batteri intestinali in laboratorio e
testare ulteriormente la loro capacità di degradare il polistirene. Possiamo
quindi esaminare come possiamo aumentare questo processo a un livello richiesto
per un intero impianto di riciclaggio». Rinke ha poi concluso: «Ci sono molte
opportunità per la biodegradazione dei rifiuti di plastica. Il nostro team è
molto entusiasta di spingere la scienza a realizzarla».
Cari amici, speriamo di
aver imboccato, finalmente, la strada giusta per smaltire questa peste chiamata
plastica!
A domani.
Mario
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