giovedì, dicembre 23, 2021

I GIOVANI DI OGGI QUANDO ANDRANNO IN PENSIONE? SICURAMENTE IN ETÀ MOLTO PIÙ AVANZATA DI QUELLI CHE LASCIANO IL LAVORO OGGI. LO CONFERMA L’OCSE CHE PREVEDE L’USCITA A PARTIRE DAI 71 ANNI.


Oristano 23 dicembre 2021

Cari amici,

La cruda analisi fatta dall’OCSE non da molta speranza ai giovani, circa il loro futuro collocamento in pensione. Le analisi e le prospezioni fatte, prevedono  l’uscita dal lavoro dopo i 71 anni, praticamente circa 9 anni oltre quella che oggi è ritenuta l’età pensionabile, grazie alle diverse opzioni disponibili che permettono la pensione anticipata intorno ai 62 anni. Facendo un confronto con le situazioni pensionistiche degli altri Paesi europei, l’OCSE (l'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico in Europa), colloca l’Italia fra i Paesi con l’età pensionistica più alta, allo stesso livello di merito con Estonia e Paesi Bassi, ma dietro alla Danimarca (74 anni) contro una media Ocse di 66 anni.

Il problema di fondo, è attribuito alla numerosa concessione di benefici relativamente alti a pensionati relativamente giovani, cosa che attribuisce al nostro Paese la seconda più alta spesa pensionistica pubblica tra i Paesi OCSE: al 15,4% del PIL nazionale nel 2019, alle spalle solo della Grecia, e di un altrettanto pesante carico in termini di contributi previdenziali. A mettere il dito nella piaga su questo preoccupante fenomeno, è  il rapporto “Pensions at a Glance”, analisi dell’OCSE che passa in rassegna i sistemi pensionistici nei Paesi dell’area tra settembre 2019 e settembre 2021. A differenza delle precedenti edizioni, questa fornisce un’analisi approfondita dei meccanismi di adeguamento automatico nei sistemi pensionistici.

Altro spinosissimo problema è il  rapido invecchiamento della popolazione del nostro Paese, che porterà ad avere “74 persone con età uguale o superiore a 65 anni ogni 100 persone nel 2050”! Anche andando in pensione prima, a 68 anni, sentenzia l’OCSE, il futuro tasso di sostituzione netto scende sostanzialmente al 72%, che rimane comunque alto nel confronto internazionale. Molte opzioni per andare in pensione al di sotto dell’età pensionabile prevista dalla legge hanno come risultato una bassa età media di uscita dal mercato del lavoro, in media 61,8 anni contro i 63,1 anni della media OCSE.

Se poi si passa al quantum percepito, una volta andati in pensione, fatto l’esempio di una lavoratrice italiana che inizia la sua carriera a 27 anni e ha una pausa di disoccupazione di 10 anni durante la sua vita lavorativa riceverà una pensione inferiore del 27% rispetto a una lavoratrice a tempo pieno, contro la media del 22% nell’area OCSE. Inoltre, poiché le aliquote contributive dei lavoratori autonomi sono inferiori di un terzo rispetto a quelle dei lavoratori dipendenti, i lavoratori autonomi possono aspettarsi pensioni inferiori di circa il 30% rispetto a quelle dei lavoratori dipendenti con lo stesso reddito imponibile per tutta la carriera, contro il 25% della media OCSE.

Il sistema pensionistico in Italia, con la "Riforma Dini" del 1995, è stato strettamente legato con la speranza di vita della popolazione. Questo fu certamente un passo decisivo per affrontare le sfide poste dal rapido invecchiamento della popolazione. Tale legame, come spiega l’OCSE, non è necessario per migliorare le finanze delle pensioni, ma mira ad evitare che le persone vadano in pensione troppo presto con pensioni troppo basse, oltre a promuovere l’occupazione in età più avanzata. Le previsioni, però, circa i lavoratori giovani che si accingono ad entrare nel mondo del lavoro, non sono rosee.

L’Italia risulterà la nazione ad avere tra le più alte età di pensionamento future (71 anni), contro una media Ocse di 66 anni per la generazione che entra ora nel mercato del lavoro. In Italia, come in Danimarca ed Estonia, tutti i miglioramenti nell’aspettativa di vita sono automaticamente trasferiti nell’età pensionabile. Tra i sei Paesi OCSE con questo schema solo la Svezia ha in cima un meccanismo automatico che assicura un bilancio pensionistico equilibrato nel tempo.

Negli ultimi due anni, le opzioni di pensionamento anticipato sono state estese in Italia, fornendo una “scappatoia” al legame tra età pensionabile e aspettativa di vita. Tra il 2019 e il 2021, Quota 100 ha permesso di andare in pensione a 62 anni con 38 anni di contributi, in anticipo di ben 5 anni rispetto l’età pensionabile prevista dalla legge. Nel progetto di legge di bilancio per il 2022, questa opzione di pensionamento anticipato è stata prorogata per il 2022, pur inasprendo la condizione di età a 64 anni (Quota 102). Tutto questo incide pesantemente sulle finanze pubbliche. Difatti, secondo il report, la spesa per le pensioni in Italia, come accennato, è tra le più alte. Ma c’è da dire che i numeri comprendono tanto i trattamenti assistenziali quanto quelli previdenziali, condizionando anche le stime future, che vedono il costo delle pensioni in Italia raggiungere il 17,9% del Pil nel 2035 contro una media Ocse del 10%.

Cari amici, la realtà dei numeri purtroppo non consente voli pindarici. A mio avviso il problema ha radici lontane. Il primo a mancare è il lavoro, per cui i giovani, seppure capaci e preparati, restano in attesa, invecchiando a casa dei genitori. Le aziende, oberate da tasse e contributi di livello stratosferico, assumono ben poco e, alla fine è come il cane che si morde la coda. La riforma delle pensioni non può prescindere da una seria riforma fiscale, da una efficace lotta all’evasione e da incentivi alle aziende che assumono, non continuando a “regalare i soldi” (col reddito di cittadinanza) a chi può ma non vuole lavorare!

A domani.

Mario

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