Oristano 24 luglio 2023
Cari amici,
Ancora oggi è in uso il
detto “PASSARE SOTTO LE FORCHE CAUDINE”, con il quale si intende il subire
una grave umiliazione o una prova alquanto mortificante. In realtà, tutti i
modi di dire e i proverbi derivano dall’avvenimento di fatti reali, magari
inusuali ed eclatanti, tali da colpire la fantasia per la loro eccezionalità. Come
nel caso del detto prima riportato, questo è sopravvissuto nelle generazioni future
per la sua particolarità, ed è riferito ad un fatto (un tristissimo episodio)
avvenuto nel 321 a.C., durante la Seconda guerra sannitica, combattuta tra i romani
e i sanniti. Ecco brevemente la storia.
Alla fine della prima
guerra sannitica, nel 341 a.C., i Sanniti avevano ottenuto la pace dai romani e
si erano impegnati a rimanere neutrali nelle incessanti guerre e battaglie che
opponevano la bellicosa Repubblica romana agli altrettanto bellicosi popoli
vicini. Nel 327 a.C. i Sanniti, però, ruppero il trattato appoggiando i
Palepolitani; dopo una serie di sfortunate battaglie, nel 322 a.C. essi furono
sconfitti da Roma e dovettero accettare condizioni umilianti: la consegna di
Brutulo Papio come istigatore dell'insurrezione, di tutte le sue ricchezze (di
Brutulo, suicidatosi, fu poi consegnata la salma) e la restituzione dei
prigionieri. I Sanniti, comunque, speravano di poter riottenere lo status di alleati,
ma Roma, non fidandosi, non concesse la nuova alleanza.
Nel 321 a.C. a Roma
furono eletti consoli Tiberio Veturio Calvino e Spurio Postumio Albino Caudino,
mentre i Sanniti fecero loro comandante Gaio Ponzio. Mentre i consoli romani si
stavano spostando con l’esercito da Capua a Benevento, incapparono in alcuni
pastori. Questi riuscirono a convincere i consoli che i Sanniti stavano
assediando la città amica di Luceria (la Lucera di oggi), e l’esercito mosse
subito in quella direzione per poter portare aiuto agli alleati. Quello che i
due consoli non immaginavano, però, era che, in realtà, i pastori erano spie al
soldo di Ponzio, e che la storiella su Luceria era una colossale bufala.
L’esercito romano, composto
da circa 20mila soldati, senza nulla sospettare, si mosse verso Luceria in
tutta fretta, decidendo, per accorciare la strada, di passare per una
strettissima gola, che separava una seconda radura situata presso Caudium;
questa decisione li fece cadere nella trappola ideata da Ponzio. Ingabbiati
nella gola i romani si resero subito conto di essere caduti in trappola: il
canyon, subito dopo il loro passaggio, fu ostruito dagli uomini di Ponzio in
entrambe le direzioni, tagliando all’esercito romani ogni via di fuga. In
questo modo i romani fecero la fine del topo e i Sanniti dalle alture, gongolanti,
li derisero alla grande.
L’esercito romano
inizialmente cercò di organizzare il campo per prepararsi a combattere, ma in
realtà si resero subito conto che non avevano nessuna possibilità di salvezza.
Nel campo sannita anche Ponzio non è tranquillo: il piano è riuscito forse al
di là delle previsioni, ma era preoccupato circa la sorte da riservare ai
romani e le possibili conseguenze di una eventuale carneficina.
Mentre pensieroso non sa
bene cosa fare dei nemici, venne interpellato il padre Erennio, che, seppure si
fosse ritirato dalle competizioni, era sempre ritenuto il più saggio dei
Sanniti. La sua risposta sembrò echeggiare il detto “fa bel tempo se non
piove”, da interpretare, ma in realtà molto sottile. In breve, Erennio diceva:
o li annientate o li lasciate andare. Nel primo caso la vittoria sarebbe
schiacciante, ma si tirerebbe dietro tanta altra violenza, nel secondo i
Sanniti avrebbero guadagnato la gratitudine di Roma e un buon margine nelle
trattative.
Ponzio, nonostante fosse un ottimo
stratega militare, essendo giovane era meno tollerante e saggio del padre, e
così decide di prendere una terza via: quella dell’umiliazione dei nemici. Quando
i romani proposero la resa, Ponzio impose loro l’umiliante “subiugatio”,
ovvero il passaggio sotto il giogo, costituito da due lance infisse a terra e
sormontate da una terza orizzontale, sotto cui i militari, denudati e senza armi,
devavano passare chinando il capo.
L’umiliazione per i
romani fu qualcosa di terribile, senza precedenti, una punizione mai subita prima; tanto più che i soldati erano stati costretti a subire – secondo Tito Livio – anche pesanti violenze fisiche. Ecco
il racconto del grande storico Tito Livio (Storie, IX, 5): «E venne l’ora fatale
dell’ignominia; (...) prima i consoli, quasi nudi, furono fatti passare sotto
il giogo; poi gli altri in ordine e grado furono sottoposti alla stessa
ignominia; infine, ad una ad una tutte le legioni».
Per i romani il concetto
di onore era allora più sacro di quello di oggi; a Roma ci furono addirittura
spontanee manifestazioni di lutto: vennero chiuse le botteghe e sospese le
attività del Foro, i senatori tolsero il laticlavio (la tunica orlata di una
larga striscia di porpora, portata dai senatori e poi anche dai membri delle
famiglie senatorie) e gli anelli d'oro. Ci furono proposte di non accogliere
gli sconfitti in città e soldati, ufficiali e consoli si chiusero in casa, mettendo
in crisi il Senato che dovette nominare un dittatore per l'esercizio delle
attività politiche.
Il fiero popolo romano,
in realtà, non era riuscito a digerire l’ignominiosa sconfitta, rinnegando il
comportamento della magistratura, tanto che si dovettero eleggere due
interreges: Quinto Fabio Massimo e poi Marco Valerio Corvo, che proclamò
consoli Quinto Publilio Filone e Lucio Papirio Cursore, allora i migliori
comandanti militari disponibili. Ovviamente, tutto ciò non fece altro che portare
a nuove guerre e nuovo sangue continuò a scorrere a fiumi. Questa è la storia, che dovrebbe sempre insegnarci qualcosa!
Cari amici, ancora oggi, dopo
oltre duemila anni, “Passare sotto le forche caudine” evoca l’immagine
stessa della più cocente umiliazione, che la persona o il popolo a cui appartiene,
può essere costretto a subire!
A domani,
Mario
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