Oristano 18 luglio 2023
Cari amici,
le ultime scoperte degli
archeologi hanno dato risultati come minimo eccezionali: il ritrovamento di
strumenti atti alla macinazione di oltre 40mila anni fa! Macinatoi che dimostrano
inequivocabilmente che l’uomo primitivo, quando ancora non era diventato
coltivatore ma era solo raccoglitore, preparava dei pasti macinando cereali
spontanei e radici. Il ritrovamento di queste macine rudimentali rimette in
discussione teorie consolidate, che rivoluzionano le precedenti supposizioni
sull’evoluzione dei nostri antenati. Finora, infatti, si era pensato che
l’utilizzo delle farine fosse avvenuto con la nascita dell'agricoltura, quando
l’uomo, evolvendosi, era diventato coltivatore.
Ora, invece, dobbiamo
ri-datare l’invenzione della “macinatura” dei cereali, nata non con l’uomo
coltivatore ma con l'uomo raccoglitore. Egli sapeva dunque già trasformare i
cereali che crescevano spontanei e altre piante selvatiche in una farina adatta
alla sua alimentazione. Lo evidenzia, appunto, una nuova scoperta archeologica
frutto di una ricerca internazionale coordinata dall'Istituto italiano di
preistoria e protostoria che ha coinvolto i ricercatori delle Università di
Genova, Firenze, Siena, Bologna e Montreal (Canada).
Lo studio di alcuni “macinelli”
datati intorno a 43-39 mila anni fa, pubblicato su Quaternary Science
Reviews, riporta indietro nel tempo la macinazione a scopo alimentare,
collocandola al periodo di transizione fra Neanderthal e Homo sapiens. I
macinelli provengono da due siti paleolitici in Italia posti a circa mille
chilometri di distanza lungo il versante tirrenico della penisola: Riparo
Bombrini, nell'area archeologica dei Balzi Rossi (Imperia), e Grotta di
Castelcivita, ai piedi del Massiccio degli Alburni (Salerno).
Sulla superficie dei
macinelli sono stati trovati dei granuli di amido con morfologia diversificata
a testimoniare l'uso di piante differenti, tra le quali cereali selvatici. La
presenza di pratiche simili di macinazione in contesti così diversi e lontani
sottolinea come alcune conoscenze tecnologiche e certe abitudini alimentari
fossero diffuse in entrambe le popolazioni, forse in seguito a contatti o forse
come retaggio già presente all'interno delle due differenti tradizioni
culturali.
Il territorio italiano si
rivela, ancora una volta, un punto chiave per lo studio dell’evoluzione
dell’umanità. Uno dei siti paleolitici oggetto degli scavi (Riparo Bombrini) è
diretto da Fabio Negrino dell’Università di Genova, in collaborazione
con l’Università di Montreal. I macinelli provenienti dai due siti paleolitici prima
menzionati, posti a circa 1000 km di distanza l’uno dall’altro, hanno permesso
di indagare, in modo dettagliato, una fase decisiva della nostra storia
biologica e culturale, nella quale, dopo un periodo di convivenza, si è deciso
l’ultimo destino delle popolazioni Neandertaliane e il successo evolutivo della
nostra specie (Homo sapiens).
Amici, Il ritrovamento di
queste antichissime macine ha perciò "ridisegnato" l'evoluzione
dell'alimentazione umana, che ha sempre avuto un'enorme influenza sull'evoluzione
delle capacità e della vita sociale dell'uomo. Inizialmente l'uomo si nutriva
della carne delle carogne, raccoglieva tuberi, radici, bacche, frutta, uova e
catturava soltanto piccoli animali, come tartarughe o molluschi. Poi, circa un
milione di anni fa, imparò a costruirsi armi più efficaci e poté cacciare
animali più grandi, diventando più robusto e forte. Di certo, come scrive
l'antropologo ricercatore Richard Wrangham, «Se vogliamo capire le
caratteristiche anatomiche, fisiologiche e comportamentali di una qualsiasi
specie animale, uomo compreso, dobbiamo guardare alla sua dieta».
Imparare a macinare
piante selvatiche e ricavarne farine significò, ad esempio, avere un prodotto
ricco di carboidrati complessi, nutriente e facile da trasportare; una svolta
per l'uomo preistorico, che poteva così affrancarsi per lunghi periodi dalla
necessità della caccia, sopravvivendo meglio anche a mutamenti climatici e
ambientali sfavorevoli. Come sostiene Anna Revedin, ricercatrice
all'IIPP (Istituto italiano di preistoria e protostoria), «La possibilità di
fare scorte di cibo maggiori e conservare prodotti raffinati come le farine,
unita alla maggiore sedentarietà, ha di certo contribuito all'incremento
demografico».
Cari amici, il
ritrovamento di queste antichissime macine stravolge le nostre credenze,
rivalutando le capacità dell’uomo primitivo che, seppure ancora raccoglitore, aveva
trovato soluzione per migliorare la sua dieta. Le analisi fatte sulle macine
ritrovate hanno ritenuto che l’uomo preistorico macinasse, dopo averle seccate,
le radici di una pianta di palude, la "Tifa"; la farina ottenuta
veniva usata per preparare l'impasto di una "galletta" preistorica o
una zuppa molto nutriente, ricca di carboidrati complessi. Con grande ironia la
ricercatrice Anna Revedin ha detto: «Dalla dieta dei nostri antenati
possiamo prendere spunti anche noi, per non dimenticare le nostre origini e
ritrovare un rapporto più equilibrato con il nostro corpo e con l'ambiente». Parole
sante!
A domani.
Mario
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