Oristano 7 novembre 2021
Cari amici,
L’argomento che voglio
affrontare con Voi oggi è quello della “Comunicazione”. Il verbo “COMUNICARE”
ha un preciso significato: quello di far conoscere, far sapere, qualcosa ad un
altro. Tutti in realtà comunicano: anche chi non proferisce parola, rimanendo
“muto come un pesce”, lo fa. il primo assioma della comunicazione, del resto,
dice che “è impossibile non comunicare”, qualunque sia il metodo usato: la
parola, il gesto, il silenzio.
La prima cosa di cui
prendere atto è che ci sono dei falsi miti da rimuovere, delle false credenze, che
ancora imperano nella nostra società: il primo è il convincimento che comunicare
sia un gesto unilaterale! Si, molti sono convinti che comunicare sia l’espressione
del proprio “io”, che si estrinseca attraverso messaggi sensoriali di vario tipo, che partono tutti da un’unica fonte verso una destinazione, ma sempre
senza il coinvolgimento del ricevente, ritenuto parte passiva. Per fortuna oggi
questa falsa credenza è stata mitigata dai social: se prima per un’azienda
comunicare era un gesto in effetti unilaterale e mono-direzionale, oggi non
solo è bi-direzionale (il destinatario ha modo di rispondergli in tempo reale),
ma anche multi-direzionale (il destinatario ha modo di interagire e
confrontarsi con altri destinatari).
Altro problema ugualmente
importante riguarda la cultura comunicativa, che varia, anche di molto, a
seconda dei popoli che la praticano. La comunicazione degli italiani, per
esempio, è alquanto particolare e resta un curioso mistero, seppure affascinante,
per molti stranieri. Per esempio, se siamo in Germania le code al supermercato
si svolgono in religioso silenzio, mentre nel nostro Paese quel silenzio sarebbe
impossibile! Non riusciremo mai ad immaginare una fila silenziosa, che non
scambia neanche una parola con chi gli sta davanti o dietro, nella lunga fila. Due
comportamenti opposti, che fanno venire il dubbio su cosa possa aver creato nel
tempo questa grande differenza di abitudini, nei modi di comunicare.
Gli studi effettuati
hanno rilevato che la comunicazione nei Paesi nordici risulta ridotta ai minimi
termini, ovvero all’essenziale; essa va dritta al punto e senza fronzoli,
soprattutto nel contesto professionale e lavorativo. Una cultura così
essenzialmente riduttiva, in realtà a noi italiani appare destabilizzante,
allevati come siamo in una cultura in cui la comunicazione risulta espansiva,
ed è considerata appagante una vera fetta di vita; per l’italiano fare quattro
chiacchiere all’interno della comunicazione ufficiale non ha alcun fine in sé, ma
è qualcosa di ugualmente importante, che migliora la relazione interpersonale,
tra emittente e ricevente.
L’antropologo
statunitense Edward Hall nel suo libro “Beyond Culture”, evidenzia la
comparazione tra culture “high context” e “low context”, dando così
la chiave di decodifica di quei comportamenti che riescono a causare
perplessità, frustrazione, a volte anche rabbia. Secondo Hall, le culture ad
“alto contesto” sono quelle in cui le cose vengono raramente chiamate con il
loro nome, si presume che l’altro sappia, per cui i dettagli sono considerati
negativi e dispersivi; la comunicazione avviene tra le righe, le allusioni, le
espressioni facciali, i gesti corporei e molti altri elementi contestuali
forniscono molte più informazioni delle parole stesse. Nelle culture a “basso
contesto”, invece, non ci si aspetta che la maggior parte delle informazioni
sia già conosciuta o interpretabile attraverso il contesto; per cui tutto è
chiamato per nome, la comunicazione è diretta, le informazioni sono precise e
dettagliate in ogni momento, senza aggiungere nulla all’essenziale.
Le Culture con un forte
riferimento contestuale sono presenti nei Paesi dell’Europa meridionale
(Italia, Spagna, Francia), in molti Paesi asiatici (Cina, Giappone), nonché in
America Latina. Culture con basso riferimento contestuale sono invece presenti
negli Stati Uniti, il Canada, la Germania, i Paesi scandinavi, i Paesi del
Benelux. Naturalmente non si tratta di due culture contrapposte, ma piuttosto operanti
su una linea continua, che va da un estremo “high context” a un estremo “low
context”, sulla quale ogni cultura si posiziona. L’Italia sarà allora più “high
context” della Germania, ma meno del Giappone, per esempio.
Questa diversità di “dimensione
culturale” ha delle forti ripercussioni sul nostro modo di interagire con gli
altri. In una cultura ad alto contesto, in cui prevale il non detto, molte
informazioni vengono date per scontate e non si può prescindere dalla lettura
della situazione; la relazione è quella che assume un’importanza centrale; curare il rapporto con l’altro, entrare in sintonia, stabilire una relazione
armonica, sono allora gli obiettivi
fondamentali della comunicazione messa in atto, in quanto è attraverso la
relazione instaurata che si ottengono gli elementi necessari per intrepretare
il contesto.
In una cultura a basso
contesto, al contrario, l’attenzione viene posta sull’informazione che deve
obbligatoriamente passare da A a B in modo chiaro e dettagliato. In questo caso
la priorità è il messaggio e la relazione passa in secondo piano. Per questo
motivo non si perde tempo in convenevoli, la comunicazione è centrata sulle
informazioni essenziali e non vi è timore nell’essere diretti e impersonali
perché una comunicazione educata è una comunicazione funzionale al messaggio,
che non fa perdere tempo all’altro, ma anzi rispetta la relazione proprio
fornendo dati dettagliati e precisi, che non lasciano dubbi di interpretazione.
Cari amici, con queste
premesse è facile immaginare come un incontro di lavoro tra un italiano e un
norvegese o tra un italiano e un canadese, non sia proprio facile e possa sfociare
in una certa difficoltà relazionale. Immaginate l’italiano, tutto impegnato a
prodigarsi per accogliere l’interlocutore, a farlo sentire proprio agio, in modo
da gettare le basi per una buona relazione, ed il norvegese o il canadese, entrambi
alquanto spazientiti dagli infiniti convenevoli dell’italiano, mentre il loro
desiderio è quello di arrivare subito al dunque! Differenze che fanno
riflettere, auspicando una possibile mediazione, nella ricerca di comportamenti
più adeguati, capaci di avvicinare contesti culturali differenti.
A domani.
Mario
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