Oristano 24 giugno 2019
Cari amici,
Sulla triste realtà che,
a causa della ormai perenne mancanza di lavoro per i giovani, i migliori
cervelli della nostra terra sarda per realizzarsi prendano la valigia e partano
all’estero, ho scritto ripetute volte, anche su questo blog. Un esodo terribile,
che priva la Sardegna di un patrimonio umano ingente. Un danno importante, frutto di un'esigenza che non si può comprimere, in quanto i giovani per realizzarsi ed
esternare le proprie capacità, sono costretti a farlo in terra straniera, abbandonando,
seppure con grande amarezza, la propria terra.
Nel post di oggi voglio ancora
riportare un caso eclatante, che, credetemi, mi fa piangere il cuore, ma penso
non solo il mio. Voglio riportare la triste e amara storia di Marta Carroni,
nuorese, una donna speciale, che oggi è considerata un luminare della ricerca
(è una scienziata delle molecole in 3D) che ha dovuto lasciare la sua terra per
andare a lavorare a Stoccolma. Ripercorriamo insieme la sua storia, che merita
di essere fatta conoscere.
Marta Carroni, nata a
Sassari ma nuorese d’origine, ha praticamente vissuto nella capitale
barbaricina fin dalla più tenera età. Di ampie vedute, è stata sempre
un’europeista convinta. Dopo aver conseguito la maturità classica al liceo Giorgio
Asproni, considerata la passione per i numeri, si iscrive alla facoltà di
Matematica presso l’Università di Pisa. L’amore per le scienze però riesce a
prendere il sopravvento e, dopo i primi due anni, cambia facoltà passando a
Biologia. In questa facoltà Marta si sente realizzata: l’infatuazione iniziale
diventa amore, e si laurea a pieni voti in Scienze biologiche. Questo però è
solo l’inizio.
Decisa a perfezionarsi si
trasferisce a Londra, dove consegue il dottorato di ricerca all'Imperial
College, conseguendo successivamente anche la specializzazione, sempre nella
capitale inglese, alla Birkbeck University. È qui che lei svolge un progetto
sperimentale, grazie al quale il suo innamoramento verso la Biologia
strutturale raggiunge l’apice. Questa branca della biologia molecolare infatti
la affascina in modo totale: il suo più grande desiderio è scandagliare
l'architettura delle proteine. A questo punto, forse, sarebbe stato il caso che
l’Italia pensasse di utilizzare il suo già pesante curriculum, ma invece no: alla
nostra nazione poco importa della sua esperienza, mentre la Svezia non si fa
sfuggire una studiosa come lei e le propone un ingaggio per andare a lavorare a
Stoccolma. Lei accetta.
In questa grande città
del Nord Europa l’Università intende creare il primo stabilimento di
microscopia elettronica, ed è proprio per questa ragione che Marta Carroni
viene ingaggiata, proponendole di curarne la pianificazione. Sfida che Marta
non ha avuto difficoltà ad accettare, anche se l’impegno era grande; Lei si
rimbocca le maniche e si dedica in modo totale ad elaborare una tecnica che
prima era considerata ‘di nicchia’ e che invece poi diventa routine, esplodendo
in termini di notorietà e popolarità.
Marta oggi ha 39 anni, e,
rispetto ai tanti che continuano a preferire di restare in Italia galleggiando
nell'anonimato, ha invece deciso di partire, in modo da mettere a frutto le sue
competenze; Marta ha deciso di ‘volare’ con le proprie ali, conscia di avere
quelle giuste per farlo! Del resto Lei, da europeista convinta, ha imparato a
librarsi nell’aria fin da bambina. Dal
primo gennaio 2016 è a capo della piattaforma svedese di criomicroscopia
elettronica (una tecnica rivoluzionaria che permette di vedere
tridimensionalmente le molecole biologiche, ndr), la National Cryo-EM
Facility di Stoccolma; incarico che le è valso anche un premio importante,
conferitole dall'associazione Itwiin, che l'ha consacrata una tra le
innovatrici femminili che più si sono distinte nel 2018.
Amici, Marta, seppur
felice della sua realizzazione professionale, non ha dimenticato la Sardegna e
la sua Nuoro. «Nuoro rappresenta le mie radici; non è solo la città dove
ho vissuto fino a 19 anni – dice a chi le chiede se sente la nostalgia del
distacco - ma è stata una seconda madre: mi ha allevato, educandomi alla
vita; però, così come l’amo sono anche persuasa che mai potrei viverci né
trovarci la mia dimensione professionale». Il sentimento espresso da
Silvia, in realtà, risulta condizionato dalla sua razionalità.
La realtà è che Silvia sa
perfettamente che la sua attività professionale non si potrebbe svolgere in
Sardegna (e nemmeno in Italia), rispettando gli standard strumentali e
logistici cui sono abituati in Svezia. È triste ma è così. Il nostro Paese, per
poter tornare competitivo dovrebbe cambiare molte cose, e, fra le principali, quella
di ridare la dignità perduta all’istruzione, alla ricerca e all’innovazione, senza
le quali saremo sempre perdenti.
Se nulla cambia i nostri
cervelli migliori avranno sempre la “valigia in mano”, trasferendo all’estero
il nostro sapere e le nostre capacità e potenzialità. Insomma, per la miopia che ci contraddistingue, continueremo ad essere una
nazione di perdenti.
A domani.
Mario
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