Oristano
4 maggio 2019
Cari amici,
Chi passa in Via Bellini,
ad Oristano, può osservare proprio di fronte al grande caseggiato scolastico, una
serie di vetrine con in vista tanti “libri
particolari”; sono preziosi, prodotti a mano, artigianalmente uno per uno, e raccontano storie di vita, sogni, poesie ed avventure
vissute o sognate, elaborate da scrittori, narratori e poeti del circondario. All’occhio attento,
però, se uno è curioso e cerca di dare uno sguardo furtivo all’interno, non gli sfuggirà la visione
di tutta una serie di quadri, piccole sculture, dipinti e libri, in gran parte dedicati
allo scarabeo!
La prima cosa che viene
da pensare è il motivo di tale particolare dedizione, rivolta ad un coleottero all’apparenza
anche poco simpatico, anche se ricco di un’antichissima storia alle spalle che risale ai
gloriosi tempi della civiltà egizia, in cui proprio lo scarabeo era venerato come un
dio. Ho già avuto modo su questo blog di parlare di Roberto Cau e degli
scarabei egizi, per cui chi è curioso può andare a leggere (o rileggere) quanto
scrissi l’11 maggio dello scorso anno cliccando sul seguente link: http://amicomario.blogspot.com/2018/05/roberto-cau-luomo-scarabeo-con-la-sua.html.
Si, amici, nell’antico Egitto
lo scarabeo era un animale super venerato in quanto simbolo di resurrezione.
Gli egizi credevano infatti che lo scarabeo della specie “stercorario” potesse
rigenerarsi dalla palla di sterco che l’insetto fa rotolare con grande sforzo.
Per gli egizi, la palla faticosamente trasportata, veniva collegata con il disco
solare che “rinasce” dopo la notte: il nome egizio dell’insetto, kheperer, infatti, è simile a quello del dio Khepri, il Sole, che sorge generato
dalla Terra. Venerazione, quella dello scarabeo, che portò gli egizi a creare un’infinità di amuleti con la sua effigie,
che venivano indossati da uomini e donne sia in vita (come portafortuna) che da defunti, posti come viatico sul corpo per accompagnarlo
e proteggerlo nel viaggio verso l’aldilà.
Innumerevoli le forme
degli amuleti che riproducevano lo scarabeo: le donne lo portavano al collo, i
soldati incastonato nell’anello, quale simbolo di protezione, forza e coraggio.
Anche sognare uno scarabeo era ed è considerato segno di fortuna o felicità. I primi
esemplari di scarabei che furono ritrovati nelle tombe dei faraoni risalgono al
2300 a.C., tanto che la venerazione dello scarabeo si pensa nasca da una leggenda che si
perde nella notte dei tempi.
L’abbinamento che la
leggenda egizia fa, tra lo scarabeo e il dio Khepri è la similitudine che li
lega; Khepri spinge ogni mattina Ra, il dio sole di Eliopoli fuori dalla duat,
l’oltretomba, rinnovando la rinascita di Nut, madre di Osiride, Iside, Seth e
Nefti; allo stesso modo lo scarabeo muove con forza la pallina di sterco, quasi impersonando il dio sole, rinnovando anche lui ogni giorno l’improba fatica.
In questa similitudine rientra
anche il concetto di trasformazione e rinnovamento
che l’uomo subisce nella morte fisica e nella successiva rinascita: un simbolo di
vittoria della luce sulle tenebre, del potere generativo e della vita sulla
morte. Secondo l’esoterista ed egittologo francese René Adolphe Schwaller de
Lubicz, il lavoro dello scarabeo incarna il modello delle forze della natura
che sono in continuo movimento e trasformazione: dalla morte, ciclicamente, rinasce la vita. Lo scarabeo, dunque, sinonimo di "traghettatore", di portatore di costante rinascita, tanto che gli egizi lo portavano addosso senza distinzioni di classe. Gli archeologi hanno accertato
che anche il famoso faraone Tutankhamon aveva il suo personalissimo scarabeo,
la cui particolarità stava nel fatto che risulta intagliato in un pezzo di cometa
che presumibilmente scoppiò sull’Egitto 28 milioni di anni fa.
Cari amici, la tradizione
dello scarabeo ha continuato a durare nel tempo senza mai interrompersi. Oggi si
trovano in circolazione molti amuleti a forma di scarabeo sacro; il più
prezioso è sicuramente quello in giada o in lapislazzuli, il quale si dice che
debba essere riposto vicino al denaro affinché esso non venga mai a mancare.
Tornando al quesito posto
in apertura, riferito al museo-laboratorio di Roberto Cau, anni fa mi incuriosì
tutta quella immensa schiera di scarabei riprodotti in diversissimi materiali:
dal legno alla pietra e alla tela. La prima cosa che allora mi venne in mente fu che
Roberto fosse la reincarnazione di qualche antico faraone, che voleva
assolutamente tramandare la sopravvivenza del dio Khepri, riproducendo per sé e
per degli amici, copie dello scarabeo egizio, ovvero il solare kheperer.
In questa straordinaria operazione Roberto
ha trovato in Rita Piredda la grande sacerdotessa, la vestale che con le sue ariose
e profonde note, le dolci, ammalianti rime poetiche, decanta le sue riproduzioni, cercando di
trasmettere anche ai posteri le gloriose vicende dello scarabeo, che si sono perpetuate nel tempo, facendo tappa e riproducendosi
costantemente da noi nel “Tempio culturale EPDO”. Insieme, Rita e Roberto, propagandano senza sosta, con dipinti, sculture, storie,
racconti, poesie e molto altro, la forza e la potenza dello scarabeo sacro,
fonte di costante rinnovamento, regolatore del giorno e della notte,
instancabile trasportatore del sole, dal tramonto della notte all’alba,
regalando all’uomo, sia nel cammino terreno che in quello dell’Aldilà, la
salvezza e la rinascita.
Cari amici, la mia fantasia è oggi volata con lo scarabeo! Consiglio a tutti, curiosi lettori delle mie note, di leggere il libro “Uomini e
scarabei sacri”, dove le opere di Roberto sono perfettamente integrate con la prosa e la poesia contenuta nei racconti di Rita. Il libro porta l’introduzione di Giorgio Luciano Pani,
un intervento di chiusura di Michele Licheri e contiene anche un particolare “racconto”
che... indegnamente parla di me, un soggetto considerato da Rita un “cavaliere, sacro
scarabeo”, a cui ha dato il nome di Mavidor (lo trovate a pagine 96 e 97). La sua fantasia è proprio senza limiti!
Di più non dico, se non:
leggete, leggete, leggete…e proteggetevi anche Voi con lo scarabeo di Roberto e
Rita!
Mario
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