Oristano
24 maggio 2019
Cari amici,
I dati statistici, come ben
sappiamo, sono purtroppo sempre
impietosi, ma in questo caso, credetemi, appaiono addirittura shoccanti: nell’arco
di un decennio, i giovani ricercatori delle Università italiane risultano dimezzati e il
90% di quelli attivi in tempi brevi sarà espulso dal mondo universitario. Sono
dati che non solo spaventano ma fanno davvero riflettere!
Il nostro Paese sembra volersi posizionare fuori dal contesto attuale: in un’economia globale, nella quale restare competitivi in campo economico risulta non solo necessario ma addirittura vitale, viene diminuito ciò che, invece, si dovrebbe aumentare!
Il nostro Paese sembra volersi posizionare fuori dal contesto attuale: in un’economia globale, nella quale restare competitivi in campo economico risulta non solo necessario ma addirittura vitale, viene diminuito ciò che, invece, si dovrebbe aumentare!
Questo comportamento
appare a dir poco sconcertante, un vero e proprio suicidio, che non fa altro
che mettere la valigia in mano ai
bravi e capaci giovani ricercatori, che trovano all’estero ciò che, invece, avrebbero
dovuto trovare in casa. L’Italia, insomma, sta facendo l’esatto opposto di
quello che dovrebbe. I dati recenti, pubblicati dall’ADI (Associazione Dottorandi
e Dottori di ricerca) sul mondo della ricerca italiana e su quanto è accaduto a
partire dal 2007 in poi, lo dimostrano in maniera inequivocabile.
Insomma, amici, in 11
anni il numero di posti per il dottorato
di ricerca si è praticamente dimezzato, passando da 15.832 del 2007 a 8.960
del 2018. La denuncia dell’ADI si basa sull’elaborazione dei dati forniti dal MIUR
(Ministero dell’Istruzione e dell’Università) e non lasciano certo spazio a
dubbi.
La realtà è che i vari
governi che in questi anni si sono succeduti, anziché applicare saggiamente i
tagli nelle aree meno produttive della macchina statale (le cosiddette
mangiatoie), hanno preferito accanirsi in una delle aree più fragili: il mondo
della ricerca! Indifferenti, purtroppo, al fatto che il futuro del Paese passa
proprio dalle competenze e dall'impegno dei nostri giovani ricercatori, e dalla loro capacità di
mettere sul tappeto le conoscenze acquisite, in modo da poter affrontare con successo una
competizione internazionale sempre più agguerrita.
Un ulteriore danno, di
cui presto si vedranno i frutti negativi, è il fatto che la mannaia, addirittura,
non ha colpito in modo omogeneo, cioè tagliando in modo uniforme le risorse nei vari
atenei, ma ha invece calcato con forza la mano negli atenei del Sud e delle
Isole, dove il taglio è arrivato anche al 55,5 per cento dei posti; nel Nord,
invece, i tagli si sono (si fa per dire…) limitati al 37 per cento, e al Centro
al 41,2 per cento. Sempre secondo l’ADI oggi nel Nord è concentrata ben la metà
dei dottorati banditi in Italia, contro appena il 22,2 per cento del Sud.
Che dire poi del
precariato? Qui i dati sono oltremodo impietosi: quasi il 60 per cento dei
ricercatori italiani risulta precario. E non è tutto. Dei componenti di questa
pattuglia precaria, ben il 90 per cento sono destinati ed essere espulsi
dall’università al termine del contratto, in quanto solo 1 su 10 degli attuali
dottorandi riuscirà a conquistare l’ambita cattedra come professore associato. Tutto
questo, cari amici, comporta la forzata emigrazione dei ‘migliori cervelli’,
che, rifiutati dall’Italia, prendono la valigia e si trasferiscono all’estero,
dove trovano finalmente un adeguato posto di lavoro. Gli esempi non mancano, in
tutti i settori importanti della ricerca. Ecco un esempio di ‘ fuga’ che non
sarà solo temporanea.
Valentina
Barletta, per esempio, oggi geofisica presso l'Università
Tecnica della Danimarca, ha conseguito il suo PhD nel 2004 all’Università di
Milano. Amareggiata, dopo una sentenza "ridicola" su un concorso
truccato, ha constatato amaramente che in Italia difficilmente sarebbe riuscita
a realizzare i suoi sogni, in particolare a seguito di un fatto increscioso. Dopo aver pubblicato i
risultati di un suo studio (in grado di aiutare a prevenire o ritardare il
crollo della calotta polare antartica occidentale) all’interno della
prestigiosa rivista Science, arrivarono i corteggiamenti ripetuti da parte di
atenei americani, inglesi, olandesi e tedeschi, ma, guarda caso, da nessuna università
italiana!
Fu questa la goccia che
fece traboccare il vaso. Valentina allora prese la valigia e lasciò l’Italia. Dopo varie
esperienze negli Stati Uniti e in Europa, nel 2011 decide accettare l’offerta
di un posto a tempo determinato presso il DTU Space, la Nasa danese,
trasferendosi in Danimarca. Per quanto strano, amici, il suo caso è vero e reale: Lei, capace geofisica, seppure l’Italia
sia uno dei Paesi più a rischio in Europa su questo fronte, nel nostro Paese
contava poco o nulla! Le sue capacità restavano totalmente ignorate!
Oggi, quando a Valentina
Barletta viene chiesto se sente il bisogno di tornare in Italia, lei risponde
con un mezzo sorriso: “In Italia? Ci
torno solo per le vacanze di Natale. Non di più”. “I danesi mi hanno accolto bene. Qui non è facile, ma di certo è una passeggiata rispetto alla nostra
vita precedente in Italia. L’arrivo in ufficio con i mezzi pubblici, il mare, i
colori della città, il verde; Copenaghen è a misura d’uomo, ci sono palazzi
bassi e piccoli supermercati in ogni quartiere. I mezzi pubblici funzionano
bene, le piste ciclabili sono ovunque e il traffico è scarso (“ma non per i
danesi!”). La priorità della gente, insomma, “non è guadagnare, ma vivere
bene”.
Amici, credo che ogni
ulteriore commento sia proprio superfluo!
A domani.
Mario
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