Oristano 8 maggio 2019
Cari amici,
Il martellamento è
sempre più forte e costante: recuperare, riciclare, ridurre gli sprechi. Provvedimento
certamente giusto, in un mondo che sta diventando sempre più assalito da
montagne di rifiuti, in particolare costituiti dalla plastica. In tanti,
doverosamente, fanno la propria parte consegnando giornalmente i rifiuti
differenziati come richiesto. Ma ci siamo mai chiesti cosa succede a questi
rifiuti, soprattutto a quelli di plastica, una volta portati via dalle nostre
case e dalle nostre strade?
Una recente inchiesta di
Greenpeace ha portato alla luce una realtà ai più ignota, una verità molto
scomoda e difficile da digerire: una grossa parte degli scarti di plastica da
noi selezionati e consegnati all’azienda abilitata a raccoglierli, finisce,
pensate un po’, in Paesi poveri, dove vengono scaricati e dove, purtroppo, non
possono essere “riciclati” a dovere in quanto Paesi privi di sistemi di
trattamento efficienti. Eppure in tanti nulla sanno di queste “esportazioni”,
convinti, invece, che la plastica messa da parte con tanta pazienza, finisca in
sistemi di recupero evoluti, dove avrebbero ripreso a vivere, seppure sotto
altra forma.
Purtroppo la realtà non è
quella sognata! Stando a quanto evidenziato da Greenpeace nel rapporto “Le rotte globali, e italiane, dei rifiuti
in plastica”, l’Italia si colloca all’undicesimo posto nella classifica
degli esportatori di rifiuti plastici. Rifiuti a lungo esportati in Cina, fino
alla decisione di questo Paese di chiudere le porte alle nostre esportazioni di
plastica. A quel punto, essendo noi incapaci di recuperare in modo efficiente l’immensa
quantità di plastica che quotidianamente si accumula, questa è stata dirottata
verso “nazioni povere”, anche se non sempre dotate di sistemi di recupero e
riciclo efficienti! Incredibile ma vero, anche se il nostro comportamento è in contrasto con quanto
stabilito dal severo Regolamento europeo.
La nostra plastica, dunque,
oggi finisce in Malesia, Turchia, Vietnam, Thailandia e Yemen, in quantità, tra
l’altro, mica modesta! Sono molte le tonnellate di rifiuti plastici esportati,
se pensiamo che nel solo 2018 ne abbiamo spedito all’estero qualcosa come
197mila tonnellate, per un giro d’affari di 58,9 milioni di euro. Sempre stando
al rapporto di Greenpeace, il nostro Paese esporta i propri rifiuti in
particolare verso la Malesia (nel 2018 le importazioni sono aumentate del 195,4
per cento rispetto al 2017), la Turchia (più 191,5 per cento rispetto al 2017),
il Vietnam, la Thailandia e come detto lo Yemen.
Esportazioni in palese
contrasto con il Regolamento del Parlamento e del Consiglio Europeo, in vigore
dal 14 giugno del 2006, che stabilisce che i rifiuti che escono dall’Europa
possano essere esportati solo in Paesi in cui saranno trattati secondo norme
equivalenti a quelle europee in merito al rispetto dell’ambiente e della salute
umana.
In cifre, tra gennaio e
novembre 2018, i principali esportatori mondiali di plastica risultano,
nell’ordine: Stati Uniti (16,5% delle esportazioni totali), Giappone (15,3%),
Germania (15,6%), Regno Unito (9,4%) e Belgio (6,9%). In questa classifica
l’Italia si colloca all’undicesimo posto con un contributo pari al 2,25% di
tutti i rifiuti in plastica esportati. Ma quale il reale motivo di tanta
esportazione? Ecco la motivazione espressa da Claudia Salvestrini, direttrice
di POLIECO, il consorzio nazionale per il riciclaggio dei rifiuti dei beni a
base di polietilene.
“per capire perché si esportavano
tanti rifiuti in plastica verso la Cina, e perché li esportiamo tutt’ora verso
altri Paesi, si deve partire dall’analisi della raccolta differenziata della
plastica in Italia. Il problema nasce tutto da lì, dal fatto che in Italia si
premia la quantità e non la qualità della raccolta differenziata. Possiamo
anche raggiungere il 90% di raccolta differenziata, ma all’atto pratico si
tratta spesso di plastica di bassa qualità, tanto che di quella raccolta
differenziata si possono avere percentuali superiori al 30% di materiali
eterogenei di plastica da scartare”.
La Salvestrini ha anche
precisato che quando la nostra plastica veniva accolta dalla Cina, i container
pieni di plastica spediti dall’Italia tornavano indietro in Europa carichi di
oggetti (giocattoli, contenitori, perfino biberon per neonati) realizzati con una
plastica poco idonea, non perfetta e quindi contaminata. “Se la
plastica eterogenea la mandi in un Paese dove non viene sanificata né lavata –
ha commentato la Salvestrini – il
risultato è un macinato contaminato che può a sua volta contaminare gli oggetti
realizzati”.
Cari amici, sapere queste
cose non fa certo bene, né a chi si preoccupa di differenziare, e nemmeno, in
linea generale, a chi pensa che non si può continuare ad inquinare impunemente
il mondo. Il problema dei rifiuti deve partire da più lontano, deve partire
dall’uso parco dei contenitori, che dovrebbe riportare le persone a fare a meno,
il più possibile, di un prodotto terrificante come la plastica. Inoltre, nel
periodo di transizione, la plastica in circolazione andrebbe trattata in modo
adeguato, senza inquinare ulteriormente ne il mare, che a causa della plastica
sta morendo, né la terra.
La triste realtà è che se
il mondo non rinsavisce in tempi brevi, verrà letteralmente soffocato dalla
plastica!
A domani.
Mario
Il futuro delle nuove generazioni...
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