Oristano 15 settembre 2023
Cari amici,
Siamo in tanti ad aver
sentito, in diverse occasioni, la pungente battuta: “È COME IL POZZO DI SAN
PATRIZIO!”, utilizzata per riferirsi ad una riserva misteriosa e sconfinata
di ricchezze da sperperare. Secondo altri, invece, la stessa espressione sta ad
indicare un’opera o un ipotetico “affare sballato” in cui si buttano soldi, risorse
ed energie, ma inutilmente, perché, come il pozzo di San Patrizio, si può
attingere a volontà. Ecco oggi voglio soddisfare la Vostra curiosità raccontandovi
la storia di questo pozzo, ancora oggi esistente e meta di un flusso turistico
non indifferente nella bella città di Orvieto.
Si, amici, ORVIETO oltre
ad avere un famosissimo duomo ha pure questo interessantissimo pozzo, vero
capolavoro di ingegneria rinascimentale, che fu realizzato nel 1527. Un periodo
terribile per la Chiesa di Roma, in quanto erano gli anni del “sacco di Roma”
da parte dei Lanzichenecchi. L’allora pontefice Clemente VII fu costretto
pertanto a rifugiarsi ad Orvieto. Il Papa, nel timore di un possibile assedio anche
della città di Orvieto o per altre possibili calamità, nell’intento di garantire
per se e il popolo abbondanza d’acqua in ogni periodo dell'anno, commissionò la
costruzione di un immenso pozzo ad un grande esperto: Antonio da Sangallo il
Giovane, che si mise subito all’opera.
Il pozzo, almeno
inizialmente, doveva essere in primis al servizio della rocca fortificata dove
stava il Papa, tanto che all’epoca della costruzione fu denominato “Pozzo della
Rocca”. Solo successivamente cambiò nome, diventato per un breve periodo “Purgatorio
di San Patrizio” e solo successivamente, in epoca ottocentesca, assunse il nome
attuale di Pozzo di San Patrizio. Fu così chiamato per volere dei frati del
convento dei Servi, ai quali era nota la “leggenda del Santo irlandese”
(secondo la quale Patrizio era il custode di una grotta senza fondo, l’irlandese,
celeberrimo “Pozzo di San Patrizio”, dal quale erano visibili le pene
dell’Inferno, e si poteva anche accedere al Purgatorio arrivando persino ad
intravedere il Paradiso)!
Gli scavi furono portati
avanti alacremente; nel 1532 alla profondità di duecento piedi fu trovato anche
un sepolcro pre-etrusco. Si scavò prima nel tufo e poi nell'argilla e,
raggiunta la falda acquifera, si ricostruì in mattoni il profondo cilindro. I
lavori finirono nel 1537. Il pozzo era a sezione circolare, profondo
sessantadue metri e largo tredici. Intorno alla canna del pozzo girano a
spirale due scale a chiocciola progettate in maniera tale da correre
sovrapposte l'una all'altra senza però comunicare tra loro: ciò serviva a far sì
che le persone con i muli che si recavano nel fondo del pozzo ad attingere
acqua non intralciassero il cammino di chi, dopo essersi procurato l'acqua,
stava risalendo in superficie.
Il Sangallo nel
progettare il pozzo commissionatogli dal Papa si ispirò alla scala a chiocciola
della Villa del Belvedere in Vaticano (lo stesso sistema architettonico si
ritrova anche nella scala regia di Palazzo Farnese a Caprarola). Quest’opera di
grande ingegno architettonico ideata dal Sangallo conteneva ben duecentoquarant’otto
scalini comodissimi per ogni scala, facili da scendere anche per le bestie da
soma. Le scale prendono luce da settantadue finestre centinate, aperte nella
canna. La luce viene diminuendo a mano a mano che si discende, fino a diventare
penombra.
In fondo alla canna un
piccolo ponte collega le due scale. La parte esterna del pozzo, consiste in una
larga e bassa costruzione cilindrica, che è decorata dai gigli farnesiani di
Paolo III, nella quale si aprono due porte ai punti diametralmente opposti. Sul
fondo il livello dell'acqua, alimentata da una sorgente naturale, si mantiene
costante per via di un emissario che fa defluire la quantità eventualmente in
eccesso. Il ponte che unisce le due scale è sempre praticabile. Il pontefice
incaricò anche Benvenuto Cellini di coniare una medaglia, oggi conservata ai
musei Vaticani, con la scritta "UT POPULUS BIBAT" ("perché il
popolo beva"), dove è rappresentato Mosè che colpisce con la verga una
roccia da cui sgorga l'acqua davanti al popolo ebreo in fuga, mentre uno di
essi ne attinge con una conchiglia.
Cari amici, indubbiamente
una gran bella storia! Sull'entrata del pozzo vi è la scritta "quod natura
munimento inviderat industria adiecit" ("ciò che non aveva dato la
natura, procurò l'industria"), frase che celebra la potenza dell'ingegno
umano, capace di sopperire alle carenze della natura. Purtroppo Clemente VII
non vide mai realizzata l'opera, che fu portata a termine quando sul soglio
pontificio sedeva Paolo III Farnese. Oggi è possibile visitare il pozzo, per
intero, diventato un vero museo.
A domani.
Mario
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