Oristano
24 Settembre 2018
Cari amici,
È proprio vero che le
sorprese non finiscono mai! L’altra mattina, avendo deciso di aderire
all’invito a partecipare ad una manifestazione pubblica (il cambio di
comandante alla Capitaneria di porto di Oristano), sono andato con l’auto a
prendere a casa sua il mio caro amico Nando Loddo, mio compagno di giochi,
avventure e lavoro da una vita. Sedendosi in macchina, Nando, con fare
scherzoso e con un certo sorriso sulle labbra mi ha esibito due strani frutti, di
colore marron brillante poco più grandi di un’oliva bosana, dicendomi
“assaggiali vedrai che ti piaceranno”. Durante il viaggio mi ha raccontato la
storia di come era venuto in possesso dell’albero che produceva quei frutti.
Nando ha una bella casa
con un grande giardino intorno, dove sono presenti una bella serie di piante.
Un giorno, avendo osservato nei pressi della recinzione un arbusto forse nato
da solo, aveva in mente di tagliarlo; un amico, però, probabilmente esperto, lo
fece desistere, consigliandogli invece di innestarlo con dei rametti di
giuggiolo (noto anche come dattero cinese), pianta che egli aveva in giardino.
Detto fatto: dopo un taglio netto della pianta, usata come portainnesto, Nando
inserì “a spacco” alcuni rametti di giuggiolo, coprendo poi i tagli con della
terra ammorbidita. Un innesto fatto
anche senza troppa convinzione, ma si sa, i miracoli spesso avvengono.
L’innesto attecchì e
fin dal primo anno la pianta gli regalò una dozzina di frutti belli grandi,
quasi un ringraziamento a chi l’aveva fatta rivivere! L’anno successivo la
pianta si riempì prima di fiori e poi di frutti, deliziando Nando prima con la
fioritura e poi con l’abbondanza dei suoi frutti. Ebbene amici, sia a Nando che
a me questo frutto sconosciuto è piaciuto molto e, siccome sapete che sono
curioso, ho voluto saperne di più facendo una bella ricerca. Cosa ho scoperto? Che non solo è molto buono ma che è ricco anche di proprietà benefiche
per il nostro organismo. Volete saperne di più anche Voi? Eccovi accontentati.
Il giuggiolo (Ziziphus
jujuba Mill.) è un albero da frutto appartenente alla famiglia delle Rhamnaceae
e al genere Ziziphus, noto anche come dattero cinese, natsume o tsao; il frutto
viene detto giuggiola. La pianta si ritiene che sia orinaria dell'Africa
settentrionale e della Siria, e pare che sia stata successivamente esportata in
Cina e in India, dove il giuggiolo viene coltivato da oltre 4.000 anni. In Italia la pianta
fu importata in primis dai romani, che la chiamarono ziziphum (dal greco
ζίζυφον, zízyphon). A diffondere il giuggiolo, però, furono i veneziani, che, dopo
averlo importato direttamente dall'oriente, lo diffusero dapprima in Dalmazia,
poi sulle isole della laguna e infine sulla terraferma, nella zona dei Colli
Euganei, zona ritenuta più idonea per la coltivazione.
Il bell'albero di casa Loddo
Il giuggiolo è una
caducifoglia e latifoglia, con il portamento di albero che arriva anche a 8, 10
metri. La pianta, che ha radici che vanno in profondità, è in grado di
resistere anche alla siccità. Durante la fioritura si carica di fiori di
piccole dimensioni dal colore bianco verdastro; la fioritura avviene da Giugno
ad Agosto; i frutti maturano tra Settembre e Ottobre. Sono delle drupe ovali,
con un unico seme all’interno; hanno le dimensioni più o meno di un'oliva, con
buccia di colore dal rosso porpora al bruno e con polpa giallastra.
La pianta si riproduce
anche per seme, ma più frequentemente è propagata per mezzo dei numerosi
polloni radicali che produce in abbondanza. È una pianta ricercata dalle api
che ne ricavano un buon miele. Il giuggiolo era usato in passato, in alcune
regioni italiane, per fare siepi difensive nei confini degli appezzamenti, in
quanto avendo il tronco e i rami muniti di spine che creano un fitto intreccio
rendono difficile il passaggio. La pianta è utilizzata anche come ornamentale.
Dal punto di vista
nutrizionale le giuggiole sono una buona fonte di vitamina C, sali minerali,
mucillagini, tannini, flavonoidi, pectina, antrachinoni e acido ascorbico.
Tutti elementi nutritivi utili per una sana alimentazione. Sono inoltre
estremamente benefiche per il nostro organismo, considerate le proprietà
antiossidanti possedute; aiutano ad abbassare la pressione alta, hanno
proprietà lassative, proteggono da allergie, raffreddore, infiammazioni e non
solo: soprattutto nella medicina orientale, le giuggiole vengono utilizzate per
combattere i sintomi della depressione, dell'irritabilità e dell'astenia.
Inoltre i suoi semi vengono utilizzati anche per contrastare l'insonnia e le
palpitazioni, aiutando a limitare lo stato ansioso.
Quante volte abbiamo
sentito nei discorsi frasi come essere
in “un brodo di giuggiole”? Ebbene, nel Veneto, sui Colli Euganei, esiste
una coltivazione intensiva che si è affermata negli ultimi anni proprio grazie
alla produzione del "Brodo di Giuggiole", un infuso di giuggiole e
frutti autunnali, come uva Moscato, le cotogne Cydonia oblonga, scorze di
limone, uva e melograni. La ricetta moderna deriva molto probabilmente da una
preparazione in voga presso i Gonzaga nel Rinascimento, i quali erano soliti
deliziare gli ospiti con un liquore a base di questi frutti.
Cari amici, su questa
pianta, sicuramente molto antica, sono sorte tante leggende! Una, per esempio è
quella riferita all’Odissea di Omero. Nel libro IX, si narra che Ulisse e i
suoi uomini, portati fuori rotta da una tempesta, approdarono all'isola dei
Lotofagi (secondo alcuni l'odierna Djerba), nel nord dell'Africa. Alcuni dei
suoi uomini, una volta sbarcati per esplorare l'isola, si lasciarono tentare
dal frutto del loto, un frutto magico che fece loro dimenticare mogli, famiglie
e la nostalgia di casa. È probabile che il loto di cui parla Omero sia proprio
lo Zizyphus lotus, un giuggiolo selvatico, e che l'incantesimo dei Lotofagi non
fosse provocato da narcotici ma soltanto dalla bevanda alcolica che si può
preparare coi frutti del giuggiolo.
Presso gli antichi
Romani il giuggiolo era considerato il simbolo del silenzio, e come tale era usato
per adornare i templi della dea Prudenza. Secondo gli scritti di Erodoto, invece,
le giuggiole potevano essere usate, dopo aver fermentato, per produrre un vino,
le cui più antiche preparazioni risalgono a Egizi e Fenici. In tempi più
recenti in Romagna e in altre regioni, in molte case coloniche il giuggiolo era
coltivato adiacente alla casa, nella zona più riparata ed esposta al sole. Si
riteneva che fosse una pianta portafortuna. Era presente anche in quasi tutti
gli orti delle campagne del Veneto.
Cari amici, tra
botanica, storia e mito, il giuggiolo ha attraversato i secoli ed i millenni ed
è arrivato integro e prezioso fino a noi. Credo che quando avrò voglia di
mangiarne un po’ andrò dal mio amico Nando che certo non me li negherà!
Grazie, amici, a
domani.
Mario
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