giovedì, settembre 27, 2018

CIBI E ALIMENTAZIONE AI TEMPI DELLA CIVILTÀ CONTADINA. UNO SGUARDO AI PASTI FRUGALI CONSUMATI DALLE FAMIGLIE DEI NOSTRI NONNI.


Oristano 27 Settembre 2018
Cari amici,
Per l’uomo alimentarsi è una necessità assoluta. Il bisogno di cibo è fondamentale per la sopravvivenza di ogni essere vivente. L’uomo però, col passare dei millenni, ha trasformato questa necessità, trasformando un bisogno essenziale in qualcosa di diverso, ovvero costruendogli intorno tutta una serie di riti che hanno dato all’atto di alimentarsi un valore sociale e culturale. Insomma, un passaggio dalla semplice soddisfazione corporea dello sfamarsi, al magico rito familiare e sociale della alimentazione conviviale.
Senza bisogno di tornare troppo indietro nel tempo, a ritroso nei secoli e nei millenni, possiamo focalizzare la nostra attenzione anche solo soffermandoci al periodo della “civiltà contadina”, imperante fino ai primi anni del secolo scorso; civiltà nella quale a dettare le regole alimentari della famiglia erano le stagioni, ovvero quei ritmi naturali che consentivano di avere a disposizione, tempo per tempo, i prodotti della terra da consumare, frutto del costante lavoro dei campi; il tutto basato su ritmi di lavoro lontani un miglio da quelli di oggi, una volta lenti e ripetitivi, intessuti di regole e tradizioni sociali che si trasmettevano, di generazione in generazione.
L’alimentazione base, ai tempi della civiltà contadina, era essenzialmente povera, riferita in particolare al consumo dei diversi cereali, che, seppure genuini e salutari erano sempre gli stessi. L’alimentazione quotidiana di allora non era certo paragonabile a quella di oggi, nonostante il lavoro fisico fosse molto più rilevante; a tavola veniva presentato di norma un piatto unico, sia a pranzo che a cena, basato sui cereali e vegetali relativi alla stagione. L’unica variante migliorativa era riservata alla Domenica, giorno nel quale era possibile una maggiore varietà e una certa abbondanza: un doppio piatto, primo e secondo, che poteva annoverare della carne, praticamente esclusa negli altri 6 giorni della settimana.
In questi giorni lavorativi i pasti erano costituiti da minestre, zuppe di legumi e cereali, variamente preparati dalla fantasia della padrona di casa, saggia amministratrice delle frugali risorse della famiglia. La carne era come detto praticamente bandita, eccezion fatta per "il giorno di riposo e festa", nel quale si potevano consumare carni bianche delle galline o dei conigli allevati in casa, mentre le carni rosse erano riservate quasi esclusivamente alle grandi festività, religiose o civili o avvenimenti importanti come matrimoni, battesimi e cresime. In queste occasioni era consuetudine imbandire la tavoli anche con gli squisiti dolci casalinghi.
La famiglia contadina era anche, molto più di oggi, rispettosa e osservante della religione. Pregare Dio perché fosse concessa un’annata fruttuosa era una norma costante, nel timore di una carestia che poteva privare la famiglia anche del minimo sostentamento. Per questo, prima dell’assunzione del pasto ci si alzava in piedi e si ringraziava il signore per il cibo che era a tavola; la preghiera, nella tradizione contadina, era prevista anche come “rito purificatore” nella preparazione delle pietanze, nella panificazione o nell’uccisione degli animali.
Con l’avvento della modernità, con la caduta delle civiltà contadina, i ritmi, alimentari e non, della famiglia sono caduti in totale abbandono. La ricerca smodata del “benessere” a tutti i costi ha modificato totalmente i “consumi”, diventati di massa, dove i rituali sono scomparsi e tutto è stato automatizzato; una meccanizzazione diventata qualcosa di "replicante", sempre uguale, che ha creato la cultura dell’industrialmente preparato, un’uniformità alienante, dove l’uomo ha perso la creatività individuale, assumendo quella di massa, che lo ha trasformato da soggetto in oggetto, non più in grado di decidere in autonomia ma un alieno “eterodiretto”, dal grande fratello del consumismo.
Eppure la saggezza antica non è andata del tutto perduta. In Sardegna, nei nostri paesi, proprio quelli che statisticamente senza interventi risolutivi sono destinati all’estinzione, sono nascosti i tesori del passato: quei saperi e sapori dell’antica tradizione; sarebbe ancora davvero abbastanza semplice andare a riscoprirli: basterebbe solo un po’ di intelligenza e di buona volontà! Si, perché potrebbe essere proprio questa la strada che potrebbe portare ad una rivitalizzazione delle nostre zone interne, rimaste fortunatamente integre, per quanto poco popolate.
Cari amici, ho personalmente vissuto gli ultimi sprazzi della civiltà contadina negli anni 50/60 del secolo scorso, e per questo, prima di chiudere, voglio invitarvi tutti a darvi da fare per incoraggiare e suggerire ai tanti “cittadini” delle maggiori città dell’Isola di visitare i nostri paesi dell’interno; ci sono tanti modi per farlo, a partire per esempio, in questo inizio d’autunno, suggerendo loro di visitare le mostre organizzate come “Autunno in Barbagia”, "Primavera in Gallura" e le tante altre manifestazioni organizzate dalle Pro Loco anche del nostro Campidano. Allora amici, da veri sardi, diamoci tutti da fare, ne va della salvezza della nostra bella Sardegna!
Grazie amici, a domani.
Mario

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