Oristano
27 Settembre 2018
Cari amici,
Per l’uomo alimentarsi
è una necessità assoluta. Il bisogno di cibo è fondamentale per la sopravvivenza
di ogni essere vivente. L’uomo però, col passare dei millenni, ha trasformato
questa necessità, trasformando un bisogno essenziale in qualcosa di diverso, ovvero
costruendogli intorno tutta una serie di riti che hanno dato all’atto di alimentarsi
un valore sociale e culturale. Insomma, un passaggio dalla semplice
soddisfazione corporea dello sfamarsi, al magico rito familiare e sociale della alimentazione
conviviale.
Senza bisogno di
tornare troppo indietro nel tempo, a ritroso nei secoli e nei millenni,
possiamo focalizzare la nostra attenzione anche solo soffermandoci al periodo della “civiltà
contadina”, imperante fino ai primi anni del secolo scorso; civiltà nella quale
a dettare le regole alimentari della famiglia erano le stagioni, ovvero quei
ritmi naturali che consentivano di avere a disposizione, tempo per tempo, i
prodotti della terra da consumare, frutto del costante lavoro dei campi; il tutto basato
su ritmi di lavoro lontani un miglio da quelli di oggi, una volta lenti e
ripetitivi, intessuti di regole e tradizioni sociali che si trasmettevano, di
generazione in generazione.
L’alimentazione base,
ai tempi della civiltà contadina, era essenzialmente povera, riferita in
particolare al consumo dei diversi cereali, che, seppure genuini e salutari
erano sempre gli stessi. L’alimentazione quotidiana di allora non era certo
paragonabile a quella di oggi, nonostante il lavoro fisico fosse molto più
rilevante; a tavola veniva presentato di norma un piatto unico, sia a pranzo che a cena,
basato sui cereali e vegetali relativi alla stagione. L’unica variante
migliorativa era riservata alla Domenica, giorno nel quale era possibile una
maggiore varietà e una certa abbondanza: un doppio piatto, primo e secondo, che
poteva annoverare della carne, praticamente esclusa negli altri 6 giorni della
settimana.
In questi giorni
lavorativi i pasti erano costituiti da minestre, zuppe di legumi e cereali, variamente
preparati dalla fantasia della padrona di casa, saggia amministratrice delle
frugali risorse della famiglia. La carne era come detto praticamente bandita, eccezion
fatta per "il giorno di riposo e festa", nel quale si potevano consumare carni bianche delle
galline o dei conigli allevati in casa, mentre le carni rosse erano riservate
quasi esclusivamente alle grandi festività, religiose o civili o avvenimenti
importanti come matrimoni, battesimi e cresime. In queste occasioni era
consuetudine imbandire la tavoli anche con gli squisiti dolci casalinghi.
La famiglia contadina
era anche, molto più di oggi, rispettosa e osservante della religione. Pregare
Dio perché fosse concessa un’annata fruttuosa era una norma costante, nel timore
di una carestia che poteva privare la famiglia anche del minimo sostentamento.
Per questo, prima dell’assunzione del pasto ci si alzava in piedi e si
ringraziava il signore per il cibo che era a tavola; la preghiera, nella
tradizione contadina, era prevista anche come “rito purificatore” nella preparazione
delle pietanze, nella panificazione o nell’uccisione degli animali.
Con l’avvento della modernità,
con la caduta delle civiltà contadina, i ritmi, alimentari e non, della
famiglia sono caduti in totale abbandono. La ricerca smodata del “benessere” a
tutti i costi ha modificato totalmente i “consumi”, diventati di massa, dove i
rituali sono scomparsi e tutto è stato automatizzato; una meccanizzazione
diventata qualcosa di "replicante", sempre uguale, che ha creato la cultura dell’industrialmente
preparato, un’uniformità alienante, dove l’uomo ha perso la creatività
individuale, assumendo quella di massa, che lo ha trasformato da soggetto in oggetto,
non più in grado di decidere in autonomia ma un alieno “eterodiretto”, dal
grande fratello del consumismo.
Eppure la saggezza
antica non è andata del tutto perduta. In Sardegna, nei nostri paesi, proprio
quelli che statisticamente senza interventi risolutivi sono destinati all’estinzione,
sono nascosti i tesori del passato: quei saperi e sapori dell’antica
tradizione; sarebbe ancora davvero abbastanza semplice andare a riscoprirli:
basterebbe solo un po’ di intelligenza e di buona volontà! Si, perché potrebbe
essere proprio questa la strada che potrebbe portare ad una rivitalizzazione
delle nostre zone interne, rimaste fortunatamente integre, per quanto poco popolate.
Cari amici, ho
personalmente vissuto gli ultimi sprazzi della civiltà contadina negli anni
50/60 del secolo scorso, e per questo, prima di chiudere, voglio invitarvi tutti
a darvi da fare per incoraggiare e suggerire ai tanti “cittadini” delle
maggiori città dell’Isola di visitare i nostri paesi dell’interno; ci sono tanti
modi per farlo, a partire per esempio, in questo inizio d’autunno, suggerendo
loro di visitare le mostre organizzate come “Autunno in Barbagia”, "Primavera in Gallura" e le tante altre manifestazioni organizzate dalle Pro Loco anche del nostro Campidano. Allora amici, da
veri sardi, diamoci tutti da fare, ne va della salvezza della nostra bella
Sardegna!
Grazie amici, a domani.
Mario
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