domenica, ottobre 10, 2021

MORIRE DI “KAROSHI”, OVVERO DI SUPER LAVORO. ALL’ORIGINE, UN SUPER STRESS CHE MINA L'EQUILIBRIO PSICOFISICO, PORTANDO IL SOGGETTO ALLA MORTE PER ATTACCO CARDIACO.


Oristano 10 ottobre 2021

Cari amici, il termine “Karoshi” in giapponese significa “morte per super lavoro”. È questa una patologia davvero frequente in Giappone, uno dei pochi Paesi in cui questo male si manifesta in maniera alquanto pericolosa, causando attacchi cardiaci rinvenienti da  sforzi e stress, che spesso portano alla morte.

Miwa Sado

Il primo caso di Karoshi fu segnalato nel 1969. Un operaio di 29 anni che lavorava senza sosta nel reparto trasporti di un importante giornale giapponese trovò così la morte. Particolare scalpore fece anche il caso di Miwa Sado, una trentunenne reporter della televisione pubblica giapponese NHK, morta nel luglio 2013 per eccesso di lavoro, dopo aver svolto 159 ore di straordinario in un mese (esempio di contestate condizioni di lavoro fortemente alienanti, ma solo dopo quattro anni la NHK, pensate, fu costretta a rivedere le norme contrattuali applicate in azienda).

Fin dal 1987, considerato l’aumento dei casi di Karoshi, il Ministero del Lavoro giapponese cominciò a pubblicare le statistiche sul Karoshi. L'espansione economica internazionale delle multinazionali giapponesi, considerati i sistemi alquanto stressanti di lavoro, riuscì anche a diffondere oltreconfine la nozione di Karoshi, in primis verso Paesi quali la Cina, la Corea e Taiwan. Ebbene, la domanda che molti si sono posti e continuano a porsi è questa: per quale ragione in Giappone il lavoro risulta essere così carico di pesi e di ore di lavoro, rispetto agli altri sistemi lavorativi similari in altre nazioni? La risposta non è semplice e parrebbe avere radici lontane.

Il Giappone uscì sconfitto al termine della Seconda Guerra Mondiale. A pagare un prezzo altissimo fu l’orgoglio nazionale, punto cardine del tessuto sociale e culturale giapponese. Per poter mettere mano alla ricostruzione, il Giappone dovette ripartire da zero; gli sforzi furono immani e giorno dopo giorno lo yen divenne sempre più solido e cominciò a rinascere: era il cosiddetto "miracolo economico giapponese". Ma quale fu il prezzo pagato per questo miracolo? La cultura giapponese, fortemente ancorata a valori quali l'orgoglio, il sacrificio e la felicità come conseguenza dell'impegno nella produzione, riuscì a comprimere allo spasimo i lavoratori, che iniziarono a lavorare oltre i normali orari, minando in questo modo l’equilibrio psicofisico, sottoposto a carichi insopportabili.

Il successo, lo sappiamo, ha sempre avuto le sue vittime sacrificali. Seppure il comportamento esagerato dei giapponesi risulti poco comprensibile da parte di noi occidentali, un certo contagio possiamo dire di averlo subito. Chi di noi non ha mai sentito parlare di certe persone definite "grandi lavoratori", oppure non ha mai visto amici o colleghi esaurirsi di lavoro, restando in ufficio dall’alba al tramonto, ben al di fuori degli orari prestabiliti e concordati? Che dire, poi, dei lavoratori in Smart Working, che restano il doppio delle ore sul computer, seppure operando da casa?

Amici, è pur vero che il Giappone è una delle superpotenze mondiali, ma è anche vero che dietro all'immagine della nazione florida che tutti conosciamo, aleggia la grande ombra del Karoshi, una piaga sociale sempre più diffusa e pericolosa. E di questa malattia si continua morire, non solo in Giappone. Ne è stato vittima il responsabile marketing dei prodotti di Sony che, in trasferta negli Emirati Arabi nel 2018, ha avuto un collasso cardiaco: sul cartellino c'erano più di 80 ore mensili di solo straordinario. La stessa sorte è toccata a una reporter della NHK (una stazione radiofonica e televisiva pubblica nazionale) che, nel 2013, è stata trovata morta nel suo appartamento con il cellulare in mano: soltanto quel mese aveva fatto ben 146 ore di straordinario. E l’elenco di casi come questi è ben più lungo.

Il Governo in Giappone ha già iniziato a correre ai primi ripari. Dopo le centinaia di casi riconosciuti di Karoshi, sono state mese in moto delle iniziative  come il "Premium Friday" (uno stimolo per poter uscire dall'ufficio alle 15 dell'ultimo venerdì del mese) oppure quella di istituire un numero verde specifico per chi soffre di questo esaurimento causato da troppo lavoro. Ma di certo non basta. Il problema vero è quello della ricerca della così detta “Felicità”, raggiungibile certamente con un delicato equilibrio tra vita personale, vita familiare e vita lavorativa e sociale.

Cari amici, viviamo immersi in una società iper-consumistica, popolata da tanti individui spremuti come limoni, esausti, insoddisfatti e che si muovono con difficoltà, una volta usciti dal lavoro, nell'intraprendere i necessari rapporti interpersonali. Dobbiamo trovare il sistema per ribadire loro che “di troppo lavoro si muore”! Facciamo capire che la spinta e la pressione a cercare di fare di più, ad eccellere e sacrificare per questo la propria vita personale e familiare, non paga. Solo comprendendo questo, potremo dire che “lavoriamo per vivere (possibilmente bene) e non viviamo, invece, per lavorare”, morendo alla fine di troppo lavoro!

A domani.

Mario

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