Oristano
26 Aprile 2019
Cari amici,
Un convegno, quello di
Mercoledì 24 aprile, svoltosi al Museo Diocesano Arborense nella sala S. Pio X,
che è stato non solo di grande interesse, ma addirittura capace di far
riflettere tutti, su un problema che tocchiamo con mano ogni giorno: quello del
reale valore dei “Confini”, sia territoriali che culturali.
Il convegno, organizzato
dal MEIC (Movimento Ecclesiale di Impegno Culturale) e dall’Arcidiocesi di
Oristano, ha avuto come protagonisti due relatori eccellenti: il prof. Stefano
Biancu dell’Università LUMSA di Roma e il dottor Federico Simonti, saggista,
operativo a Parigi. Coordinatrice della serata Lina Lai, Presidente diocesana del
MEIC. Il tema sviluppato era indubbiamente complesso, come già lo stesso titolo
evidenziava: “PERCORSO FRONTIERE. L’AMBIVALENZA DEI CONFINI: UN DILEMMA EUROPEO”.
Il convegno, ben
partecipato, ha visto in prima fila l’Arcivescovo Mons. Sanna, padrone di casa, il
direttore del settimanale L’Arborense, Michele A. Corona ed esponenti del MEIC, tra cui Luisanna
Usai. Dopo i saluti iniziali della presidente Lai, ha preso per primo la parola
il prof. Biancu, che, oltre che stimato docente universitario sardo, è anche direttore
della rivista di cultura europea “Munera”, il cui ultimo numero ha affrontato
proprio il tema trattato: il “Percorso
Frontiere”.
Il prof. Biancu, ha
iniziato chiarendo che, data l’importanza rivestita dall’interpretazione dei
confini (in questo periodo particolarmente difficile), ha voluto dedicare il
primo numero dell’anno in corso della rivista ‘Munera’ proprio alla spinosa
questione. “Gestire i confini, politici, economici, finanziari, tra diritti comuni
reclamati e “capricci” di individualismo egoistico - ha detto -
sta risultando sempre più difficile”. Difficoltà che risulta del tutto
evidente osservando i comportamenti manifestati anche di recente da alti
esponenti della politica, come Trump e Orban, per esempio, che considerano i
confini solo come muri difensivi (esistenti o da edificare).
Difficile al giorno
d’oggi pensare ai confini in positivo, ovvero considerarli non come muri ma
come spazi aperti, come qualcosa di permeabile, di poroso, come ad esempio la
nostra pelle. Permeabilità che dovrebbe fare rima con ospitalità, non come
respingimento; l’accoglienza è un termine positivo, che parte dall’etica individuale,
in quanto l’inserimento nella Comunità del “diverso”, dello straniero, è
qualcosa di molto difficile da realizzare: è come riuscire a far camminare un
elefante dentro una cristalliera. I confini dove si affacciano popoli diversi,
dovrebbero essere luoghi d’incontro, non di scontro.
I confini, visti in
positivo, sono o dovrebbero essere un luogo di sano e costante confronto; luoghi di
“indipendenza reale”, o meglio dire di “Inter-dipendenza”,
che si estrinseca nell’accettazione dell’altro, che porta alla logica del far
considerare entrambi soggetti “alla pari”. I confini “sani”, sono quelli dove
ciascuno ha il suo, senza prevaricazioni di sorta; luoghi dove ognuno, da una
parte e dall’altra, “è pienamente se stesso”, senza violenze o sottomissioni.
Certo, raggiungere questa consapevolezza, accettare i propri limiti, è una
grande sfida: molto difficile da vincere. Eppure è necessario farlo: accettare l’altro
e allo stesso tempo accettarsi!
Dopo un breve intervallo da parte di Lina Lai, la parola è passata poi al dottor
Federico Simonti. Egli, partendo dal contenuto del suo libro (“L'invenzione della frontiera. Storia dei
confini materiali, politici, simbolici (Odoya, pp. 350)”, ha parlato delle
varie forme contemporanee di frontiera. Le frontiere sono spazi mobili, dove si
avanza così come si arretra, a seconda che domini la curiosità o la paura.
Tante, ha detto, le diverse frontiere costruite dall’uomo nella storia e perduranti ancora
nel presente; sotto certi aspetti oggi più di ieri, legate al concetto di linea
(confine, border) oppure a quello di differenza
e distanza tra due spazi contigui, o ancora a quei luoghi che sembrano
destinati ad essere solo attraversati.
La frontiera, ha
ribadito, non dovrebbe mai essere quella intesa come confine invalicabile (tipo
“fronte” di battaglia), ma spazio che unisce e non divide. Non muri fisici come
quello ipotizzato oggi da Trump, né ideologici, ma spazi di confine tra uguali, tra popoli che cercano la possibile
convivenza; luoghi importanti di confronto, di dialogo e non di scontro. Insomma,
luoghi di “prossimità”, dove vivere in comune nel pieno rispetto reciproco.
In conclusione, ha
ribadito Simonti, ci vuole certamente un grande sforzo collettivo per riscoprire il
contatto umano oggi carente, però è necessario e urgente farlo. Solo allora nel
mondo si potrà ritrovare la “Frontiera come luogo d’incontro”, e non di
scontro, confine ‘spazio comune’ non “frontiera di guerra” fratricida.
Cari amici, dopo i lunghi
applausi ai relatori l’interesse del pubblico è stato evidenziato anche da un
dibattito, nato dalle diverse domande che ha voluto porre, atte a meglio
chiarire i concetti esposti, confrontandoli con quelli personali. La
soddisfazione del pubblico ha fatto capire anche la necessità che relazioni e
dibattiti così importanti e interessanti possano essere seguiti da altri incontri su temi
vicini a quello trattato, sempre utili a rafforzare la nostra visione del mondo
e dei nostri simili, in particolare alla luce dei principi della nostra fede
cristiana.
A domani.
Mario
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