Oristano
28 Aprile 2016
Cari amici,
La notte del 26 aprile
1986, all'1.23, trent’anni ad avant’ieri, una catena di potenti esplosioni
distrusse il reattore nucleare di Chernobyl, in Ucraina, allora Unione
Sovietica. Un disastro di proporzioni catastrofiche, che ha contaminato per
migliaia di anni un territorio abitato da una popolazione operosa e causando non poche vittime. Com'è, oggi, a distanza di 30 anni, quel luogo violentato, diventato sotto molti aspetti spettrale,
dove il tempo sembra essersi fermato e l’uomo quasi certamente non potrà più abitarlo, coltivarlo, viverci?
Lorenzo
Cremonesi, giornalista del Corriere della Sera, nell’approssimarsi
del trentennale del disastro, è voluto tornare a Chernobyl per verificare di persona
lo stato attuale di quei luoghi, per vedere cosa fosse nel frattempo cambiato a 30 anni dal disastro. Una volta arrivato a Kiev, utilizzando
l'auto si è addentrato nei luoghi contaminati, munito prudentemente di un contatore
delle radiazioni che, oltre la soglia di 30, inizia a lanciare i suoi segnali d’allarme
con il suo «beep beep» acuto e insistente. Le radiazioni, infatti, se rimani a lungo
esposto senza protezione, sono altamente pericolose: lo dimostra il picco raggiunto dai casi di tumore al cervello e all’ipofisi registrati in Ucraina a
partire dai primi anni Novanta e oggi ancora molto presenti.
Il viaggio del
giornalista verso Chernobyl, che dista circa 120 chilometri dalla capitale
Kiev, si è svolto in una campagna apparentemente normale; a circa 20 minuti
dall’arrivo, però, la strada era controllata da un posto di blocco militare, che
permette, caso per caso, l’accesso alla «Zona» contaminata. Il giornalista
Cremonesi, nel resoconto fatto al suo ritorno, ecco come racconta la sua
impressione sulla situazione di oggi, sul permanere di una tragedia che durerà
ancora molti secoli:
“…È
però tra le isbe semi sommerse dalla vegetazione dei villaggi di Zalesia e
Kopachi che arriva forte uno degli aspetti più unici di quella tragedia.
Trent’anni dopo, nella zona chiusa che per un raggio di trenta chilometri
circonda le centrali nucleari di Chernobyl, è come se il tempo si fosse
fermato. Meglio chiarire, perché messa così appare come una frase fatta. Il
tempo ha continuato a scorre implacabile, come ben sa fare lui. Sono cresciuti
alberi, cespugli, le strade sono state ricoperte dalla vegetazione, le isbe più
fragili sono semi-crollate, marciti i pavimenti in legno, arrugginiti i
macchinari, scoloriti i giocattoli dei bambini. L’intera regione è diventata
una riserva faunistica ricca con volpi, lupi, cavalli selvaggi, uccelli rari,
orsi. Il dato più interessante è la scoperta della vecchia Unione Sovietica
cristallizzata al momento dell’ordine di evacuazione generale. La cittadina di
Pripyat contava 55.000 abitanti. Oggi alberi alti oltre 20 metri hanno invaso
la piazza, il supermercato, i cortili delle scuole. Il parco giochi con gli
auto-scontri, la ruota e le giostre stanno decadendo in un ammasso di rottami
arrugginiti. Eppure le strutture sportive restano a testimoniare il culto per
la ginnastica che fu il fiore all’occhiello dell’Urss. Dopo i primi giorni di
incertezza, le autorità impartirono l’ordine di partenza. Ci furono oltre
200.000 evacuati. «Soleterre», l’organizzazione non governativa italiana
impegnata nella lotta contro il cancro come conseguenza della tragedia di Chernobyl,
specialmente tra i bambini, sottolinea che oltre 150.000 chilometri quadrati di
territorio tra Bielorussia, Russia e Ucraina rimasero inquinati. I medici e
specialisti con cui collabora l’ONG raccontano che la conseguenza delle
radiazioni è stato il proliferare di tumori soprattutto al cervello e
all’ipofisi, oltre alle leucemie. «Il sistema sanitario dell’Urss quasi non
teneva registri. Sono difficili i paragoni. Ma possiamo affermare che in
Ucraina dal 1986 i tumori sono aumentati di 6,2 volte. Da noi la situazione è
più grave rispetto al Giappone dopo l’incidente di Fukushima 5 anni fa», dice
Volodymyr Mykhaylyuk, 46enne oncologo di Kiev che coopera con gli italiani…”.
Le reazioni nucleari,
con il loro quasi inestinguibile effetto che neanche lo scorrere del
tempo riesce ad eliminare, se non in tempi lunghissimi, rimarranno padrone di
quella zona ancora per chissà quanto tempo. Un disastro di proporzioni immani, che finora ha causato
migliaia di morti, forse decine di migliaia, perché la gente continua a morire.
Un quadro, quello che ancora oggi appare, che dovrebbe rappresentare un grande “cartello giallo di ultimo avviso" diretto all’umanità
intera: il nucleare non è un’energia costruttiva ma distruttiva, dalla quale è
meglio distaccarsi, anche se molti continuano a volerlo ignorare. Non è questa
la via per produrre l’energia che necessita all’uomo! Ci sono ben altre vie meno pericolose da
percorrere.
Cari amici, la tragedia di Chernobyl
dovrebbe essere presa ad esempio da tutto il mondo, dovrebbe far riflettere seriamente sui
pericoli che il nucleare rappresenta, se pensiamo che anche il disastro di
Fukushima non è stato certo tenero con la popolazione di quei luoghi per le sue nefaste conseguenze. L’uomo, con intelligenza, dovrebbe
investire di più e meglio sulle rinnovabili, perché quanto ottenuto oggi,
correndo certi rischi, certamente non paga nel lungo periodo, se vogliamo che i
nostri figli possano ancora vivere degnamente la loro vita in questo pianeta.
Spesso dimentichiamo
che la terra, il pianeta dove abitiamo, non è di nostra proprietà: l’abbiamo
ricevuta in comodato, ed è nostro compito, abitandola, conservarla, non
violentarla, perché essa possa rimanere integra, ed essere consegnata sana e vivibile ai
nostri figli ed alle nuove generazioni. Il mio auspicio è che la saggezza prevalga!
A domani.
Mario
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