Oristano 20 settembre 2022
Cari amici,
Che la politica, in
particolare in periodi elettorali, cerchi, per mere ragioni di convenienza, l'acquisizione di
voti ribaltando le sagge decisioni prese in passato, come ad esempio l'eliminazione del tetto agli emolumenti erogati ai dirigenti della Pubblica Amministrazione (fissato a 240mila euro lordi
all'anno), è un dato di fatto. L'occasione per effettuare il primo, piccolo blitz, è stato dato dall'approvazione della legge di
bilancio al Senato, che ha permesso di aggiornare il precedente limite allineandolo agli aumenti previsti
nei rinnovi dei contratti nazionali del pubblico impiego; a questo ha fatto seguito una
prima deroga esplicita, che permetteva di superare i 240mila euro, senza fissare, ex ante, alcun nuovo limite fisso agli stipendi di un selezionatissimo gruppo
di alti vertici della pubblica amministrazione.
Indubbiamente una interessata decisione
politica, volta alla ricerca di nuovo consenso, creata con un correttivo inserito in
extremis nel Decreto-legge inerente agli Aiuti-bis, portato in Senato per la
conversione. Con un accordo fra i partiti, che ha superato anche il netto
disappunto manifestato da Palazzo Chigi, ne avrebbero goduto i
vertici delle Forze armate e dei Ministeri. Sarebbero rientrati nel gruppo il
capo della polizia, i comandanti generali di Carabinieri e Guardia di Finanza,
il capo dell'amministrazione penitenziaria, i capi di Stato maggiore di difesa
e Forze armate, il comandante del Comando operativo di vertice interforze, e il
comandante generale delle Capitanerie di Porto. Ma, soprattutto, accanto a loro avrebbero ottenuto la deroga tutti i capi dipartimento e i segretari generali sia della Presidenza del Consiglio che dei Ministeri. Ma il colpo di mano, alla fine, non è riuscito ad andare in porto.
Il Presidente del Consiglio Mario Draghi, seppure con poteri limitati all’ordinaria amministrazione, ha
deciso che era necessario fare marcia indietro. Il Governo ancora in carica ha subito presentato un emendamento che sopprime l’articolo 41 bis del decreto Aiuti bis
sulla deroga al tetto degli stipendi dei dirigenti della pubblica
amministrazione. Lo ha reso noto proprio una fonte di Palazzo Chigi. Una
decisione forte, necessaria per annullare il precedente emendamento inserito
nel decreto aiuti bis approvato martedì in Senato, che aveva cancellato il
tetto dei 240mila euro lordi all'anno che finora aveva limitato tutti gli alti stipendi
riconosciuti ai dirigenti della Pubblica Amministrazione.
Il correttivo, voluto e sostenuto
fortemente da Mario Draghi, era l’epilogo del forte disappunto venutosi a
creare dopo l’approvazione della cancellazione del tetto, avvenuto con il
metodo del blitz all'ultimo minuto utile, in quanto contenuto nell'ultimo intervento normativo parlamentare
prima delle elezioni; un blitz che aveva superato anche la resistenza del Ministero
dell'Economia, dove la verifica delle coperture ha impedito lo stop per ragioni
contabili, in quanto le coperture c’erano.
Dopo lo stop imposto, per evitare la magra
figura di aver giocato sporco, i leader dei partiti hanno cercato di trovare
giustificazioni al loro operato. Il leader di Italia Viva Matteo Renzi ha affermato che
«purtroppo abbiamo dovuto votarlo per non far saltare tutti i 17 miliardi di
aiuti», e anche i Cinque Stelle, a modo loro, hanno annunciato battaglia. Il MEF, invece, aveva
replicato spiegando di aver dato solo un «contributo tecnico». Insomma: il
correttivo è stato approvato da tutti in Commissione (Lega, M5S e Fdi si sono
sfilati in Aula) ma non sembrava piacere a nessuno.
Cari amici, il Governo
(forse perché il Presidente del Consiglio non è un politico) ha, dunque,
cercato con forza di mettere una pezza al buco che si stava creando con l'approvazione della norma che voleva cancellare il tetto agli stipendi erogati ai dirigenti della PA. C’è chi
parla di “Dispetti tra boiardi, dietro la manina politica”! Sarà vero? Chissà!
A domani.
Mario
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