Oristano 30 aprile 2022
Cari amici,
Con l'ultimo post di aprile voglio tornare a parlare con Voi di violenza, in particolare di quella sulle donne. Una violenza subdola, sottile e sotterranea, che crea anche dipendenza, come avviene nella così detta “Sindrome di
Stoccolma”. Ho già avuto occasione di parlare su questo blog del problema creato da questa sindrome, ma limitandomi a focalizzare il problema sui sequestri di persona. Chi è curioso può andare a leggere quanto
scrissi in data 19 marzo 2015, cliccando sul seguente link: http://amicomario.blogspot.com/2015/03/la-sindrome-di-stoccolma-quando-chi.html.
Quel mio intervento fu alquanto limitato, ripeto, in quanto mi occupai soprattutto delle conseguenze psicologiche ricadenti sulle persone rapite a scopo di estorsione; soggetti che,
durante la prigionia, maturavano nei confronti dei loro sequestratori dei sentimenti positivi,
che in certi casi sono arrivati addirittura all’amore tra vittima e carnefice.
Oggi, però, la mia
riflessione vuole analizzare la sindrome che colpisce le donne nel rapporto di
coppia; ovvero quel dramma interiore creato da quei tanti casi di violenza di genere, perpetrati dai compagni
di vita violenti. Violenze subdole, fatte di angherie e soprusi, percosse e aggressioni, arrivando perfino alla perdita della vita. Ebbene, anche in molti di questi casi è presente una forma di “Sindrome di
Stoccolma”, perché molte donne abusate e preda di violenze non denunciano il
loro aggressore, nonostante i traumi subiti. Questo particolare stato di
dipendenza psicologico/affettiva della donna verso il suo partner, è costituito
da un particolare sentimento positivo nei confronti del suo aggressore, tanto da arrivare a
giustificare il comportamento anomalo del partner.
La condizione paradossale
di ‘amare’ il proprio carnefice appartiene a quei sintomi noti come dipendenza
affettiva correlata al trauma da narcisismo in età adulta. La spinta affettiva
e irrazionale verso chi abusa, maltratta, trascura, è stata individuata in
ambito criminologico proprio col nome di Sindrome di Stoccolma per i
fatti li avvenuti nel 1973 (descritti in dettaglio nel mio post prima citato) che
evidenziavano l’attaccamento emotivo verso i rapitori di un gruppo di impiegati
di banca rimasti ostaggi per giorni durante una rapina.
Sindrome caratterizzata
dall’empatia manifestata dalle vittime nei confronti dell’aggressore, che veniva
giustificato e difeso, tanto da desiderare di mantenere un contatto con lui
nonostante i soprusi subiti. Sul piano della logica questa sindrome appare
insensata e incomprensibile, perciò richiede un esame psico-logico che prenda
in considerazione le difese più arcaiche della psiche rispetto al trauma. Ogni
minaccia all’integrità è percepita come inspiegabile dall’individuo che la
subisce e innesca risposte automatiche finalizzate a conservare quel che resta
dell’integrità offesa. Tra queste, nella Sindrome di Stoccolma come nella
dipendenza affettiva, spiccano la negazione e la mancata condanna verso l’aggressore.
Amici, all’interno della
coppia quando la donna subisce l’aggressione, nella sua mente scatta il
meccanismo che cerca una giustificazione alla violenza subita; un processo mentale
che cerca di nascondere la realtà, quasi negandone l’esistenza. Ciò accade
quando la vittima non vuole credere alla brutalità del suo carnefice e, per
salvarsi, ricerca significati sentimentali nel suo agire, per inventarsi una
speranza di cambiamento e di salvezza per il futuro. Questa tolleranza, questa
giustificazione alla violenza subita, fa sì che le vittime non denuncino il fatto,
ostacolando il lavoro degli investigatori con atteggiamenti negativi e
reticenti verso le Forze dell’Ordine.
Il risultato della “giustificazione
della violenza” ha ben altri risvolti negativi nella vita sociale. Uno dei più importanti è il
progressivo isolamento della famiglia, che, come conseguenza, comporta l’aggravarsi
della dipendenza psicologica dal partner-aggressore, che in questo modo può continuare
a tiranneggiare indisturbato la sua vittima, una volta alienate le altre figure presenti
intorno a lei. La risultante? Un doloroso “sequestro simbolico”, un sequestro
senza catene, né armi, né prigioni visibili, ma non per questo meno
traumatizzante dei reali sequestri di persona ben noti e correlati alla Sindrome di Stoccolma.
Cari amici, purtroppo la
violenza sulle donne continua senza sosta; è auspicabile che vengano aumentati gli
strumenti atti a sensibilizzare in modo costante chi ne è vittima, fin dalle
sue prime manifestazioni. È questa una necessità assoluta, irrinunciabile, che deve essere portata avanti senza tentennamenti: in questo modo molte violenze
cesserebbero e non poche vite potrebbero essere salvate.
A domani.
Mario