mercoledì, aprile 27, 2022

PLASTICA: NUOVE E INTERESSANTI RICERCHE PER RISOLVERE IL PROBLEMA DELL’INQUINAMENTO. SCIENZIATI CINESI E GIAPPONESI HANNO SCOPERTO CHE ALCUNI FUNGHI E BATTERI SONO CAPACI DI DEGRADARE LA PLASTICA.


Oristano 27 aprile 2022

Cari amici,

Che l’inquinamento dei mari e degli oceani, dove ogni anno si riversano oltre 8 milioni di tonnellate di rifiuti plastici, sia un problema serissimo lo sappiamo in tanti. Gli scienziati, in ogni parte del mondo sono al lavoro per cercare adeguate soluzioni, seppure molto difficili da trovare. Oggi voglio parlare con Voi di alcune recenti scoperte che potrebbero dare una mano. Due gli importanti studi, uno portato avanti dall'Istituto di Oceanografia, parte dell’Accademia Cinese delle Scienze, e l’altro dal Kyoto Institute of Technology, unitamente ad altri istituti giapponesi.

Secondo il team di ricerca dell'Istituto di Oceanologia cinese, guidato da Sun Chaomin, un particolare fungo marino è in grado di degradare efficacemente il polietilene e altre plastiche, con alcune tipologie che vengono degradate in pezzi in sole due settimane. I ricercatori hanno raccolto oltre 1.000 pezzi di rifiuti di plastica dal 2016 in poi e hanno potuto osservare che su alcuni campioni di plastica era presente un fungo particolare che, in circa quattro mesi, riusciva a provocare una riduzione delle dimensioni della plastica, oltre a cambiarne il colore, trasformando anche il materiale in piccoli frammenti.

L’analisi ha evidenziato le capacità del fungo, che si è confermato capace di degradare la plastica per circa il 95%, oltre ad essere innocuo per l'ambiente. I ricercatori hanno anche migliorato le condizioni di coltura e l'efficienza di degradazione del fungo. Il poliuretano, il poliestere e le plastiche biodegradabili possono essere degradati in frammenti addirittura entro due settimane. Il team di ricerca ha richiesto un brevetto nazionale per il risultato del proprio studio.

Considerato l’immenso riversamento di plastiche negli oceani, questi rifiuti sono ormai di alta pericolosità, in quanto sballottati nell'oceano diventano poi microplastiche che entrano nella catena alimentare globale, rappresentando una grave minaccia per l'ecosistema marino. I funghi marini, dunque, sono considerati un candidato promettente per la degradazione della plastica e possono offrire nuove soluzioni al problema dell'inquinamento plastico globale, ha osservato il ricercatore Sun Chaomin.

L’altro importante studio riguarda il comportamento di certi batteri particolari. A scoprirli è stato il Team guidato da Shosuke Yoshida, del Kyoto Institute of Technology, che ha operato unitamente ad altri colleghi di altri istituti giapponesi. Il risultato, ottenuto, riportato sulla rivista “Science”, è importante perché apre la strada a possibili, nuove soluzioni dei problemi ambientali, dovuti alla dispersione di questo materiale fortemente resistente alla biodegradazione.

Come il PET, la comune plastica con cui vengono prodotte le bottiglie per bevande, che questi batteri pare riescano a idrolizzare. Il risultato potrebbe aprire nuove strade per il riciclaggio di questo materiale, la cui dispersione nell'ambiente rappresenta un problema sempre più gravoso in tutto il mondo. Basti pensare che nel solo 2013, nel mondo sono state prodotte 56 milioni di tonnellate di PET, derivate per il 90 per cento dal petrolio. Si calcola inoltre che solo il 14 per cento circa viene separato e avviato ai processi di riciclaggio. Molti laboratori di ricerca, pertanto, cercano soluzioni possibili, come il reperimento di microrganismi in grado di digerire questo indistruttibile materiale: finora gli unici che sembrano capaci di farlo sono alcune specie di funghi, ma batteri ancora no.

Yoshida e colleghi hanno raccolto 250 campioni di detriti di PET e hanno testato la capacità di alcuni ceppi batterici che utilizzano il PET come fonte primaria di carbonio per vivere. Hanno così identificato un nuovo batterio, battezzato Ideonella sakaiensis 201-F6, che pare in grado di degradare quasi completamente un film sottile di PET dopo sei settimane alla temperatura di 30 gradi. Approfondendo i meccanismi utilizzati dal batterio, gli autori hanno identificato un enzima, denominato ISF6_4831 che, in presenza di acqua, è in grado di scindere il PET in una sostanza intermedia, che a sua volta viene degradata da un secondo enzima. In pratica, questi due enzimi da soli possono scindere il PET nei suoi costituenti fondamentali, e anche se l'intervallo di tempo richiesto è piuttosto lungo, potrebbero comunque trovare un'utile applicazione nelle tecnologie di riciclaggio.

Amici, che sia davvero arrivato il momento di sconfiggere la peste del millennio, chiamata plastica?

A domani.

Mario

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