mercoledì, settembre 11, 2019

IL RECENTE MONITO DELL’OCSE: IN ITALIA NEL 2050 CI SARANNO PIÙ PENSIONATI CHE LAVORATORI. IL PERICOLO DELLA RIDUZIONE DRASTICA DEL WELFARE.


Oristano 11 settembre 2019

Cari amici,

In Italia una triste realtà è che, a livello pensionistico, i conti non tornano! Con l’allungamento della vita media, con il drastico calo della natalità, con la costante diminuzione dei posti di lavoro, il necessario equilibrio tra le persone attive che lavorano (e pagano i contributi) e quelle che percepiscono la pensione è saltato: le previsioni fatte dall’OCSE nell’ultimo studio presentato evidenziano che, senza interventi risolutori, nel 2050 ci saranno più pensionati che lavoratori in servizio. Questo sta a significare che se entra 10 ed esce 12 o 15, qualcuno dovrà trovare i soldi mancanti.
Certo, la realtà prima evidenziata non è solo italiana, considerato che molti Paesi occidentali condividono lo stesso problema in quanto l’aumento dell’aspettativa di vita riguarda tutto l’Occidente, ma nel caso Italia il problema appare più complesso. L’aumento del numero dei pensionati a carico del nostro Istituto di Previdenza (INPS) metterà in crisi seria le casse previdenziali, perché si sommerà al «buco» demografico, visto che mancheranno all’appello - secondo le previsioni (questa volta dell’Istat) circa 6 milioni di potenziali lavoratori. 
Il problema, cari amici, non è scoppiato così all’improvviso, visto che è sul tappeto da tempo, a partire dalla mai dimenticata Riforma Fornero, anche se, nonostante la legge, in questi anni l’età del pensionamento non si è affatto allungata come avrebbe potuto, a causa delle immense resistenze messe in atto e della crisi occupazionale. Le analisi statistiche, confrontate con la media dei Paesi Ocse, hanno stabilito un confronto parallelo (inedito) tra oggi e 30 anni fa, quando questi problemi non c’erano proprio ed erano praticate con disinvoltura le così dette “baby pensioni”, che risolvevano le crisi di interi settori industriali con massicce dosi di prepensionamenti di operai e impiegati. 
Ebbene, in 30 anni, seppure sembri incredibile, i grandi numeri non sono cambiati di molto, e provvedimenti come la legge Fornero (tesa a raddrizzare la situazione oramai in zona Cesarini), non hanno modificato sostanzialmente la situazione, rimasta comunque squilibrata. Ora, di fronte al rapido invecchiamento della popolazione, l'Ocse invita tutti i Governi a promuovere «maggiori e migliori opportunità di lavoro in età avanzata».
Cari amici, il problema può essere definito non solo preoccupante ma drammatico. Un rapido invecchiamento della popolazione dovrà necessariamente richiedere una forte azione politica concertata, tale da promuovere l'invecchiamento attivo e non passivo, in modo da poter compensare le tragiche conseguenze, potenzialmente così gravi da mettere in pericolo gli standard di vita di molte famiglie, oltre che le finanze pubbliche. È necessario, pertanto, incoraggiare i lavoratori più anziani a continuare a lavorare, trovando ovviamente le giuste condizioni per farlo.
L’allungamento della vita, infatti, passa anche attraverso una migliore condizione fisica, cosa che consentirebbe a molti anziani di essere ancora utili e produttivi. Nel rapporto OCSE sono evidenziate le possibili, necessarie misure da adottare, ovvero come mettere in atto una maggiore flessibilità nell'orario di lavoro, consentimenti dei part time e migliori condizioni di lavoro, queste ultime consone ai lavoratori di età non più giovanile. 
Un recente, interessante articolo uscito sul Sole 24 Ore, ha messo in evidenza il fatto che “trovando un sistema per ritardare l'età media in cui i lavoratori più anziani lasciano il posto di lavoro e riducendo il divario di genere nella partecipazione della forza lavoro in età più giovane, sarebbe già un bel passo verso un maggiore equilibrio tra lavoratori e pensionati”.
La soluzione possibile nella nostra Italia dovrà necessariamente essere affrontata politicamente senza rinvii e giochi di prestigio, che sarebbero solo un placebo. Dopo mille resistenze è ormai nato un nuovo Governo. Certamente uno degli argomenti importanti da affrontare sarà quello di analizzare, in tutta la sua interezza, la “Quota 100” che al momento è apparsa più un danno che un guadagno e una seria revisione del "Reddito di cittadinanza", che dovrà essere meglio ancorato alle aziende che assumono. Vedremo se Conte, alle prese col suo secondo mandato, sarà in grado di trovare l’assenso per la radicale trasformazione di questi due provvedimenti. Il primo, in linea teorica scade nel 2021 e per essere rifinanziato nel 2020 avrà necessità di nuove coperture (si parla di una cifra vicina ai 5 miliardi di euro). 
Quanto al Reddito di cittadinanza, appare necessario un suo profondo riesame, in quanto a sentire gli esperti non ha portato i benefici sperati, non avendo coinvolto in modo totale le aziende che avrebbero potuto, con la corposa cifra messa a disposizione, creare quei posti di lavoro che al momento non ci sono. 
Credo che il neonato, secondo Governo Conte di gatte da pelare ne avrà, fin da subito, davvero tante!
A domani.
Mario



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