Oristano 7 Giugno 2018
Cari amici,
L’argomento
immigrazione è un problema davvero drammatico, difficile da affrontare anche in
Sedi istituzionali ben più qualificate di questo blog. L’ampiezza del fenomeno, che sotto
certi aspetti è diventato un esodo di dimensioni bibliche, però, dovrà essere affrontato
in modo concreto, e non semplicemente rinviato tamponando solo l’emergenza, come si sta
continuando a fare. Affrontare problemi di importanza così vitale per il
futuro dell’umanità, richiederà unione e coesione fra Stati, che in particolare dovrà essere messa in atto
dai Paesi sviluppati, decisi a sostenere lo sviluppo dei Paesi ancora legati all'economia primordiale. Solo una saggezza collettiva, in un tempo medio lungo, potrà dirci
se e come l’esodo potrà essere mitigato e poi risolto.
Partendo dal
presupposto che il migrante non è solo colui che fugge da guerre, torture e
prevaricazioni, ma anche chi nella sua terra non trova quanto necessario per vivere
una vita dignitosa, io sono convinto che molto può essere fatto anche subito, da parte di quei Paesi che, come
il nostro, possono dare una prima soluzione al problema alimentare. Cerco di
spiegare meglio il tipo di intervento possibile nell’immediato.
L’enorme differenza tra
i Paesi sviluppati e quelli del così detto Terzo Mondo, sta proprio nella mancata
conoscenza tecnologica, ovvero nella necessità di acquisizione di quei sistemi
e procedure semi-industriali che, applicate all’economia rurale (a volte ancora
primordiale) attualmente in essere, possono far fare un bel ‘passo avanti’ nella
produzione di beni e/o servizi necessari allo sviluppo dell’economia locale. Interventi
di questo tipo possono essere portati avanti sia nella produzione agricola che in quella dell’artigianato,
così come nella piccola industria e così via.
Amici, Mercoledì 30 Maggio, sfogliando
l’Unione Sarda, il nostro maggiore quotidiano dell’Isola, ho avuto il piacere di
leggere un articolo, a firma di Cristina Cossu, che aveva anche un titolo davvero interessante:
“Lezioni di pecorino in Giordania”.
In questo gradevole pezzo veniva riepilogata una straordinaria e bella esperienza
che un accorto e volenteroso pastore sardo di Escalaplano ha voluto fare ad Adir,
un paese di 2.000 abitanti posto nel deserto giordano di Kerak. Il disponibile benefattore sardo, dal cuore grande come molti sardi, si è
recato senza indugio in Giordania per insegnare ad un gruppo di ragazze a produrre del buon formaggio, utilizzando
la ricetta sarda. Una curiosa e bella
storia questa, che merita di essere raccontata.
La Giordania, amici, è
terra anche di profughi, che provengono da molte zone circostanti, cosa che fa aumentare ancora di più i problemi. Anche grazie
alla Chiesa cattolica, questa terra è diventata un rifugio per migliaia di
persone. Ebbene, in questo difficile Paese lavora un prete straordinario, Padre Mario
Cornioli, più noto come “Abuna Mario”, un sacerdote toscano che aiuta in
particolare i cristiani che fuggono dai Paesi in guerra. Ebbene, un giorno un
sardo, Stefano Lai di Escalaplano, pastore, apicoltore e imprenditore del
sughero, un uomo di 43 anni che, detto all’americana, può a pieno titolo essere
definito un “self made man”, riceve una telefonata da questo Abuna Mario. Come Stefano verrà a sapere dopo,
il suo nome glielo fece una donna sarda di Ovodda, Maria Paola Crisponi, persona
dinamica e determinata che si occupa di cooperazione internazionale.
Il prete toscano non ha
timore di chiedere a Stefano Lai nientemeno che di “fare l’istruttore caseario”,
per insegnare alla popolazione locale a fare per bene il formaggio! In realtà le pecore
ci sono, il latte pure (ed è anche molto buono), ma gli abitanti non lo sanno fare.
All’iniziale perplessità di Stefano, subentra però la sua innata curiosità,
quella che a quell’uomo non è mai mancata; la sua grande disponibilità d'animo gli fa dire: “va bene, vengo e vediamo quello che si può
fare”!
Stefano Lai è un uomo d’azione,
che non è abituato a perdere tempo: si organizza e parte subito per la Giordania,
destinazione Amman. C’è da raggiungere
Adir, un paese di circa 2.000 abitanti, composto da una popolazione di pastori come in
Sardegna, con tante pecore. Senza perdere tempo (si è portato appresso tutta una
serie di attrezzi e strumenti classici per fare il formaggio) inizia la sua
missione. Si rende subito conto che il latte è buonissimo, altamente proteico, certamente
in grado di produrre un ottimo formaggio.
Pur non conoscendo la
lingua, insegna con i gesti. A seguire le sue lezioni c’è un gruppo di ragazze
di Adir, attente e curiose, che in poco tempo diventano esperte. A chi chiede a
Stefano come ha fatto ad insegnare l'arte senza conoscere la lingua, sorride dicendo: “Come
ho fatto io ad imparare da mio nonno, con tanti SI e NO, e molto spesso anche
con un 'Mudu', ovvero un forte stai zitto!”.
Grazie a Stefano, ora in un paese del deserto del Kerak c’è un caseificio che produce dell’ottimo formaggio che, essendo molto simile a quello sardo, prenderà il nome di “Fiore di Giordania”. Questo prodotto ha già un mercato: è diventato richiestissimo da italiani, inglesi e americani che risiedono nella zona. E non è finita lì.
Grazie a Stefano, ora in un paese del deserto del Kerak c’è un caseificio che produce dell’ottimo formaggio che, essendo molto simile a quello sardo, prenderà il nome di “Fiore di Giordania”. Questo prodotto ha già un mercato: è diventato richiestissimo da italiani, inglesi e americani che risiedono nella zona. E non è finita lì.
Dopo il formaggio ora si
lavora anche la ricotta e si fanno le mozzarelle, queste ultime prenotate in anticipo
dalla pizzeria sorta nelle vicinanze (si chiama pizzeria
solidale ‘Mar Yousef’s pizza’), nata anch’essa dalla disponibilità italiana
alla cooperazione internazionale. In questo modo è iniziata una piccola
produzione industriale legata all’agro alimentare. La piccola industria ora,
dopo aver acquistato dalla Cina a buon prezzo la gran parte dell’attrezzatura in acciaio
inox, lavora a pieno ritmo: le ragazze hanno il loro stipendio (130 dinari
corrispondenti a 160 euro, ma che in Giordania sono tanti soldi), i pastori che
conferiscono il latte ricevono quasi 1 euro a litro (in Giordania è una cifra
esorbitante) e fanno a gara a portarlo al caseificio. Un intervento, quello iniziato da Stefano, che ha
cambiato in modo positivo, anzi straordinario, un’economia arretrata.
Cari amici, non ho
parole per descrivere la mia gioia per iniziative di questo genere. Credo che
la gran parte dei Paesi sviluppati e industrializzati dovrebbe operare
massicciamente in tal senso. È proprio investendo "a casa loro" che noi possiamo e dobbiamo aiutare le popolazioni economicamente arretrate! E' ora di smetterla di usare il nostro surplus per
sfamare la gente che non può provvedere a nutrirsi e che quindi emigra venendo a casa nostra! L’unica soluzione da portare avanti con costanza e determinazione è
insegnare loro a creare le condizioni per procurarsi il cibo, ma "A casa loro"! In una parola:
non dobbiamo aspettare che rischino la vita in mare per chiedere di essere sfamati a casa nostra: noi non dobbiamo fornire loro il pesce già cucinato per lenire la fame, ma dare loro l’amo, insegnando
le tecniche di pesca e quant'altro, perchè valorizzino le risorse della loro terra.
Chi
ha orecchie da intendere, intenda!
A domani.
Mario
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