Oristano 3 Maggio 2017
Cari amici,
La scoperta è di quelle
che fanno davvero rumore! Una ricercatrice italiana, di Piombino per
l’esattezza, Federica Bertocchini,
ha fatto di recente una scoperta a dir poco eccezionale: un bruco, a noi già
abbastanza noto, si è rivelato un ottimo mangiatore di plastica. La notizia
della sensazionale scoperta, unitamente al nome della sua autrice, da giorni circola
in tutto il mondo. La Bertocchini, nata 49 anni fa a Piombino è, per la cronaca,
un “cervello in fuga”, andata via
dall’Italia ben 20 anni fa. Quando ha fatto la sensazionale scoperta era una “lavoratrice
a contratto” presso l’Istituto di Biomedicina e Biotecnologia del CNR spagnolo,
a Santander. Si, cari amici, “era”, perché il 28 Aprile scorso è stato il suo
ultimo giorno di lavoro.
Da quella data infatti,
scaduto il suo contratto, è oggi nuovamente un delle tante disoccupate, una senza
un lavoro. Eppure la sua scoperta la dovrebbe qualificare come preparata e capace, doti
che avrebbero dovuto addirittura calamitare su di Lei non pochi inviti a prestare la
sua opera. Ma così non è stato: nonostante il suo brillante intuito resta per
ora senza incarichi. Potenza della nostra ormai malfamata negligenza! Federica,
un cervello in fuga come tanti altri, in passato costretta ad un precariato in
Spagna ora giunto al termine, stenterà a trovare occupazione anche nella sua terra. Insomma, l’antico detto “Nemo profeta in patria” nel nostro Paese è sempre una realtà imperante.
Eppure la sua
rivoluzionaria scoperta, pensate, potrebbe aiutare tutto il mondo ad uscire dal
problema dell’inquinamento creato dalla plastica, dare una mano alla necessità di
ripulire il mondo, in particolare l’ecosistema, a partire dagli oceani.
L’idea geniale è venuta alla Bertocchini un giorno che osservava nella sua abitazione un alveare che si era riempito di bachi mangia-cera. Federica quel giorno era in ritardo per andare al lavoro e, stante la necessità di non ritrovarsi la casa infestata dalle larve, ripulì l’alveare rinchiudendo gli animaletti in una busta di plastica della spesa.
L’idea geniale è venuta alla Bertocchini un giorno che osservava nella sua abitazione un alveare che si era riempito di bachi mangia-cera. Federica quel giorno era in ritardo per andare al lavoro e, stante la necessità di non ritrovarsi la casa infestata dalle larve, ripulì l’alveare rinchiudendo gli animaletti in una busta di plastica della spesa.
Al suo ritorno però si
ritrovò di fronte ad una brutta sorpresa: la sala, la cucina e la camera da
letto erano disseminate di bruchi, che si erano infilati persino nel letto, tra
le lenzuola. Assalita da grande disperazione, non riusciva a capacitarsi su
come potesse essere avvenuto il fattaccio. Insomma, cos’era successo? Come mai
i bruchi erano felicemente a passeggio dentro la casa? La risposta era di una
semplicità estrema: essi erano usciti dopo aver divorato la plastica della busta dove erano
stati rinchiusi!
È a questo punto che la
scienziata piombinese capì che i bruchi erano golosi di una sostanza per noi
tanto difficile da smaltire.
Il bruco in questione è la larva della Galleria mellonella (detta anche la larva della tarma della cera, un parassita degli alveari), specie molto diffusa. Questo bruco, tra l’altro, è considerato una vera leccornia per molti insetti che lo divorano per il suo gradevole gusto al miele. Federica, intervistata nel suo ufficio del CNR spagnolo, nonostante sapesse di essere al termine del suo mandato precario, era raggiante per la sua scoperta, pubblicata tra l’altro sul giornale scientifico Current Biology. La scoperta si è diffusa subito nel mondo, dall’America all’Australia, suscitando grande interesse. Ora, però, per Lei è tempo di pensare al futuro e la sua gioia si è, purtroppo, tramutata in preoccupazione.
Il bruco in questione è la larva della Galleria mellonella (detta anche la larva della tarma della cera, un parassita degli alveari), specie molto diffusa. Questo bruco, tra l’altro, è considerato una vera leccornia per molti insetti che lo divorano per il suo gradevole gusto al miele. Federica, intervistata nel suo ufficio del CNR spagnolo, nonostante sapesse di essere al termine del suo mandato precario, era raggiante per la sua scoperta, pubblicata tra l’altro sul giornale scientifico Current Biology. La scoperta si è diffusa subito nel mondo, dall’America all’Australia, suscitando grande interesse. Ora, però, per Lei è tempo di pensare al futuro e la sua gioia si è, purtroppo, tramutata in preoccupazione.
La ricercatrice, ormai
non più giovane (ha quasi 50 anni), dovrà nuovamente cercarsi un lavoro. Scaduto il suo
contratto in Spagna sa che i concorsi sono ormai rari, tanto che all’unico
bandito negli ultimi anni per un solo posto disponibile, si sono presentate
centinaia di persone. E Lei non è riuscita a vincerlo. «Molti ricercatori avevano un
curriculum migliore del mio. In Spagna tante persone, bravissime, non riescono
a trovare lavoro. Come in Italia, purtroppo», ha commentato.
Durante l’intervista,
alle domande su come Lei fosse arrivata alla scoperta del bruco così goloso di
plastica, ha così risposto: «Dieci anni fa, parlando con il mio collega
Paolo Bombelli che vive a Londra e con il quale ho lavorato per anni proprio in
Inghilterra, fantasticavamo su quest’ipotesi. Eravamo convinti che esistesse un
animale in grado di distruggere la plastica. Avevo provato perfino a
rinchiudere delle chiocciole in una busta della spesa, ma sono rimaste lì, non
l’hanno mica rotta». Alla successiva domanda sul perché i bruchi della cera
si cibano di plastica ha affermato: «Essi sono in grado di degradarla,
riuscendo a rompere il legame chimico del polietilene. Insieme ai miei colleghi
Paolo Bombelli e Chris Howe, entrambi biochimici dell’università di Cambridge,
non abbiamo ancora analizzato gli intestini e le feci delle larve, visto che
non ci interessavano più di tanto. Eravamo concentrati più sulla loro azione.
Ora dobbiamo trovare la molecola che genera questa rottura chimica. Non
l’abbiamo ancora individuata e non sappiamo se sia nell’insetto o in un suo
batterio».
La cosa importante, per
ora, è la bontà della scoperta: il bruco svolge la sua azione di decomporre la
plastica in modo molto veloce: bastano una ventina di minuti. “In
questo modo, dice la ricercatrice, potremmo distruggere una volta per tutte le
isole di plastica degli oceani e ridurre i rifiuti nelle discariche. Ci vorrà
tempo, perché lo studio è solo nella sua fase iniziale, ma l’obiettivo è
riprodurre la molecola in laboratorio, non certo fare scorta di bachi per
combattere l’inquinamento». Insomma, il trilione di borse di
polietilene (PE) che usiamo ogni anno, intasando le discariche e contribuendo
all'aggregazione di isole di plastica in mezzo agli oceani, potrebbe aver
trovato la giusta soluzione.
Quali, dunque, le applicazioni
concrete rinvenienti da questa ricerca? A questa domanda la Bertocchini
risponde così: "Per realizzare una discarica eco-sostenibile ci servirà l'agente
che degrada la plastica estratto dalle larve, e non quantità enormi di larve
vive: anche perché sono dannose per le api, già in declino mondiale".
Credo che sia davvero una grande incongruenza, cari amici,
che una ricercatrice di questo calibro sia ora a riposo forzato, privata della
dignità di un lavoro! Lei, che potrebbe contribuire a dare all’umanità intera soluzioni non facili
da trovare. Certi profeti, non solo in Italia, saranno sempre ignorati nella
loro patria.
A domani.
Mario
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