Oristano
16 Luglio 2017
Cari amici,
La notizia che è
rimbalzata dal Giappone è di quelle dirompenti, capace di sollevare vespai di
polemiche a non finire, anzi di creare reazioni sicuramente forti e anche inconsulte.
L'idea giapponese (cervellotica come alcuni da noi l’hanno definita) fa già
discutere animatamente: invita a restare al lavoro fino agli 85 anni, in quanto
gli anziani sono una ricchezza preziosissima per le aziende. Essi hanno un
patrimonio di conoscenze costruito faticosamente nel tempo e che è giusto che non
vada perduto. La situazione attuale nella Terra del Sol Levante, come in tanti altri
Paesi del mondo, è quella di poter andare in pensione a partire dai 60 anni di età.
Nell'attuale sistema pensionistico
giapponese le cose, in realtà, non si discostano molto da quelle dei nostri
Paesi. A leggere il giornale di Confindustria, che riprende quanto pubblicato
dal Wall Street Journal, le norme relative al pensionamento attualmente in
vigore in Giappone non vacillano paurosamente come da noi, ma il problema posto della pensione allungata a 85 anni servirebbe a colmare un'altra necessità.
Si, anche ora i dipendenti in Giappone possono scegliere di continuare a lavorare ancora, però con uno
stipendio più basso, attraverso l’utilizzo di contratti particolari per ulteriori 5 o 10
anni. Dopo questo eventuale periodo, oggi, vanno in pensione definitivamente.
Ora però l'intenzione è quella di
apportare modifiche sostanziali al sistema: allungare l’età pensionabile fino
agli 85 anni. Le aziende in effetti sono pronte a mettere in discussione il
sistema vigente, seppure il sistema in essere risulti aver funzionato bene per lungo tempo. Il
Governo giapponese, in effetti, appare intenzionato ad accogliere l’esigenza manifestata dalle aziende, costruendo un nuovo percorso lavorativo nell’ottica dell’allungamento dell’età
pensionabile, all’insegna del motto “lavorare
tutti, lavorare più a lungo”. La motivazione base dell'intervento è il fatto che gli anziani, ricchi di una pluriennale esperienza,
costituiscono un vero e proprio patrimonio
aziendale che non può andare disperso.
La tesi fortemente sostenuta è che privarsi troppo presto del
personale capace ed esperto, mandandolo in pensione come ora a 60 anni, significa
rinunciare ad un patrimonio di conoscenze costruito faticosamente nel tempo. È proprio
questo il motivo per cui le aziende non vogliono “scaricare” i
dipendenti più anziani, in quanto farlo sarebbe un grave errore, una vera perdita. La nuova via
dell’allungo dell’età pensionabile però, a ben vedere, va in controtendenza rispetto
all’attuale politica di disfarsi dei dipendenti anziani, considerati delle
figure obsolete, e anche maggiormente costose, rispetto alle fresche forze
giovanili. La politica attuale, nel resto del mondo, in effetti, è proprio quella di far
lavorare i giovani!
La proposta giapponese,
tra favorevoli e contrari, riveste comunque un certo quantum di verità. Basta un esempio per capirlo. Gettare via
gli anziani, eliminandoli dall’importante settore delle vendite, significa
mettere a rischio il corposo pacchetto clienti in capo ad ogni dipendente
andato in pensione. Portafoglio clienti e ‘relazione personale’ soddisfacente',
consolidata in anni e anni di lavoro, sono un patrimonio importante. Sara molto difficile per il nuovo gestore
ricostruire un tela come quella portata via dal pensionato. Inoltre, gioca a
favore della proposta giapponese un altro motivo importante. Gli anziani hanno una capacità
relazionale ottimale con i consumatori della loro età, e in Giappone la fetta
dei consumatori over 65 (con l'allungo della vita media) risulta molto consistente, oltre che mediamente facoltosa.
Motivazione dunque tutte valide, quelle che hanno portato avanti la teoria del lavoro a lungo termine.
Come conciliare, dunque, le due contrastanti esigenze di non perdere il patrimonio degli anzianiari e quella di far lavorare i giovani? La risposta non è nè semplice ne facile.
Amici, in un momento in cui in Europa e in Italia si cerca di arginare in qualche modo (per ragioni di bilancio) rallentando l’età pensionabile, i pensatori del Sol Levante spingono molto di più sull'acceleratore, considerano disdicevole abbandonare il lavoro prima degli 85 anni! Analizzando le statistiche (secondo i dati dell’Ocse) il 23 per cento dei giapponesi sopra i 65 anni ha ancora una occupazione: il tasso più alto al mondo. Negli Usa, al 2° posto, il tasso è del 19 per cento; in Canada è del 13 per cento, in Inghilterra del 10,7 per cento e in Germania del 6,6 per cento. E in Italia? La nostra percentuale, quella che analizza chi lavora dopo i 65 anni è solo del 4 per cento.
Amici, in un momento in cui in Europa e in Italia si cerca di arginare in qualche modo (per ragioni di bilancio) rallentando l’età pensionabile, i pensatori del Sol Levante spingono molto di più sull'acceleratore, considerano disdicevole abbandonare il lavoro prima degli 85 anni! Analizzando le statistiche (secondo i dati dell’Ocse) il 23 per cento dei giapponesi sopra i 65 anni ha ancora una occupazione: il tasso più alto al mondo. Negli Usa, al 2° posto, il tasso è del 19 per cento; in Canada è del 13 per cento, in Inghilterra del 10,7 per cento e in Germania del 6,6 per cento. E in Italia? La nostra percentuale, quella che analizza chi lavora dopo i 65 anni è solo del 4 per cento.
Il problema, come
possiamo capire è come la moneta: ha due facce un dritto e un rovescio.
Allungare ancora l’età pensionabile significa aumentare ancora la
disoccupazione giovanile, in Italia fra le più alte al mondo. Insomma, da una
parte si tende a mandare sempre più tardi fuori dal mercato del lavoro chi già
c’è, dall’altra i giovani non riescono ad entrarci. Come conciliare, dunque, le
due esigenze? Bacchetta magica, purtroppo, non ne ha nessuno. Ferma l’esperienza
degli anziani, che nessuno disconosce come un grande patrimonio, è certamente
tanto più importante far entrare nel mercato del lavoro i giovani. Lavorare
tutti sarebbe davvero un optimum, ma al giorno d’oggi risulta difficilmente
raggiungibile.
Che fare allora? Io credo
che innanzitutto bisognerebbe, prima che sia troppo tardi (una generazione
appare ormai perduta) far lavorare comunque i giovani, oggi condannati alla disoccupazione o ad un triste
precariato che non garantisce un futuro. Riciclare l’esperienza degli anziani è
sempre possibile, sia nella pubblica che nella privata amministrazione. Abbiamo
mai pensato ad un nonno o a una nonna che, ancora in forze ed efficienti, possono essere degli ottimi
componenti di qualsiasi associazione di volontariato? In questo modo potrebbero restituire alla Comunità quanto hanno avuto la fortuna di avere in abbondanza. In questo modo si concilierebbero entrambe le esigenze....
Pensiamoci seriamente, perchè il problema è grave: ne va del futuro delle nuove generazioni.
Pensiamoci seriamente, perchè il problema è grave: ne va del futuro delle nuove generazioni.
A domani.
Mario
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