Oristano
5 Luglio 2017
Cari amici,
L’ultimo intervento
dello Stato per mettere una pezza, per trovare una soluzione alla crisi
attraversata dalle due banche venete in difficoltà (Popolare di Vicenza e
Veneto Banca), è dei giorni scorsi. È l’ultimo degli aiuti pubblici in ordine di tempo, ma
sicuramente altri ne potrebbero seguire. La soluzione adottata dal Governo prevede
un esborso iniziale di 5 miliardi di euro (per mettere in salvo i risparmiatori),
oltre ad una successiva spesa potenziale di altri 12 miliardi. Banca Intesa,
l’unica dichiaratasi disponibile, parteciperà all’operazione di salvataggio
acquistando, al prezzodi 1 euro, la parte sana delle 2 banche, mentre lo stato si farà carico della
cosiddetta “bad bank”.
La crisi che ha colpito
queste banche venete era latente da alcuni anni, ma, come spesso avviene, sia
gli amministratori che le autorità deputate al controllo hanno temporeggiato,
nella speranza di ‘un miracolo’, che comunque sapevano che non sarebbe mai arrivato;
si attendeva invano una soluzione che salvasse sia i correntisti che i
dipendenti, ma così non è stato. Alla fine è arrivata la chiusura, con la
dichiarazione ufficiale di dissesto, effettuata dalla Banca Centrale Europea.
Insomma, un ennesimo default, che si aggiunge ai molti altri precedenti.
Ora, più che mai, il cittadino comune si chiede: ma il sistema bancario italiano non era finora pubblicamente considerato uno dei più solidi? Com’è che nessuna delle Autorità che doveva vigilare non si è accorta di niente, mentre all’improvviso tutto è crollato come un castello di carta?
Ora, più che mai, il cittadino comune si chiede: ma il sistema bancario italiano non era finora pubblicamente considerato uno dei più solidi? Com’è che nessuna delle Autorità che doveva vigilare non si è accorta di niente, mentre all’improvviso tutto è crollato come un castello di carta?
Il prof. Stefano Caselli, docente di economia
degli intermediari finanziari all’Università Bocconi di Milano, intervistato su
questo nuovo ‘guaio’ che ha colpito il sistema bancario italiano afferma che "a colpire di più l'opinione pubblica non è tanto la bella cifra del salvataggio (per quanto importante), ma ben di più: «lo spreco delle risorse causato dal
temporeggiamento». Ad oggi sono più di 31 i miliardi di euro spesi per
evitare il collasso di sistema bancario italiano, per anni ritenuto «solido»
nelle dichiarazioni ufficiali. Miliardi di euro usciti dalle tasche delle
banche sane e dei loro correntisti, oltre che dei contribuenti italiani, tramite
gli esborsi dello Stato. Per cercare di capire meglio, afferma il professore, pensate che non si tratta di
un’inezia, ma di una cifra che corrisponde a circa due punti di PIL!
Nonostante l’apparente
solidità del nostro sistema (a voce dichiarata pomposamente in lungo e in largo), la prima banca “malata” fu scoperta nel 2013: era
il Monte dei Paschi di Siena. Anziché intervenire prontamente si cercò allora di
creare intorno a questa banca una cortina fumogena che tenne il ‘malato’ senza
cure per circa 4 anni. Ora, dopo tutto questo "lunghissimo tempo", dovrebbe arrivare
il via libera europeo per la sua nazionalizzazione. Per ora il ‘costo’ pare si aggiri
intorno agli 8,8 miliardi di euro, in parte soldi dei contribuenti e in parte
degli investitori che avevano comprato i suoi bond subordinati.
A seguire il contagio
si è poi esteso ad altri soggetti: nel Novembre del 2015 la stessa sorte toccò
a quattro piccole banche locali che valevano, tutte insieme, appena l’1% del
mercato bancario italiano. Anche in questo caso l’obiettivo dichiarato era
evitarne il fallimento e rivenderle in breve tempo (una volta ripulite),
guadagnandoci anche un po’. Banca Marche, Etruria, Cari-Ferrara e Cari-Chieti
sono costate almeno 5,3 miliardi al sistema bancario, che ha finanziato il
fondo di risoluzione. Successivamente sono state comprate da UBI Banca e BPER
per 1 euro nei mesi scorsi.
Ultime arrivate nella ‘lista
nera’ le due popolari venete: un bubbone gonfiatosi nella primavera dello
scorso anno ed ora scoppiato. Il fondo Atlante, promosso dal Governo (ma
finanziato dal sistema bancario e dalle fondazioni), butta ancora nella fornace
mangiasoldi altri 5 miliardi di euro, e non è appare certamente come la soluzione definitiva del
problema. Tornando alla lucida analisi fatta dal Prof. Caselli, la sua opinione,
fermo restando il compito di intervento dello Stato, è quella della necessaria tempestività degli interventi da mettere in moto al momento
giusto.
L’allungo dei tempi, infatti, come nei
casi prima citati, non fa altro che aggravare i costi: quello derivante dalle
crisi di fiducia che viene a mancare, quello del più alto costo del finanziamento
sui mercati delle banche italiane e quello derivante dal maggior onere della raccolta
per le banche in difficoltà. Intervenire prima, a Vicenza come a Siena o ad
Arezzo, come sostiene il Prof. Caselli, poteva servire per risparmiare dei
soldi. «Adesso è facile da dire - afferma Caselli -, di
certo il tema della vendita dei crediti non performanti è stato sottostimato.
Forse la nostra presenza a Bruxelles non è stata così decisiva. Ma che si
dovesse intervenire con soldi pubblici, io come altri osservatori lo sosteniamo
da anni».
Cari amici, nei casi spinosi come quelli prima evidenziati, per cercare di poter salvare capra e cavoli, è necessario mettere in atto interventi seri ed immediati, senza tergiversare a lungo per
trovare una soluzione. Col passare del tempo si dilatano anche i costi, facendo crollare anche quella fiducia nel sistema bancario che non fa certo
bene né all’economia né alle famiglie.
Ora dobbiamo solo “ingoiare il rospo”, ben consci anche che il futuro appare ancora più incerto del presente, nel quale, se le cose non cambieranno, penso che continueremo tutti a pagare prezzi sempre più salati.
Ora dobbiamo solo “ingoiare il rospo”, ben consci anche che il futuro appare ancora più incerto del presente, nel quale, se le cose non cambieranno, penso che continueremo tutti a pagare prezzi sempre più salati.
A domani.
Mario
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