venerdì, luglio 05, 2024

LA CURIOSA CROCE MIRACOLOSA CHE NEL MEDIOEVO FECE SORGERE MITI E CREDENZE: “LA PIETRA GURIDIS”.


Oristano 5 luglio 2024

Cari amici,

Il MEDIOEVO è un periodo storico ritenuto non troppo felice. Alquanto lungo (praticamente circa 10 secoli), ebbe inizio con il crollo dell’Impero Romano d'occidente(476) e si concluse con la scoperta dell'America (1492), praticamente poco più di un millennio dopo; convenzionalmente, l'anno 1000 divide il Medioevo in due parti, l'Alto e il Basso Medioevo. Caratterizzato nella prima fase da una grave crisi civile, economica, culturale (è il periodo delle invasioni barbariche) fu sostanzialmente un periodo che gli studiosi  definirono cupo, ovvero “BUIO”, seppure diverse luminosità non mancarono.

Ebbene, la storia (meglio dire leggenda) che sto per raccontarvi oggi, cari lettori, inizia nell’Anno del Signore 1405. Siamo in Piemonte, e precisamente nella città di Savigliano. Nelle sue campagne, un contadino mentre procede all’aratura di un terreno, posto nelle vicinanze di un’antica chiesa, vede l’aratro bloccarsi; sotto terra c’è un ostacolo importante, in quanto i buoi, seppure sollecitati non riescono a proseguire. L’uomo seccato ma anche incuriosito, prova a scavare intorno all’ostacolo e dopo un po’ si accorge della presenza di una grande lastra di pietra, sul dorso della quale è incisa una croce, circondata da scritte incomprensibili.

Sempre più incuriosito, cerca di sollevarla, e, mentre la smuove, da sotto affiora una sorgente d’acqua. Il contadino, avendo deciso di portare la lastra a casa, con grande fatica la caricò sul carro, ma per ben due volte, inspiegabilmente,  la pietra, quasi avesse le ali, ritornò nel luogo dove era stata rinvenuta. Una notizia di questa portata, in un secolo come il Medioevo, impregnato di credenze anche demoniache, si sparse in un baleno, e, in tanti, accorsero per vedere e toccare la pietra; alcuni addirittura vollero bere dalla sorgente dove si trovava, e quell'acqua venne subito accreditata come portatrice di proprietà miracolose.

Proprietario del terreno era un nobile, altezzoso ed arrogante, un certo Oggeri, che si interessò al reperto rinvenuto nei suoi possedimenti; ordinò quindi al contadino di caricarla ancora una volta sul suo carro e di portarla da lui in città. Il contadino eseguì il compito assegnatogli dal padrone, ma, quando il carro giunge nei pressi del torrente Mellea, la pietra si mise a sobbalzare da sola, come se volesse tornare nuovamente al suo posto! Il nobile signore, stizzito dal comportamento della pietra, mise mano alla spada e vibrò un gran colpo sulla croce, scalfendola e lasciando una lunga traccia.

La ferita inferta alla misteriosa pietra a quel punto iniziò a sanguinare visibilmente, tanto da arrossare le acque del vicino rio, facendo supporre ai presenti di trovarsi di fronte ad un miracolo. L’empio gesto dell’arrogante Oggeri, gli comportò serie conseguenze: gli si girò la testa al contrario e così rimase per il resto della sua vita, e anche la sua discendenza fu colpita da gravi malformazioni fisiche. Dopo questi eventi drammatici la pietra venne murata nella cappella campestre di Santa Croce e successivamente trasferita, con una solenne processione, nella chiesa parrocchiale della Pieve, dove un ciclo di dipinti raccontava la sua storia (dei dipinti nulla ora si sa, in quanto sono andati perduti), anche se rimangono delle riproduzioni fatte da un pittore di nome Giovanni Angelo Dolce nel 1586.

Una pietra con una storia così importante non poteva essere certo dimenticata, tanto che divenne oggetto di venerazione. Si narra che “Il popolo per devozione baciava la pietra e cercava di staccarne polvere e schegge guastando la scrittura e alterandola con punte di ferro”; la polvere così ottenuta veniva disciolta nell’acqua e somministrata ai malati, nella speranza che potesse guarirli dalla febbre o da altre malattie. La pietra riposò nella cappella di Santa Croce per cinque secoli, fino agli inizi del Novecento. Quanto al contenuto delle scritte riportate sulla pietra, i pochi che ci avevano provato dichiararono che erano indecifrabili; sta di fatto che esse rimasero misteriose per lungo tempo.  Verso la metà del Cinquecento, un senatore saviglianese di nome Carlo Barattà dichiarò che “le lettere non erano né latine, né greche, né ebraiche, né avevano forma di alcun carattere conosciuto”. Insomma, si evitava in questo modo di studiare la pietra, chiamandola semplicemente la “Croce miracolosa”. Ma poi qualcosa successe.

Nella seconda metà dell’Ottocento, due studiosi della storia di Savigliano, Carlo Novelli e Casimiro Turletti, ne ripresero lo studio, arrivando, però, ad interpretazioni parzialmente divergenti. La soluzione definitiva dell’enigma avvenne nel 1949, quando Monsignor Alfonso Maria Riberi pubblicò un brillante saggio in cui svelò il mistero dell’epigrafe, una volta per tutte. In realtà non si trattava di una lingua sconosciuta, ovvero di un alfabeto misterioso, ma – più semplicemente – di “un latino un po’ barbaro e scorretto”! Chi scolpì la scritta, di certo “non era un grande letterato”, nel senso che aveva anche poca dimestichezza con le lettere dell’alfabeto e le corrette spaziature tra le parole. Gli errori grammaticali, uniti alle abbreviazioni epigrafiche (VV, ad esempio, sta per “Venerabilis Vir”, Uomo Venerabile, mentre la sigla “PRB” indica “Presbiter”, prete), contribuirono a costruire l’aura misteriosa che aleggiava intorno al mistico sasso, rendendolo indecifrabile per lungo tempo. Poi, finalmente, arrivò la reale traduzione fatta da Monsignor Riberi.

Il testo in latino, senza errori, elaborato da Mons. Riberi, suona così: “In nomine Domini. Hic requiescit venerabilis vir Gudiris presbyter in somno pacis. Et qui posuerit alium in meum hunc sepulcrum, esto a beata requie reiectus: sit ei anathema. Ego Gennarius feci, qui in eo tempore fui magister marmorarius”. Questa la traduzione fatta da Riberi: “Nel nome del Signore. Qui riposa il venerabile uomo Gudiris prete nel sonno di pace. E chi avrà posto un altro in questo mio sepolcro venga escluso dalla beata requie: sia a lui l’anatema. Io Gennario ho fatto, che in quei tempi fui maestro marmorario”. Insomma: La tanto venerata “Croce Miracolosa” in realtà non era altro che una lastra tombale! Dal testo si evince sia il nome del sepolto, un prete di nome Gudiris, che quello dello scultore sgrammaticato, Gennarius. La minaccia di anatema contro i profanatori di tombe era una formula ricorrente nell’antichità: troviamo traccia di queste “maledizioni” non solo nelle piramidi egizie, ma anche nelle più recenti tumulazioni di età romana.

Cari amici, spesso il dubbio e l’incertezza fanno sorgere interpretazioni fantasiose, che sconfinano in ipotetiche leggende! Una volta svelato l’arcano, la lastra venne rimossa dalla chiesa e collocata nel Museo Civico di Savigliano, dov’è tutt’ora visibile al pubblico. Tuttavia, nonostante la perdita dell’alone di mistero, la Pietra di Gudiris rimane un reperto archeologico di grande importanza. Databile intorno alla fine del VII secolo dopo Cristo, risulta essere, probabilmente, uno dei più importanti reperti di origine longobarda in Piemonte.

A domani, amici lettori.

Mario

 

Nessun commento: