lunedì, settembre 16, 2024

STEFANO OPPO, IL GRANDE CAMPIONE DI CANOTTAGGIO ORISTANESE, PREMIATO CON TARGA RICORDO DAL PREFETTO DI ORISTANO SALVATORE ANGIERI.


Oristano 16 settembre 2024

Cari amici,

Quelle di Parigi 2024, per la Sardegna, sono certamente delle "Olimpiadi indimenticabili"! Un trionfo storico, che ha visto la straordinaria prestazione degli atleti sardi ai Giochi Olimpici di Parigi, segnando un record senza precedenti! Otto gli atleti sardi partecipanti con il risultato di  tre medaglie vinte, di cui due d’oro e una d’argento. La Sardegna celebra in questo modo eccellente la sua partecipazione, essendo, il suo, il successo più grande nella storia della partecipazione alle Olimpiadi.

La Sardegna non può che essere orgogliosa dei suoi figli, che hanno concluso in modo così trionfale la loro partecipazione. Delle due medaglie d’oro una è andata ad Alessia Orro, magistrale regista del team di pallavolo femminile, contribuendo in maniera decisiva alla conquista dell’oro da parte dell’Italia, l’altra medaglia d’oro è stata conquistata da Marta Maggetti nel windsurf, mentre quella d’argento è stata conquistata da Stefano Oppo nel canottaggio. Complimenti, di cuore, a tutti!

Nei giorni scorsi il Prefetto di Oristano Dr. Salvatore Angieri ha ritenuto di congratularsi personalmente con Stefano Oppo, che ha voluto incontrare in Prefettura. Il grande canottiere oristanese, che fa parte del gruppo sportivo dell’Arma dei Carabinieri, ha inorgoglito tutti noi, vincendo meritatamente la medaglia d’argento alle recenti Olimpiadi di Parigi 2024. Nel corso della visita, il Prefetto ha consegnato a Stefano una targa ricordo che esprime stima e riconoscenza per la vincita della sua medaglia olimpica, “frutto di talento, di tanto allenamento, d’impegno esemplare, di volontà, di sacrificio e senso di responsabilità”, come il dottor Angieri ha voluto sottolineare.

Amici, come ricorda anche una nota delle Prefettura, la bella storia di Stefano Oppo, concittadino della nostra Provincia, merita di essere conosciuta.  “La storia di Stefano Oppo, oristanese doc, è quella di un bambino determinato, che all’età di 9 anni muove già i suoi primi passi nello sport, nella storica società di canottaggio della sua città d’origine, il Circolo Nautico Oristano, all’epoca frequentato dal fratello maggiore Matteo del quale seguiva gli allenamenti”.

“È proprio nell’ambiente oristanese, con il primo allenatore Antonio Marras e gli amorevoli e sempre presenti genitori Adriana e Luigi, che Stefano si innamora del canottaggio”, come troviamo evidenziato nella nota della Prefettura. “Con tanto lavoro e sacrificio, dopo il primo successo come miglior canottiere sardo la sua prestigiosa carriera vola in alto, nella vetta dei Giochi Olimpici, fino al quarto posto a Rio 2016, il bronzo a Tokyo 2020 e l’ultima grande medaglia d’argento nel doppio Pesi Leggeri a Parigi 2024!

È una gran bella storia, quella di Stefano Oppo, “straordinario campione nello sport, ma anche una persona speciale nella vita: dotato di grande umiltà, autentica e trasparente”, come si legge al termine nella nota della Prefettura, “che con la sua gentilezza ha conquistato tutti noi”. Un percorso eccellente, quello di Stefano, accompagnato sempre dal cuore della sua città natale, la città di Oristano, che ad ogni gara, con grande fierezza, batte forte per lui.

Cari amici, le imprese di Alessia Orro, Marta Maggetti e Stefano Oppo rappresentano pietre miliari non solo per la Sardegna, ma per tutto lo sport italiano, dimostrando come la sana preparazione, il sacrificio, la dedizione e la serietà possano condurre al successo ai massimi livelli. Parigi 2024 possiamo dire che per la nostra isola si afferma come un’edizione da ricordare, capace di eclissare i risultati passati e di proiettare la Sardegna nell’Olimpo dello sport internazionale!

A domani, amici lettori!

Mario

domenica, settembre 15, 2024

L'ONDA TRAVOLGENTE DELL'INTELLIGENZA ARTIFICIALE IPOTECA IL NOSTRO FUTURO: COSA CI STA PER RISERVARE? QUALI I COSTI DIRETTI E INDIRETTI? LA DIFFICILE RISPOSTA…


Oristano 15 settembre 2024

Cari amici,

Inutile ignorarlo: l’INTELLIGENZA ARTIFICIALE avanza come un panzer, considerato che è diventata una delle tecnologie più avanzate (…e discusse) degli ultimi anni. Con le sue enormi capacità di elaborazione, nettamente più veloci di quelle umane, l'A.I. sta rivoluzionando in modo incredibile il mondo, in particolare quello del lavoro. Ciò, però, non è privo di preoccupazioni. In primis la più importante è quella dei costi e dei fattori che li influenzano, rapportandoli e bilanciandoli con i benefici. Partiamo dalle origini.

Per creare e introdurre in un’azienda l’intelligenza artificiale è necessario seguire un processo complesso e costoso che richiede l'utilizzo di tecnologie avanzate come il machine learning e il deep learning. Il procedimento è lungo e laborioso e prevede:  la raccolta di grandi quantità di dati, la loro classificazione per renderli utilizzabili, dall'algoritmo di apprendimento alla progettazione e allo sviluppo del modello di machine learning che verrà poi addestrato sui dati raccolti e classificati, fino all’addestramento e gestione del modello utilizzato, l’implementazione ed esposizione del modello con le sue funzionalità per poterlo utilizzare; infine l’implementazione della connessione con i nuovi programmi o con i programmi già esistenti.

A seguire, dopo la predisposizione prima evidenziata, c’è da mettere mano ai costi da mettere a budget. Essi sono: avere un Hardware di altissimo livello in quanto le operazioni da fare sfruttano calcolo parallelo e sono moltissime, dotarsi poi di Data Analyst per tutto ciò che riguarda i dati, assumere un Esperto di Machine Learning per la realizzazione del modello, dotarsi di Software house per l'implementazione delle interfacce utente e l'integrazione con gli altri software. Analizzando i costi totali da mettere a budget ci si rende conto che non sono bazzecole! Basti pensare che OpenAI ha speso milioni di dollari per rendere operativo il suo modello più famoso: GPT-4.

Amici, i costi prima indicati sono riferiti a quelli di produzione aziendale, ma abbiamo anche pensato a quelli, ben più importanti, relativi all’IMPATTO AMBIENTALE”, che l’uso massiccio dell’A.I. riesce a creare, tra l’energia necessaria per il funzionamento e l’aumento della CO2 che ne deriverebbe? Già oggi nelle Server-Farm sono presenti migliaia e migliaia di computer, attivi 24 ore su 24, che consumano una montagna di energia e rilasciano tanta CO2! In realtà, non è facile rendersi conto che noi utilizzatori, ogni volta che ci avvaliamo dell’Intelligenza Artificiale, le nostre richieste vengono inoltrate a server remoti, che le elaborano per fornirci risultati sempre più precisi e mirati.

Questo aumentato consumo di energia, necessaria per il funzionamento di queste Server-Farm, dotate di un’immensità di computer attivi 24 ore su 24, stanno diventando un vero e proprio dramma per l’ambiente; come coniugare, dunque, il necessario sviluppo tecnologico con la sostenibilità ambientale? Difficile dirlo! Secondo la Vrije Universiteit di Amsterdam, entro il 2027 i datacenter che ospitano server per l’IA potrebbero consumare dagli 85 ai 134 terawattora di energia all’anno, pari al fabbisogno energetico dell’intera Argentina. E non è tutto, poiché secondo l’Università di Washington, non solo una richiesta all’AI richiede 5 volte più energia di una normale ricerca sul Web, ma i colossi di questo settore – come, ad esempio, ChatGPT – possono arrivare a consumare anche 1 gigawattora al giorno. L’equivalente di una cittadina medio-grande della provincia italiana!

Sono, indubbiamente numeri allarmanti, considerato che gli studi in corso prevedono che entro il 2050, la richiesta energetica dell’Intelligenza Artificiale potrebbe essere 1.000 volte superiore a quella attuale, e pertanto non è ben chiaro come si riuscirà a sostenerla! La cosa ancora più preoccupante è che per ora si fa ancora massicciamente ricorso ai combustibili fossili, anziché alle fonte rinnovabili! Questo si traduce in un aumento sensibile delle emissioni di CO2, così come confermato dalle stime elaborate dall’Università del Massachusetts; nel 2019, secondo alcune stime, ChatGPT generava 8.4 tonnellate di CO2 ogni anno.

Cari amici, il problema è serio, e non certo di poco conto! Cosa fare, dunque, per ridurre l’inevitabile impatto dell’IA sull’ambiente? Considerato che è impossibile rinunciare all’Intelligenza Artificiale per salvaguardare l’ambiente, la risposta non è facile! Rispondere non è davvero semplice, perché già oggi l’IA è integrata nei dispositivi e nei servizi che usiamo tutti i giorni; forse un ricorso consapevole all’IA, da parte del singolo utente, potrebbe fare la differenza. Se è pur vero che l’Intelligenza Artificiale migliora la nostra quotidianità, essa, però, rischia di ipotecare il futuro ambientale del Pianeta. Ecco perché ciascuno di noi dovrebbe fare la sua parte!

A domani.

Mario

sabato, settembre 14, 2024

LA RECENTE DIFFUSIONE AD ORISTANO DEL LIBRO DI RON HUBBARD “LA VIA DELLA FELICITÀ”. È LA RISCOPERTA, DA PARTE DEI GIOVANI, DI UNA RELIGIONE LAICA ALQUANTO DISCUSSA?


Oristano 14 settembre 2024

Cari amici,

Di recente, in questa calda estate oristanese, un gruppo di volontari carichi di entusiasmo ha distribuito gratuitamente ai cittadini di diversi quartieri della città, decine di copie del libro di Ron Hubbard “LA VIA DELLA FELICITÀ”, una specie di manuale contenente una serie di principi su come raggiungere la felicità. Il libro, scritto da Ron Hubbard per aiutare a fornire risposte pratiche ai contagiosi problemi che angustiano l’umanità, che vanno dal crimine all’abuso di droghe e, in sintesi, mettono il dito sul declino morale nell'intera società.

Il libro La via della felicità contiene 21 specifici precetti da osservare, oltre ad una guida di come applicarli ogni giorno per diventare più responsabili e per raggiungere una vita migliore e più felice. Principi apparentemente positivi, stimolanti per i giovani di oggi, figli del Terzo Millennio, che sono stati percepiti positivamente anche dai giovani oristanesi. Come ha dichiarato Federica una volontaria del gruppo oristanese, “C’è bisogno urgente di divulgare messaggi di buon senso in questo periodo particolarmente difficile, in cui sembra che tutto dia ragione ai disfattisti e, apparentemente, non ci sia nulla da fare per risalire la china”.

La città pare abbia reagito positivamente, anche se personalmente resto scettico, e, con questo mio post- riflessione vorrei ripercorrere con Voi “come” Ron Hubbard, l’autore del libro, è arrivato a divulgare questa nuova “Religione laica” (chiamata SCIENTOLOGY”), che in America ha contagiato non poche persone. Il movimento, fondato nel 1954 negli Stati Uniti, conta centinaia di migliaia di praticanti in tutto il mondo. Ma, per conoscere meglio il libro, partiamo da “Chi è Lafayette Ronald Hubbard, nato negli Stati Uniti, a Tilden, il 13 marzo del 1911 e scomparso a Creston il 24 gennaio del 1986), scrittore statunitense, noto in particolare per essere stato il fondatore di Scientology.

Negli anni Trenta del secolo scorso Hubbard divenne prima noto come scrittore di fantascienza e fantasy; nel 1950 con la pubblicazione del libro DIANETICS inizia a dare corpo alla sua filosofia che poi si diffonderà col nome di Scientology. Sin dalla prima fondazione di Dianetics, Hubbard sostenne di condurre un percorso di ricerca spirituale arrivando a redigere centinaia di scritti e tenere circa tremila conferenze sui vari temi dell'indagine. Parallelamente negli anni sviluppa un sistema di management per l'organizzazione di Scientology e sul management generale.

Per quanto noto, Hubbard è stato una figura alquanto controversa e numerosi dettagli della sua vita sono stati (e sono ancora) oggetto di dibattito. L'organizzazione nel mondo di Scientology è stata oggetto sia di venerazione che di critiche feroci, dove Hubbard è descritto da giornalisti indipendenti come un personaggio contradditorio. La rivista Smithsonian lo ha incluso, comunque, come uno dei cento americani più influenti di tutti i tempi. Hubbard ha pubblicato 1.084 opere scritte, primato mondiale per il maggior numero di opere pubblicate.

Amici, il libro “La Via della Felicità”, scritto da L. Ron Hubbard nel 1981, è il suo primo codice morale basato interamente sul buon senso; il suo scopo è di cercare di arrestare il declino morale nella società e ripristinare integrità e fiducia nell’Uomo. Il libro intende riempie il vuoto morale in una società sempre più materialista, con l’elencazione di 21 precetti fondamentali che guidano una persona ad un miglior tenore di vita. La Via della Felicità, inoltre, detiene un record del Guinness dei Primati: quello di libro secolare più tradotto al mondo.

La rapida diffusione del libro, in particolare negli ultimi 20 anni del secolo scorso, fu la conseguenza del fatto che dagli inizi degli anni Ottanta i codici di comportamento morale si erano talmente ridotti e offuscati, tanto che il mondo era diventato una vera e propria giungla. “L’avidità era diventata una virtù” e i più astuti accumulavano scandalose fortune ricorrendo alla frode e alla manipolazione del mercato azionario. Insomma, la maggior parte dei codici morali applicati nel passato, che aiutavano a garantire la perpetuazione della famiglia, del gruppo e della nazione, erano, purtroppo, tristemente tramontati.

Amici, la recente riscoperta del libro di Hubbard, fa breccia nella gente in quanto la situazione attuale non risulta essere molto diversa da quella della fine degli anni Ottanta del secolo scorso, anzi forse è peggiore! Tuttavia, personalmente sono convinto che, per chi è Cristiano come me, il libro di Hubbard non dica niente di più e niente di meglio di quello che insegna il cristianesimo. Rispettare gli altri, comportarsi onestamente, sostenere chi cade, non fare a nessuno ciò che non vorremmo sia fatto a noi, sono principi che hanno millenni di storia! Se tutti li rispettassimo…

A domani.

Mario

venerdì, settembre 13, 2024

LE ISOLE CANARIE SONO DAVVERO UNO DEI POCHI LEMBI RIMASTI DELLA MITICA ATLANTIDE? IN BASE ALLE SCOPERTE PIÙ RECENTI...


Oristano 13 settembre 2024

Cari amici,

Che il mito di ATLANTIDE continui ad affascinare l’uomo fin dai tempi più antichi è una incontestabile realtà. Questo continente scomparso fu uno dei miti più suggestivi dell’Antica Grecia, in quanto considerato una terra paradisiaca, posizionata, secondo i greci, oltre i limiti del mondo allora conosciuto e che, misteriosamente poi scomparve, inghiottito dal mare. La leggenda di Atlantide la troviamo negli scritti del filosofo greco Platone, vissuto tra il 427 e il 347 a.C.., dove Atlantide risulta citata in ben due sue opere, il Timeo e il Crizia; Platone racconta che il famoso legislatore ateniese Solone conobbe la storia di Atlantide quando visitò l’Egitto.

Secondo l'antica leggenda l’isola di Atlantide apparteneva al dio Poseidone, che si innamorò e sposò una giovane ragazza dell’isola di nome Cleito. Poseidone, da dio innamorato, costruì una città sull’isola e su una montagna al centro della città costruì un palazzo per la sua amata Cleito. La coppia ebbe dieci figli e, col tempo, Poseidone divise l’isola tra di loro, dando a ciascuno una sezione da governare. Sempre secondo la leggenda, Atlantide era una terra meravigliosa, ritenuta un vero, mitico paradiso.

Su questa mitica isola gli abitanti non dovevano lavorare, in quanto era presente ogni tipo di cibo e abbondanza di animali. Poseidone aveva creato un flusso di acqua calda e uno di acqua fredda per l’isola. In questo luogo ameno vi erano palazzi e templi meravigliosi. L’abbondanza era luogo comune: vi era tanto oro, argento e altri metalli preziosi. Tutto cambiò quando gli dèi cominciarono a mescolarsi con gli esseri umani. Gli Atlantidei divennero avidi, rompendo l’equilibrio esistente. Si, l'ingordigia crebbe a dismisura ed essi si armarono e andarono alla conquista di altre terre nel Mediterraneo.  

A quel punto il re dell’Olimpo, Zeus, infastidito dal comportamento degli Atlantidei, fece scoppiare un terrificante terremoto, che, unitamente a potenti maremoti, fece sprofondare Atlantide nel mare, tanto che di quel grande Continente rimasero solo pochi lembi fuori dal mare. Questi lembi di terra sopravvissuti potrebbero essere proprio la Sardegna, terra degli Shardana e le Isole Canarie, l’antica patria dei Guanci. Storia o leggenda, cari amici? Sicuramente direi che quella di Atlantide è una storia romanzata, e che di questa immensa isola, grande quanto il Nord Africa e una parte dell’Oriente, quei piccoli “pezzi” sopravvissuti potrebbero essere proprio la Sardegna e le Isole Canarie. 

È proprio il riscontro a queste ipotesi che gli  studiosi continuano a  cercare: i resti della mitica Atlantide. Lasciando da parte la leggenda e quanto ipotizzato per la Sardegna e gli Shardana, di cui abbiamo già parlato, vediamo perché l’attenzione si è ora focalizzata sulle Isole Canarie. Quando su queste isole arrivarono gli spagnoli (essi sbarcarono a Tenerife nel XIII secolo), essi, dopo averle conquiste, appresero dalla popolazione locale – I GUANCI -  che essi si ritenevano i discendenti “degli unici superstiti di un’antica catastrofe che era indelebilmente custodita nella loro memoria ancestrale”.

Quando gli spagnoli spiegarono che c’era un mondo ben vasto al di fuori del loro mondo, essi restarono stupiti, in quanto erano convinti che “le isole dell’arcipelago fossero gli unici resti di una grande terra scomparsa sotto le acque”, come risultava da antichi documenti dei loro antenati. Oggi i Guanci sono scomparsi, in parte estinti oppure assorbiti dai colonizzatori spagnoli. Le perplessità degli spagnoli erano anche altre. Questo popolo non presentava le caratteristiche comuni alle popolazioni mediterranee: essi erano alti, di pelle bianchissima, con occhi celesti e capelli rossicci; portavano folte barbe e, cosa alquanto strana per degli isolani, nutrivano una profonda paura del mare! Questa paura proveniva, forse, dall’inestinguibile terrore, insito nell’inconscio, causato dal terribile cataclisma che aveva fatto scomparire ATLANTIDE?

Amici, mito e realtà si intrecciano, e, chissà, se riusciremo ad avere prove concrete! Gli antichi Guanci non sopravvissero  allo sterminio dei conquistadores europei, e in particolare del colonialismo spagnolo-cattolico. Ora di loro rimangono solo alcune statue di bronzo a ricordarli, in quella che fu la loro terra, frammentata in diverse isole. Con la loro estinzione, sicuramente, è andato perso un pezzo importante della nostra storia! Una storia che può essere considerata un puzzle con diversi tasselli mancanti!

Gli studiosi, però, continuano le loro ricerche. Il dubbio che li assilla è “come” i Guanci siano arrivati alle Canarie; una ipotesi è che siano arrivati dall'Africa, successivamente alla desertificazione del Sahara; l’ipotesi è che il popolo del Monte Atlante (Popolo dei Ma) si diresse in parte verso il Nilo e in parte verso le Canarie. Ed è curioso che i rappresentanti del Popolo dei Ma venissero chiamati Atlantidi dal grande storico Erodoto, mentre il sommo Platone definiva la zona da cui provenivano Atlantide.

Cari amici, dipanare la storia della mitica Atlantide, quando mancano fonti certe non è certo facile! Eppure, anche se manca la certezza, i Guanci potrebbero essere stati davvero una piccola parte degli ultimi superstiti della mitica Atlantide! Una piccola prova è costituita dal fatto che, al momento dell’invasione spagnola, il territorio dei Guanci risultava diviso in 10 Distretti, ciascuno governato da un Mencey. La stessa organizzazione, insomma, vigente ad Atlantide, secondo quanto raccontato dal filosofo greco nel Timeo (e nel Crizia). Non c’è dunque da stupirsi se i Guanci sono da considerarsi eredi del popolo del Grande Continente distrutto da un immane cataclisma.

A domani.

Mario

 

giovedì, settembre 12, 2024

L'INESAURIBILE BATTERIA DEL CAMPANELLO ELETTRICO DI OXFORD: FUNZIONA MISTERIOSAMENTE DA QUASI 200 ANNI! STA NELLA SUA PARTICOLARE BATTERIA IL SEGRETO DEL SUO LUNGO FUNZIONAMENTO?


Oristano 12 settembre 2024

Cari amici,

L’uomo da tempo è alla spasmodica ricerca di energia autoprodotta, ovvero di fonti energetiche autorigeneranti, possibilmente perpetue, come delle batterie che funzionino "per sempre" senza bisogno di ricariche. Oggi, anche quelle più sofisticate, seppure durino a lungo, hanno poi bisogno di essere ricaricate. Indubbiamente una soluzione alquanto difficile da trovare, anche se le speranze non mancano! Ci sono stati degli esperimenti nel passato che, forse, ci spingono verso una via da seguire. Uno di questi esempi è la “CAMPANA DI OXFORD”, un campanello elettrico sperimentale che ha iniziato a funzionale nel 1840 e che, strano ma vero, sta ancora funzionando! Vediamo insieme questa strana storia.

Siamo in Inghilterra nella prima metà del secolo scorso. All’Università di Oxford, nel 1840, insegnava, come docente di fisica, il Reverendo professor Robert Walker. Questo colto prete, nell’intento di spiegare nel modo più chiaro e pratico ai suoi studenti il funzionamento di un campanello-orologio elettrico, acquistò da certi costruttori di strumenti di precisione, i signori Watkin and Hill, una particolare campana da loro realizzata nel 1825. La portò in classe per mostrarla e spiegarne praticamente il funzionamento ai suoi allievi.

Questo dispositivo era, per l’epoca, alquanto innovativo, apparendo ai più quasi miracoloso; acquistato in un corridoio vicino all'atrio del Clarendon Laboratory presso l'Università di Oxford (Il dispositivo è noto come Oxford Electric Bell o Clarendon Dry Pile), stupì non poco i suoi studenti, che iniziarono a prendere confidenza con il felice connubio tra energia e funzionamento meccanico, dimostrato da quel campanello elettrico sperimentale, che funzionava autonomamente. Una vera rivoluzione, se pensiamo che, da allora, questo campanello non ha più smesso di funzionare!

Si, amici, questa Campana elettrica di Oxford si trova ancora oggi nel Clarendon Laboratory dell'università – da cui ha preso la prima parte del nome – protetta da ben due strati di vetro. Ma vediamo meglio come funziona in realtà questo curioso orologio. Motore di questo strumento sono le sue due batterie, che somigliano moltissimo a quelle "a muschio secco", realizzate dal prete e fisico italiano Giuseppe Zamboni. Queste batterie erano composte da almeno 2000 paia di dischi di stagnola incollati su carta impregnata di solfato di zinco e rivestiti sull'altro lato con biossido di manganese. Le pile non sono asciutte, ma contengono la giusta quantità d'acqua per fornire l'elettrolita senza causare cortocircuiti.

Le batterie della campana di Oxford risultano sigillate al loro esterno, con un rivestimento che si ritiene sia di zolfo, tanto da sembrare delle candele. Per conoscere esattamente la loro composizione bisogna aspettare che le batterie muoiano: come abbiamo scritto in precedenza, se dovessimo aprirle ora l'esperimento avrebbe fine, e gli scienziati, invece, vogliono farlo durare il più a lungo possibile. La domanda che essi in particolare si pongono è: Perché questa campana-orologio elettrica è rimasta in funzione da così tanto tempo, cosa straordinaria per una batteria?

Le ipotesi sono tante. Si pensa che, almeno in parte, il motivo per cui la campana suona da così tanto tempo sia dovuto al fatto che non richiede molta energia e che non ne spreca molta. Il dottor Robert Taylor dell'Università di Oxford ha spiegato: “Mentre si muove avanti e indietro, la piccola campana di piombo tocca le due batterie da entrambi i lati, e così facendo si carica e si scarica di continuo. Una piccola quantità di carica filtra tra le due estremità e l'unica perdita è la resistenza dell'aria”. Ora, dopo i molti anni del suo funzionamento, ci si chiede: “Durerà ancora a lungo? Quando smetterà di funzionare? La campana ha suonato per tanto tempo, ma non lo farà all'infinito, e presto o tardi smetterà di funzionare! Secondo Taylor ci vorranno tra i 5 anni o i 10 al massimo, visto che negli ultimi 40 anni ha rallentato sempre di più la sua forza. Si fermerà perché prima o poi tutte le batterie si esauriscono, e quando finirà l'energia la campana smetterà si suonare, rendendo l'Università di Oxford un po' più silenziosa. Ma sarà proprio così? Chissà!

Cari amici, l’uomo continua ad andare alla ricerca di fonti energetiche che si auto-rinnovino all’infinito, ma il traguardo sembra ancora lontano! Per ora l’osservazione continua, visto che la Oxford Electric Bell pare che, per ora, abbia suonato oltre 10 miliardi di volte! La strada per trovare l’energia che funzioni all’infinito sembra essere stata tracciata!

A domani.

Mario

mercoledì, settembre 11, 2024

SARDEGNA: NELLA NOSTRA ANTICHISSIMA ISOLA NEL LONTANO PASSATO ERA PRESENTE ANCHE IL “GERBILLINO”, PICCOLO RODITORE OGGI ANCORA PRESENTE IN AFRICA, MEDIO ORIENTE E ASIA.


Oristano 11 settembre 2024

Cari amici,

Il GERBILLINO (Gerbillinae Gray, 1825) è un piccolo roditore, appartenente ad una sottofamiglia, i Muridi, roditori che vivono nelle zone desertiche o semidesertiche dell'Africa e dell'Asia; sono comunemente noti come Gerbilli, Merioni e Ratti delle sabbie. Questi piccoli  roditori sono minuscoli, con un peso che varia da 12 g del gerbillo pigmeo a 250 g del merione marocchino. Attualmente il loro habitat è quello delle zone desertiche e sub-desertiche dell'Africa settentrionale, del Sahel, del Corno d'Africa, dell'Africa orientale e meridionale, del Vicino Oriente, della Penisola Arabica e dell'Asia centrale, fino alla Cina centro-settentrionale e all'India occidentale.

Il Gerbillino nell’aspetto è, in un certo senso, simile al criceto, ma - a differenza di quest'ultimo - è dotato di una lunga coda rigida ricoperta di pelo e di lunghe zampe posteriori che gli consentono di spiccare salti e balzi scattanti. Gli esemplari maschi hanno generalmente dimensioni maggiori rispetto agli esemplari femmine; il colore del mantello può essere variabile, dal beige al marrone, fino ad arrivare al nero, al grigio e al bianco, con tutte le sfumature possibili. Gli occhi possono essere neri oppure rossi, a seconda dei casi. I Gerbillini comunicano sia con il linguaggio del corpo che con squittii e fischi.

Questi gerbilli sono abilissimi scavatori che, in natura, costruiscono tane sotterranee decisamente elaborate. Sono animali onnivori, ma si nutrono principalmente di piante e semi, mentre il consumo di insetti è generalmente occasionale. Questo piccolo roditore è un animale socievole (tanto che oggi è considerato anche un animale da compagnia), ed è dotato di un'indole tendenzialmente curiosa. Animale alquanto selettivo, accetta la pacifica convivenza solo con gli appartenenti alla stessa famiglia, socializzando raramente con soggetti di famiglie diverse; solo nel caso che con questi si sia fatta vita insieme fin dalle prime settimane di vita.

Ebbene, amici, la nostra Sardegna, terra antichissima, fu popolata, millenni fa, da animali preistorici oggi estinti, e, fra questi, c’era anche questo particolare roditore: il GERBILLINO, che, chissà per quale ragione, poi si estinse. Tra le cause che portarono alla sua scomparsa si presume che potrebbero esserci diversi fattori, tra cui le variazioni climatiche, che probabilmente non ne consentirono la sopravvivenza. Ma come siamo arrivati a sapere che il Gerbillino era presente in passato nella nostra isola?

A scoprire la presenza di questo piccolo roditore nella nostra isola è stato il grande paleontologo Daniel Zoboli. Lo studioso, laureato in Scienze della Terra e in Scienze e Tecnologie Geologiche con tesi in paleontologia, svolge al momento le sue attività presso il Dipartimento di Scienze Chimiche e Geologiche dell’Università di Cagliari, dove ha conseguito anche il dottorato di ricerca in Scienze e Tecnologie della Terra e dell’Ambiente. Daniel Zoboli, 39 anni e un curriculum di tutto rispetto, è anche il creatore della pagina Facebook “Animali e piante fossili della Sardegna”.

Questo serio studioso è un profondo conoscitore del nostro passato, che, nelle sue lunghe ricerche, ha scoperto che in Sardegna, nel lontano passato, erano presenti diversi animali preistorici: dal mammut sardo nano al millepiedi gigante, ma anche squali, coccodrilli, antichi perissodattili simili a tapiri, marsupiali, iene, cani selvatici, lontre e testuggini giganti. Ed ecco, ora, la recente scoperta di questo grande studioso: nel Nord-Est dell’isola, precisamente sui monti di Orosei, in passato era presente anche il Gerbillino.

La scoperta è partita dal ritrovamento di un fossile (un molare superiore di Gerbillino), scovato in uno dei riempimenti carsici del Monte Tuttavista di Orosei. Fossili di questi roditori sono stati ritrovati anche in Europa e nell’Italia peninsulare, dove erano presenti sino al Pliocene Inferiore. Per ora il molare di Gerbillino ritrovato risulta essere l’unico resto fossile che testimonia la presenza di questo roditore in Sardegna; il fossile è stato ritrovato in associazione a quelli delle tipiche specie di mammiferi del Pleistocene Superiore, tuttavia, è altamente probabile che si tratti di un fossile rimaneggiato (eroso dal deposito originale e che ha successivamente trovato una “nuova casa” in un deposito più recente) e dunque riferibile a un periodo ben più antico.

Amici, il ritrovamento di Daniel Zoboli, per quanto possa considerarsi alquanto modesto,  è da ritenere un chiaro esempio di come un singolo fossile (in questo caso un piccolissimo dente) possa rappresentare, per ora, la testimonianza della presenza di una nuova particolare specie, da aggiungere al lungo registro fossile dell’antica fauna della Sardegna. Grazie professor Zoboli della sua passione e dei suoi approfonditi studi, che catapultano i lettori in quello che è uno straordinario viaggio nel tempo, fino alle epoche più remote e ricche di segreti della nostra antichissima terra sarda!

A domani, cari lettori!

Mario