Oristano 16 marzo 2024
Cari amici,
Qualche giorno fa ho
letto, con vero piacere, sulla NUOVA SARDEGNA un interessantissimo articolo
della giornalista Serena Lullia su un certo Franco Dente, di Berchidda, che,
con grande passione, cerca di rivitalizzare, insegnandolo ai giovani, l’antica arte
di “FARE I CESTINI”, arte che, a dire il vero, è praticamente quasi scomparsa.
Era questa un’arte di grande importanza, prima dell’avvento della plastica, e da noi in Sardegna i
cestinai erano numerosi e adeguatamente remunerati. La storia di Franco Dente,
sapientemente raccontata da Serena Lullia, è alquanto particolare e pure complicata, e di certo merita di essere raccontata.
Franco Dente nasce a
Berchidda, piccolo paese della Gallura, da una famiglia contadina che ha una
grande passione per l’intreccio; il nonno materno di Franco e lo zio, infatti, a Berchidda erano
gli unici artigiani che costruivano i cestini. Anche il papà, una volta lasciata
l’attività della campagna, si appassionò all’arte dell’intreccio, e Franco
proprio da lui imparò i primi segreti; segreti, però, rimasti nella fase
iniziale, perché a 24 anni Franco decide di emigrare. A Berchidda
aveva fatto la terza media, e, dopo aveva iniziato a lavorare come falegname,
mestiere che, seppure gli piaceva, non intendeva svolgerlo a vita alle
dipendenze di altri. Avrebbe voluto, infatti, mettersi in proprio, ma per farlo
gli mancava la liquidità necessaria (all’epoca avviare una falegnameria costava
circa 50 milioni di lire).
La sua decisione fu
quella di andare in Germania, in quanto riteneva di avere una buona opportunità:
vi erano alcuni suoi cugini che
lavoravano in quello Stato e, tramite loro, al suo arrivo avrebbe certamente trovato un lavoro. Fu assunto in una fabbrica della zona della Rhur. dove si
producevano turbine per centrali nucleari; vi rimase circa 12 anni. «Arrivai
senza conoscere il tedesco e all’inizio fu difficile. A farmi sentire a casa ci
pensava però la bella comunità sarda e il circolo dei sardi. Avevamo anche una
squadra di calcio», raccontò al suo ritorno nell’Isola.
Da sardo verace la
Sardegna gli era rimasta nel cuore, in particolare il legame con la sua
Berchidda, dove tornava almeno una volta all’anno per incontrarsi con i suoi
genitori. Nel 1993 decise di lasciare la fabbrica e, con il gruzzoletto messo
da parte, riuscì a comprare una gelateria. Così racconta Franco: «era un’attività
che in Germania funziona benissimo, ancora di più con una gestione italiana.
L’ho tenuta fino al 2002. Negli ultimi 20 anni ho fatto il rappresentante di
prodotti per gelati. Un lavoro che mi permetteva di tornare al paese anche due
volte all’anno. Negli ultimi cinque lavoravo a casa, da Berchidda, da ottobre
fino a febbraio».
La possibilità di
lavorare da casa gli consentì, in particolare nel periodo del Covid, di trascorre molto tempo nel
paese gallurese, insieme al padre ormai quasi centenario. Nel famoso periodo delle
restrizioni imposte dal lockdown, che imponeva di restare chiusi in casa senza
frequentazioni, Franco ebbe un’idea geniale: chiese al padre di insegnargli per
bene l’arte di fare i cestini. Detto fatto: Iniziò così ad andare nella campagna della famiglia,
distante circa un chilometro dal paese, per procurarsi tutto il materiale
naturale di cui necessitava.
Iniziò così a
perfezionarsi nell’arte dell’intreccio, grazie agli insegnamenti del
papà. Ecco come Franco descrive l’apprendistato: «Ho cominciato a intrecciare,
con papà: Lui non aveva più tanta forza nelle dita e faceva cestini piccolini.
Ma mi ha insegnato come fare il fondo fino ad arrivare al manico; era una
tradizione di famiglia: il mio nonno materno e mio zio, erano gli unici
artigiani di cestini a Berchidda. Papà era contadino, aveva cominciato a
intrecciare quando era andato in pensione, come passatempo, senza che qualcuno
glielo avesse mai insegnato. Anche io ho cominciato così, un po’ guardando lui,
un po’ andando a tentativi».
Quest’arte, retaggio di
famiglia, lo appassionò in modo forte: il primo esperimento di cestino non fu
felice, ma non si diede per vinto. Franco riprovò con un secondo e poi con un
terzo, venuto abbastanza bene, tanto che decise di pubblicare la foto sul suo profilo
Facebook. Incredibilmente ricevette tanti consensi. « Da allora è diventato un hobby,
una passione che mi aiuta a meditare», ha raccontato commosso Franco. Ora,
amici, Franco, dopo 41 anni trascorsi in Germania è tornato nel suo amato
paese, Berchidda, dove con l’antica arte dell’intreccio cerca di tenere viva la tradizione!
Franco Dente ha voluto
mantenere viva l’autentica tradizione dell’intreccio: utilizza i materiali
usati nel passato, come olivastro, salice a volte sbucciato, canna
mediterranea, midollino. A volte usa anche il mirto, che dona ai cestini un
profumo che dura negli anni. Col tempo ha apportato anche piccole modifiche,
dando ai cestini realizzati una sua particolare impronta personale. Il manico, per esempio, che per tradizione
viene fatto a treccia, lui lo realizza a due fili, innovazione che considera un
po’ la sua firma. È un lavoro che richiede pazienza e la giusta dose di forza.
Franco realizza le sue
opere con capacità e sapienza: quattro ore sono il tempo medio per realizzare
un cestino, creato senza bozze su carta, ma solo col disegno creato dalla sua
mente. Sono creazioni “Bio 100% e a chilometro zero”. Usa solo materiali naturali,
fedele all’antica tradizione. Per lui è un lavoro che lo appaga, che lo
gratifica, Piano piano, intreccio dopo intreccio, le sue mani creano, e nella
sua mente i pensieri cattivi si volatilizzano, diventando gioiosamente positivi,
appagati dal risultato ottenuto. Una cosa Egli si augura: che l’arte
dell’intreccio non vada perduta, che altri, come lui, riescano a conservare e
tramandare, anche alle nuove generazioni, un’arte che non deve morire.
Cari amici, anche io mi
auguro che dei giovani capaci, con l’aiuto degli anziani, riescano a salvare e conservare
le nostre belle tradizioni che altrimenti andrebbero perdute!
A domani.
Mario
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