Oristano 27 ottobre 2022
Cari amici,
Ad introdurre la
coltivazione dell’olivo nella penisola italica furono gli antichi Greci ed i
Fenici. Questa pianta vi trovò un habitat ideale, assumendo nel tempo, in ogni regione, particolari, preziose caratteristiche. Tra le zone maggiormente vocate alla coltivazione dell'olivo ci fu quella
del Piceno. In questo territorio ascolano le olive, per la loro qualità, raggiunsero una lavorazione
alquanto gradita, che poi si diffuse ben oltre i confini. Si, amici, le “olive
ascolane” hanno una storia antica e curiosa, intrisa, forse, anche di leggenda.
Nell’antica Roma queste
olive, preparate in salamoia, grazie al loro apporto nutritivo, erano il pasto
quotidiano dei legionari romani. Oltre alla loro bontà, la loro forma e
trasportabilità, le rese un alimento ideale durante i lunghi viaggi. Con questi presupposti, in primis la loro bontà, queste olive furono apprezzate e venerate, tanto che molti autori scrissero magnificando la loro bontà, e, tra
questi, Catone, Varrone, Marziale e Petronio; quest'ultimo, nel Satyricon, le colloca
sulle famose tavolate di Trimalcione.
Un gradimento che
proseguì nei secoli, tanto che negli archivi dei monaci benedettini
dell’ascolano, che risalgono al XVI secolo circa (documenti ancora oggi
conservati), vengono riportate con dovizia di particolari le tecniche di
coltivazione dell’olivo, la modalità di raccolta dei suoi frutti e i
trattamenti cui questi ultimi venivano sottoposti: è interessante ricordarne
uno in particolare, che prevedeva l’estrazione del nocciolo, per cui l’oliva
era soprannominata giudea, ovvero ‘senz’anima’. Sempre nel XVI secolo, anche
Papa Sisto V riconobbe la prelibatezza delle olive ascolane in una lettera
inviata agli Anziani di Ascoli.
Per assistere, però, alla
nascita delle olive ascolane ripiene, così come ancora oggi le
conosciamo, fu necessario attendere diversi secoli: un lungo periodo in cui la
fama di quelle in salamoia non venne mai meno. Le origini di questa specialità
vanno collocate in un momento non ben precisato dell’Ottocento. Sappiamo per certo
che la sua invenzione fu legata all’esigenza dei cuochi delle famiglie nobili
di utilizzare la carne in eccedenza prima che andasse a male, motivo per cui essi decisero di impiegarla come imbottitura per le olive locali, già note senza
nocciolo.
Il manicaretto ebbe un
successo pressoché immediato anche se, a causa del costo e della difficoltà
della preparazione, inizialmente fu accessibile solo al ceto più abbiente, che
lo offriva ai propri ospiti nelle grandi occasioni. Si dice che tra i suoi
maggiori estimatori ci furono i grandi compositori Gioacchino Rossini (noto
buongustaio), Giacomo Puccini e perfino il generale Giuseppe Garibaldi, che, dopo
averle assaggiate e apprezzate il 25 gennaio del 1849 ad Ascoli, decise di
coltivare alcune piantine di quest’olivo a Caprera, così da poter riprodurre la
Ricetta delle Olive Ascolane da sé!
Ma vediamo come si prepara questa
speciale oliva ascolana ripiena di carne. Farcire un’oliva come l’Ascolana,
molto tenera e fragile, oltre che di dimensioni ridotte, è un’operazione che
richiede grande perizia e manualità; con un coltellino si pratica un taglio a
spirale, cercando di includere quanta più polpa possibile. Il risultato finale
è una striscia elicoidale che viene avvolta intorno al ripieno. Seguono un
passaggio nella farina, quindi nell’uovo, nel pan grattato e infine la frittura in
abbondante olio di oliva o di semi. Un procedimento complesso che richiede la
cura di un vero e proprio artigiano: del resto il risultato è, a suo modo, una
forma d’arte.
Per completezza occorre
ricordare che la farcitura è composta in primis da carne magra di manzo, cui
vengono aggiunte, in percentuale minore, quella di maiale ed infine quella di
pollo e/o tacchino. Questo mix viene cotto, insaporito con spezie (chiodi di
garofano, noce moscata, pepe, etc.), sfumato col vino ed infine macinato.
Amici, sebbene al giorno d’oggi le olive ascolane servite in Italia e nel mondo
vengono generalmente abbinate ad aperitivi, nella tradizione gastronomica
marchigiana (ed in particolare ascolana) sono parte di un fritto misto servito
come secondo piatto, che include (tra l’altro) verdure, costolette d’agnello e
gli squisiti cremini (mini-porzioni di crema panata e fritta).
Cari amici, plaudo a
questa interessante iniziativa che la Regione Marche continua a portare avanti
e che ricorda i molti anni di storia di questa ricetta. Credo che anche la nostra Regione Sardegna debba
cercare, in ogni modo possibile, di valorizzare le proprie ricette culinarie,
che, come ben sappiamo, affondano anch'esse la loro storia nei secoli e anche nei
millenni! Dovremo valorizzare di più il nostro patrimonio gastronomico!
A domani.
Mario
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