Oristano
17 Giugno 2017
Cari amici,
La parola “Timido”, se andiamo a consultare la
Treccani, è colui “che è facile a
impaurirsi, che ha e dimostra scarso coraggio; proseguendo nella lettura
troviamo anche che è un soggetto che “non
agisce con la fermezza che la sua condizione richiederebbe; più spesso incerto,
impacciato, esitante nel comportamento per timore di non riuscire, di essere
giudicato male dagli altri, di apparire indiscreto”. Vi chiederete: ma dove vuole arrivare, partendo dalla parola timido? Il motivo è semplice.
La domanda che mi pongo e che pongo a Voi è questa: nel mondo attuale, nel millennio della società dell’immagine, dove “chi non comunica non esiste”, la timidezza e i timidi che ruolo rivestono? Insomma, a dirla tutta, i timidi sono una “specie residuale”, oppure hanno trovato il modo di convivere in un mondo apparentemente a loro non congeniale? Proviamo a fare qualche verifica.
La domanda che mi pongo e che pongo a Voi è questa: nel mondo attuale, nel millennio della società dell’immagine, dove “chi non comunica non esiste”, la timidezza e i timidi che ruolo rivestono? Insomma, a dirla tutta, i timidi sono una “specie residuale”, oppure hanno trovato il modo di convivere in un mondo apparentemente a loro non congeniale? Proviamo a fare qualche verifica.
Nonostante le premesse non favoreoli, la timidezza nel terzo
millennio è un fenomeno che continua ad esistere. Le impietose statistiche affermano che addirittura il 40% delle persone soffre di timidezza! Essa
colpisce in egual misura sia i maschi che le femmine e si manifesta fin
dalla più tenera età. Susan Cain nel
suo best-seller Quiet così ammonisce:
«Non
chiamate un bambino timido. Forse è semplicemente introverso». La Cain
nel suo libro sostiene, infatti, che la grandissima parte dei soggetti ritenuti
timidi è, invece, solo introversa. Ecco cosa Lei afferma e sostiene nel libro.
«L’introversione è un
modo in cui è strutturato il nostro cervello: gli introversi si sentono
mentalmente sotto pressione quando sono in compagnia, perché hanno bisogno di
periodi di solitudine per elaborare le informazioni ricevute dal cervello e poi
tornare nel mondo sociale riprogrammati e pronti. La timidezza è un’altra cosa.
È più una questione di auto-consapevolezza dell’esserci, imbarazzo per il
proprio corpo davanti allo sguardo degli altri, senso di impaccio, paura
sottile. Non è su come lavora meglio il nostro cervello e di cosa ha bisogno
per farlo, ma sulle rappresentazioni di noi che ci costruiamo in testa in
relazione agli altri. È la capacità di immaginare come potrebbero vederci». Concetti
non facili, come possiamo vedere.
Comunque, timidi o
introversi, rispetto al grande stuolo dei “normali”, questi “diversi” non sono
certo una specie in estinzione, anzi! C'è addirittura di più. Il timido, a ben pensare non è un
soggetto di minor valore; «ogni timido è anche un impareggiabile
voyeur, più attento della media a pregi e difetti dell’umanità che teme…»,
scrive Joe Moran, riferendosi a
loro. Moran, grande storico della cultura, nel suo libro ‘Shrinking violets. The
secret life of shyness’ (Mammolette. La vita segreta della timidezza)
scrive che la timidezza è un mostro irriverente che ha sempre accompagnato,
anche se impercettibilmente, tutta la storia dell’umanità.
Trasportando il timido
dal mondo del passato a quello odierno dell’alta tecnologia, strano ma vero, notiamo un vero e proprio paradosso: la tecnologia è il
regno dei timidi! La crescente interrelazione quotidiana che avviene
ogni giorno in diretta sui social (Instagram, Facebook, Twitter, etc.), è il
grandioso regno dei timidi: un'immensa arena nella quale attraverso chat, faccine e conversazioni digitali
un alveare umano si muove virtualmente digitando nervosamente sulla tastiera, anziché stare a ciondolare in
piazza crogiolandosi nel dolce far niente. «Non voglio generalizzare troppo,
ma c’è qualcosa nel linguaggio della programmazione che attrae
irresistibilmente i timidi. Perché permette di avere relazioni in modalità
ancora più remota eppure più intima di quanto avessero già fatto lettere e
telefono», afferma con convinzione Joe Moran.
Si, amici, la
tecnologia che oggi viviamo sembra proprio essere stata partorita dai “grandi
timidi”! Alan Turing, il padre della programmazione nonché pioniere
dell’intelligenza artificiale, era un genio talmente timido che gli dava
fastidio pure l’abitudine ben nota in Usa di dire “aha” per mostrare interesse verso quanto affermato dall’altro.
Così come un grande timido, ricorda ancora Moran, era Steve Wozniak, il socio
ombra di Steve Jobs. Grazie a Lui, in pochi anni «milioni di ragazzini avrebbero affidato la loro timidezza al bagliore
di un computer». Stessa cosa per i social: «È curioso che Zuckerberg, l’inventore della più grossa macchina per la
costruzione delle relazioni sociali, fosse un adolescente schivo, antisociale,
uno “sfigato». Insomma, la tecnologia dominata dai timidi.
Cari amici, sono certo
che dopo aver meditato su tutto questo anche noi, poveri esseri “normali”,
siamo pronti a riconoscere ai “timidi” il loro grande potere nascosto! Il
paradosso, tra l’essere pavidi e timorosi nella società reale e forti
condottieri nel web, viene chiaramente illustrato dal filosofo Byung-Chul Han. Questo
studioso, docente universitario sudcoreano che vive in Germania dove insegna
all’Universität der Künste Berlin, sostiene che «è la Società che ci chiede di
recitare il mantra della paura planetaria, a patto che sia affogato nell’oblio
della nostra estroversione via web. Estroversi nel privato, ma pavidi e
“timidi” rispetto alla società, alla politica, al nostro destino nel mondo».
Potrà apparire
incredibile, ma nella Società del Terzo Millennio, a quanto pare, sono i timidi
ad essere i protagonisti in prima fila!
Grazie, amici, a
domani.
Mario
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