Oristano 22 giugno 2024
Cari amici,
L'uomo, fin dai tempi più lontani, ha iniziato a convincersi che dopo la morte non tutto si sarebbe
estinto. Nella stessa civiltà greca, dopo una fase in cui non si credeva nella
sopravvivenza eterna dell’anima dopo la morte fisica, si arrivò poi a credere che
questa sopravvivesse alla morte, dando origine alla credenza sull'immortalità
delle anime, con la pratica del “CULTO DI DIONISO”. Le credenze popolari intorno al
perdurare delle anime dopo la morte, credenze basate con alcune accezioni sulla
dottrina omerica delle anime, rimasero, poi, sostanzialmente immutate in tutti i
secoli della vita greca.
Esse, comunque, non contenevano in
sé il totale convincimento che l’anima sopravvivesse al corpo, arrivando cioè al
concetto della sopravvivenza di una vita spirituale immortale eterna, senza
fine. Il perdurare della vita dell’anima che il culto praticato applica, divenne presupposto per garantirne la perenne memoria, strettamente legata alla vita vissuta
dalla persona di riferimento; un culto che serviva a tenere nella massima cura il
ricordo, trasportandolo e dedicandolo “all’anima degli antenati”. Ricordo che
cercava di non far svanire la memoria del defunto, in quanto se la pietosa cura da
parte dei vivi non fosse stata applicata, all’anima del defunto sarebbe venuto a mancare l’ultimo
elemento di “sopravvivenza”, necessario a dare ancora una necessaria parvenza di vita.
Ad alimentare e tener
vivo il ricordo del defunto e della sua “sopravvivenza spirituale”, sono nate
nel tempo numerose leggende, che affermavano di aver visto tombe, grotte e
santuari dove brillavano delle luci perenni, senza fonti di
alimentazione. Uno dei casi più strani riguarda il rinvenimento del sacello del
gigante Pallante di cui parlano Boccaccio e Virgilio. Di lampade perenni parlano
tanti viaggiatori del passato e ne conservano la memoria svariati popoli.
Secondo Pausania, nel tempio di Minerva ad Atene, c’era una lampada d’oro che
ardeva continuamente senza bisogno di alimentazione.
Il grande Sant’Agostino, nella sua opera La città di Dio (XXI, 6, 1) accenna a una fiamma perpetua,
accesa dalla notte dei tempi, in un luogo consacrato a Venere; il santo
cristiano, comunque, mise le mani avanti ipotizzando che potevano essere delle dicerie.
Fa riferimento, tuttavia, a un candelabro con una lucerna che ardeva allo
scoperto senza che alcuna tempesta o pioggia riuscisse a estinguerla. Un’altra
testimonianza celebre risale al 1540, anno di ritrovamento a Roma della tomba
di Tulliola, figlia di Cicerone. La tradizione sostiene che dentro il sacello
fu trovata una lampada ancora accesa che si spense poco dopo l’apertura. Quanta
verità può esserci in questi racconti? E’ difficile saperlo.
Ovviamente simili
racconti intrisi di leggenda possono affondare le radici in fenomeni naturali
come fiamme sprigionate da sfiati di gas o fosforo. Cosa che, in certe
condizioni, potrebbe effettivamente scatenare fiamme destinate ad ardere per
lungo tempo, ma per motivi prettamente naturali. Il mito della lampada eterna, comunque, riuscì a resistere nel tempo, ponendosi in rapporto con il significato spirituale. La
lampada rappresenterebbe, da questo punto di vista, l’immagine dei tre elementi
dell'uomo: il corpo (parte materiale e passeggera), l'anima vegetativa (potenza
vitale rappresentata dall'olio) ed infine lo spirito, l'anima vera e propria
(parte immortale, rappresentata dalla fiamma).
Motivazioni spirituali
che possiamo osservare ancora oggi nelle Chiese cattoliche, dove vengono
alimentate lampade votive che ardono giorno e notte sotto le statue o le
immagini di santi, della Madonna o di Gesù Cristo. La luce accesa davanti ai
morti si consolidò nel tempo, con altri vari significati, e si diffuse, trasferendosi
anche nel rituale cristiano. Il culto dei martiri nel IV e V secolo volle la
lampada davanti alle spoglie dei santi e, in genere, i ceri posti accanto al
feretro contraddistinguevano e distinguono ancora oggi la morte di un bravo cristiano. Indicavano in
sostanza che il defunto era vissuto e morto nella luce della fede. Nel culto
cristiano la fiamma diventa man mano anche simbolo di vita, fede e
resurrezione. Entra di conseguenza nella liturgia il cero. Quello pasquale o quello che accompagna la processione della Purificazione e del Corpus Domini, che
viene presentato agli aspiranti sacerdoti, utilizzato anche per il Battesimo e consegnato agli sposi.
Cari amici, la fiamma che
arde, in modo più o meno perpetuo, cerca di dare all’uomo l’idea
dell’immortalità, se non del corpo, almeno della sua nobile parte: l’anima, che
continuerebbe in eterno il piccolo pezzo di strada iniziato con il corpo! Per
me, cristiano, l’anima esiste e continuerà il suo percorso, dopo che il corpo
sarà tornato ad essere polvere…
A domani.
Mario
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