giovedì, novembre 21, 2019

LA PARITÀ RETRIBUTIVA TRA UOMINI E DONNE RESTA SEMPRE UN MIRAGGIO. DAL LAVORO ESECUTIVO A QUELLO DIRETTIVO, POCO RISULTA CAMBIATO.


Oristano 21 novembre 2019

Cari amici,

Le donne, che siano operaie, impiegate, funzionarie o manager, anche nel Terzo Millennio non hanno ancora raggiunto la parità con i colleghi uomini. Certo, con il passare del tempo diverse cose sono cambiate, ma per ora, quanto a retribuzione, restano differenze sostanziali tra uomini e donne, anche nelle posizioni apicali, quelle dell’alta direzione aziendale.
Lo ha confermato uno studio dell'Executive Compensation Outlook 2019, che, pur confermando la crescita della presenza femminile nei Board dell’Alta dirigenza, in termini retributivi rimane ancora un enorme “gender gap"; lo studio, ha preso in esame (entrando nei dettagli) i compensi degli executive manager e dei membri dei Board delle società italiane quotate in Borsa, messi poi a confronto da Badenoch + Clark Executive in collaborazione con l'Osservatorio JobPricing.
Nell’accurato studio sono stati evidenziati anche fattori positivi. Uno di questi è il fatto che il numero delle donne nei board aziendali è "cresciuto di circa 6 volte nell'ultimo decennio, arrivando al 36,3 per cento; il positivo trend è, in grandissima parte, frutto dell’applicazione della Legge n. 120 del 12 luglio 2011, inerente alla promozione dell'equilibrio di genere negli organi sociali delle società quotate". 
Tuttavia, anche questo trend positivo ha mostrato sia luci che ombre. Gli analisti hanno evidenziato che i membri femminili con cariche esecutive nei board delle società quotate sono appena l'11,9 per cento. Un dato che risulta decisamente inferiore alla percentuale di dirigenti donna nel mercato del lavoro italiano (32 per cento) e alla percentuale di donne in profili non esecutivi (40,4 per cento). Quanto alla posizione di Amministratore delegato, questa è ricoperta nell’88,8 per cento dei casi da uomini e solo nell’11,2 per cento da donne; a ricoprire la carica di presidente, invece, il 90,2 per cento sono uomini.
Quello che scaturisce chiaramente dallo studio è che in busta paga le differenze retributive sostanziali uomo/donna, restano! Di conseguenza il minore accesso femminile alle posizioni di vertice si traduce automaticamente in minore opportunità di guadagno, con un ampliamento, per le società quotate, del differenziale retributivo fra maschi e femmine; se tra i dirigenti italiani in generale il delta è in media poco superiore al 8 per cento, guardando alle società listate in Borsa Italiana si arriva quasi al 70 per cento (circa 200.000 euro l'anno). Se si considerano i profili non esecutivi si scende al 42,5 per cento (circa 20.000 euro l'anno)", spiega ancora il report.
Per fare un esempio pratico, in Italia un dirigente donna guadagna circa 9 mila euro lordi in meno del collega uomo. Il divario di genere, inoltre, cresce in modo considerevole al crescere del volume di affari della società quotata, passando - per i manager con funzioni esecutive - dal 50,3 per cento in aziende con fatturato fino a 100 milioni, all'86 per cento in aziende con oltre 800 milioni. Diego di Barletta, head of executive di Badenoch + Clark, annota come "il gender gap assuma dimensioni enormi nel caso di società quotate e la forte discrepanza non accenna a diminuire. Tuttavia, lascia ben sperare l'aumento delle donne nei board di società quotate che mostra trend positivo".
Cari amici, se la donna manager non sorride, perché considerata “meno pregiata” e quindi meno retribuita dell’uomo, immaginiamoci cosa succede nei gradini sottostanti! Insomma, a tutti i livelli le donne sono pagate meno degli uomini, nonostante sia dimostrato, che le lavoratrici risultano essere più istruite, più preparate dei loro colleghi maschi, ma purtroppo risultano meno retribuite. A questo bisogna aggiungere un altro dato poco felice: anche le loro pensioni risultano inferiori rispetto a quelle maschili. Circa le pensioni, infatti, a percepire una pensione inferiore ai 1.000 euro sono per lo più le donne: 50,5 per cento contro il 31 per cento degli uomini; un fossato dunque sempre più largo, che porta, come evidenziato prima, fino alle grandi aziende quotate a Piazza Affari. 
In realtà, per aggirare il contenuto della Legge n. 120 del 12 luglio 2011, tendente ad eliminare le inique differenze tra i due generi, si è arrivati all’escamotage del “Super Minimo”, ovvero il grande responsabile del “Pay gap”. Il “super minimo”, da tempo in uso nelle grandi aziende, è un bonus del tutto discrezionale che, guarda caso, le aziende erogano soprattutto ai dirigenti uomini. Più alto è il ruolo ricoperto, più grosso diventa così il divario. Basti pensare che, nelle retribuzioni più alte, per le donne il divario con il quantum percepito dagli uomini arriva a superare il 17 per cento in meno.
Cari amici, cercare di raggiungere la parità retributiva tra uomini e donne, a parità di mansioni, è un vecchio problema che continua a rimanere irrisolto.  La direttiva emanata dalla Comunità Europea sulla parità retributiva tra uomini e donne risale al 1975, e, tuttavia oggi, ad oltre quarant’anni di distanza dall’introduzione dei primi provvedimenti legislativi per la parità di stipendio, il differenziale salariale per sesso (gender Pay gap) rimane un aspetto praticamente irrisolto, che vede le donne soccombenti anche nel Terzo Millennio.
Si riuscirà mai ad arrivare ad una reale parità in tutti i sensi? Ai posteri l’ardua sentenza!
A domani.
Mario





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