martedì, marzo 10, 2020

IL CORONAVIRUS SPINGE ANCHE IN ITALIA LO SMART WORKING, UN TIPO DI LAVORO FINORA POCO PRATICATO, IN QUANTO UTLILIZZATO SOLO INTORNO AL 2 PER CENTO.


Oristano 10 marzo 2020
Cari amici,
Lo “Smart Working”, che tradotto correntemente significa ‘lavoro intelligente’, nella legislazione italiana del lavoro è così definito: «una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato stabilita mediante accordo tra le parti, anche con forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro, con il possibile utilizzo di strumenti tecnologici per lo svolgimento dell'attività lavorativa.» Questa modalità di lavoro è largamente diffusa in Europa, ma ancora molto poco in Italia. Secondo i dati riferiti al 2018 l’11,6 per cento dei lavoratori europei alle dipendenze di società private o pubbliche, pratica lo smart working, lavorando da casa saltuariamente (8,7 per cento) o stabilmente (2,9 per cento), grazie alle opportunità messe a disposizione dalle nuove tecnologie.
In Italia la percentuale si ferma al 2 per cento (solo 354 mila lavoratori dipendenti), risultando non solo la più bassa d’Europa (poco sopra Cipro e Montenegro), ma anche la più distante da Paesi come Regno Unito (20,2 per cento), Francia (16,6 per cent) o Germania (8,6 per cento). Per non parlare di quelli del Nord Europa, dove la quota di lavoratori che possono lavorare da casa, anche con flessibilità oraria, sale al 31 per cento in Svezia e Olanda, 27 per cento circa in Islanda e Lussemburgo e al 25 per cento in Danimarca e Finlandia.
Ebbene, come spesso accade in momenti straordinari, come in quello attuale legato al Coronavirus, la paura del contagio da “Covid 19” ha fatto riscoprire questa ignorata forma di lavoro, in quanto rappresenta un'opportunità: quella di continuare a lavorare proteggendosi, quindi continuando, comunque, a svolgere il proprio lavoro da casa, con indubbi vantaggi sia per i dipendenti che per le aziende. Il «lavoro agile», dunque, potrebbe decollare alla grande e permanere anche quando l’emergenza sarà proprio finita.
Secondo i dati più recenti di Eurostat, i lavoratori dipendenti potenzialmente occupabili nello smart working (manager e quadri, professionisti, tecnici e impiegati d’ufficio) sono 8 milioni e 359 mila. Se a un terzo di questi fosse concessa la possibilità di lavorare saltuariamente o stabilmente in modalità «agile», si raggiungerebbero i 2 milioni e 758 mila. Un dato sicuramente di grande interesse sia per il datore di lavoro che per il dipendente.
Si, amici, lo Smart Working, utilizzato al meglio, è in grado di favorire sotto molti aspetti la vita del lavoratore che lo utilizza. Questi, oltre a guadagnarci in termini di qualità della vita (secondo un'analisi effettuata da Variazioni, una società di work-life balance), può ottenere, utilizzando la nuova forma di lavoro, anche un guadagno economico, che, semplificando, può essere pari ad una mensilità di stipendio. A questo c’è poi da aggiungere la spesa del viaggio, costo prima sostenuto per raggiungere il luogo di lavoro, oltre al ‘risparmio’ in termini ambientali: una media di 270 chili di CO2 in meno nell’aria a lavoratore.  
I guadagni, come è giusto che sia, ci sono anche per l'azienda, che, prendendo ad esempio una di dimensioni medio-grandi, sempre secondo l’indagine di Variazioni, potrebbe risparmiare oltre i 200 mila euro all'anno, tra buoni pasto e indennità di trasferta, a cui, non dimentichiamo, si aggiunge anche l’aumento della produttività realizzabile con lo smart working: più del 95 per cento dei dirigenti ha dichiarato che lavorando da casa i dipendenti raggiungono meglio tutti gli obiettivi produttivi richiesti. Di vantaggi, poi, ce ne sono anche molti altri.
Uno degli ulteriori vantaggi, per esempio, è quello di poter contare anche su esperti che magari sono addirittura oltre oceano, e che mai avrebbero accettato di trasferirsi in azienda. Come sostiene l’imprenditore e professore a contratto dell’Università di Pavia, Gianluigi Ballarani, “se fino a qualche anno fa le aziende potevano contare solo su lavoratori presenti nelle loro sedi, oggi grazie a internet, le tecnologie permettono di lavorare in modo più smart con un team sparso in tutto il mondo”.
Ballarani ha meglio ribadito il concetto precisando che per le sue aziende lo smart working “è stata una grande leva per attrarre talenti da tutto il mondo, senza essere costretti a trovarli vicino alle proprie sedi e senza obbligarli a trasferirsi e venire tutti i giorni in ufficio. Lo smart working è una grande libertà che fino a qualche anno fa era solo un miraggio”.
Si, cari amici, questa terribile pestilenza che ci ha riportato indietro nel tempo, quasi al periodo della peste di manzoniana memoria (da oggi e fino al 3 aprile sono in atto misure incredibilmente restrittive che bloccano la gran parte delle persone a casa), ha costretto anche l'Italia a fare buon uso dello Smart Working, in quanto è diventato una vera necessità, ora anche da noi molte cose cambieranno e potremmo così avvicinarci alle medie degli altri Paesi europei. Come in Gran Bretagna, per esempio, Paese dove 1,54 milioni di persone lavora da casa e, negli ultimi 10 anni, questa attività è aumentata del 74 per cento. Secondo un’analisi effettuata dall’IPSE (Association of Independent Professionals and the Self-employed), per il 55 per cento degli smart worker il più grande vantaggio è la flessibilità, mentre un terzo degli smart worker è felice e si sente anche più produttivo.
Insomma, amici, a prescindere dall’angoscia del momento creata dal coronavirus, male che tutti auspichiamo di superare quanto prima tornando alla normalità, questo terribile virus non ci è piovuto addosso solo per nuocere, per farci del male, ma, costringendoci seppure brutalmente a cambiare abitudini, potrebbe almeno averci dato una spinta per incentivare un tipo di lavoro scarsamente preso prima in considerazione.
A domani.
Mario







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