domenica, luglio 29, 2018

SERVIZI E AGGREGAZIONE SOCIALE. PRIVARE LE COMUNITÀ DEI SERVIZI SOCIALI ESSENZIALI SIGNIFICA DECRETARNE L’ESTINZIONE. IL CASO ECLATANTE DELLA SARDEGNA.


Oristano 29 Luglio 2018
Cari amici,
Spopolamento è un termine che incute paura. Significa abbandono della Comunità in cui si è vissuti, significa prendere la valigia e andarsene da un luogo dove si è nati, dove ci sono le radici: genitori, nonni, clan familiare. 
In Sardegna questa ‘emorragia’ è in auge fin dalla metà del secolo scorso, con incrementi sempre maggiori, portando alla morte in particolare i piccoli centri dell’interno. Le motivazioni le conosciamo bene. La vita sociale cambiata radicalmente per i ritmi di vita odierni, e la lenta eliminazione dei servizi-base necessari alla Comunità. Questa presenza, all'interno delle Comunità, risulta basilare: in mancanza dei principali servizi, c’è un’unica alternativa, quella di andare via.
Di recente ho messo in luce un fatto che ritengo gravissimo: un paese che non può più contare nemmeno sulla presenza di un medico! Questo succede a Ussassai, piccolo centro costituito praticamente da anzini, proprio quelli che del medico hanno più bisogno.
Si, la ragione fondamentale dello spopolamento, della fuga dai piccoli centri, è la continua cancellazione dei servizi prima in essere, che, uno ad uno, vengono da un giorno all’altro cancellati, portando via il futuro a quelle Comunità in maniera irreversibile. In Sardegna i comuni che hanno registrato cali demografici importanti sono almeno 250. I primi a rivoltarsi, in particolare contro lo Stato, sono stati i Sindaci, che hanno giustamente imputato alle Istituzioni quella mancanza di attenzioni che avrebbero potuto evitare tutto questo: la perdita dei servizi essenziali, senza i quali nessuno è disposto a restare nelle piccole Comunità.
Condannati all’estinzione, questa in realtà la sentenza di morte che grava su centinaia di nostri paesi, una volta non solo ben popolati ma portatori di “saperi e sapori” unici al mondo e che svolgevano sul territorio funzioni indispensabili, come il controllo e la giusta conservazione del territorio e del patrimonio agro pastorale. È un destino triste, quello di molti paesi della Sardegna, che sotto certi aspetti appare già scritto. È una morte lenta, per consunzione, con la lenta ma costante fuga dei residenti giovani, lasciando gli anziani a consumarsi in attesa della morte. E tutto questo nella totale indifferenza da parte dell’autorità centrale dello Stato, che della sopravvivenza e del benessere delle proprie Comunità avrebbe dovuto essere il principale difensore.
I ritmi della vita moderna, allineata ormai ad una globalizzazione che di umano non ha nulla, non hanno più rispetto per le persone, considerate ormai solo numeri, calcolati solo per la loro capacità di spendita finanziaria. Una Comunità, in particolare se è piccola, viene presa in considerazione solo per il possibile “guadagno” che può dare in termini economici, per cui la scure, anzi la mannaia della spending review ha fatto sì che si smontassero, una dietro l’altra, le insegne di banche, poste, scuole, farmacie, caserme, ambulatori, trasformando queste Comunità in Paesi fantasma, popolati ormai solo da anziani pensionati, che faticano anche ad incassare la magra pensione, stante l’assenza di strutture finanziarie in loco.  Una Comunità senza più giovani, non c’è dubbio, è senza più futuro.
In situazioni così drammatiche anche la Regione poco può fare. La giunta regionale ha annunciato un masterplan per le zone interne, ma a cosa può portare se continuano a mancare servizi essenziali, come strade, scuole, assistenza sanitaria, banche, uffici postali e negozi? Le Comunità in questo modo si disintegrano, con i giovani che abbandonano i paesi alla ricerca di un lavoro; essi sono attirati, se va bene, dai centri costieri rimasti più popolati e con qualche possibilità in più di lavoro, oppure, con la valigia in mano, lasciano direttamente la Sardegna.
È un declino irreversibile, cari amici, che in assenza di provvedimenti immediati (difficili anche da prevedere in quanto ritenuti sicuramente molto costosi) appare purtroppo già segnato. I primi due centri condannati a sparire entro 20 anni sono Monteleone Rocca Doria e Sorradile. Lo indica in modo inequivocabile la curva in picchiata dei loro residenti, seguiti a ruota da altri centri. 
Anche se non tutti i centri “a rischio” si rassegnano senza far nulla. Ci sono paesi che in assenza di interventi da parte dello Stato cercano di mettere in piedi quel “fai da te” che a volte ha funzionato. Il sindaco di Ollolai, Efisio Arbau, per esempio, seguito poi anche da altri amministratori, ha messo in vendita le case disabitate del suo paese a 1 euro, nell’intento di trovare nuovi residenti e mantenere così in vita il suo paese. Chissà, forse a qualcosa servirà.
Certo, sono piccole tecniche di sopravvivenza per evitare che il centro, il cuore della Sardegna diventi una distesa di paesi fantasma con tutte le conseguenze dirette e indirette che sicuramente si aggiungerebbero. Pensate alle campagne spopolate, al mancato controllo del territorio, agli incendi, alle frane, ai disastri che potrebbero succedere senza la costante presenza delle persone, che di quei territori erano parte viva e irrinunciabile. 
Allora siamo sicuri di voler assistere senza muovere un dito alla morte delle nostre piccole Comunità? Sarebbe davvero mostruoso farlo!
Mentre preparavo questo post per riflettere con Voi su questo dramma, cari amici, ho appreso dall’Unione Sarda che, nel settore del credito (ho lavorato una vita intera in banca) in 8 anni sono spariti in Sardegna 99 sportelli bancari, lasciando 26 comuni (su 377) senza agenzia bancaria. Questo non fa che confermare quanto detto prima. Sarà possibile intervenire, fare qualcosa? Difficile dirlo. La Sardegna diventerà deserta, forse, come il Sahara.
Amici, tra qualche giorno cercherò di entrare ancora di più nei dettagli, parlandovi specificatamente dello “spopolamento bancario” nella nostra isola, come prima accennato.
A domani.
Mario

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