Oristano
1 Febbraio 2017
Cari amici,
Voglio
iniziare le mie riflessioni di Febbraio con un interrogativo che fa tremare le
vene e i polsi! La domanda è: al termine di tutta una serie di processi
tecnologici sempre più avanzati, con le macchine che sostituiranno l'uomo in
tutte le attività lavorative svolte, quale sarà il futuro della nostra specie,
di cosa si dovrà occupare, di cosa vivrà l'uomo, sarà la sua fine? La risposta
non è né semplice né facile. Che la tecnologia stia costantemente eliminando il
lavoro umano, lo stia soppiantando in tutti i settori, da quello più semplice
(processo iniziato agli inizi del 1.900 con la prima rivoluzione industriale) a
quello più complesso, è un dato di fatto inconfutabile. La prima rivoluzione
industriale era nata con uno scopo ben preciso: togliere all'uomo il pesante
lavoro manuale attraverso l'utilizzo delle macchine. Le macchine, però,
lentamente hanno scalato la classifica, avanzando in capacità e competenza: da
quelle sostitutive del lavoro manuale a quelle del lavoro impiegatizio, fino ad
arrivare a quello direttivo, occupandosi anche del processo decisionale.
Non
c’è campo delle professioni, ormai, immune o al riparo dall’automazione: dopo
le tute blu è poi toccato ai colletti bianchi intermedi, arrivando a decimare
anche i dirigenti. La cosa strana è che questo avanzare tecnologico, che in
tanti chiamiamo ‘progresso’, ci affascina tanto da farci dimenticare l’enorme
perdita di posti di lavoro che le nuove tecnologie causano; il piacere di avere
in mano prodotti altamente tecnologici, prodotti in modo sofisticato dalle
macchine, fa passare in secondo piano il fatto che i posti di lavoro continuano
a diminuire! In tanti non hanno più un lavoro, continuano a mantenere in casa i
figli disoccupati, ma smaniano per comprare l’ultimo modello dello smartphone o
la TV full HD prodotta in quelle fabbriche robotizzate che lasciano a casa
migliaia di lavoratori.
Si, è
vero: la tecnologia affascina, ma purtroppo continua a renderci sempre più
inutili! La nuova tecnologia (meglio definita robotica) avanza, cammina
spedita, ad un ritmo vorace: lentamente ma inesorabilmente giorno dopo giorno
rimpiazza l’uomo con la macchina (che ironicamente ha pure le sue sembianze),
con i robot. Un processo ormai difficile da bloccare.
In
effetti lo svilimento del lavoro dell'uomo, quello artigiano, è iniziato
proprio con la nascita della società industriale. Le macchine facendo
lentamente piazza pulita di quasi tutti gli antichi mestieri hanno reso
obsolete le grandi capacità del singolo (artigiano o artista), distruggendone
l’identità, l’orgoglio e il personale gusto artistico, maturati in secoli di
sviluppo, per passare alla “produzione in serie”, anonima e senz’anima,
stravolgendo in questo modo il millenario equilibrio esistente tra l’uomo e il
ciclo naturale e vitale del pianeta, sottoposto con l'aumento dell'automazione
a sfruttamento e distruzione selvaggia.
Il
risultato è la vittoria della società dei consumi, sempre più imperante, dove
il denaro è diventato l’unico dio venerato e osannato. Le élite di potere
(quelle in possesso dei grandi imperi industriali ed economici) insegnano solo
questo: vali solo per il danaro che possiedi, l’unico a darti potere e
prestigio. È la vittoria dei mercanti e dei banchieri, sempre più avidi e
pronti ad arricchirsi alle spalle di chiunque, senza se e senza ma. Oggi le
parole più in uso, martellanti in continuazione, sono “Innovazione e
sviluppo”, senza precisare, però, di quale sviluppo si tratti: quello
tecnologico o quello dell’uomo?
Un
numero crescente di economisti e sociologici ha già lanciato l’allarme sul fatto
che le più recenti innovazioni tecnologiche distruggono più lavoro di quanto ne
creano. L'ultimo allarme, in ordine di tempo, è stato lanciato dall'autorevole
Financial Times secondo cui interi settori produttivi sono a rischio. Nei
prossimi 10, 20 anni i tassi di disoccupazione potrebbero raggiungere livelli
non più sostenibili. Il sociologo del lavoro Domenico De Masi, intervistato
da Tiscali.it, ha spiegato, in controtendenza, che alla fine il fatto che
le macchine facciano il lavoro al posto dell'uomo non è poi una notizia così
cattiva.
Il
noto sociologo, docente di Sociologia del lavoro, afferma infatti che “l’essere
umano non è fatto per lavorare”; ragion per cui se "l’innovazione tecnologica
farà si sparire il lavoro, tutto sommato questo fatto può essere considerato
positivo". Secondo De Masi la maggior parte delle persone, quando le
macchine faranno tutto il lavoro, vivrà grazie al reddito di cittadinanza,
finanziato da una tassa patrimoniale sulla parte più ricca della società.
Sempre
secondo il sociologo, grazie alle macchine “ci sarà più ricchezza che dovrà
essere distribuita in modo differente rispetto ad ora”. De Masi prevede
l’introduzione “di un reddito di cittadinanza universale” finanziato “da una
tassa patrimoniale sulla parte della popolazione più ricca, quella che sta
accumulando la maggior parte della ricchezza del pianeta”. Affermazione la sua
molto contestabile, anche se è una tesi sostenuta da altri autorevoli studiosi.
In futuro, insomma, il lavoro è destinato ad essere un privilegio per pochi e
necessariamente l’organizzazione sociale dovrà cambiare radicalmente.
Cari
amici, se mi consentite, nonostante la stima che nutro per De Masi, non
concordo affatto su questa tesi che appare così avveniristica da essere
considerata pura utopia. Un mio post recente su questo blog ha messo in
evidenza che già oggi nel mondo c’è una ristretta élite di ‘pochi’ che
possiedono la metà delle ricchezze del mondo; sono convintissimo che
difficilmente saranno disponibili ad accettare una ‘redistribuzione’
delle loro ricchezze agli altri. Le mie convinzioni non avallano certo la
teorica ridistribuzione, ma sono ben altre!
Agli
inizi del ventesimo secolo, Taylor e Ford segnarono il culmine dello storico
passaggio dall’artigianato all’industria. Oggi, all’inizio del ventunesimo
secolo, esistono tutte le ragioni per una nuova rivoluzione che segnerà il
passaggio dall’organizzazione industriale a quella postindustriale. Rivoluzione
che comporterà la necessità di sostituire la cultura moderna del consumo con
una nuova, ma che potrà tornare, sotto certi versi, al passato. Cerco di
spiegarmi meglio.
Correggendo
in parte la teoria di De Masi, io immagino invece un mondo diverso; un mondo
dove la ristrettissima cerchia dei super ricchi al potere avrà necessariamente
bisogno di una modesta quantità di lavoratori subordinati (che io vedo come una
sorta di moderni schiavi), ai quali sarà riconosciuto forse anche un
trattamento dignitoso, ma al resto degli abitanti del mondo ormai privati del
lavoro che accadrà? Io non concordo sulla possibilità che i super ricchi
saranno disposti a pagare la stratosferica patrimoniale necessaria a fornire il
‘reddito di cittadinanza’ ad oltre 7 miliardi di “nuovi poveri”! L'élite al
potere si occuperà solo di quel minimo di popolazione indispensabile ai loro
fabbisogni, mentre gli altri mendicheranno alla loro tavola, come "la
parabola del ricco Epulone" ci ha insegnato e potranno tranquillamente
anche morire…
Troppo
drastico il mio ragionamento? Chissà, forse Si, ma un'alternativa c’è, e la
storia ce lo ricorda: una bella, enorme rivoluzione, fatta per semplificare un
mondo ormai invivibile e in preda al caos! Con tutte le atomiche disponibili,
riportare indietro il pianeta indietro di milioni di anni non sarà difficile.
Poi, magari, gli eventuali superstiti potranno ricominciare: ripartendo da un
altro anno zero.
A
domani.
Mario
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